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Autore: ponlovegood    31/12/2011    4 recensioni
La prima volta che si incontrarono, Takanori non lo notò neanche.
La sua presenza semplicemente gli scivolò accanto, silenziosa e senza alcuna sostanza.
Chissà a quante persone, quel giorno, era passato accanto senza neanche rendersene conto, senza sapere che anche loro erano degli esseri viventi che respiravano, ridevano, piangevano, amavano, odiavano, speravano.
Perché lui era diverso? Perché avrebbe dovuto notare proprio lui?
Infondo non era niente per lui, solo una semplice presenza senza alcuna importanza nella sua vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Reita, Ruki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ripetizione dei comportamenti cercando di unirci l'uno all'altro.
Non più solo abbracciare e venire abbracciato - Spero per niente.
 
Dita attorcigliate che verranno trascinate via.
 
Ogni volta che lo ripeti il caldo cresce - quella bugia gentile.
Il tuo respiro sembra fermarsi.
 
L'uno che separa queste mani sono io.
 

The GazettE – Gentle Lie

 
I used to sit there, with you.
 

.prologue.

 

«Forza Koron, vieni»
Tirai il guinzaglio del mio cane, ma questi non sembrava volermi dar retta e se ne stava tranquillamente fermo ad annusare l’aria. Mentre lui il suo naso lo usava per fiutare chissà cosa, io, il mio, lo tenevo ben nascosto dietro una sciarpa di lana.
Faceva freddo. Un freddo esagerato per la fine di ottobre, tanto che il mio povero naso aveva assunto la stessa colorazione rosso ciliegia del guinzaglio di Koron, manco fossimo stati in pieno inverno.
Sbuffai e dalle mie labbra si sprigionò una nuvoletta di vapore che si disperse dopo poco; ripetei l’operazione un altro paio di volte, poi iniziai a trovarla noiosa e feci sprofondare ancora di più la faccia nella sciarpa cercando di evitare che mi si screpolasse la pelle per il freddo.
Lanciai un’occhiata a Koron che ora guardava con grande interesse un venditore di hot dogs all’angolo della strada.
«Scordatelo, non te lo comprerò mai» gli intimai, anche se sapevo perfettamente che non mi avrebbe capito; era già tanto se riconosceva il suo nome quando lo chiamavo.
Dopo il mio rifiuto di prendergli da mangiare, sperai che si stufasse e mi permettesse di portarlo a casa; se avessi provato a trascinarlo di peso mi si sarebbe avventato contro, poco ma sicuro. Okay che quel cane aveva delle dimensioni molto ridotte, ma non era davvero consigliabile farsi mordere da lui; Kou poteva confermarlo.
«Possiamo andare, ora?» domandai con tono supplichevole mentre mi stringevo nel cappotto che non teneva per niente caldo; Koron sembrò darmi finalmente ascolto e si allontanò, su quelle sue zampette ossute, dal piccolo spiazzo di selciato che aveva occupato per più di dieci minuti.
Perché ignorai completamente il luogo dove il mio cane si fermò, non lo capisco ancora adesso.
La vetrina della caffetteria, il marciapiede di selciato grigio, freddo e pieno di vecchie cicche, il puzzo di piscio di cane misto all’aroma amaro del caffè.
Era ancora tutto lì. Non era cambiato niente di niente. Persino le commesse della caffetteria erano quelle di sempre; quelle ragazze con la divisa arancione che avevo finito con il conoscere una ad una e che avevano imparato a sopportare la mia faccia, che ogni santo giorno si presentava lì ordinava due cappuccini medi.
Ignorare tutto, ogni singolo particolare, non fu qualcosa di volontario, piuttosto uno strano scherzo del mio subconscio che voleva impedirmi di ricordare. Cercava di proteggermi da qualcosa della quale ero perfettamente conscio, ma allo stesso tempo completamente ignaro.
Non voleva che pensassi, che mi soffermassi a ragionare sui ricordi.
Così me ne stavo semplicemente lì a fare stupidi giochi da bambino come creare nuvolette di vapore con il fiato o parlare con il mio cane che neanche mi prestava attenzione, lì in quella via, una delle tante, senza poi nulla di così particolare. Sì, a prima vista la si sarebbe potuta confondere  con un centinaio di altre vie; stessa gente, stessi negozi, stessi odori. Infondo le città si assomigliavano un po’ tutte, in sostanza erano degli ammassi di gente, negozi e smog.
Nessuno in tutto il mondo si sarebbe mai chiesto cosa poteva nascondere un pezzo di marciapiede sporco. Che motivo ne avrebbe avuto?
Anche secondo la mia testa non c’era ragione per la quale dovessi collegare dei ricordi a quel luogo.
Non pensare.
Non pensare.
Non pensare.
E io non lo facevo, stavo bene ignaro di tutto.
Ormai ci eravamo lasciati alle spalle la vetrina della caffetteria, non si sentiva più l’odore forte dell’urina, né quello amaro del caffè macinato. Anche quel metro quadrato di marciapiede non era più visibile.
Per un breve, brevissimo istante, mi voltai indietro, ma in quel momento non capii perché lo feci. Mi sembrò di compiere quasi un gesto automatico, come sbadigliare o respirare.
Non c’era niente, naturalmente. Scossi la testa e presi la strada per tornare a casa non prestando più attenzione a quel pezzettino di marciapiede dove credevo di aver scorto le figure –o meglio: qualcosa che le ricordava- di due ragazzi, uno accanto all’altro, che stringevano in mano un cappuccino medio.

 

La prima volta che si incontrarono, Takanori non lo notò neanche.
La sua presenza semplicemente gli scivolò accanto, silenziosa e senza alcuna sostanza.
Chissà a quante persone, quel giorno, era passato accanto senza neanche rendersene conto, senza sapere che anche loro erano degli esseri viventi che respiravano, ridevano, piangevano, amavano, odiavano, speravano.
Perché lui era diverso? Perché avrebbe dovuto notare proprio lui?
Infondo non era niente per lui, solo una semplice presenza senza alcuna importanza nella sua vita. Era solo un corpo che occupava uno spazio; non lo vedeva come una persona perché non aveva mai sentito la sua voce, ascoltato i suoi desideri, le sue ansie, le sue paure, discusso –che so - dei suoi gusti musicali o, molto più semplicemente, visto il suo volto.
Era una presenza, solo quello.
 
Poi ci fu quel giorno che, per mesi e mesi, ringraziò di essere venuto, anche se in quel momento non avrebbe mai potuto prevedere cosa sarebbe successo in seguito.
Proprio fuori la porta della caffetteria si scatenò una lite: una coppia che battibeccava non era di certo una novità, tuttavia la natura umana, come si sa, è maledettamente curiosa e Takanori non poté fare a meno di voltare la testa per dare una sbirciata. Come lui fecero molti altri, ma mentre questi si allontanarono dopo aver constatato che non c’era nulla di poi così interessante da vedere, lui rimase fermo dov’era.
No no, la coppia non gli interessava minimamente. Infondo chi era lui per farsi i fatti loro?
I suoi occhi rimasero fissi a lungo su una figura accartocciata su se stessa che se ne stava immobile su un pezzo di marciapiede proprio davanti alla vetrina della caffetteria.
Una matassa di capelli sporchi e arruffati, che un tempo dovevano essere stati tinti di biondo, spuntava da sotto un cappello nero di lana sfibrata. Gli altri suoi indumenti erano altrettanto miseri e cenciosi, a partire dal giaccone kaki fino ad arrivare agli anfibi vecchi e incrostati di fango. Gran parte del viso era nascosta da un’ingombrante sciarpa blu; si vedevano solo gli occhi, scuri e cerchiati da occhiaie marcate.
Quella che aveva incontrato un po’ di tempo prima, non era più solo una semplice presenza; aveva assunto un corpo, un volto, un’esistenza. Eppure in lui c’era qualcosa che non riusciva a comprendere fino in fondo e forse non ci riuscì mai.
Era lì, davanti ai suoi occhi, ma non sembrava occupare realmente quello spazio.
Era, ma non era.
Faceva impressione come la gente gli passasse accanto senza notarlo minimamente. Chissà quante volte anche Takanori aveva camminato a pochi metri da lui e non l’aveva visto.
Al suo fianco, seminascosto da un sacchetto di carta di un fastfood, c’era un bicchiere di carta sporco e usato; pareva che quella volta non si sarebbe preoccupato di poggiarlo davanti a sé, ben visibile alla folla. Era come se avesse perso la forza di elemosinare anche solo qualche misero yen, il minimo necessario per pagarsi un panino fatto più da pane che altro.
Anche se avrebbe voluto distogliere lo sguardo da lui, rimasi a fissarlo inebetito quasi senza accorgersene. I suoi occhi venivano inesorabilmente attirati ad quella figura, che faceva addirittura fatica a definire ‘umana’.

 

Quel giorno avevo camminato molto, quasi senza rendermene conto. Mi ero lasciato trascinare dai miei piedi, oltre il parchetto dove di soliti portavo Koron, oltre il ponte, fino ad essermi ritrovato nel pieno caos di una Tokyo alle cinque del pomeriggio.
Era da parecchio che non lo facevo.
Da un anno forse?
Solo una cosa mi sfuggiva: il perché di quelle lunghe passeggiate che ero solito fare.

 

Potevano essere passate una o due settimane, al massimo. E quel giorno il fato (o destino o in qualunque altro modo voi lo chiamate) volle che Takanori si ritrovasse di nuovo a passare proprio per quella strada. Pare anche che, sempre il fato o quel che è, volle farlo fermare proprio in quella caffetteria, tentandolo con l’aroma del caffè appena macinato. Faceva piuttosto freddo e un cappuccino d’asporto non gli sembrò poi una così cattiva idea.
Troppo concentrato a scaldarsi le mani gelate, non face affatto caso al ragazzo che sedeva sul marciapiede, esattamente come la volta precedente, con la stessa sciarpa blu e lo stesso sguardo rivolto verso il nulla.
Non senza un po’ di dispiacere, uscì dalla caffetteria lasciandosi alle spalle il piacevole riscaldamento del locale. L’unica parvenza di colore era data dalla tazza di cappuccino che stringeva tra le dita. Ne prese un primo sorso, ma dopo aver constato che era troppo caldo decise di aspettare un po’ perché si raffreddasse. Con passo tranquillo andò a sedersi su una panchina e vi si piazzò sopra facendo penzolare i piedi nel vuoto. Erano tutte così alte le panchine in quella zona?
In attesa che quella bevanda –talmente calda da poter essere pericolosa- si raffreddasse, accese una sigaretta gustandosi il sapore amaro della nicotina mista a chissà quale altra schifezza chimica. Fu in quell’istante, proprio quando dalle sue labbra si sprigionò la prima nuvoletta di fumo denso e bianco, che percepì lo sguardo di qualcuno su di lui. Guardò a destra, a sinistra, lanciò qualche occhiata alla grande vetrina della caffetteria, si voltò anche diverse volte indietro, ma non sembrava proprio che qualcuno lo stesse osservando.
Solo quando smise di muoversi a destra e a manca sulla panchina, notò finalmente un paio di occhi scuri che lo guardavano da sotto una matassa di capelli sporchi. Erano l’unica parte visibile del viso altrimenti nascosto da una sciarpa e da un cappello. Takanori non capiva per quale motivo fosse oggetto dello sguardo del ragazzo e avanzò l’ipotesi di essersi sbagliato, ma quegli occhi stavano osservando proprio lui. Erano neri e profondi, talmente scuri da essere in grado di riflettere alla perfezioni tutte le luci della strada.
Takanori inclinò appena la testa mentre gettava a terra il mozzicone di sigaretta. «Ne, hai bisogno di qualcosa?» domandò molto innocentemente, come se si stesse rivolgendo a uno qualsiasi dei suoi amici. Il ragazzo spalancò appena gli occhi, evidentemente non si aspettava quel tipo di reazione da parte dell’altro. Poi abbassò la testa scuotendola lievemente; la sciarpa si spostò rivelando un lieve sorrisetto divertito.
«Posso offrirti una sigaretta?» continuò Takanori imperterrito mettendo in bella mostra il pacchetto bianco e praticamente nuovo. Il ragazzo alzò nuovamente il capo e si risistemò la sciarpa con estrema perizia, ma i suoi occhi non fissavano più nulla in particolare.
«Non fumo e neanche tu dovresti farlo. E’ dannoso» fu la sua risposta, dopo parecchi istanti di silenzio. Takanori sobbalzò nell’udire la voce dell’altro con quel suo timbro estremamente calmo e posato. Dire che l’aspetto e il tono di voce del ragazzo cozzavano alla perfezione, era poco.
«Lo so perfettamente» ribatté, anche se non sapeva bene cosa dire o come, eventualmente, continuare la conversazione. Quando aveva fatto quelle domande di certo non si aspettava una risposta che non fosse ‘sì’ o ‘no’, figurarsi una predica.
«Te lo dice anche il pacchetto stesso che fumare fa male» insistette puntando il dito in direzione delle sigarette che Takanori ancora stringeva in mano. Il piccoletto si affrettò a metterle via, nelle profondità della tasca del cappotto e non disse nulla, aspettando che l’eco prodotto dalla voce profonda dell’altro svanisse dalla sua testa.
Sapeva perfettamente che avrebbe potuto alzarsi ed andarsene senza alcun problema, infondo quel ragazzo non era nessuno per lui e non c’era un particolare motivo per il quale continuare la conversazione. Decise invece di rimanere, anche se era già parecchio in ritardo per il meeting di lavoro. Pazienza, pensò, lo avrebbero aspettato ancora per un po’.
Si lasciò scivolare giù dalla panchina e si avvicinò al ragazzo che ora non lo guardava più. «Allora posso offrirti questo?» disse porgendogli il suo cappuccino, senza ben sapere –a dire il vero- perché lo stesse facendo. Dentro di sé continuava a chiedersi da dove arrivasse tutta quella sua spontaneità, una caratteristica che, con gli anni, aveva quasi perso del tutto.
Il ragazzo lo fissò e finalmente Takanori poté scrutare con più attenzione i suoi occhi di pece: si ritrasse appena quando notò quanto fossero vuoti e spenti senza le luci dei neon che si riflettevano in essi. Tuttavia continuò a tenere il braccio ben teso, sventolando sotto il naso dell’altro la bevanda che ormai era solo più tiepida.
Un po’ titubante il ragazzo allungò la mano per afferrare il bicchiere e gli occhi di Takanori si posarono sulle sue dita sporche e rovinate, quasi si vergognò delle sue: avvolte da uno strato invisibile di crema e con le unghie laccate di fresco. L’altro si accorse del suo sguardo e si affrettò a prendere il bicchiere e a nascondere meglio che poteva le mani nelle maniche del giaccone. Takanori si sentì un vero idiota per essersi comportato in quella maniera e non gli venne in mente neanche una parola –che fosse una- intelligente da dire.
«Quel cappuccino deve essere freddo. Te ne compro un altro» e con questo si congedò e pochi istanti dopo era già sparito dietro la porta della caffetteria facendo tintinnare il campanello posto all’entrata. Per la seconda volta in quella giornata ordinò un cappuccino medio con tanta schiuma e tanto, tanto zucchero.
Ma quando uscì, il ragazzo non c’era più: se n’era andato portandosi via tutte le sue cose e il cappuccino freddo. Takanori fissò il punto che era stato occupato fino a pochi minuti prima: un metro quadrato di selciato grigio, sporco e anonimo come tutti gli altri marciapiedi.
Senza preoccuparsi troppo del ritardo al meeting di lavoro, si allontanò con passo tranquillo sorseggiando il suo secondo cappuccino pericolosamente bollente e pensando che sarebbe potuto tornare più spesso in quel posto. Se fosse stata la bontà del caffè o qualcos’altro a fargli prendere quella decisione, restò un punto interrogativo anche per lui.

 

Con tutte le caffetterie che c’erano in città, probabilmente ero stato capace di beccare la peggiore di tutte.
Disgustato gettai nel cestino il bicchiere ancora quasi completamente pieno e mi vidi costretto a rinunciare al minimo di calore che la bevanda avrebbe potuto darmi.
C’era una caffetteria dove ero solito andare, ma proprio non riuscivo a ricordare dove si trovasse e perché mai avessi smesso di frequentarla.
Il sole aveva iniziato a calare e il freddo si faceva più intenso. Iniziai persino ad invidiare il cappottino di Koron, che pareva piuttosto caldo e confortevole.
Mi strinsi nelle spalle e affrettai il passo.

 

Il sole aveva da poco superato l’orizzonte, ma era ancora coperto dai profili imponenti dei grattacieli. Era domenica e a quell’ora del mattino difficilmente si sarebbe visto qualcuno in giro, quando invece ognuno avrebbe potuto restare a casa propria, al caldo, con la famiglia.
Ma lui era lì, seduto su una panchina esageratamente alta, aspettando, quasi inconsciamente, l’arrivo di qualcosa. Apparentemente non c’erano motivi che lo costringevano a restare lì; una casa ce l’aveva (dotata anche di riscaldamento), così come aveva degli amici, una famiglia, un cane.
Però era lì e aspettava.
I piedi penzolavano dal bordo della panchina e dondolavano col ritmo regolare di un pendolo, come se stessero scandendo il tempo che trascorreva. Improvvisamente rizzò la schiena e lo sguardo si puntò su una figura scura che, infagottata sotto strati e strati abiti, si avvicinava con il passo di chi ha tutto il tempo di questo mondo. Sulle spalle portava uno zaino, ma questo non sembrava contenere poi molto.
Per un attimo Takanori si sentì felice. Ma felice per cosa poi?
Scosse leggermente la testa, dandosi dello stupido e scese dalla panchina. Infilando le mani nelle profondità delle tasche passò accanto al ragazzo senza degnarlo più di alcuno sguardo. Sentì l’aria spostarsi al passaggio dell’altro e gli sembrò quasi di sfiorare il suo braccio o forse fu solo una sensazione. Entrambi si passarono accanto con indifferenza, o forse fingendo indifferenza -sarebbe stato difficile dirlo-, come era consuetudine fare tra sconosciuti, giustamente.


pons chat
Questa è una pazzia bella e buona e ne sono consapevole.
Ma la voglia di postare questa storia era troppa.
Diciamo che è un po' un esperimento; se piacerà la porterò avanti sennò amen.
Allora, che dire? E' un progetto che ho iniziato un po' di mesi fa e la mia intenzione iniziale era quella di creare una oneshot molto molto lunga, ma alla fine ho preferito dividerla in parti distinte. Questo è il prologo e in seguito ci saranno solo più altre due capitoli, uno dei quali già in lavorazione. Purtroppo so già che per completarlo mi ci vorrà parecchio perchè si prospetta essere molto lungo e spero sarete abbastanza pazienti da aspettarlo.
Se devo essere sincera, amo molto questa storia e ci sono molto affezionata e spero possa piacere anche a voi. Anche inq uesto mio lavoro ho voluto utilizzare una tcnica che amo moltissimo: inserimento dei flashback. Sarà una tcnica molto cinematografica, ma io la adoro. Mi auguro solo che sia tutto chiaro. In ogni caso, tutto si spuegherà poi nell'ultimo capitolo!
Mh, non credo ci sia altro da dire se non: enjoy!

Ci si rivede nelle recensioni, spero.

Un abbraccio,
pon ♥
  
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