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Autore: Lady Antares Degona Lienan    16/12/2011    2 recensioni
Quello continua a guardarlo con fare minaccioso e John è indeciso tra il desiderio di dargli una carezza o un pugno. Non fa nessuna delle due cose.
È la storia della sua vita.

Ovvero sia: John e Sherlock si svegliano su un'isola deserta. Faticano a capacitarsi della mancanza di palme e sole. Da lì in poi è tutto in discesa.
Genere: Avventura, Comico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando si sveglia, John ha l’impressione di essere avvolto da un mormorio incessante. Ha il naso completamente insensibile e le punte delle dita screpolate, quasi come se avessero passato gli ultimi giorni esposte alle incurie del tempo. Sherlock è di fianco a lui, ancora preda dello stesso sonno che non vuole abbandonarlo. C’è molto vento, pensa John. E ancora: è normale che ci sia del vento così forte, in Baker Street?

Non riesce a scrollarsi di dosso gli ultimi residui di sonno, le ciglia si ancorano le une alle altre; quando prova a strofinarsi gli occhi gli duole la mano intera e la pelle della guancia urla. Vorrebbe coprirsi con le proprie coperte e tornare a dormire, ma quando prova ad afferrare le lenzuola stringe solo un po’ di sabbia. Il vento continua a tormentargli il volto e finalmente ottiene la sua piena attenzione. Sabbia. Vento.

Ma dove diamine sono finito?

 

. ii

John scopre in ordine che: si è svegliato su una distesa di sabbia; non ci sono montagne nelle vicinanze; Sherlock è assolutamente immobile e dorme ancora; Sherlock non è morto; la distesa di sabbia è ridicolmente ridotta; ci sono pietre ovunque; si trova su un’isola; ci mette meno di venti minuti per farne il giro completo; non ricorda niente della sera precedente.

È il ventinove di novembre e in Inghilterra il freddo morde con prevedibile tenacia. Saranno ancora in Inghilterra?

Sherlock si riscuote con un sobbalzo. Si mette a sedere considerando brevemente il paesaggio: un’occhiata a destra, poi a sinistra. Non pare essere troppo sconvolto dall’assenza di pareti e letti.  “Siamo su un’isola. Perché siamo su un’isola?”, chiede. Come al solito John si gratta la testa in attesa di capire come Sherlock possa aver compreso così rapidamente la loro situazione: fortunatamente il loro rapporto è ben rodato, e l’altro si limita a crollare le spalle in un gesto di noncuranza. “Non ti agitare, ho solo visto le tue impronte andare da una parte e tornare dall’altra. E poi c’è del mare. Siamo su un’isola”.

John aggrotta le sopracciglia. “Ma questo non ha alcun senso”.

“Zitto. Ora: come siamo finiti su un’isola?”

“Sherlock -”

“Soprattutto, dov’è il mio mistero?”

John Watson butta gli occhi al cielo, quasi aspettandosi un miracolo gesto da parte del divino creatore; giacché in cielo non c’è nemmeno una nuvola e il suo nevrotico amico continua a parlare si contenta d’aiutarsi con le proprie mani, per quanto intirizzite esse possano essere.

 

. iii

“Comunque dal tema naufragio sull’isola deserta mi aspettavo di più. Dove sono le palme?”, si chiede John spezzando il silenzio rabbioso in cui Sherlock si è immerso. Con la lente in mano e il cellulare nell’altra (privo di segnale) si aggira velocemente tra uno scoglio e l’altro.

“John, non dire sciocchezze. Piuttosto: dov’è il mio Venerdì?”

Oh cielo, pensa John. Non può fare sul serio.

 

. iv

Sherlock Holmes è una persona serissima, in effetti. Dopo un paio di battute sul proprio stato da Robinson viene distratto dall’assenza di cerotti alla nicotina e si lascia dietro, mentre cammina, una serie di orrende esclamazioni. Il mare ne mitiga alcune e ne risucchia altre, lasciando a John il difficile compito di affrontare quelle che rimangono. “Dovremmo trovare il cadavere, accidenti. Dov’è il cadavere?! Nessuno può lasciarmi qui senza un cadavere o un mistero da risolvere!” Urla: “JOHN! Avete già trovato il cadavere?”

Visto che di cadaveri c’è un’imbarazzante penuria (nemmeno una dannatissima conchiglia su tutta l’isola) John si concentra su ciò che li circonda. “Sherlock!, non ti sembrano strane queste rocce? Sono esagonali”.

Sherlock gli lancia un’occhiata appena. “Rocce. Certo, rocce. Davvero John, come tu possa vivere in una tale mancanza di concetti…”

“Tu pensi che qualunque cosa che si affacci sul mare sia un’isola!”

“Questi sono basalti, santo cielo, John. Se li osservi da vicino è abbastanza facile da capire”, dice con fare assorto. “Se usi Streckeisen pare abbastanza ovvio che –“

“Stre- cosa?”, chiede.

“Siamo sull’isola di Staffa”.

CHE?

 

. v

Segue breve spiegazione in cui a John viene ancora più mal di testa di prima e Sherlock continua a lamentarsi della mancanza di cultura del compagno. L’isola continua a rimanere tale. Il cellulare ancora non prende. Comunque sono sull’isola di Staffa, Scozia.

“Dico davvero John, è come non sapere che se un’isola –“

“Non dire niente”.

 

. vi

Basalti, dunque. Aggiunti a: forme esagonali, scale (chiaro segno di presenza umana), una grotta particolarmente suggestiva e la vicinanza di altre piccole isole. “Inoltre”, commenta Sherlock, “qui c’è un biglietto sbiadito in cui però è possibile leggere la meta del viaggio turistico. Siamo sull’isola di Staffa, nelle Ebridi Interne”.

Sherlock non sa nulla delle isole terrestri e del Sistema Solare, ma quanto alle Ebridi Interne non lo batte nessuno.

 

. vii

 “Aspettiamo che qualcuno ci venga a prendere, allora”.

“Non essere ottuso”, dice Sherlock. “Le crociere turistiche si fermano a settembre, al massimo ottobre. Al più tardi. Nessuno apprezzerebbe niente con questo freddo. Dobbiamo trovare un modo per comunicare con qualcuno. O risolvere il mistero”.

“Peccato,” colpo di tosse, “che non ci sia alcun mistero”.

“Il mistero siamo noi. John!, questo sarà un racconto entusiasmante per il tuo blog terapeutico.”

“Il mio blog non è terapeutico.”

“Certo che lo è. Altrimenti non avrebbe senso.”, afferma.

Nel mezzo della confusione generata dai gabbiani il discorso pare davvero surreale. Il vento batte senza clemenza la spiaggia e loro due, ospiti imprevisti. “Dovrò avvisare i lettori”, mormora.

“Lo chiamerai Mistero a Staffa!”

“E’ un titolo terribile. E non ti stai interessando troppo, Sherlock?”

Quello gli ha già voltato le spalle per dirigersi sulle scale. Ci sono delle volte in cui John Watson pensa che non potrebbe maledire di più il giorno in cui si è presentato davanti a quel portone modesto in Baker Street: puntualmente riesce a smentirsi la volta successiva. Il cappotto di Sherlock è di un curioso marrone – sabbia umida – e John non riesce a trattenere una risata: dal modo in cui gli lancia un’occhiata obliqua al di sopra della propria spalla Sherlock Holmes non trova nulla di tutto ciò divertente.

 

. viii

“Mi stavo chiedendo: non potrebbe essere tutto collegato a un altro caso? Magari qualcuno ha voluto darci degli indizi su un aspetto che ci era sfuggito”.

“La signora è stata fatta cadere dalle scale. Sono certo che non si tratti di un incidente: magari un amante inferocito. Ah, no, troppo facile.”

Ovvero sia: Sherlock era così annoiato dalla mancanza di morti mirabolanti che si era risolto ad accettare il caso pur di non crivellare la parete di colpi. John gliene era stato molto grato, al tempo: prima di capire, per lo meno, quanto insopportabile potesse essere Sherlock quando seguiva un caso troppo semplice.

“Beh, allora poniamoci un’altra domanda: come siamo arrivati qui?”

“Sonnifero. Forse vaporizzato nell’aria mentre dormivamo. Sono pronto a scommettere che avessero la chiave. Mrs Hudson ha perso le proprie lo scorso pomeriggio, e deve essersi dimenticata di chiamare il fabbro”.

Sono giunti alla fine della scalinata. Dominavano l’intera isola (John pensava, dentro di sé, che dominare non fosse proprio il termine adatto. L’isola di staffa era un fazzoletto di terra risibile) e potevano efficientemente controllarne i limiti. “Qui non c’è proprio nessuno”, ammette a malincuore. Cominciava a sperare nei cadaveri quanto Sherlock.

“Il mistero non c’è. Dov’è il mistero?”

Il cellulare di John squilla improvvisamente. Un messaggio da Mrs Hudson. “Mrs Hudson non scrive molto bene”, commenta. “Abbiamo segnale. Chiamiamo qualcuno per farci venire a prendere?”

Sherlock lo guarda. “Non chiamerai Lestrade. Non intendo sopportare una simile umiliazione”

“Giusto. Allora… la guardia costiera?”

Quello continua a guardarlo con fare minaccioso e John è indeciso tra il desiderio di dargli una carezza o un pugno. Non fa nessuna delle due cose. È la storia della sua vita.

 

. ix

Alla fine non chiamano nessuno.

 

. x

John apprende che l’isola di Staffa è famosa per la grotta che inghiotte parte del mare: si chiama grotta di Fingal e nel Settecento molti compositori romantici l’hanno scelta come fonte d’ispirazione. E tante grazie a Wikipedia. Quando lo dice ad alta voce Sherlock gli strappa il cellulare dalle mani (visto che il suo ancora non prende) e passa una rabbiosa mezz’ora ad accanirsi sullo schermo dello smart-phone. John Watson vorrebbe dire che la sua vita dopo la guerra è diventata più semplice, ma ci sono momenti in cui preferisce non mentire a se stesso. Il vento muove i capelli di Sherlock come fossero fruste e la luce del sole riflessa dal mare l’illumina di un colore delicatissimo. È così bello e lontano che gli viene voglia di piangere.

 

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Mezz’ora dopo Sherlock urla: “E’ stato il trampoliere!” e gli lancia il telefono al volo. “Chiama chi vuoi, basta che ci portino a Londra!”

Peccato che il cellulare gli sfugga di mano. Sherlock si giustifica dicendo di avere un’ottima mira.

Passano sette ore prima che il cellulare di Sherlock Holmes decida di collaborare.

 

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In quelle sette ore: Sherlock gli spiega la questione del trampoliere e cercano una zona in cui ci sia del campo.

 

. xiii

La grotta di Fingal prende il nome da Fingal, un eroe del Ciclo di Ossian. Il suo nome vuol dire Bianco Straniero. Visto che Sherlock ha il dono della sintesi, dice solo: “Staffa vuol dire colonna, il trampoliere sta su delle colonne quando cammina, e nel circo di passaggio nella zona della signora c’è un trampoliere russo. Ho visto delle foto, il trucco bianco ritrovato sulla mano della signora è simile a quello che usa quando va in scena. Magari erano amanti. Non era la prima volta che il circo passa di lì. Anzi, passavano tutti gli anni. Comunque. Qualcuno ci ha portato qui con uno scopo”.

 

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Prevedibilmente, chiamano Lestrade.

 

. xv

Sherlock è così arrabbiato per non essere riuscito a capire chi li abbia portati sull’isola che John non scrive mai nulla su quello strano incidente. Il nome del file word vuoto, comunque, è Mistero a Staffa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chi sei tu? Perché hai fatto questo scempio? C’è un motivo dietro a tutto ciò?

Sono Ross, perché prima o poi andava fatto e beh, la Maritombola. Lo so, lo so, lo stile è assurdo e la scelta grafica ancora peggio, ma vogliatemi bene uguale. Ci sto provando. È solo che Sherlock non è facile e John non lo riesco proprio a capire. Inoltre: non so scrivere gialli. Che novità! Migliorerò, comunque. prendetelo per l'esperimento che era.

Ad Anle, la Sis, con il solito amore.

Scritta per la Maritombola con il prompt #15, naufragio su un’isola deserta.

Per il resto, grazie Wiki, ti voglio bene.

 

 

 

   
 
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