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Autore: Liy    16/12/2011    1 recensioni
Non voleva l'aiuto di nessuno. Non se lo merita nemmeno.
Non era lui che aveva bisogno d'aiuto, infondo.
Non era lui quello sotto terra, il cui respiro s'era fermato.
Non era lui quello che se n'era andato, colui a cui non batteva più il cuore.
Non era lui quello la cui vita era stata strappata nel tentativo di proteggere tutti.
Non era lui quello che era morto eroicamente, sussurrando le solite parole imbarazzanti.
[Spoiler ep24][Barnaby][Karina]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Make you stay
Personaggi: Barnaby, Karina.
Pairing: none.
Rating: Verde.
Genere: missing moment, angst.
Avvertimenti: One-shot.

Note: Scritta poco dopo il penultimo episodio, quindi, visto la piena che ha preso lo show dopo di esso, prendetela come una "what if...?" o una AU.

Disclaimer: Il solito... perché mi spreco ad inventare qualcosa da scrivere qui?

Make you stay

 

La prima cosa che Barnaby notò quando uscì di casa furono quegli occhi nocciola che lo fissavano indispettiti, arrabbiati e colmi di un sentimento che inizialmente pensò fosse odio ma che poi, guardando attentamente, si accorse che non era qualcosa di così semplice; era un sentimento più complesso, uno che aveva probabilmente provato anche lui prima ma che aveva dimenticato grazie a quel raggio di sole che aveva illuminato la sua grigia esistenza fatta di vendetta e di dolore, di ricerca e di solitudine.

Distolse lo sguardo velocemente, stringendo i pugni e mordendosi un labbro appena – quelle labbra poco curate, piene di tagli e spesso sanguinanti. Sentiva ancora la ferita sotto l'occhio pulsare, sentiva ancora la gamba cedere appena sotto il suo peso mentre camminava, ma quelli erano tutti dolori con i quali poteva tranquillamente convivere. Erano temporanei. Si sarebbe ripreso.

Avrebbe smesso di zoppicare e la sua guancia sarebbe tornata come nuova.

Sarebbe tornato a vivere come al solito. A vivere.

“Ehi, ma è Barnaby!”
Si meravigliava a volte di come la gente si stupisse ancora di vederlo – e gli sembrava ancora più strano quando iniziavano a complimentarsi con lui, stringendogli le mani o acclamandolo a gran voce e chiedendo autografi.

Si meravigliava di come per molti, moltissimi di loro, nulla sembrava esser cambiato.

Nessuno sembrava mostrare riconoscenza a chi davvero se la meritava - dimenticato, fuori moda.

Eppure, fra quegli occhi che lo scrutavano ansiosi, riusciva ancora a sentire quello sguardo penetrante fisso sulla sua nuca. Sapeva che lo stava guardando da tanto, sapeva che lo teneva d'occhio, sapeva che lo detestava per averglielo portato via. Non volevo non era bastata come scusa.

“... Deve esser stato un duro colpo.”

“Come?”, domandò distratto, sentendo parole differenti dalle solite.

“Perderlo. Deve essere stato difficile. Sembravate molto vicini...”
“S-sì...”

Il peso di quello sguardo lo costrinse ad abbassare il capo. Lo sentiva, lo sentiva e soffriva.

Salutò con poche parole la gente che lo aveva fermato – saluti a dei fan che di lui non sapevano nulla, autografi fatti per accontentarli e bisbigli sottili che molti di loro non avrebbero colto.

Che situazione strana e dolorosa, pensò. Non avrebbe mai creduto di potersi sentire ancora così. Credeva di aver perso tutto quando morirono i suoi genitori... e invece-

“Barnaby?”

Fu la folta chioma bionda che notò come prima cosa, seguita dalla voce che conosceva bene e quegli occhi che l'avevano guardato con orrore solo qualche giorno prima. Era calma ora, Karina, mentre lo guardava quasi perplessa, una punta di dolore e preoccupazione nella sua voce.

“Blue... Rose?”

“Ssh, non chiamarmi così per strada”, aveva iniziato a guardarsi attorno frettolosa, avvicinandosi a lui ed intimandogli piuttosto di non dire proprio il suo nome.

“Scusa, non ci avevo pensato...”

Accennò un sorriso prima di abbassare il capo nuovamente – un'abitudine che aveva preso ultimamente, dopo tutte le scuse che aveva posto a tutti. Scuse vane, che avrebbe dovuto porgere solo a lui e alla famiglia a cui lo aveva strappato involontariamente.

“Dimmi... non stai mangiando molto, vero?”

Karina gli aveva afferrato un polso, congiungendo il proprio pollice con l'indice con estrema facilità. Osservò l'uomo che aveva dinnanzi inizialmente con l'intento di rimproverarlo e farlo ragionare ma, quando ricordò perché fosse in quello stato, perché fosse così triste, s'accorse che lei era l'ultima persona che poteva permettersi di fare prediche – lei che aveva smesso di cantare nel solito bar e che spesso aveva pianto facendosi consolare da Nathan.

“... Manca a tutti.”

Le voci dei passanti attorno a loro parvero annullarsi a quelle parole appena sussurrate e sofferte.

“Sono sicura che non vorrebbe vederti in questo stato. Infondo lui era sempre-”

“Lo so perfettamente”, la sua voce sovrastò facilmente quella sottile della ragazza che lasciò andare all'istante il suo polso e si ritrasse appena, un pugno stretto al petto e gli occhi fissi sull'asfalto ancora bagnato dalla notte prima.

“Barnaby...”

“E' stato un piace incontrarti. Arrivederci.”

Si allontanò velocemente, il passo spedito e quegli occhi che lo fissavano ancora – colpevole, assassino, sembrano volergli dire. Sentiva anche lo sguardo di Karina fissò ancora sulla sua ombra che s'allontanava in fretta ed aumentò il passo, deciso e speranzoso di poter fuggire da tutti quegli occhi indagatori che lo incolpavano o cercavano, invano, di aiutarlo.

Non voleva l'aiuto di nessuno. Non se lo merita nemmeno.

Non era lui che aveva bisogno d'aiuto, infondo.

Non era lui quello sotto terra, il cui respiro s'era fermato.

Non era lui quello che se n'era andato, colui a cui non batteva più il cuore.

Non era lui quello la cui vita era stata strappata nel tentativo di proteggere tutti.

Non era lui quello che era morto eroicamente, sussurrando le solite parole imbarazzanti.

“Barnaby!”

Con passi svelti, gli stivali che saltavano ogni pozzanghera, Karina lo raggiunse – il fiato corto, le guance rosee e gli occhi un po' lucidi.

“Barnaby... io... io mi ero innamorata di lui...”, aveva il fiato corto mentre parlava, mentre si confessava senza alcun motivo con l'ultima persona con la quale avrebbe mai creduto di volersi aprire.

“Mi manca, Barnaby. Mi manca... non passa giorno che non pensi a lui ed ai suoi stupidi modi di fare, alla sua risata...”

Barnaby rimase impalato, fissandola senza vederla realmente – furono quelle parole a colpirlo, a farlo sentire smarrito. Perché lo stava dicendo a lui? Perché? Voleva solo farlo sentire ulteriormente in colpa raccontandogli di come gli avesse portato via la persona che amava?

“Quindi... non sei il solo che sta male per ciò che è successo. Parlane... parlane con noi. Rock Bison e Kaede stanno probabilmente peggio di noi... Ma non devi tenerti tutto dentro, ci siamo noi, quindi-”

“Non ho bisogno di parlarne.”

“Barnaby-”

“Non voglio parlarne...”

E per la seconda volta in vita sua, Karina Lyle vide Barnaby Brooks Jr. piangere. Lo vide piangere e gli rimase accanto, accovacciandosi vicino a lui quando l'uomo cadde a terra ed iniziò a battere i pugni sull'asfalto, rimase in silenzio e lo ascoltò mentre si malediceva per non aver notato nulla prima e lo aiutò ad alzarsi quando smise di singhiozzare e balbettare che era stata tutta colpa sua.

Nessuno dei due parlò più mentre si dirigevano silenziosamente verso il solito centro allenamenti, mentre il cielo tornava a tingersi di grigio come la notte precedente.

“Grazie”, sussurrò alla ragazza che camminava al suo fianco – senza guardarla e cercando di sorridere, anche se la cosa gli pareva ancora impossibile. E lo sguardo accusatorio che l'aveva perseguitato sin da quel giorno gli volse le spalle. Il peso di ciò che aveva fatto ed il dolore erano ancora lì a tormentarlo, ancora lì a ricordargli il suo gesto. Ma si era reso conto solo ora che non era l'unico che si portava appresso quel macigno – non era solo, qualcuno lo capiva e sentiva lo stesso dolore che sentiva lui.

“Di niente...”

 

   
 
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