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Autore: MartiSpunk    27/12/2011    6 recensioni
Robert Pattinson: donnaiolo che lotta contro se stesso, pur di smetterla, pur di vivere come si deve.
Kristen Stewart: ragazza americana che possiede due identità. Di giorno una semplice donna e figlia di papà, di notte spogliarellista per uno strip club.
I due si incontreranno una notte a Londra, e daranno un taglio netto alle loro convinzioni. Si innamoreranno e capiranno che la vita non è sesso, ma amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Pattinson
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Everything smells of you.
Capitolo 1 - Just sex.
 
Pov Robert 

 
Londra, 23 Maggio 2011.
 
Fin da ragazzino ho sempre paragonato la mia vita a una merda totale. Sbronze, seghe, scopate alla bella meglio e una serie di problemi che mi hanno portato alla depressione. Insomma, una vita da invidiare, no?
Cazzo. E pensare che fino a due anni fa vivevo di questo. Nulla era importante nella mia vita, a parte la mia chitarra e le sterline. Nulla era fondamentale se paragonato al sesso estremo. E niente mi rendeva fiero come il mio grande interesse per le donne da poter consumare. Una presa e una mollata, e il gioco è fatto. Sentire il loro piacere su di me - certo è una gran cosa - è sempre stato l'unico passo per la vittoria.
Il mio portafoglio strapieno di monetine che non servivano a una minchia, mi raccomandava un'accurata attenzione: anche solo perderne una significava meno per me stesso. Ma perlopiù, me ne fottevo sempre.
Il mio lavoro? Se suonare e cantare per la strada e per qualche pub del cazzo è chiamato "lavoro", allora, be'. Forse non proprio ma... diciamo che almeno ci ho provato. Una paghetta idiota ogni venerdì, sabato e domenica sera mi bastava per comprare una maglietta e qualcosa da mangiare. Una monetina ogni giorno dentro la custodia della chitarra, bastava per comprare una coca o un thè. Cercare di sopravvivere non era facile. 
Fino a quando, be'... fino a quando non ho incontrato quel piccolo corpicino e quegli occhi verde smeraldo che mi hanno promesso sempre un futuro adatto, e mi hanno regalato ogni singolo istante quella parola astratta in cui non ho mai creduto: speranza. 
 
Londra, 12 Dicembre 2009.
 
«Pattz? Su andiamo, mi sono rotto il cazzo di stare qui. Sto crepando dal freddo, mi si stanno congelando le palle e tu stai ancora lì a scrivere? Muovi il culo o ti uccido». 
«Cazzo Tom, ancora cinque minuti».
«Robert Douglas Thomas Pattinson, muovi il culo o ti sparo nel... »
«Ah, non ci provare stronzo». Afferro il libretto congelato dal marciapiede e lo infilo nello zainetto. Tom mi guarda male per diversi secondi, poi scoppia in una risata fragorosa. 
«Che c'è?», chiedo decisamente preoccupato. Lo vedo indicare un punto indefinito nel fondo della strada e seguendo il suo sguardo rimango a bocca aperta. 
«Porca troia, mi hanno fottuto le sterline!».
Faccio per correre verso quei cazzo di ragazzini ma Tom mi ferma, come per rimproverarmi. Sembriamo dei barboni. Abbiamo la barba lunga chilometri, i vestiti che fanno un feto penoso e gli occhi rossi a causa del poco sonno e della sbronza. Sono le otto di sera e dovrei continuare a suonare alla gente, ma grazie alla fottuta premura di Tom, sono costretto a dimenticare tutti i miei piani per la serata. A Londra fa abbastanza freddo, è Dicembre e mi sembra anche ovvio. Il cielo è coperto da nubi e c'è un po' di pioggia. Mi stringo nel giubotto bucherellato e seguo i passi lenti di Tom, mentre canticchio ciò che stavo scrivendo pochi minuti fa.
«Cazzo dici?». Tom mi guarda sorpreso e io sorrido automaticamente. Lo afferro per la manica, dandogli una pacca sulla spalla.
«E' la canzone che stavo scrivendo poco fa».
Sbuffa sonoramente prima di rispondermi. «Sotto la pioggia e con un freddo cane. Amico, ti dai da fare».
«Vuoi guadagnare qualche sterlina? Scommettere sulle donne non basta, quindi dobbiamo impegnarci di più».
Entriamo dentro un bar affollato e mentre Tom va a prendere posto, io mi dirigo verso il bancone. A darci il benvenuto c'è sempre Helen, la rossa piuttosto carina che viene dall'Irlanda. Le faccio l'occhiolino e le sorrido.
«Ehi Rob. Il solito?», mi chiede maliziosa.
«Sì, grazie. Mi raccomando, devono essere caldi».
«Come sempre». Mi lancia un ultimo sguardo sexy e io ridacchio. 
C'è un tizio pelato e robusto che mi guarda male da diversi secondi e essendomi rotto il cazzo di quegli sguardi tormentati gli punto il dito medio contro: poi mi giro.
Cosa vogliono le persone da me? Sono una specie di barbone e allora? Vorrei vedere loro al mio posto. Una famiglia di merda che non ti considera minimamente e un lavoro da puttaniere e artista di strada. 
Helen mi distrae poggiando le due tazze bollenti di fronte a me. «Ecco qui, dolcezza».
Mi mordo il labbro inferiore e le faccio l'occhiolino, ringraziandola. E' così carina. Forse potrei.... no, lasciamo stare. Ho già consumato abbastanza donne per oggi. 
Mi alzo dallo sgabello bruscamente, pago e seguo gli occhi di Tom, seduto in fondo e con aria pensosa. Poso le due tazze di thè caldo sul tavolo e mi butto sulla sedia, esausto.
«Che hai?». 
«Helen è carina», commento, portandomi una mano al capo. Lui scoppia a ridere e da un pugno al tavolo, facendo tremare le tazzine.
«Prenotata, amico». 
«Tranquillo. Tanto ho finito con le donne».
La sua risata aumenta. Io prendo una tazza e la porto alle labbra. E' molto bollente e mi scotto la lingua, così inizio a berla lentamente.
«Tu? Certo, certo. Non so fino a che punto».
«Che vuoi dire?». La mia curiosità comincia a venire a galla. Cosa starà pianificando questo qui?
«Ho organizzato una serata speciale. Oggi alle 23:00, allo strip club che si trova a pochi passi da qui, dentro il vicoletto».
Spero stia scherzando. «E con quali soldi?».
Tom ridacchia e esce dalla tasca dei jeans fetenti un mazzetto di... non so indentificare a occhio quante sterline.
«E quelle da dove escono?».
«Da 'sto cazzo! Insomma Pattinson. Chi è che lavora qui? Lavoro pure io, e siccome mi scopo più donne di te, dato che sei entrato in depressione totale, guadagno più di te».
E' il discorso più sensato che abbia mai fatto in vita sua. «E' vero, a me non me ne fotte più un cazzo delle donne. Posso solo dire che sono belle o brutte, poi, non me le porto a letto».
«Ma perché?». Il viso pallido di Tom si fa tormentato. Come se stesse cercando la mia felicità, invano. Ma quella non è la mia felicità; non posso vivere di quella roba.
«Perché sono stanco di questa vita. Cantiamo ogni venerdì, sabato e domenica notte in quel piccolo pub, suoniamo in mezzo alla strada, per qualche monetina, ogni santo giorno... perché dobbiamo violentare anche le donne?».
«Perché sarà il nostro stile di vita, Robert», sbotta, decisamente sarcastico.
Poso la mia tazzina completamente prosciugata e guardo in segno di sfida Tom. «Scommettiamo?».
«Dimmi quanto».
«Trecentocinquanta sterline».
«Ci sto».
Gli faccio l'occhiolino e fisso l'orologio bianco che si trova al centro della sala. Dio, sono già le 21:10. Striscio le mie converse sbiadite, causando un rumore assurdo, e infine parlo: «Stasera andrò allo slip club con te. Non toccherò nessuna donna che mi passerà davanti, e vincerò».
«E se così non fosse... se toccherai e farai sesso con una delle spogliarelliste...», Tom inizia a irritarmi, «darai le trecentocinquanta sterline al sottoscritto e da domani in poi, violenterai tutte le ragazze che incroci per strada, sotto gli occhi di tutti. Così vincerò».
Deglutisco prima di rispondere. Possibile che la sua mente sia così perversa? «D'acc...d'accordo».
Tom stringe i pugni, alzandosi dal tavolo. Borbotta qualcosa di incomprensibile e si dilegua, lasciandomi solo. La tazza di thè è ancora lì, intatta e ghiacciata. Starà andando sicuramente nel piccolo appartemento - o come lo chiamo io: "ripostiglio che odora di pesce andato a male"- che ci ritroviamo come casa.
Devo assolutamente vincere stasera. Devo uccidere il masochismo che è in me. Devo combattere contro di lui, contro me stesso. Basta donne, ho chiuso. 
Afferro con forza la tazza e inizio a berne il contenuto gelido.
La porta del bar si apre e si chiude continuamente e un brivido di freddo percorre la mia schiena. La folla comincia ad aumentare, si vede che stiamo entrando nell'orario. 
Scuoto la testa ogni nano secondo, costrigendo la mia mente a non pensare.
 
Pov Kristen
 
"Piccola mia, oggi torno tardi. Mi dispiace davvero tanto ma ho da fare. Ti voglio tanto bene, stai tranquilla e non fare sciocchezze. A dopo".
 
Rileggo il messaggio ben dieci volte prima di lanciare il cellulare contro la parete. Merda. Ha da fare? Sì, certo. Infatti scopare con il suo nuovo fidanzato significa avere impegni super importanti, intrascurabili. 
La verità è che da quando si è lasciata con papà, la sua vita è solo denaro e sesso. E sta trasformando anche la mia. Bastarda, non la riconosco più. Niente paghetta, mangiare da schifo e una vita sociale da buttare nel cesso. Ecco, in poche parole ho descritto ciò che mi offre mia madre quando ogni quattro mesi vado a trovarla qui a Londra. 
Pertanto sono stata costretta a fare una cosa. Se lei ha deciso di ospitarmi in questo modo così indecente, ho creduto e credo tuttora, che sia stata ed è la scelta più ovvia, fare quello che faccio tutte le sere. La puttana.
Sì, faccio la puttana. Lavoro in uno strip club a pochi isolati da casa mia. E' l'unico modo per potermi guadagnare da vivere in questi cazzo di quattro fottuti mesi. Finora i guadagni sono stati minimi - sono una specie di novellina del resto. Ancora non ho trombato con nessuno, ho solamente fatto seghe. Direi che come inizio non è male. 
Mi vesto come una trasandata, cercando di camuffare la mia vera indentità. Fumo come una pazza e mi sbronzo ogni ora. Sono un mito. Sono consapevole delle mie scelte, ancora nessun rimorso è andato a farmi visita. Mi sono persuasa da sola, in un momento di pura crisi. Possiedo due identità: una Kristen di Los Angeles, dolce e solare. Un'altra di Londra: depressa, trasandata e che è considerata solamente una puttana. 
Basta illusioni, questa è la vera vita. Devo solo farmene una ragione e andare avanti. Forse questo lavoro è anche un modo per scollare di dosso tutte le delusioni che mi sono passate davanti in questi periodi. Sì, è probabile.
Ripenso a quando ho cercato questo passatempo, e mi sembra sia passato un anno, invece che cinque giorni. 
 
«Io pretendo questo lavoro».
«Hai solo diciannove anni. Non posso farti fare la spogliarellista».
Afferro una busta con non so quanti dollari e gliela porgo. Era un regalo di mio padre. Avevo promesso che li avrei spesi in una macchina, ma mi sembra inutile, dato che si guida dal lato opposto. «Tieni. In banca li cambi in sterline e mi accetti».
Il tizio apre la busta e sgrana gli occhi, compiaciuto. Poi si apre in un sorriso. «Assunta».
 
Osservo l'orologio della mia camera - è tardi e devo sbrigarmi se proprio questa sera voglio farmi qualcuno. E quel qualcuno si lascerà andare? In ogni caso lo rinchiuderò nella gabbia della mia brama.
 
Pov Robert
 
La pioggia batte sul marciapiede, mentre mi dirigo verso lo strip club. Appena trovo la porta d'ingresso entro e una luce rossa mi acceca, facendomi barcollare. Il posto non è molto affollato; ci sono pochi uomini e quasi tutti sono occupati in faccende alquanto porche - afferro la maniglia della porta e la chiudo. La musica è chiassosa al massimo e mi rompe i timpani, mentre cerco disperatamente la sagoma di Tom. 
Dopo un po' la trovo. E' appoggiato al muro, sorridente. Sembra assorto dai suoi pensieri e non si accorge minimamente di me, quando inizio a sbracciarmi per farmi notare. Faccio per avvicinarmi a lui, ma mi blocco immediatamente. C'è una tipa sotto di lui che lo fa godere. Chiudo gli occhi come un disperato - ho già visto abbastanza.
Mi avvio verso il bancone deserto e tiro fuori dalle tasche dei pantaloni delle sterline, che porgo al negoziante. 
«Una birra, grazie». Tanto so che ne prenderò più di una, stasera.
L'uomo annuisce e prende velocemente un bicchiere, su cui poi verserà la birra fresca. Sbadiglio, stanco della giornata e socchiudo gli occhi, cercando in qualche modo, di non farmi sedurre dal corpo di una delle spogliarelliste.
Ho promesso, ho scommesso, ho giurato. Non devo farmi tentare o perdo tutti i soldi, e poi sono cazzi. Quindi basta, voltiamo pagina una volta per tutte. Non devo farmi divorare dalla voglia fisica che possiedo, devo sconfiggerla, devo mandarla a puttane.
Improvvisamente sento qualcosa sfiorarmi le palpebre e le gambe; un qualcosa che mi provoca il solletico e mi fa rabbrividire. Faccio per spostarmi, ma la stretta è praticamente ferrea. Una risatina femminile mi sconvolge e mi fa spalancare la bocca gelata, rimanendo decisamente sorpreso. Oh cazzo.
«'Sera, bellezza». La voce è piccola. E non è inglese, per niente. Ha un non so che di accento particolare. Americana? Probabile.
«Mmm, lo sai che sei irresistibile?». Sento quelle mani disegnare ghirigori sul mio petto, e giocherellare con la camicia malconcia. Vorrei aprire gli occhi, ma non ci riesco. Devo assolutamente vincere la scommessa.
«Andiamo, apri gli occhi».
Basta, la tentazione mi sta divorando, sto per morire. Spalanco gli occhi color ghiaccio e rimango folgorato. La spogliarellista che è sopra di me è un piccolo corpicino, incastrato sui vestiti di una puttana. Tieni gli occhi bassi, concentrati sul mio petto, mentre le sue mani minuscole mi toccano. 
Sono ancora a bocca aperta. Le luci rosse le illuminano il viso bianco e lo fanno sembrare più trasgressivo. Alza gli occhi verso di me e sorride debolmente: è un po' imbarazzata, sarà una novellina. 
Dio mio, quegli occhi. Sono grandi e incredibilmente verdi. Color smeraldo o color speranza - senza la luce del sole sono difficili da identificare. Le prendo la mano e la osservo con più attenzione: le unghia sono tutte mangiucchiate e la pelle è screpolata e con qualche taglietto. E' una ragazzina, non c'è dubbio. Ma vestita in quel modo... e con quei movimenti felini, appare come una donna vissuta. Una donna facile all'amore fisico.
«Non dovresti essere a nanna, eh?». 
Sembra delusa e offesa allo stesso tempo, ma scoppia in una risata fragorosa. «Non sono una poppante».
«Quanti anni hai? Sedici?».
«Ne ho... ehm, ventinove».
Cazzo, è più grande di me? Impossibile! «Davvero? Ti facevo più piccola».
«E tu quanti ne hai bel maschione?».
«Ne ho ventitre», rispondo, in tutta sincerità.
Alza una gamba e mi rapisce, portandomi con sé. Sembra titubante ma eccitata allo stesso tempo. I suoi movimenti sono incerti e con grande insicurezza mi sbatte al muro. 
«Che hai intenzione di fare?», chiedo, deglutendo.
«Trombarti, è ovvio».
«Non credo sia necessario. Sei troppo fragile per i miei gusti».
«Oh, andiamo. Sento che ti piacerebbe». Abbassa la cerniera dei miei jeans scoloriti e fa per infilare la mano, ma la blocco sul nascere.
«Non ci provare».
«Taci, dolcezza».
Con grande volontà, stavolta, allontana la mano, ma non chiude la cerniera. Mi sbatte nuovamente al muro e si accavalla a me. Le sue mani mi circondano il viso con violenza, e il respiro si spezza. Mi prende il volto tra le mani e lo avvicina al suo. Sicura di se stessa, si lascia andare in un respiro profondo e mi bacia. 
Sento le sue labbra premere con foga esagerata sulle mie, morderle e succhiarle.
Mi sta letteralmente facendo impazzire, e la cosa non va affatto bene; tra qualche secondo ci ritroveremo dentro qualche bagno schifoso a fare sesso. No, non posso perdere così. Mi umilierei davanti a Tom, non posso farlo! 
Senza preavviso infila la mano piccola dentro i miei jeans e inizia a muoverla così velocemente da farmi ansimare come un coglione. Vorrei fermarla, ma questo piccolo corpo bianco è praticamente attaccato a me - come se fosse incollato con una super colla -, e liberarsi è una possibilità inesistente. Sembra godere anche lei, sembra soddisfatta del suo lavoro, pazzesco.
Getto un urlo soffocato che fa voltare tutti quanti e mi lascio andare, trascinandola dentro uno sgabbuzino buio e  che puzza di scarpe. 
  
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