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Autore: Secret Whispers    12/12/2011    0 recensioni
Questa fanfiction è la prima classificata del contest Musica e parole organizzato dal Secret Whispers GDR Forum.
"Se la tua razza è in via d'estinzione e renderla più popolosa fosse un business, sarebbe meglio non essere mai nati."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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La fiction che segue si è classificata prima al contest “Musica e parole” indetto dal Secret Whispers nel mese di Aprile 2011.
L'autrice, Adaralbion, ha acconsentito che la sua opera fosse esposta su questa pagina.


Titolo: Priceless
Autrice: Adaralbion
Fandom: tratto dalla role Kunimasa X Allen di Adaralbion & Lle
Personaggi: Kunimasa Madarame / Yonekuni Madarame
Avvertimenti: lemon
Genere: hentai
Breve introduzione: Se la tua razza è in via d'estinzione e renderla più popolosa fosse un business, sarebbe meglio non essere mai nati.
N.d.A(facoltativo):

Per chi non lo sapesse i madarui sono esseri umani che si sono evoluti, a differenza degli uomini “normali” che provengono dalle scimmie (e per questo così vengono chiamati), da altre specie animali.
Sono integrati nella società umana come semplici uomini, ma mantengono le caratteristiche e un'anima animale che si palesa in determinati momenti: forte stress, troppa eccitazione, a comando se un madarui è in grado di sostenerla.
L'istinto per i madarui è molto importante, così come gli odori. Ci sono molti tipi di madarui, tante “famiglie”, ma sono tutte divise in light-seed / middle-seed / heavy-seed in base a quanto possono riprodursi.
La razza madarui è una razza a costante rischio di estinzione, per questo i rapporti poligami sono non solo accettati, ma anche consigliati.
La famiglia Madarame, di cui Kunimasa è parte insieme al fratello Yonekuni (e agli altri fratelli, Shinobu, Hidekuni, Manami) è infatti composta da diversi “genitori”: Kunimasa e Yonekuni hanno in comune solo la madre e hanno padri differenti.





“Considerando che l'amore non ha prezzo, sono disposto a tutto per averne un po'.”
[Jovanotti – Tutto l'amore che ho]


Cosa significa appartenere ad una specie in via d'estinzione? Sapere che, da un anno ad un altro, tutto il mondo che conosci, in cui vivi e sei cresciuto, potrebbe cambiare per sempre solo perchè non ci sono nascite?
In che modo puoi sopravvivere, mentalmente, moralmente, con questo chiodo fisso nella testa?
E' un incubo.
Esistere, essere venuto al mondo, diventa una condanna continua, un'angoscia pressante che ti porta a chiederti perchè diamine devi essere così diverso, così prezioso, così... raro.


Il rumore lieve e cristallino dei bicchieri impegnati in una deliziosa danza di “cin-cin”, le risa, i complimenti e i commensali impegnati in quella che è sempre stata la prassi, come se amare fosse un business, e non spetta mai al diretto interessato decidere chi e come, quando e il perchè.
Kunimasa osservava la scena con sguardo assente, perso come al solito in una moltitudine di pensieri che una mente puramente umana non avrebbe mai potuto concepire: non c'erano solo le sensazioni dovute all'avvenimento che si stava svolgendo in quel ristorante fin troppo chic, e nemmeno le osservazioni sui volti dei presenti, sul modo in cui erano vestiti, come ridevano o muovevano le mani, si abbuffavano o mangiavano compostamente l'ottimo cibo servito da un serico cameriere in frak.
C'erano gli odori.
Troppi odori per un naso così attento che, comunque, riusciva a captare ognuno di essi come fossero scie di colore ben distinte le une dalle altre.
L'acre giallo del cane a capotavola, il più invitante rosa del gatto seduto al suo fianco, e poi gli odori conosciuti, familiari: quello forte e imponente di suo padre, il dolce mieloso e quasi disgustoso di sua madre.
Ma quello sul quale Kunimasa si stava concentrando più di tutti era l'acido e opprimente verde del serpente al suo fianco, che con un sorriso dolce e le gote incipriate di un rosso timidezza, lo osservava dal basso con aria sognante.
Chi non l'avrebbe fatto? Chiunque al cospetto di un heavy-seed come lui avrebbe avuto quel tipo di reazione, soprattutto una femmina come quella, che era lì insieme alla sua famiglia solo per comprare il suo seme e garantirsi così il proseguo della loro razza.
Distolse lo sguardo con freddezza, puntandolo su suo padre, che con la sua risata ridondante, gli faceva tremare persino le mani per la rabbia e lo sdegno di dover essere suo figlio.
Avrebbe dovuto essere abituato a questo tipo di “contrattazioni” dato che, nonostante la sua giovane età, era stato da sempre usato come pura merce di scambio, un prezioso mezzo per garantire la prolificazione della razza madarui e, in contemporanea, l'aumento delle finanze della sua famiglia, ma nonostante tutto non riusciva realmente ad accettare la cosa, anche se non aveva mai fatto niente per ribellarsi.
Non ci sarebbe riuscito, neanche se l'avesse realmente voluto.

Era il suo destino, al pari di quello di un animale vero e proprio, uno stallone di razza o un toro da monta, bestie che gli uomini allevavano per il mero scopo della fecondazione, in modo tale da accrescere la mandria perchè sia in grado di garantire cibo e forza lavoro per un periodo pressoché illimitato.

Peccato che i madarui non fossero solo animali, ma anche uomini con un cuore, sentimenti, desideri e... sogni.

“Allora figliolo, che hai intenzione di fare dopo aver concluso gli studi?” la voce del Sig. Hund interruppe nuovamente i suoi pensieri. Si voltò verso di lui con la solita espressione fredda e distaccata che aveva mantenuto per tutta la serata “Le interessa?” chiese in risposta con un tono tutt'altro che amichevole, perchè si sentiva letteralmente preso per i fondelli da quella stupida domanda. Era lì per affari, per assicurare a sua figlia una prole sana e forte, e per sé stesso un bel nipotino che potesse vantare dna Madarame nelle vene, non per fare amicizia o conversazione, a che pro tentare di instaurare un dialogo?
L'uomo accennò un sorriso intimorito e portò il tovagliolo alla bocca, probabilmente per celare in qualche modo il terrore che Kunimasa gli aveva messo addosso con quella semplice frase “Kunimasa!” di nuovo suo padre attirò la sua attenzione, rimproverandolo con lo sguardo prima che con le parole “Non essere scortese con i nostri ospiti” lo ammonì serio, fissandolo come a volerlo sfidare ad osare di più. Lo fissò a sua volta, rimanendo in silenzio al cospetto del suo sguardo autoritario, della sua anima di fronte alla quale si sentiva così dannatamente impotente, oppresso, totalmente ed inesorabilmente schiacciato come un gattino spaurito di fronte ad un leone minaccioso.
Serrò la mascella, talmente forte da sentire i denti scricchiolare tra loro, sforzandosi di non rispondergli per le rime, alzarsi ed andarsene di lì una volta per tutte “Suvvia caro” sua madre si intromise, mostrando quel suo sorriso disgustosamente dolce che in realtà celava una crudeltà e spietatezza sicuramente superiori a quelle di suo padre che, in definitiva, era un uomo di tante minacciose parole, ma quando si trattava di passare ai fatti, diventava solo lo zerbino di quella donna terribile che aveva sposato “Kunimasa è solo un po' nervoso” continuò con lo stesso tono gentile “la figlia del Sig. Hund è così carina, vero?” si voltò verso di lui, dopo aver dato un'occhiatina complice alla ragazza che, sentendosi chiamata in causa, si era stretta di più nelle spalle mostrando un'espressione così timida da risultare assolutamente falsa. Kunimasa ancora non rispose, ma lanciò a sua madre uno sguardo così carico d'odio che se fosse stato tradotto in azioni o parole, quel ristorante si sarebbe presto trasformato nella scena di un omicidio a sangue freddo.

Un matricidio gli avrebbe donato la tanto agognata libertà?
Si era posto così tante volte questa domanda, da aver dimenticato quale fosse la risposta più giusta.

Si trovò costretto ad abbassare lo sguardo e a chinare il capo di fronte alla forza che sua madre dimostrava sempre di possedere, nonostante fosse una donna, ma era una donna terribile che costringeva il suo stesso figlio ad accoppiarsi con degli sconosciuti per soldi.
Nel mondo delle scimmie si sarebbe trattato di pura prostituzione, in quello dei madarui era soltanto la normalità.
I suoi genitori continuarono a discorrere col Sig.Hund e signora come se non fosse successo niente, ed evitarono entrambi di interpellarlo ancora o far sì che gli “ospiti” ci provassero di nuovo: era evidente che, un'altra parola di troppo, e quell'affare sarebbe andato a monte. Non potevano permetterselo.
La figlia dei Hund invece, dopo aver visto Kunimasa rispondere in quel modo a suo padre, sembrava aver acquisito un coraggio tutto particolare, dato forse dall'orgoglio di potersi accoppiare con un uomo dal carattere così forte.
Si avvicinò a lui con la sedia, guardandolo dal basso con un sorrisino complice dipinto sulle labbra “Tieni duro, è quasi finita” gli sussurrò mentre lui si voltava a guardarla male. Lei si sentì andare a fuoco, ma non per l'imbarazzo stavolta, ma semplicemente perchè era davvero bello e i suoi occhi la facevano tremare d'aspettativa: non vedeva l'ora che quella cena giungesse a termine e che fossero lasciati soli, desiderava così tanto quel ragazzo, lo desiderava sul serio, era la sua anima a volerlo.
La madre di Kunimasa non si lasciò sfuggire la cosa e sorridendo affabile interruppe la discussione che suo marito stava intavolando col Sig.Hund “Credo che i nostri ragazzi siano pronti..” disse, facendo sussultare Kunimasa che, in quel momento, aveva tutto in testa tranne il pensiero di “arrivare al dunque” anche se la ragazza che gli stava di fianco era più che pronta, lo sentiva a pelle “...non trattenetevi oltre..” continuò la donna, sfilando dalla borsetta la chiave magnetica della stanza dell'albergo che era stata prenotata per l'occasione “...divertitevi.” concluse, facendola scivolare verso il figlio sulla bianca tovaglia ricamata che ricopriva il tavolo al quale erano seduti. Sul volto del Sig.Hund e consorte apparvero sorrisi quasi inteneriti, mentre la figlia, ormai incapace di trattenersi, quasi sibilava dall'eccitazione.
Kunimasa invece, si sentì ribollire ancora di più per la rabbia, ma non osò tentare di ribellarsi e, presa la chiave, si alzò dal tavolo e, senza salutare nessuno, si congedò avviandosi verso l'uscita del ristorante. Ovviamente seguito a ruota dal disgustoso serpente in minigonna.


“E' carino qui..” disse la ragazza, scandagliando con sguardo attento la stanza in cui erano appena entrati.
Un grande letto matrimoniale troneggiava accostato alla parete costellata di quadri, sormontato da quattro enormi cuscini foderati di rosso; l'intera parete di fianco non era altro che una enorme finestra che dava sulla città, ed oltre al bagno con doccia, c'era anche un'altra stanza attigua con un piccolo salotto.
Kunimasa chiudendo la porta non le rispose e, senza osservare niente di ciò che invece lei stava guardando con grande attenzione, probabilmente compiaciuta che i suoi genitori avessero scelto un così bel posto per l'occasione, sfilò la giacca e la lanciò su una sedia per poi andare a sedersi direttamente sul letto e cominciare a sfilare le scarpe.
Lei lo guardò aggrottando le sopracciglia “Certo che potresti anche rispondere” lo ammonì, appoggiando la borsetta sul grande comò col pianale in marmo sistemato vicino alla porta. Kunimasa alzò gli occhi e la fulminò “Vuoi accoppiarti o no?” le chiese gelido, alzandosi in piedi per sfilare la maglietta rimanendo così a petto nudo. Lei rimase a bocca aperta, totalmente affascinata dal suo corpo semi-nudo dall'odore così allettante, ed annuì come fosse in trance, per poi avvicinarsi a lui famelica e poggiargli le mani sui pettorali scolpiti.
Li fissava come se non fossero veri e li sfiorava con una cura tale da pensare che, a breve, li avrebbe azzannati per divorarli: le sue erano carezze gentili, curiose, ma a Kunimasa facevano venire brividi tutt'altro che piacevoli, gli sembrava di avere addosso una moltitudine di vermi striscianti, viscidi e raccapriccianti “Oh Kunimasa...” esordì la ragazza con un sospiro caldo e fremente “...perchè deve essere una volta sola?” chiese, alzando lo sguardo nel suo mentre lasciava scivolare le mani lungo i suoi addominali, passandoci delicatamente le unghie laccate e ben curate “Non vuoi innamorarti?” chiese ancora, passandosi la lingua sulle labbra come se stesse parlando ad una ciambella ricoperta di zuccherini colorati, piuttosto che ad un essere vivente “Potremmo...” sussurrò, avvicinandosi di più col corpo facendo entrare in contatto il suo seno morbido col suo petto nudo “...potrei...” continuò, sospirando mentre le sue dita veloci e sfacciate avevano già superato la cintura dei pantaloni per poggiarsi vogliose tra le sue gambe, a toccarlo con insistenza “No” la interruppe lui sempre gelido, fissandola dall'alto con un'espressione tutt'altro che coinvolta e partecipe.
Lei sussultò, ritraendo le mani e facendo un passo indietro con aria ferita e sconvolta al tempo stesso: dopotutto si considerava un “buon partito”, veniva da una famiglia di middle-seed, era un serpente, e molto carina. Sentirsi rifiutare in quella maniera l'aveva profondamente colpita nell'orgoglio “I tuoi genitori hanno comprato il mio seme per te, solo quello..” continuò Kunimasa, palesando in quella frase tutto il disgusto che provava “..non m'innamorerò di te, né oggi né mai. Quindi se vuoi accoppiarti facciamolo subito e velocemente, poi sparisci.” sentenziò, distogliendo poi lo sguardo per slacciare la cintura e sfilare pantaloni e intimo in una botta sola, rimanendo completamente nudo di fronte al suo sguardo sorpreso.
Il suo fisico allenato sembrava ancora più imponente adesso che non c'erano vestiti a celare la muscolatura massiccia, le cosce che sembravano scolpite nel marmo più vivo mai concepito, le gambe lunghe e toniche.

Le lanciò un'ultima occhiata, poi si girò e si distese sul letto, passandosi una mano tra i capelli e sbuffando.
Non ne aveva voglia. Zero eccitazione, nessuna intesa di alcun tipo con quella ragazza della quale non ricordava nemmeno il nome, nonostante gli fosse stata presentata solo un paio d'ore prima.
Che senso aveva ricordarlo?
Era una delle tante, non sarebbe stata l'ultima, quindi che importanza aveva? Non l'avrebbe di certo invocato al momento dell'orgasmo, nemmeno appuntato in un angolo remoto della sua mente insieme al desiderio di rivederla.
Non c'era passione.
Non era amore.
Erano solo affari.
“Muoviti...” sussurrò infastidito, tornando a guardarla per poi porgerle una mano allungando il braccio in sua direzione, anche se lei era ancora vestita e non si era mossa nemmeno di un millimetro, come se fosse stata pietrificata da quella realtà che Kunimasa, poco carinamente, le aveva sbattuto in viso senza il minimo riguardo.
Non riuscì comunque a resistergli, nessuno avrebbe potuto nel momento in il suo odore forte, attraente e avvolgente, cominciava a riempire l'aria rendendola quasi frizzante, elettrica. Si mosse verso di lui, di nuovo come se non fosse padrona delle proprie azioni, di quello stesso corpo che fremeva dal desiderio, dalla voglia di averlo addosso, dentro, intorno, ovunque...

Con un gesto veloce Kunimasa l'afferrò non appena fu a portata di mano, tirandola per il polso fino ad avercela addosso. Le circondò la vita fine con un braccio, arrivando con le dita a sfiorarle il ventre “Spero che tu sia fertile” le disse “Perchè altrimenti i tuoi avranno buttato via un sacco di soldi e io avrò perso del tempo prezioso” concluse e senza lasciarle diritto di replica, la ribaltò sul letto, facendola finire distesa in mezzo ai cuscini mentre le saliva sopra, tirandole su la minigonna in malo modo.
Lei gli si aggrappò al collo, lasciandosi sfuggire un urletto eccitato di pura sorpresa mentre la sua anima remissiva si palesava: un gatto a mostrare la pancia, le “parti molli”, a chi è evidente più forte.
Kunimasa non si perse in stupidi ed inutili preliminari, il suo corpo reagiva nonostante tutto, perchè la femmina che aveva tra le braccia era pronta, e il suo istinto di sopravvivenza, quell'istinto insito in ogni essere vivente, uomo, animale o madarui che sia, lo rendeva pronto a sua volta nonostante né la sua mente né il suo cuore fossero minimamente coinvolti, attratti, eccitati.
Le sfilò le mutandine lasciandole scorrere lungo le gambe nude, oltre i tacchi che ancora indossava perchè non le aveva lasciato il tempo nemmeno di svestirsi, e mentre lei gli ansimava addosso, stordita e rapita dalla sua sola presenza, le passò le dita tra le cosce, assicurandosi che fosse abbastanza bagnata da accoglierlo.
Lei mugolò, schiudendo di più le gambe, alzandole per dargli più spazio: era in estasi, totale, non capiva più niente e nemmeno ne aveva desiderio.
Voleva solo il suo seme.
Seme.
Tanto, caldo, dentro... “Prendimi..” sibilò, guardandolo negli occhi con sguardo languido e supplicante, le pupille assottigliate in mezzo alle iridi di un verde intenso che a Kunimasa fecero venire in mente l'acido puro, corrosivo e velenoso. Lei provò a raggiungergli le labbra con la lingua, tirandolo in contemporanea verso di sé, per baciarlo come sarebbe stato ovvio e giusto se quella fosse stata una notte tra amanti, ma Kunimasa si oppose con forza, mandando indietro la testa per poi afferrarla per una spalla e girarla pancia sotto “Ma c-che...che fai!?” urlò lei, trovandosi con la faccia tra i cuscini, tutti i suoi bellissimi e morbidissimi capelli in bocca “Sono un giaguaro..” disse lui, afferrandola per i fianchi per farle alzare di più il sedere, sistemarla in modo da prenderla senza doversi sforzare troppo “..noi ci accoppiamo così. Se non ti sta bene puoi pure andartene.” concluse lasciandola andare per tirarsi su, in ginocchio dietro di lei.
Non ce la voleva la sua bocca addosso, i suoi stupidi baci: non erano amanti, non le doveva alcun trattamento speciale.
Lei si voltò a guardarlo, le labbra schiuse, le guance arrossatissime per l'imbarazzo dovuto alla posizione, per il desiderio pressante che, dopo un attimo di incertezza, le fece allungare le affusolate dita che raggiunsero le cosce di Kunimasa per arpionarle e tirarlo verso di sé.
Lui sorrise sadico, soddisfatto nel vedere come non ci fosse limite a quanto quella donna potesse umiliarsi pur di averlo.
Ciò che provava però non era orgoglio, ma ancora disgusto: assoluto disgusto.
Senza dire niente si piegò su di lei, togliendosi le sue mani di dosso mentre gliene poggiava una delle proprie sul retro del collo, l'altra a prenderselo in mano per poggiarglielo contro e spingerglielo dentro tutto di colpo, sentendola gemere, irrigidirsi, soffrire “Era questo che volevi no?” le sussurrò in un orecchio “Nessuno ti ha detto che non avrebbe fatto male” aggiunse, sorridendole, per poi ritrarsi e, tenendola ancora per il collo, cominciare a spingere da subito veloce, senza darle un attimo di tregua.

Non provava niente: era come masticare una vecchia gomma senza sapore che desiderava solo sputare.


“Kunimasa...Kunimasa? Kunimasa sei sveglio?” una voce familiare decisamente troppo vicina all'orecchio destro.
Alzò una mano, cercando di scacciarla. La voce rise “Ehy! Non sono una zanzara!” ribattè, bloccandogli la mano “Yonekuni... lasciami dormire...” si lamentò Kunimasa, mentre il fratello gli si spalmava addosso, schiacciandolo col peso del suo corpo “Eh no, non puoi dormire proprio ora che mamma se n'è andata, insieme a tuo padre ovvio” ridacchiò di nuovo per poi cominciare a punzecchiargli un fianco con le nocche.
Kunimasa gli bloccò entrambe le mani, aprendo gli occhi assonnati per guardarlo truce “Sono andati via? Per quanto?” gli chiese, mentre Yonekuni gli poggiava il mento sulla spalla, arrendendosi alla sua forza “Non so.. sono andati in America credo, non penso torneranno molto presto” disse, sporgendo le labbra con aria pensosa.
Kunimasa sospirò stancamente, ri-appoggiando la testa sul cuscino del suo letto “Vorrei che non tornassero più..” mormorò, lasciando andare Yonekuni che lo fissò preoccupato “Con chi...stavolta?” gli chiese distendendosi di fianco a lui in modo da averlo davanti.
Il fratello gli fece spazio sotto le coperte per poi tirarle su entrambi e sbadigliare “Un serpente.” disse, senza troppa enfasi “Donna o uomo?” chiese ancora Yonekuni curioso “Donna, era anche molto carina” sorrise, cercando di mettere su un'espressione tranquilla per non preoccuparlo troppo anche se non lo era affatto: ancora gli bruciava troppo, come succedeva ogni volta ad “affare concluso”.
Yonekuni, che lo conosceva bene, se ne accorse subito “Mi dispiace..” disse, abbassando lo sguardo con aria colpevole “E di che ti scusi, testone?” gli disse Kunimasa, scompigliandogli la zazzera bionda che lo rendeva così diverso da lui al pari del fatto che Yonekuni pur essendo metà giaguaro, era nato coccodrillo “Se non fosse per me, Hidekuni e Manami.. non dovresti fare queste cose..” disse il ragazzo, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
Era un discorso che sapeva l'avrebbe fatto arrabbiare, l'avevano affrontato così tante volte che già si aspettava di vedere Kunimasa alzarsi infastidito peggio di un gatto al quale hanno pestato la coda ed andarsene, rivolgendogli solo uno sguardo di severo rimprovero “Farei qualsiasi cosa per voi..” rispose invece Kunimasa, stupendolo.
Alzò la testa e lo guardò profondamente ammirato “Tanto un giorno avrò una famiglia mia, non c'è alcun dubbio.” continuò Kunimasa, sorridendo più ampiamente e sinceramente stavolta “Avrò una compagna o un compagno, e insieme avremo tanti cuccioli.. e tu sarai zio. Lo faccio anche per questo, perchè voglio un futuro diverso da quello che invece è stato programmato per me.” disse ridacchiando, come se non gli pesasse quella realtà che invece era sempre stata pari ad una ingloriosa condanna.
Yonekuni era sinceramente sorpreso, non si sarebbe mai immaginato che suo fratello avesse certi sogni nascosti dietro quella sua aria da giaguaro tutto d'un pezzo, che sembra sempre non aver niente da spartire con gli altri madarui.
Non disse niente e si limitò a sospirare, sistemandosi meglio tra le coperte del letto troppo piccolo in cui si era infilato senza permesso.
Kunimasa intanto tornò a chiudere gli occhi per ricercare quel sogno che suo fratello aveva interrotto svegliandolo.
Pensava che sì, avrebbe fatto qualsiasi cosa per avere una famiglia, una famiglia tutta sua e soltanto sua, che gli avrebbe fatto dimenticare cosa aveva vissuto la sera precedente e quelle passate, i figli che non avrebbe mai visto, che non gli appartenevano di diritto anche se sarebbero esistiti grazie a lui.
Figli di cui non conosceva il nome, cresciuti in famiglie che non avrebbe mai più rivisto, con madri e padri diversi, ignari del modo in cui erano stati messi al mondo.
No, era una realtà che non voleva più vivere, qualcosa che lo faceva sentire impotente, una bambola nelle mani di bambini troppo sadici e senza scrupoli.
Voleva la sua libertà, la sua famiglia, un partner da amare e baciare finalmente, qualcuno a cui dare tutto ciò che aveva dentro, e non solo il suo seme.
Doveva tenere duro solo un altro po'.. solo qualche mese, finchè non fosse diventato ufficialmente maggiorenne e allora... allora avrebbe detto basta, per sempre, e si sarebbe messo alla ricerca della sua anima gemella.

Si addormentò di nuovo in breve tempo, con Yonekuni al suo fianco che, colpa della pioggia all'esterno, gli si era accoccolato addosso alla ricerca di calore.
  
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