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Autore: Secret Whispers    12/12/2011    0 recensioni
Questa fanfiction è la prima classificata del contest Se non t'avessi mai incontrato organizzato dal Secret Whispers GDR Forum.
"Proprio quando pensiamo di essercene liberati, proprio quando pensiamo che ormai non fa più parte di noi, che è lontano anni luce, proprio quando smettiamo di pensarci, il passato ritorna."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La fiction che segue si è classificata prima al contest “Se non ti avessi mai incontrato” indetto dal Secret Whispers nel mese di Giugno 2011.
L'autrice, Light66, ha acconsentito che la sua opera fosse esposta su questa pagina.



Titolo: Il passato nel presente
Autore: Light66
Fandom: Valentine dalla role Lou x Valentine
Personaggi: Valentine, Lou, Mr. Conrovas
Avvertimenti: Linguaggio esplicito - raiting arancio
Genere: Yaoi
Breve introduzione: Proprio quando pensiamo di essercene liberati, proprio quando pensiamo che ormai non fa più parte di noi, che è lontano anni luce, proprio quando smettiamo di pensarci, il passato ritorna.
N.d.A(facoltativo): Mr. Conrovas è il direttore dell'orfanotrofio in cui è cresciuto Valentine fino all'età di sedici anni, quando l'uomo, ossessionato dalla bellezza di Valentine, ha tentato di violentarlo e lui è stato costretto a scappare e vivere per strada, iniziando poi a prostituirsi per poter vivere. La fanfiction comincia nel momento in cui Valentine e Lou si incontrano nella role, quindi all'inizio di questa.



Il passato nel presente


Aveva appena finito con un cliente, uno di quelli perfetti per lui, ricco, di bell'aspetto e poco pretenzioso.
La serata era ancora lunga, di lavoro se ne poteva trovare ancora e tanto, ma per quella sera decise che ne aveva avuti anche troppi di clienti, aveva guadagnato abbastanza e poteva tornarsene a casa prima per una volta.
Anche se non era solito andarsene a casa quando sapeva di poter racimolare ancora saldi, era una specie di fissazione la sua, avere soldi, tanti soldi da non dover mai più patire la fame o avere paura di dover cercare disperatamente un posto più o meno sicuro dove passar la notte.
Ma per una volta poteva concedersi di staccare prima dal lavoro, lasciare il suo "posto di lavoro" a qualcun altro e avviarsi verso casa.
Un veloce cenno di saluto ad un ragazzo appostato poco distante da sé, poggiato su quella parete mal ridotta, piena di crepe e buchi, polvere, ma anche di altri ragazzi e ragazze anche, che aspettavano solo qualcuno da soddisfare per potersi guadagnare il pane.
Infilò le mani nella minuscole tasche dei pantaloncini che indossava, un indumento quasi inutile per quanto erano corti e non lasciassero quasi nulla all'immaginazione, ma gli stavano divinamente, quindi andavano più che bene e poi per il suo lavoro non poteva indossare cose molto diverse da quelle.
Con le dita si stava divertendo a far roteare il piccolo rotolino di banconote che aveva in tasca, la giusta sommetta per una serata di lavoro.
Ma qualcuno lo urtò, facendogli schizzare via la mano dalla tasca e per poco anche le banconote.
"E sta più attento, stronzo!"
Lanciò un'occhiata truce al ragazzo che l'aveva urtato, un ubriacone che doveva essere zuppo d' alcol, portava gli occhiali da sole in piena notte e quella sua risatina strafottente e divertita lo fece irritare anche di più.
Come la sua occhiata, i suoi occhi che lo squadravano per poi poggiarsi sul suo culo e trasformare la risatina in un ghigno compiaciuto.
Avrebbe avuto tanta voglia di fermarsi, andare da lui e torcergli il collo!
Ok, magari solo dirgliene quattro perché doveva ammettere che in quanto a forza non poteva vantarsi di averne tanta, ma di orgoglio, bhè, di quello scoppiava.
Solo che era tardi, lui era stanco e di star dietro ad un ubriacone proprio non gli andava, quindi si limitò ad alzargli gentilmente il dito medio, accompagnando il tutto con un bel sorrisetto derisorio e a voltarsi, disperdendosi nella folla prima che quello potesse farsi venire l'idea di seguirlo.
Casa sua non era molto distante da lì, ma nemmeno era troppo vicina, quindi gli toccava camminare per almeno dieci minuti buoni.
Poco male, camminare gli avrebbe fatto bene, dopo tutto quel lavoro.
Solo che odiava camminare tra la folla, con la gente che per caso gli palpava il culo e lo trattava come una puttana. Lo era, era una puttana, ma non per questo voleva essere trattato come tale, soprattutto al di fuori del lavoro.
Ma se non aveva avuto voglia di litigare con l'ubriacone di prima, non avrebbe avuto voglia di litigare nemmeno con il cazzone di turno e poi non voleva rischiare di incontrare qualche suo cliente, magari uno di quelli "facoltosi" a cui non poteva dire di no.
Quindi decise che al prossimo incrocio avrebbe imboccato una di quelle stradine secondarie dove non passa mai troppa gente, soprattutto a quell'ora della notte dove tutti quelli che erano per strada, preferivano buttarsi nel casino della strada principale di China Town.
A passo veloce e con movimenti abbastanza agili, riuscì a farsi strada tra la folla senza troppi incidenti, controllando ogni tanto che i suoi soldi fossero sempre dove dovevano essere, e ad infilarsi nella sua tanto agognata stradina secondaria.
Quella sera era anche meno trafficata del solito, giusto un paio di ragazzi, probabilmente amici che andavano a giocare d'azzardo, che gli venivano incontro sul lato opposto, poi nessuno più.
Meglio così, se ne sarebbe stato di certo più tranquillo.
Superò la coppia di ragazzi, camminando a passo lento ed elegante, la sua solita camminata accattivante e sensuale anche se non voluta.
Era una bella serata, pur essendo solo in primavera, non sentiva freddo con i pantaloncini addosso, il cielo non era neanche troppo nuvoloso, certo, di stelle neanche l'ombra, troppe luci, ma lui non era mai stato tipo da interessarsi alle stelle, troppo preso da tutt'altre cose.
Troppo preso dal gestire la sua vita, il suo lavoro e i suoi soldi, in realtà, nell'ultimo periodo, era anche troppo preso dai suoi clienti. Forse avrebbe dovuto prendersi una pausa, una piccola vacanza, infondo se lo meritava. Ma in quel modo i profitti sarebbero calati di molto e lui aveva un affitto da pagare e i suoi risparmi... usarli non era nei suoi piani.
Aveva troppe cose da fare con quei soldi, voleva assicurarsi un futuro decente, insomma, l'unica cosa che aveva fatto nella vita e che, all'effettivo, sapeva fare era battere, vendere il culo, ma si rendeva anche conto che non poteva farlo per sempre, prima o poi avrebbe dovuto smettere per forza di cose.
Avrebbe dovuto smettere perché sarebbe invecchiato, perché la sua pelle non sarebbe stata più così liscia e morbida, perché il suo corpo non sarebbe stato più così appetibile. Era una delle marchette più richieste, ma quella "fama" non sarebbe stata eterna.
Era conscio di questo e quindi, doveva essere sicuro che quando sarebbe arrivato il momento non avrebbe rischiato di finire per strada ancora una volta.

Sospirò, lasciando andare quei pensieri, ormai la fine della stradina era vicina e presto si sarebbe ritrovato di nuovo tra la gente, quindi il suo livello di attenzione doveva decisamente aumentare.
Un passo, un altro, un altro ancora, quando qualcuno alle sue spalle lo chiamò.
"Valentine, sei proprio tu?"
Nella frazione di secondo che ci impiegò a voltarsi pensò che quella voce la conosceva, gli era in qualche modo familiare eppure non riuscì ad associarla a nessun volto. Non nell'immediato, non finché non fu completamente voltato per riuscire a vedere la persona che, a pochi passi da lui, lo guardava felice, anche troppo felice.
"Ma si, sei proprio tu! Grazie a Dio, ti ho cercato da per tutto. Perché sei scappato Valentine?"
L'uomo avanzò di un passo, forse due, di certo non si mise a contarli, e lui, quasi fosse legato ai movimenti dell'altro, indietreggiò. Non sapeva se la cosa migliore da fare fosse urlare, scappare o semplicemente ignorarlo e continuare a camminare.
Fatto stava che aveva paura, una sensazione orribile alla bocca dello stomaco che lo spingeva a correre via e poi, come contrappasso, una rabbia tremenda che lo spingeva verso quell'uomo.
"Come cazzo hai fatto a trovarmi? Non ti avvicinare"
Gli puntò il dito contro, poi tutta la mano, con il palmo rivolto verso di lui, minaccioso, mentre con la coda dell'occhio si guardava alle spalle, se si metteva a correre sarebbe riuscito ad uscire da quella fottuta stradina e finire tra la folla, ma no si fidava. Non si fidava assolutamente a voltarsi e dare le spalle a quel vecchio depravato.
"Non ha importanza come, l'importante è che io ti abbia finalmente ritrovato. Non sai quanto sono stato in pena, da quando sei scappato non ho fatto altro che pensarti e cercarti..."
"Tu sei malato. Sei malato, hai capito?!"
Cristo, possibile che dopo anni dovesse ritrovarselo ancora davanti?
Era un incubo, uno schifoso incubo di cui pensava essersi liberato e invece era tornato per tormentarlo, ma col cazzo, col cazzo proprio che si sarebbe lasciato tormentare, non aveva più sedici anni, ne aveva dieci in più e non era nemmeno più un ragazzino ingenuo e sprovveduto, adesso sapeva benissimo come andavano certe cose e meglio ancora sapeva come comportarsi, come difendersi.
"Stammi alla larga, veramente, altrimenti io..."
"Altrimenti tu cosa? Scapperai di nuovo? Non posso lasciarti scappare, non dopo tutta la fatica che ho fatto per trovarti. Ci ho messo dieci lunghi anni, ma tu questo lo sai"
Quell'uomo era pazzo.
"Tu devi essere pazzo..."
Glielo disse, con tutto lo sdegno di cui era capace, con tutta la rabbia e l'amarezza che si può provare quando hai davanti l'uomo che a sedici anni ha cercato di violentarli, l'uomo che ti ha impedito di avere una famiglia come tutti gli altri solo perché ossessionato da qualcosa che tu nemmeno sapevi potesse esistere.
Quell'uomo gli aveva rovinato la vita. Era colpa sua se non aveva dei genitori, era colpa sua se era diventato una squallida prostituta, era colpa sua per tutto.
Lo sapeva lui e lo sapeva anche quella merda di Conrovas, così si chiamava.
Un uomo di sessant'anni con ancora la forza e la voglia di perseguitarlo e magari anche di violentare ragazzini innocenti. Ne era sicurissimo, lui non era stato il primo all'epoca e di certo nemmeno l'ultimo.
Aveva gli stessi occhi di dieci anni fa, sottili e di un colore tra il verde chiaro e il grigio, solo che adesso aveva un'espressione diversa. Non più l'espressione di un uomo con il cazzo in tiro, ma quella di un fottuto pazzo!
E questa cosa lo spaventava. Lo spaventava sul serio, ma non poteva mostrare la sua paura o Conrovas si sarebbe sentito più forte e, magari, anche autorizzato a fare qualcosa e questo non doveva assolutamente succedere.
Quindi la smise di indietreggiare, cercando di mantenersi calmo, più che poteva, infondo adesso Conrovas non poteva più fargli del male, era cresciuto, tutti e due lo erano, anzi, per meglio dire Conrovas era invecchiato. Un punto a suo favore.
"Che cos'è che vuoi? Tornatene da dove sei venuto e lasciami in pace, io non ho niente da spartire con te!"
Contraddittorio nelle parole, forse se ne rendeva anche conto, ma non gli importava, prima la finiva meglio era, con quell'uomo non voleva sul serio averci più niente a che fare. Gli aveva già dato troppo della sua vita, non voleva concedergli più nemmeno qualche minuto per ascoltare ciò che aveva da dirgli, tanto sarebbero state tutte cazzate. Cose talmente infime ed insignificanti che avrebbe vissuto tranquillamente anche senza saperle. Nemmeno era curioso di sentirle.
"Andarmene? E come potrei adesso che ti ho ritrovato?"
Era una fissazione la sua, era sul serio malato e anche deviato.
"Io non ho intenzione di perdere altro tempo con te"
Basta, ne aveva abbastanza e, soprattutto, aveva capito che discutere con lui non avrebbe portato a niente, proprio a niente. Quindi meglio lasciarlo solo a crogiolarsi nella sua pazzia che continuare a stare lì e ascoltare i suoi deliri.
Si voltò, dandogli le spalle ancora una volta, infilando di nuovo le mani in tasca, le punte della dita della mano destra a sfiorare la carta liscia delle banconote nuove di zecca che il suo ultimo cliente gli aveva dato. Lentamente si diresse verso l'uscita del vicolo, prendendo respiri profondi, voleva calmarsi, magari fermarsi anche in qualche pasticceria ancora aperta e prendersi un bel dolce con la panna e le fragole e poi tornarsene a casa, buttarsi sotto la doccia per lavare via tutta quella giornata e poi sdraiarsi sul letto e mangiarsi quel dolce, prima di farsi una bella e sana dormita.
Era un programmino niente male, poteva concederselo un dolce ogni tanto, non si sarebbe di certo impoverito per quello e nemmeno sarebbe ingrassato per un po' di panna. L'avrebbe fatto, l'avrebbe fatto sul serio se solo non avesse sentito Conrovas avvicinarsi con quei suoi passi pesanti, quasi stesse sbattendo i piedi sull'asfalto, ma forse era il leggero eco che c'era in quel vicolo che rendeva tutto più "assordante".
Fu costretto a voltarsi, non voleva essere preso alla sprovvista, ma calcolò male i tempi o qualcosa del genere, perché a malapena lo ebbe il tempo di voltarsi che si ritrovò spinto con le spalle al muro, un suo braccio sotto il mento e premergli contro il collo e un coltellino, stile teppistello, di quelli a scatto, puntato in faccia.
Aveva gli occhi sgranati, puntati sul viso dell'uomo i cui lineamenti erano contratti, quasi distorti da un sorrisino di pura follia. Poteva sentire il suo alito fetido sulla pelle, che sapeva di alcol e di tabacco. Ma era troppo spaventato, troppo terrorizzato da quella lama anche solo per storcere il naso.
"Lasciami andare, per favore..."
Gli tremava la voce, aveva addirittura paura di muovere troppo le labbra perché quel pazzo aveva preso a muovere la lama sulla sua guancia. Aveva il terrore di essere ferito, le cicatrici erano il sui più grande incubo, anche in quel momento. La sua pelle era sempre stata troppo delicata, non si sarebbe rimarginata tanto facilmente e lui con la faccia, il corpo, la pelle, ci lavorava, ci viveva.
"Tu sei mio Valentine, sei sempre stato mio. Io ti ho protetto, ti ho tenuto con me. Non hai mai capito quanto ti ho amato e sei scappato. Ma adesso...adesso sono qui per fartelo capire. Ti riporterò indietro con me e non ti lascerò più andare"
Stava tremando nella mani di quell'uomo, sentiva il corpo pesante, completamente bloccato, paralizzato dalla paura.
"Per favore...basta..."
Iniziò a piangere, per la paura e al tempo stesso per la vergogna di essere tanto terrorizzato e non riuscire a fare nulla, nemmeno urlare, chiamare aiuto, perché quello che aveva davanti era un pazzo e le sue possibili reazioni ad ogni proprio gesto o parola lo spaventavano anche di più della situazione stessa.
"Non piangere Valentine..."
Mentre parlava Conrovas gli passava la lama del coltello sul viso, la guancia, il mento, l'altra guancia, fin sopra lo zigomo, costringendolo a chiudere gli occhi per quanto era vicina.
"Non piangere, io ti perdono"
Senti le sue labbra avvicinarsi alla propria pelle, toccargli il mento e poi succhiarglielo, la sua lingua viscida e "rugosa" che si muoveva e lo graffiava, risaliva sulla guancia, sfiorandogli l'angolo della bocca, riempiendolo di saliva, provocandogli un enorme senso di disgusto, lasciando scie di saliva ovunque lo toccasse.
"Smettila...smettila io non voglio essere toccato da te, mi fai schifo, schifo hai capito?!"
Per la paura, forse anche per la disperazione, era riuscito a dirgli quelle parole tra le lacrime, lasciando che piccole gocce di saliva schizzassero sul viso di quel vecchio bavoso. Saliva e lacrime.
Tutto sembrò fermarsi per una attimo, la sua bocca, la sua lingua, persino la lama del coltello. Riaprì gli occhi per guardarlo e capire cosa stesse succedendo ed anche lui lo guardava, con guardo serio ed impassibile, per istanti che sembrarono essere interminabili.
Poi, quella quiete, si trasformò in furia, tutto divenne veloce, inaspettato e incontrollato.
Si ritrovò voltato, la faccia schiacciata conto il muro, le labbra che sporgevano per la pressione, le braccia bloccate dalle sue mani che gli tenevano stretti i polsi, tanto stretti da fargli male, soprattutto se proava a muoversi. Questo era il problema per gli aveva polsi molto sottili.
"Stai zitto!"
Conrovas gli aveva urlato dritto in un orecchio, sentiva la sua tempia pulsare contro la propria.
"Zitta puttanella. Perché è questo che sei, una squallida puttana di China Town. Io volevo darti amore, ti avrei trattato come un re. Invece tu devi fare il prezioso. Allora ti tratterò per la schifosa puttana che sei"
"NO!"
Urlò, improvvisamente capace di farlo, sconvolto, mentre cercava di dimenarsi quando aveva sentito una delle sue mani lasciargli i polsi, ora stretti solo in una, e andargli ad afferrare i pantaloncini nel tentativo di sbottonarli.
"Non mi toccare, lasciami, lasciami!"
Ci stava provando a liberarsi, con tutta la forza che aveva, con tutta la disperazione e il terrore che stava provando, ma venne sbattuto violentemente contro il muro, la tempia ad urtare contro la parete causandogli un leggero giramento di testa che diede a Conrovas il tempo di abbassargli i pantaloncini che gli caddero alle caviglie e il perizoma di pizzo che si fermò a metà cosce.
Quello era un incubo che diventava realtà, era ciò che sarebbe dovuto succedere quando aveva sedici anni ma che, per qualche fortunato motivo, era riuscito ad impedire. Ma adesso no, adesso non ci riusciva, era lì, schiacciato inerme contro quel muro a piangere.
Forse avrebbe dovuto lasciarlo fare fin dall'inizio, magari tutto quello non sarebbe successo, tanto era finito comunque a fare la puttana e a vendere il suo corpo, almeno con Conrovas avrebbe potuto continuare a vivere all'orfanotrofio e magari lui si sarebbe stancato di sé dopo un po', lasciandolo in pace.
Ma no, non riusciva a convincersi, aveva sempre preferito vendere il suo corpo a chi voleva, scegliendo con cura i suoi clienti, piuttosto che essere costretto a lasciarsi scopare da lui.
Fu un attimo, probabilmente Conrovas preso dalla foga o dalla pazzia gli aveva lasciato andare i polsi per sbottonarsi i pantaloni. Quello era il suo momento, non ne avrebbe avuto un altro, lo sapeva.
Si voltò, veloce, cercando di non inciampare nei pantaloncini colpendolo al viso con un pugno, evidentemente inaspettato, tanto che Conrovas lasciò andare il coltellino.
Veloce si sfilò i pantaloncini per avere libertà di movimento ma venne sbattuto schiena al muro, il colpo lo fece sussultare, quasi bloccare il fiato, si ritrovò a boccheggiare. Ma non si perse d'animo. Alzò una gamba e lo colpì con una ginocchiata nello stomaco.
Lo vide tentennare, barcollare anche e allora lo spinse via, lanciandosi quasi sull'asfalto, per raggiungere il coltellino. Venne afferrato alla caviglia da una sua mano.
"Bastardo, lasciami!"
Si mise a scalciare e usò le braccia per strisciare, graffiandosi la pelle, fino a raggiungere il coltello, voltarsi e piantarglielo in una mano, tirandolo fuori subito dopo.
Conrovas urlò, tenendosi il polso della mano ferita con l'altra, il sangue usciva quasi a fiotti e il suoi occhi erano fuori dalle orbita, non per il dolore, ma per la rabbia.
"Puttana! Ti ammazzerò lurida troia!"
Tenne stretto il coltello con entrambe le mani, perché gli tremavano, era lì, mezzo nudo, che lo guardava rialzarsi e andargli contro con una furia nello sguardo che gli fece venire voglia di lasciarsi cadere sulle ginocchia e piangere, piangere come non aveva mai fatto in vita sua.
Eppure non lo fece, strinse di più le mani intorno all'impugnatura del coltello a scatto e quando Conrovas si avvicinò abbastanza glielo piantò dritto nello stomaco.
Lasciò andare il coltello, allontanandosi di qualche passo dall'uomo che barcollava e rantolava. Vide la sua maglia verde diventare velocemente scura. Arretrò ancora, sbattendo velocemente le palpebre per rendere la vista meno offuscata.
"Val...Valen...tine..."
Conrovas cadde sulle ginocchia, proprio come avrebbe voluto fare lui pochi istanti prima, e poi giù di schiena.
Lo guardò, rimase fermo a fissarlo quasi avesse paura ad avvicinarsi e forse paura ce l'aveva davvero, poi ci riuscì, una passo alla volta con le gambe che pesavano come macigni. Si fermò accanto al suo corpo, toccandolo con un piede, un paio di calcetti, ma niente, non si muoveva. Allo si chinò, ma le gambe erano stanche e allora cadde con il culo nudo sull'asfalto. Lo guardò in viso, aveva gli occhi aperti, le pupille rivolte verso l'alto e per metà coperte dalle palpebre, la bocca aperta e contratta in una smorfia, le mani ancora a stringere il coltello che aveva conficcato nella pancia.
Si guardò le mani, le dita sporche di sangue e realizzò, in quel momento realizzò che aveva ucciso un uomo, anche se un bastardo stupratore, ma lo aveva ucciso. UCCISO!
Scoppiò a piangere, lasciandosi andare a singhiozzi violenti che gli scuotevano il corpo e gli facevano male al petto, la cassa toracica dolorante ma con molta probabilità non era solo a causa dei singhiozzi.


Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, forse minuti, forse ore, non avrebbe saputo dirlo, era rimasto lì, accanto al corpo di Conrovas a piangere, fin quando il suo pianto non si era fatto sempre più silenzioso e calmo, smettendo poi del tutto.
Si era reso conto di sentire freddo, a star fermo lì, nudo dalla vita in giù, le gambe quasi non le sentiva più. Si tirò su, con lentezza, cercando di far riprendere la circolazione nelle gambe, con le dita tremanti e sporche di sangue strinse i lembi del perizoma, tirandolo su e poi lentamente, con una calma glaciale, quasi spaventosa, andò a recuperare i pantaloncini, infilandoli e chiudendoseli.
Con la stessa calma e lentezza si avviò verso la fine del vicolo, uscendo in strada, deserta se non per qualche sporadica macchina che passava ignorando la sua presenza.
Massaggiò i polsi che presentavano due segni viola e gli avambracci quasi completamente graffiati, aveva gli occhi vacui, lo sguardo perso, sembrava uno di quegli ubriaconi che odiava tanto. Ma continuava a camminare, un passo dopo l'altro, un piede avanti all'altro, fermandosi solo quando arrivò alla stazione di polizia.
Entrando, l'aria calda che c'era lì lo fece rabbrividire. La centrale era quasi vuota, i pochi agenti che c'erano lo guardavano curiosi, ma di certo nessuno di loro era preoccupato.
Andò a sedersi alla prima scrivania che gli capitò con un agente dietro.
"E' successo qualcosa?"
"Come se non fosse evidente"
Alzò lo sguardo in quello del poliziotto, sembrava aver ripreso un minimo di lucidità, quel tanto che bastava per poter raccontare quello che era successo, quello che aveva fatto a Conrovas e quello che Conrovas aveva fato a lui.
"Quindi tu hai ucciso un uomo, è questo che mi stai dicendo?"
"Le sto dicendo che ho ucciso l'uomo che ha cercato di violentarmi!"
Era così difficile da capire?
Perché tutto quello che quell'uomo gli ripeteva era che aveva ucciso un uomo? Perché?
"Calmati, io sto solo facendo il mio lavoro, ok?"
Gli ci volle pazienza, tutta quella di cui disponeva in quel momento per mettersi a raccontare di nuovo, per filo e per segno quello che era successo. Una pattuglia era già stata mandata sul luogo del delitto, così lo avevano chiamato, ma per quanto lo riguardava il vero delitto lo aveva subito lui, insieme al trauma di aver dovuto uccidere qualcuno per impedire che gli accadesse qualcosa di orribile.
"Hai detto che lavori a China Town, quindi sei una prostituta. La prostituzione è un reato, lo sai vero?"
Era al limite, era sul serio al limite, perché era stanco di essere accusato, lui era la vittima, la fottutissima vittima, invece non facevano altro che trattarlo come il colpevole.
"Cosa cazzo c'entra questo adesso? Sono una puttana ma io le ho detto che hanno cercato di violentarmi, che ho dovuto uccidere quell'uomo per impedire che ciò accadesse!"
In quel momento il telefono squillò e l'agente alzò una mano per zittirlo mentre afferrava la cornetta di quell'apparecchio che sembrava anche abbastanza antiquato.
"Si, pronto. Si...si, ho capito. Bene, manderemo lì una squadra."
L'agente riattaccò, prendendo un respiro profondo come se stesse per dargli la peggiore delle notizie, ma cosa poteva esserci di peggio di ciò che gli era accaduto quella notte?
"Ascolta, i miei colleghi hanno trovato il corpo ma tu sei una prostituta e mi sembra alquanto improbabile che qualcuno volesse stuprarti. Con questo non voglio dire che tu stai mentendo, ma capisci che dobbiamo fare delle indagini e che non possiamo rilasciarti..."
"Che significa? Io sono innocente, non ho fatto niente! Mi sono solo difeso, non potevo lasciare che quell'uomo mi violentasse, non potevo, mi capisce? Mi capisce?"
Si passò le mani tra i capelli, esasperato ed incredulo, poteva fottersene, tornarsene a casa e lasciarsi tutto quello alle spalle, invece no, era andato alla polizia, per avere la coscienza pulita, per cercare di alleviare quel senso di amarezza che sentiva dentro. Ma non gli credevano, gli raccontavano cazzate come quella del reato di prostituzione o del dover fare delle indagini.
"Mi dispiace, ma dobbiamo portarti in cella finché non avremmo risolto il caso e aperto un'udienza. Hai diritto ad una telefonata e ad un avvocato, se non puoi permettertelo, lo stato te ne assegnerà uno. Ma adesso devi venire con me"
"No, non è possibile, non è giusto. Non sono io a dover andare in carcere, io sono la vittima, la vittima..."
Con un gesto della mano l'agente richiamò l'attenzione di due dei suoi colleghi che lo immobilizzarono, afferrandolo per le braccia, trascinandolo verso l'interno della centrale, dove c'erano le celle. Lo avrebbero messo in carcere, per tutto il tempo in cui avrebbe dovuto aspettare l'apertura del suo processo lo avrebbero sbattuto in una cella. Non aveva nessuno da chiamare, se non qualche suo amico, ma era inutile farlo, erano tutte marchette come lui, non si sarebbero messi nei guai per lui e poi per cosa? Non avrebbero potuto comunque fare niente. Poteva permettersi un avvocato però...magra consolazione.
Smise di dibattersi, smise di protestare, era inutile, era tutto inutile, nessuno lo avrebbe ascoltato e nessuno lo avrebbe creduto perché era una stracazzo di puttana.
Sarebbe finito in prigione, almeno per un po', e dio solo sapeva che cosa avrebbe dovuto subire lì dentro.
Aveva fatto tutto per niente, aveva ucciso Conrovas per niente, a quel punto, sarebbe stato meglio lasciarsi scopare da lui, almeno dopo sarebbe tutto finito, adesso nemmeno sapeva a cosa sarebbe andato incontro.


-Fin

  
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