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Autore: wari    25/12/2011    17 recensioni
«Come hai capito... ?» domanda, titubante.
Sasuke si stringe nelle spalle.
«Hai detto che aveva i capelli rossi. E poi si vede» aggiunge, ovvio.
Il sorriso dell'eroe di Konoha si illumina ancora di più, quasi a conferma.
«Puoi tenerla» fa Sasuke, sempre con quell'aria quieta e distaccata, mentre controlla il fuoco sotto il brodo.
La testa bionda di Naruto acconsente lieve, distratta. Non riesce a staccare gli occhi dalla vecchia istantanea.
[Fluff, di quelli da insulina. Comunque auguri]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kushina Uzumaki | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Cos'è? … Si avvicina correndo. Cos'è? … Occielo! È un unicorno gigante! Si salvi chi può!
(Attenzione: FLUFF uccidente in quantità esorbitanti)




Istantanea



Mikoto sta seduta col suo bento sulle ginocchia e mangia con calma, masticando lentamente. Dondola le gambe in silenzio e solleva solo di tanto in tanto la mano per scostare i capelli da davanti al viso.
«Uchiha, Uchiha!»
Nel silenzio rilassato dell'ora di pranzo, la voce di Kushina è uno squillo acuto che fende l'aria come un kunai: Mikoto quasi scivola dal ramo su cui sta appollaiata e si lascia sfuggire il bento. Lo recupera per un pelo, salvando il pranzo con abilità.
«Uzumaki» saluta, compita.
Kushina cerca attorno perplessa e a guardarla dall'alto, che piroetta su di sé come se fermarsi potesse ucciderla, è un caleidoscopio di rosso acceso e verde dell'erba.
Si ferma solo al secondo saluto, lanciato a voce più alta: blocca i piedi di scatto e getta il viso in su, incurante dell'onda rossa che le frusta la schiena.
«Ah, sei qui. E mangi» aggiunge, con un interesse luminoso che vuol dire una cosa sola.
«Hai di nuovo dimenticato il pranzo, Kushina?» sospira Mikoto, più amichevole.
La risposta è un sorriso da volpe furba che convince la bambina a farsi più in là sul ramo con un sospiro rassegnato.
Kushina non se lo fa dire due volte: prende la rincorsa e si arrampica come una scimmia, per sistemarsi a cavalcioni accanto alla compagna.
È a quel punto che Mikoto nota con perplessità la scatola nera che le pende dal collo.


*


La bambina nella foto ha un'espressione buffa.
Ha ciglia folte, capelli al nero di seppia e la faccia seria per forza, una di quelle facce che usa chi ce la sta mettendo tutta per non ridere in maniera proprio sguaiatissima. Tiene le spalle rigide e sembra seduta in una posizione quantomeno precaria.
Non precaria quanto quella dell'altra ragazzina, però: lei ride in maniera vivace, di un sorriso pulito e caparbio; è contenta di stare là, nel rettangolo di carta lucida, l'unico braccio visibile drappeggiato sulla spalla dell'amica. Sta tutta sbilanciata verso l'obiettivo e c'è un che di mascolino nel modo in cui si tiene vicino la compagna, il gomito spigoloso fuori dal riquadro e le dita in segno di vittoria sotto il mento dell'altra, come ci fosse qualcosa di cui festeggiare.
Hanno all'incirca la stessa età, sembra. La ragazzina dai capelli neri ha un viso familiare in mille modi, dolorosi da stretta allo stomaco e insieme piacevoli come un bagno caldo.
L'altra anche è familiare, ma in modo tutto nuovo e inaspettato.
Sasuke stringe la foto tra le dita, perplesso.
Seduto a gambe incrociate sul tatami, lo scatolone a un passo e la schiena poggiata al grande letto matrimoniale, scruta il rettangolo di carta come se a guardarlo più da vicino potesse annullare la distanza di spazio e tempo.
Passa un pollice sulla superficie, piano, e porta via con sé una striscia di polvere vellutata.
Adesso la ragazzina sorridente sembra ancora più luminosa, e divertita dall'avere sotto il naso un vero baffo di polvere, sfuggito al polpastrello.
E anche se gli occhi sono stretti in una smorfia di felicità schietta e piccante, Sasuke è certo che sotto le palpebre siano chiari e intensi insieme, in un paradosso che vede tutte le mattine e che ancora non si spiega.
Deve essere una di quelle persone asfissianti che ti inseguono fino allo sfinimento e, una volta preso, ti stringono al petto con le braccia e col cuore e ti obbligano alla faccia seria per forza.
Lo sa che è così, quella bambina di cognome fa Uzumaki: non potrebbe essere diversamente.


Il fusuma viene chiuso e la stanza in fondo al corridoio smette di nuovo di far parte della casa.
Sasuke scende in cucina con calma, seguendo l'odore di cibo.
C'è caldo di vapori, tramestio di pentolame e, nel mezzo, Naruto che impasta tori dango con una smorfia concentrata da fesso tardo.
L'ex nukenin si avvicina con calma e scosta il coperchio per spiare nella pentola: dentro galleggiano già una manciata di polpette tutte di dimensione diversa, informi; mandano un buon odore di pollo e spezie.
Naruto è troppo preso e neanche nota la presenza del compagno finché lui non gli mette la foto sotto il naso, tra i suoi occhi e l'ultima opera scultorea in pollo appallottolata maldestramente tra le dita.
L'eroe di Konoha spalanca le palpebre, la pupilla contratta, e trattiene il fiato. Lascia che la polpetta precipiti nella pentola con un plop acquoso e prende la foto tra indice e pollice, le mani ancora inzaccherate di pollo e odorose di soia.
Sbatte le ciglia per qualche istante, portando lo sguardo dalla foto a Sasuke e vice versa.
«Ma che...»
«Stava su, tra le cose di mia madre» spiega lui, senza alcuna particolare intonazione.
Il jinchuuriki aggrotta le sopracciglia e poi emette un «oh» di comprensione davanti alla somiglianza impressionante che corre tra la bambina bruna e il Sasuke dei suoi ricordi più remoti, quello seduto qualche banco di distanza all'Accademia.
Ma gli occhi sono attratti irresistibilmente dall'altra bambina, quella che sorride: il peperoncino rosso sangue.
Se i capelli di Mikoto appaiono lisci e scuri, ordinatamente serici, quelli di Kushina sono un'esplosione di rosso acceso, una macchia di colore pastoso e lucente.
Naruto ricorda d'averla abbracciata, Kushina, e non importa che sia una cosa avvenuta solo nella sua testa, in quello strano luogo dentro. I capelli di sua mamma sono proprio così: vivi e morbidi, odorano di casa.
Il jinchuuriki non riesce a staccare gli occhi dall'immagine, un'espressione incredula che gli aleggia sulla faccia. Trascorre un'altra manciata di secondi, mentre il brodo ribolle roco, prima che sollevi lo sguardo su Sasuke e si apra in un sorriso buffo, vagamente sconcertato.
«Come hai capito... ?» domanda, titubante.
Sasuke si stringe nelle spalle.
«Hai detto che aveva i capelli rossi. E poi si vede» aggiunge, ovvio.
Il sorriso dell'eroe di Konoha si illumina ancora di più, quasi a conferma.
«Puoi tenerla» fa Sasuke, sempre con quell'aria quieta e distaccata, mentre controlla il fuoco sotto il brodo.
La testa bionda di Naruto acconsente lieve, distratta. Non riesce a staccare gli occhi dalla vecchia istantanea.
Sasuke ha preso le ciotole dalla credenza, per apparecchiare alla buona come al solito, e al rumore di stoviglie Naruto finisce finalmente per sollevare lo sguardo per osservarne i movimenti, pensoso.
«Aspetta!» sbotta, sorprendendolo. Quello torna eretto da che era piegato a posare le ciotole sul tavolo e lo guarda interrogativo.
«Prima devo fare una cosa!» spiega il jinchuuriki, in un sorriso.
I tori dango restano a sfarsi nel brodo bollente.


Sul comodino di Sasuke ci sono due foto: lo storico ritratto di gruppo del team seven, conservato gelosamente nella sua cornice, e una vecchia foto di famiglia un po' austera e impacciata, ma completa, con un Sasuke grosso meno d'una zucca stretto tra le braccia di Mikoto: lei sta nel mezzo e sembra equilibrare tutto, la mano sulla testa di Itachi e la spalla accanto a quella di Fugaku.
Sul comodino di Naruto, invece, c'è una foto recente, quella con Kakashi, Sasuke, Sakura, lui, il capitano Yamato e Sai, mescolati e attivi. È venuta un po' mossa, perché Sakura stava ridendo e Yamato sedava una lite tra Naruto e Sai, mentre Sasuke - stretto tra tutti senza che neanche se ne fosse accorto - alzava gli occhi al cielo sotto lo sguardo bonario di Kakashi.
Naruto ci tiene di tutto, sul quel comodino: coprifronte, shuriken, bicchiere che invece di bere rovescia ogni notte, la sveglia a forma di rospo, fogli e fascicoli sulle missioni.
«Sei un maiale» gli fa presente Sasuke da dietro, più per abitudine che per reale fastidio.
Il jinchuuriki lo ignora con un gesto distratto del capo e continua a guardare il comodino con aria critica. Si gratta la nuca e poi sospira.
Sasuke serra le palpebre in rassegnazione, quando i fogli crollano seguiti da kunai e bicchiere, che fortunatamente non si rompe.
La sveglia finisce in un angolo, pencolante sul bordo, ed è con solennità che Naruto pulisce la superficie ora quasi sgombra del mobiletto con la manica della felpa, prima di poggiare la cornice con cautela.
Trattiene il fiato e poi la osserva dall'alto, con un'espressione piena e brillante.
«Perfetto» emette infine, soddisfatto. «Possiamo pure andare a cenare, adesso» ride di rimando al sorriso dell'Uzumaki Kushina di dieci anni che sta nella foto.
«Ah, ho dimenticato il fuoco acceso!» trilla subito dopo, voltandosi di scatto verso Sasuke.
«L'ho spento io, idiota».
Il jinchuuriki fa la bocca ad o, poi torna ad alzare la testa e a sorridere largo come l'intera stanza, senza motivo.
«Beh, che c'è?» mugugna l'altro, facendo per precederlo fuori. Naruto lo raggiunge e gli avvinghia un braccio attorno al collo. Urta il gomito contro lo stipite della porta, ma non smette di sghignazzare.
«Quando sarò Hokage ti promuoverò sommo controllore delle cucine, 'ttebayo!» annuncia, come avesse appena comunicato qualcosa di importanza capitale.
Sasuke mugghia un «usuratonkachi» scoraggiato, e si assicura di restare asserragliato dietro la sua migliore faccia seria per forza, una di quelle che usa chi ce la sta mettendo tutta per non ridere e perdere così la propria fama di terrificante ex nukenin di rango S.
A Naruto non gliene frega niente, della faccia seria: si fa le scale con un sorriso furbo da volpe, tirandoselo dietro in un avvinghio intruppato finché quasi non rotolano giù per i gradini.

*

«E quella a chi l'hai presa?» domanda Mikoto, già rassegnata.
Il sorriso di Kushina diventa un ghigno, mentre si vanta con aria leggera.
«L'ho vinta!» racconta, mostrandole soddisfatta la grossa macchina fotografica che tiene appesa al collo. E Mikoto sa che, con Kushina, «l'ho vinta» può significare solo che la ragazzina l'abbia arbitrariamente sequestrata a qualche compagno d'accademia dopo una rissa, come ampiamente testimoniato dai capelli arruffati e dai lividi sulle ginocchia. Avvezza a situazioni simili, si limita a offrire il resto del suo bento all'amica e a squadrarla con severità quasi materna.
«Ma la restituirai, giusto?» ammonisce, decisa a non farsi abbindolare da quegli occhioni spalancati.
«
Eeeh? E perché dovrei?» sputacchia Kushina, a bocca pienissima. Davanti al cipiglio serio dell'altra, alza gli occhi al cielo. «E va bene, come vuoi. Ma prima...» comincia, armeggiando con la fettuccia di stoffa che le tiene la macchinetta fotografica ancorata al suo collo, «la proviamo!»
Mikoto aggrotta le sopracciglia sulla fronte chiara, rifilandole un'occhiataccia; lei ne approfitta per piazzarle il bento ormai spazzolato tra le mani e avvicinarsi con impeto, buttandole un braccio intorno alle spalle.
Per poco non cadono entrambe dal ramo, ma Kushina non se ne avvede minimamente, troppo presa dal tenere la macchina fotografica con una mano sola, il braccio teso davanti a loro.
Caccia fuori un verso ghignante rivolto all'obiettivo, finché non si accorge dello sguardo di Mikoto che, mezza soffocata dalla sua stretta, la sta fissando con estremo biasimo a un centimetro dal suo naso indisponente.
«Oh,
Mikoto. Sorridi, su! Se sorridi prometto...» smania ansiosa; gli occhi corrono indecisi sulla figura dell'altra, fino a posarsi sul bento vuoto tra le sue mani, e si illuminano, prima di stringersi in un sorriso da volpe furba. «Prometto che quando sarò Hokage ti nominerò mia cuoca ufficiale, 'ttebane!»
Mikoto solleva le sopracciglia non sa se per esasperazione, sorpresa o cos'altro, e le viene talmente da ridere che, quando il flash scatta, i lineamenti sul suo viso litigano tra compostezza e divertimento, catturandola così, stretta contro il rosso denso e lucente di Kushina e con la
faccia seria per forza. E non significa niente se non che non vorrebbe essere in alcun altro posto che in quel rettangolo storto di carta lucida.





Nda
Dove siamo? In un Utopico Allegro Mondo Perfetto – quindi fuori dalla grazia di Kishimoto, in un futuro all'insegna del volemosebbene.
I tori dango sono un piatto casalingo della cucina popolare giapponese: polpette di pollo speziato (con soia, zenzero, porro e altri ingredienti) che si lasciano cuocere direttamente nel brodo.
L'ho scritta ventordicimila settimane fa, ma faceva veramente troppo secernere melassa per essere mostrata in pubblico. Oggidì l'ho vista e ho pensato che il periodo dei Saturnali (finiscono il ventitre, a dire il vero. Oggi è il giorno di nascita del Sole invitto, invece XD) fosse l'unico appropriato per pubblicare uno
schifio così.
Comunque auguri, esseri umani.



  
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