Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    01/01/2012    1 recensioni
Cinque ragazzi e una tigre, finalmente in periodo di pace... ma quante prove ancora da superare, la convivenza, la reciproca tolleranza... ma anche un grande, totalizzante amore. Il tutto sullo sfondo degli esami scolastici che, in Giappone, sono previsti per entrare all'Università.^^
Giunta seconda al Friendship Contest indetto su Efp nell'estate del 2011. Vincitrice del premio speciale Fanfiction
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti, White Blaze
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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La sera invernale stava precocemente scendendo su Tokyo, ancora corteggiata da fiocchi di neve danzanti nel vento.

Seiji chiuse il libro di matematica, rinunciando ad ogni ulteriore approfondimento; il giorno dopo ci sarebbero stati gli esami e ormai era inutile pretendere di imparare ancora qualcosa. Era convinto di aver compiuto grandi passi in avanti tuttavia e il suo sguardo, abbandonandosi ad uno dei rari sorrisi, si posò sul gruppetto di fogli che erano stati la sua salvezza: Touma aveva trovato la chiave giusta per chiarire, grazie a quegli appunti, tutti i suoi dubbi... o quasi... aveva fugato, in gran parte, la confusione dalla sua mente.

"Non sarò mai un genio della matematica" pensò. "Ma almeno, il mio piccolo panda ha fatto in modo che io possa arrivare preparato all'esame".

Scostò la sedia dalla scrivania e si alzò, stirando le membra anchilosate a causa della forzata immobilità. E Seiji sapeva come ordinare al proprio corpo un'immobilità innaturale, un'esperienza forgiata in anni di meditazione e addestramento spirituale, sapeva come ignorare le proteste degli arti che imploravano di muoversi. E, quando la mente immersa in se stessa tornava al mondo materiale, con gambe e braccia doloranti doveva fare i conti.

Ma che importava? Erano ben altri i problemi e le priorità.

Con le mani sulle anche, passeggiò fino alla finestra; fuori sembrava già regnare la tenebra, le giornate invernali sapevano essere tremendamente corte. Anche nel suo Sendai era così, senza contare che, lassù, l'inverno giungeva pure prima.

Scrutò fuori con attenzione: lì, all'estrema periferia di Tokyo, non vi erano molte luci accese. In qualche modo, quel buio freddo e nevoso lo rendeva malinconico. O, forse, era la sua coscienza a renderlo tale?

Adesso che il fervore dello studio si era calmato, la consapevolezza delle proprie mancanze si faceva più acuta e dolorosa. Proprio perché aveva imparato a dialogare con il proprio cuore con sincerità e chiarezza assolute sapeva diventare ancor più critico verso se stesso, sapeva riconoscere quando sbagliava, la qual cosa rendeva ancor più opprimente i sensi di colpa.

Non gli era neanche così difficile cogliere la base del problema: era vero, aveva imparato a dialogare apertamente con il proprio cuore, ad essere sincero con se stesso, fino a risultare analitico nel vivisezionare ogni sfumatura della propria anima. Ma non aveva imparato a compiere una simile analisi con i cuori degli altri.

Nonostante la propria considerazione e sensibilità nei confronti del prossimo si fossero sviluppate negli anni, spesso, senza rendersene conto, finiva per concentrarsi su se stesso, lottando giorno per giorno al fine di perfezionarsi.

Ma perché questo perfezionamento potesse incrementarsi davvero, non era forse necessario aprirsi maggiormente agli altri, soprattutto a coloro che quel suo cuore lo colmavano a tal punto da farlo stringere, da tenerlo intrappolato in una morsa che lo conduceva, a volte, alle lacrime? Quella morsa che era, tuttavia, una tanto dolce prigionia?

Solo in quel momento si accorse come gli occhi bruciassero... eccole le lacrime che lo coglievano sempre più impreparato, sempre meno disposto ad arginarle.

Senso di colpa, unito ad un affetto... no... era più sensato e sincero definirlo amore... un amore tale che sapeva far male in maniera insopportabile... ma del quale non si poteva più fare a meno dopo averlo provato.

Da giorni, a stento incrociava Ryo e Shu che, come lui, uscivano dalle loro stanze a malapena per i pasti. Korin, d'altronde, usciva anche meno, da quanto non faceva pasti regolari?

In quanto a Shin e a Touma, come li aveva trattati in quei giorni?

Si erano prodigati per i tre reclusi, l'uno portando avanti l'organizzazione domestica, nonostante gli impegni universitari, l'altro dando tutto se stesso, rinunciando persino al suo sacro sonno, per rendere loro abbordabili le materie più ostiche. Non si erano risparmiati, nessuna recriminazione era mai sfuggita alle loro labbra, nonostante fossero circondati da tre belve intrattabili.

In cambio avevano ottenuto gli scatti d'ira di Shu, le ansie paranoiche di Ryo...

"E il mio antipatico distacco" sospirò.

Si portò una mano agli occhi, poi a una guancia e la trovò bagnata. Sì, forse, dopotutto, la sua sensibilità si era accresciuta, benché avesse ancora tanta strada da fare. In fondo, il percorso lungo la via del perfezionamento non si arresta mai.

Ed i suoi nervi erano particolarmente tesi a giudicare dal modo in cui sobbalzò quando alcuni colpetti risuonarono contro la porta.

Ancor prima che potesse riacquisire il completo controllo di sé per formulare una risposta, la porta si aprì e il visetto sorridente, un po' sbruffone di Touma, fece capolino:

"Mi è concesso mettere piede in quella che è anche camera mia?".

"Non mi sembra di avertelo mai impedito".

Seiji rispose ricambiando il sorriso e tanto bastò per rendere ancor più raggiante quello di Tenku.

"Sai com'è, con un drago inferocito come custode pronto a scattare ad ogni minima turbolenza, queste mura non erano proprio... rilassanti...".

Il sorriso di Korin si mutò in risatina:

"Dai, smettila di dire scemenze ed entra".

Tenku avanzò nella stanza ma, quando poté guardare il volto di Korin più da vicino, il suo sorriso si spense:

"Stai male?".

"Perché?" ribatté Seiji, un po' sulla difensiva.

"Hai gli occhi lucidi e il viso arrossato".

"Solo stanchezza...".

Sapeva che non avrebbe facilmente ingannato Touma, ma questi sembrò non voler infierire e rispettò la sua riservatezza, rispolverando la propria ironia, indirizzata tanto spesso a voler rasserenare, anche se non sempre la sapeva gestire.

"A dir la verità, ti cercavo Seiji, perché sei l'unico che sta ancora facendo l'asociale; siamo tutti giù per prenderci un tè assieme sotto al kotatsu".

"Un tè? Ma che ore sono?".

"Sono passate da poco le cinque del pomeriggio".

Seiji lanciò un'occhiata fuori dalla finestra:

"Con questo buio ero convinto fosse piuttosto ora di cena".

Touma gli arruffò i capelli, pur sapendo quanto quel gesto lo infastidisse:

"Eri così concentrato che hai perso la cognizione del tempo".

Seiji sbuffò, ma rinunciò a protestare più vivacemente, in fondo lui stesso era stato il primo a maltrattare i propri capelli: era già tanto se se li pettinava appena alzato e ricordava di lavarli ogni tanto. Decisamente, quegli esami rischiavano di essere la sua rovina.

"E adesso, perché ridi?".

Stava ridendo?

Oh, certo, di se stesso... aveva imparato a fare anche quello.

L'ironia era una gran cosa se ben usata, proprio Touma glielo aveva insegnato... ma l'autoironia era ancora meglio... e anche questo l'aveva imparato grazie al piccolo panda. L'autoironia poteva riconciliare con il mondo.

Accentuò la risata e prese Touma a braccetto, trascinandoselo dietro.

"Andiamo dagli altri, prima che ci considerino asociali entrambi".

Seduti al kotatsu trovarono solo Shu e Ryo, il primo che lottava evidentemente contro il sonno, l'altro che rovistava, facendole passare senza risoluzione, tra le carte che Seiji riconobbe come come gli appunti vergati da Touma. Sorrise e trattenne a stento un'ondata di ilarità più plateale: l'impresa di Touma doveva essersi rivelata, con Ryo, decisamente proibitiva. Il loro leader che, con tanta efficacia, li guidava e sosteneva in battaglia, era un caso disperato in molte faccende quotidiane, tra le quali rientrava, in particolar modo, lo studio e, per quanto utili, gli appunti di Touma non potevano contenere la miracolosa materializzazione di un metodo.

Seiji provò un impeto di tenerezza pensando all'impresa titanica che il suo piccolo panda aveva di sicuro affrontato al fine di facilitare la vita a Ryo e la tenerezza si fece insostenibile quando lo vide avvicinarsi a Rekka, con un sorriso condiscendente ed infilare le gambe sotto al kotatsu mentre si sedeva su un cuscino.

Poi Tenku fermò, con un gesto deciso, le mani nervose di Rekka che rigiravano disordinatamente i fogli:

"Una cosa per volta, micetto; in questo modo crei solo confusione, tra gli appunti e soprattutto nella tua testa".

Ryo chinò il capo, mortificato, con un sospiro di sconforto e una piccola smorfia infelice:

"Per la mia testa è troppo tardi temo... domani mi faranno una domanda di storia e risponderò con un teorema di matematica, andrà a finire così, me lo sento".

Di fronte a quell'autocritica pronunciata con tono infantile e piagnucolante, Seiji si portò una mano alle labbra, quasi incapace di resistere alla tentazione di correre ad abbracciarlo. Touma si grattò la nuca, il nervosismo di Ryo sembrava contagiarlo un po', probabilmente perché lo stesso Tenku era consapevole che i timori del loro capo non erano così infondati.

Byakuen, accucciato accanto al suo cucciolo, mosse le orecchie e gli rivolse uno sguardo che sembrava voler dire:

"Potessi sostenere questi esami al posto tuo e liberarti da questo cruccio, non esiterei a farlo, ko-Ryo".

Nel corso di tutto lo svolgersi della scena Shu, che in momenti normali non avrebbe risparmiato una frecciata o, comunque, non avrebbe rinunciato a dire la sua, era rimasto con il capo chino abbandonato sulle braccia, gli occhi semichiusi; Seiji si avvicinò e gli agitò una mano davanti al viso:

"Sei tra noi, scimmietta?".

Gli rispose un vago borbottio, il cui senso si rivelò indecifrabile.

"Dov'è Shin?" domandò ancora Korin, convinto che l'argomento avrebbe acutizzato l'attenzione di Shu. Invece Kongo rimase del tutto immobile e all'apparenza indifferente.

"Sono in cucina Seiji, ora arrivo!".

E dove poteva mai essere, altrimenti, il premuroso Suiko, se non a preparare lo spuntino pomeridiano per tutti?

L'istinto guidò i passi di Seiji fino a lui e lo trovò indaffarato a versare il tè nelle tazze; quando percepì la sua presenza, Shin sollevò il capo e gli sorrise. Seiji ricambiò il sorriso, ma poi si preoccupò nel notare gli occhi lucidi e il viso un po' sofferente del compagno.

"Shin, stai male? Non hai un bell'aspetto".

Il giovane Mori scosse il capo, rassicurante:

"E' solo raffreddore, durante l'inverno mi viene facilmente".

Seiji si accostò e gli posò una mano sulla fronte, ignorando il tentativo dell'altro di ritrarsi; forse scottava un poco? Le sue mani erano fredde e questo poteva falsare la percezione della temperatura di Shin.

"Sei sicuro di non avere la febbre?".

"Ma... ma certo" si schernì Suiko, in preda all'imbarazzo. Aveva posato la teiera per non rischiare di rovesciarne il contenuto in seguito al contatto imposto da Korin; quando fece per riprenderla, il samurai della luce lo prevenne:

"Vai a sederti al caldo, qui finisco io".

"No... davvero... sto bene!".

Korin sollevò su di lui uno sguardo gentile ma fermo:

"Non te lo chiedevo pesciolino, era un ordine, se decido una cosa non voglio essere contraddetto".

Shin sbatté le palpebre e strinse le labbra in una buffa smorfia di sconcerto e timore reverenziale che intenerì profondamente Korin, come poco prima gli era accaduto con Ryo. Non se ne stupiva più, in fondo gli accadeva tanto spesso ormai, con tutti i suoi compagni, a turno: i sentimenti nei loro confronti si alternavano e rincorrevano in un turbine senza freno... e la tenerezza... quella non mancava mai. A turno, almeno una volta al giorno, compivano un gesto, pronunciavano una parola, assumevano un'espressione tale da provocare al suo cuore una reazione incontrollata... un balzo più forte, una stretta... o la sensazione che si fermasse, troppo avvinto in quell'abbraccio soffocante generato dall'amore. E niente di tutto questo, ormai, gli pesava più.

Non poté impedirsi di tornare a sorridergli e di sfiorargli una guancia con una carezza:

"Sul serio, Shin, lascia che mi renda utile in qualcosa, non siamo bambini da accudire, tu ci vizi troppo".

Il samurai dell'acqua chinò il capo, un umile sorriso ad addolcire ancora di più i suoi lineamenti gentili:

"Se mi pesasse, non lo farei".

"Lo so" ribatté Seiji arruffandogli la chioma fulva "Ma abbiamo qualche lezione da imparare, al di là della scuola, lasciaci arrangiare ogni tanto".

Il volto di Shin si sollevò di scatto, sgusciò un po' più lontano e saltellò con la grazia degna di un delfino per fermarsi accanto al piano cottura; allungò le mani verso un armadietto appeso abbastanza in alto ed aprì lo sportello. Intanto, per sfuggire all'imbarazzo creatogli da Seiji, cinguettò con la sua voce cristallina:

"Possiamo finire insieme, tu porta il tè, io prendo qualcosa da mangiare! Ho fatto rifornimento di dolci!".

Seiji scosse il capo ghignando: incorreggibile, testardo, adorabile Shin... mammina Shin...

D'altronde non aveva il diritto di biasimarlo: a loro modo, testardi lo erano tutti. Ci voleva davvero un grande miracolo ed un amore senza pari perché cinque teste come le loro, più una tigre, tanto cocciute quanto diverse, trovassero il modo di convivere sotto lo stesso tetto senza procurarsi danni irreparabili e tollerandosi con una tale pazienza. E loro convivevano... bene... nonostante tutti i problemi che una convivenza può apportare. Loro resistevano, anzi, si nutrivano gli uni degli altri, del calore che sapevano donarsi. Sei teste e sei cuori che non avrebbero mai più, per nessun motivo, saputo stare lontani.

Fu distratto dai propri pensieri dalla piccola tempesta che si svolse davanti ai suoi occhi: la mano di Shin si era allungata verso un pacco di biscotti confezionati e, con ogni evidenza, faticava a raggiungerla. Per tentare di risolvere la situazione di stallo, fece un piccolo balzo al fine di afferrare il sacchetto; Seiji seppe cosa sarebbe accaduto con qualche secondo di anticipo, ma non poté intervenire abbastanza velocemente da impedirlo.

Con un sorprendente effetto domino, il sacchetto afferrato malamente scontrò un barattolo di latta che, a sua volta, colpì un vasetto di marmellata e sacchetto, barattolo e vasetto precipitarono uno dopo l'altro addosso a Shin. Il ragazzo, con una prontezza di riflessi invidiabile, raccolse al volo il contenitore con la marmellata, impedendo che si frantumasse al suolo, con l'altra mano riuscì a prendere i biscotti, fortunatamente ancora sigillati, ma non poté impedire al barattolo di colpirgli con violenza la nuca, prima di toccare terra con un clangore metallico. Il fatto che fosse vuoto lo rendeva più leggero ma l'effetto della botta si fece ugualmente sentire e Shin emise un'esclamazione di doloroso stupore.

Seiji era già al suo fianco:

"Shin, ma cosa fai?".

Intanto si affrettava a prendere dalle sue mani biscotti e marmellata e a posarli sul tavolo, per poi tornare a controllare le condizioni dell'amico, che si massaggiava la nuca con aria imbarazzata e comicamente contrita.

"Ti fa male?".

"No" borbottò Shin, con una scrollata di spalle, la mano ancora sul capo, le labbra atteggiate ad un broncio che lo rendeva simile ad un bimbo dispiaciuto per un'azione maldestra.

Shin era così... il più grande, faceva del suo meglio per mostrarsi sempre maturo, all'altezza della situazione, ma poi recava in sé tante di quelle insicurezze e tanta poca fiducia in se stesso che, se commetteva un piccolo errore, poteva anche farne una tragedia. Voleva tanto bene a tutti, ma non aveva mai imparato a volerne abbastanza a se stesso, ad avere della propria persona una considerazione abbastanza positiva; per quanto facesse riteneva di non fare mai abbastanza e chiedeva sempre di più alle proprie capacità.

"Che è successo?" gridò la voce di Touma dall'altra stanza. Evidentemente, il fragore dell'incidente era giunto alle orecchie dei compagni.

Shin riprese subito la padronanza di sé e si affrettò a rispondere:

"Niente, è solo caduta una cosa!".

Era chiaro che mentiva, di sicuro non si era fatto nulla di grave ma il modo in cui continuava a massaggiarsi la parte colpita suggeriva che la botta, comunque, gli faceva abbastanza male.

Seiji si avvicinò:

"Fammi vedere".

Quando fu sul punto di toccarlo, Shin indietreggiò di un passo, come sulla difensiva, ma sorrise:

"Non è nulla, davvero".

Quel riserbo, quell'esagerato rispetto nei suoi confronti, resero Seiji un po' triste: a volte Shin sembrava aver quasi paura di lui e gli dispiaceva, perché forse la cosa si era accentuata da quando vivevano insieme. Il solare Shin, col tempo, si era fatto più cupo e malinconico, mentre Seiji aveva accentuato il proprio cipiglio severo ed una certa rigidità di atteggiamenti in seguito all'incontro con Suzunagi. Tra l'altro, entrambi riservati seppure in maniera diversa, finivano per non parlare molto; Seiji era l'ultimo con cui Shin riusciva a sfogarsi quando le sue fragilità diventavano troppo insopportabili per tenerle chiuse dentro di sé.

E Seiji era altresì consapevole di essere, per Shin, un mistero insondabile, più degli altri compagni, di essere l'unico cui non riusciva a leggere nel cuore, non poteva leggere i suoi sentimenti, le sue emozioni.

Eppure, Korin lo seppe improvvisamente, desiderava tanto aprirgli il suo cuore, desiderava che Shin leggesse dentro di lui.

Si impose, con gentile fermezza scostò la mano di Suiko dal punto contuso e vi sostituì le proprie; il samurai dell'acqua fece per protestare, ma Seiji non si lasciò intimidire:

"Smettila di fare i capricci, so che hai la testa dura ma se posso alleviarti il dolore non vedo perché non farlo".

L'ironia delle parole era lenita dal tono carezzevole e Shin non poté fare altro che arrendersi, chinando il capo con un sospiro nel quale Seiji percepì una buona dose di grata beatitudine; a Shin piacevano le coccole, ma la sua riservatezza gli impediva di chiederle ogni volta che ne aveva bisogno, così colmava questa sua necessità riempiendo di coccole gli altri.

Le mani di Seiji frugarono un po' tra i suoi capelli rossicci e, come aveva immaginato, non trovò nessun segno notevole, ma decise comunque di alleviare il dolore fisico di Shin, era il minimo per ringraziarlo, dopo tutto quello che il dolce Suiko faceva costantemente per allietare le giornate di tutti loro.

Posò il palmo, con delicatezza, sulla sua nuca:

"E' qui che ti fa male?".

"Non... mi fa... male..." pigolò la vocetta di Shin, che sapeva essere tanto sottile nei momenti di imbarazzo e timidezza come quello, o diventare acuta in maniera assordante quando esplodeva per rabbia, spirito combattivo... o anche disperazione e paura.

"Shin..." insisté Korin, insinuante, indagatore, fintamente severo.

Il samurai dell'acqua si rannicchiò un po' su se stesso e sussurrò, in un soffio rassegnato:

"Sì... è lì...".

Seiji rispose con una risatina, ma così affettuosa che Suiko non ebbe davvero motivo di offendersi.

Korin chiuse gli occhi, si concentrò, lasciò che i poteri positivi della luce fluissero lungo il suo corpo e, attraverso le sue mani, si facessero strada verso l'esterno, a lambire gentilmente il punto dolorante dell'amico. Un alone di energia dalla trasparenza dorata si formò tra le mani di Seiji e la nuca di Shin e questi, colto di sorpresa dal calore pulsante, fu scosso da un lieve sussulto, ma subito dopo si rilassò, con un sospiro che esprimeva solo pura felicità.

Quando Seiji ritenne che fosse sufficiente, allentò la concentrazione e richiamò, con calma, il flusso, per farlo rientrare dentro di sé, portandolo ad estinguersi pian piano; infine riaprì gli occhi e sorrise, attardandosi con una mano tra i capelli di Shin.

"Va meglio?".

Il coetaneo annuì velocemente, senza tuttavia trovare il coraggio di sollevare il volto; Seiji ridacchiò ancora e gli lasciò una carezza:

"Sapevo che non ci sarebbe voluto molto, la tua testa dura e già una protezione sufficiente".

La presa in giro riuscì a far sciogliere Shin come Seiji desiderava: il ragazzo alzò di scatto il capo e gli rivolse una teatrale linguaccia che suscitò ulteriormente l'ilarità dell'amico e una nuova carezza. Poi Korin gli diede le spalle e tornò alle tazze di tè.

La voce gentile di Shin giunse come un canto alle sue orecchie:

"Seiji...".

Il samurai della luce si voltò a contemplare ancora quel viso che, seppur maturato rispetto al ragazzino che aveva incontrato, la prima volta, una lontana primavera, non dimostrava i suoi diciotto anni; nessuno avrebbe potuto indovinare, a prima vista, che fosse il più anziano del gruppo per quanto, in effetti, una questione anagrafica di pochi mesi potesse avere senso. L'unico particolare che lo rendeva più grande, sotto l'aspetto strettamente pratico, era l'essere avanti di un anno scolastico, il frequentare già l'università mentre Seiji e gli altri affrontavano ancora gli esami dell'ultimo anno di superiori.

"Dimmi...".

"Grazie...".

Gli scappò un altro sorriso, da quanti giorni non sorrideva con una tale frequenza?

"Mica possiamo permetterci di avere una mammina infortunata...".

"Seiji!" sbottò Shin, stizzito, i pugni stretti lungo i fianchi, ottenendo unicamente di risultare ancor più disarmante ed infantile agli occhi di Korin che, di nuovo, non poté impedirsi di scoppiargli a ridere in faccia.

Shin lo squadrò per qualche istante, imbronciato poi, però, l'ilarità vinse anche lui e si ritrovarono a ridere insieme, come non accadeva da tanto.

"Ehi, vi state divertendo? Qui qualcuno ha fame!".

Dalla sala da pranzo ancora una voce scherzosa e supponente li fece zittire entrambi, poi si scambiarono uno sguardo d'intesa e, in perfetto accordo, fecero udire il loro ammonimento:

"Touma, taci!".

Rispose un insulto ed i due scossero i visi sorridenti.

"Panda pigro e goloso" borbottò Korin, posizionando le tazze in un vassoio.

"Ah, Seiji" lo richiamò ancora Suiko "Non una parola con Ryo riguardo al mio piccolo incidente, lo sai come è fatto e oggi deve stare il più possibile tranquillo".

Seiji annuì, mentre continuava a sorridere; oh, eccome se lo sapeva. Il loro amatissimo capo, crescendo in anni e maturità aveva visto crescere anche le sue tendenze ansiose, che spesso lo rendevano quasi paranoico nei loro confronti. Korin pensava spesso che fosse necessario trovare una soluzione a quel suo atteggiamento, perché li metteva in crisi tutti e rischiava di fare del male a se stesso.

"Quando ci saremo lasciati alle spalle gli esami" sentenziò mentre camminava, tenendo in equilibrio sulle mani il vassoio con le tazze, "dovremo fare un discorsino a Ryo... e magari una terapia di gruppo".

Shin strinse al petto i biscotti e sorrise.

"Sono serio" insisté Seiji.

"Lo so ma... mi fa buffo lo stesso... significherebbe che siamo proprio messi male".

"Dei casi disperati".

Seiji non sapeva se la sua voleva essere una battuta o se lo credesse davvero. Forse un po' entrambe le cose; il tono con cui l'aveva asserito, tuttavia, fece ancora ridere Shin e probabilmente era un bene che il permaloso compagno l'avesse presa in quel modo.

Quando raggiunsero l'altra stanza, ai loro occhi si presentò una scena abbastanza desolante; Ryo non distolse gli occhi dagli appunti. Sembrava aver persino dimenticato l'ordine di Shin che aveva sempre applicato alla lettera: niente materiale scolastico durante pasti e spuntini. Suiko non disse nulla tuttavia e Korin si chiese se si trattasse dei suoi soliti favoritismi nei confronti di Ryo o se, come era più probabile, era intenzionato a fare uno strappo alla regola, dato che il giorno dopo li attendevano i fatidici esami.

L'immagine più triste era quella di Shu... triste perché non sollevò neanche il viso. Nemmeno la tensione era mai riuscita a renderlo indifferente alle leccornie preparate da Shin... ma la tensione aveva evidentemente raggiunto un punto di non ritorno. La posizione era la medesima nella quale Seiji l'aveva lasciato prima di raggiungere Shin in cucina, volto sulle braccia incrociate sul kotatsu, occhi semichiusi, un po' lucidi, vacui... assonnati.

Il capo di Korin si scosse, mesto: il suo più grande desiderio, attualmente, era che giungesse senza intoppi né drammi la sera del giorno dopo.

"Nonostante tutti i tragici eventi che abbiamo affrontato" pensava, al colmo dell'esasperazione, "ci lasciamo atterrare come bambini indifesi da normalissimi esami scolastici... proprio Shu poi... devo trovarmelo in questo stato pietoso".

Shu che si gettava anima, corpo e cuore in battaglia, con tutta la furia dettata dalla necessità e dall'istinto a proteggere... istinto che gli donava entusiasmo e calore pur in pericoli estremi... tutto quell'entusiasmo che non riusciva ad infondere nelle faccende scolastiche.

Il samurai della luce andò a posare il vassoio in mezzo al tavolo, ma poi sgranò gli occhi quando la canzonatoria voce dal buffo accento di Tenku si levò, falsamente melliflua:

"Ce ne avete messo di tempo, cominciavo ad insospettirmi un po', non vorrete rendermi geloso".

Stava per partire lui stesso, ma venne anticipato da Shin; il samurai dell'acqua, cucchiaio in mano, lo sbatté con ben poca delicatezza sulla nuca di Touma, che rispose al colpo chiudendo gli occhi e rintanando il volto tra le spalle.

"Piccolo panda, avevi paura che stessimo combinando chissà cosa di là? Avresti potuto smuovere le tue sacre membra e venire a vedere di persona... pigrone!".

Il tutto con quel sorriso da diavoletto e quella vocina che rendeva adorabile Shin persino nei più ambigui e crudeli dispetti. Serio e flemmatico, anche Seiji si avvicinò a Touma ed aggiunse al trattamento di Shin una pacca violenta sul capo:

"Solo la lingua riesci sempre a muovere, vero?".

Touma si riprese piuttosto in fretta, la battuta pronta dietro alla smorfia di disappunto:

"E anche molto bene, non è vero Seiji? Soprattutto quando siamo soli!".

Le labbra di Korin si strinsero in una linea drittissima, le sopracciglia si corrugarono; poi chiuse gli occhi e contò mentalmente fino a dieci, mentre si andava a sedere lontano da Touma ed accanto a Shu, fingendo di non aver sentito, ostentando quella flemma che, se non fosse accorsa in suo aiuto, non avrebbe potuto impedirgli di saltare al collo di Tenku e fargli pagare caro il doppio senso che riusciva a trovare in ogni minima cosa.

Era certo che Touma non si sarebbe arreso e, dentro di sé, fu grato a Shin, che prevenne ogni ulteriore parola del samurai dell'aria infilandogli direttamente in bocca un biscotto proprio mentre era sul punto di parlare. Tenku lanciò al compagno uno sguardo torvo, mentre Suiko gli faceva l'occhiolino, ma poi si mise a sgranocchiare raccogliendosi totalmente in se stesso.

Seiji rivolse un'occhiata in tralice a Shu, per spiare le sue reazioni: il nulla assoluto. Fece lo stesso con Ryo: lo sguardo affondato nei suoi inseparabili fogli.

Non riconosceva neanche più se stesso, perché la tensione accumulata l'avrebbe di sicuro spinto ad urlare se non fosse riuscito a mantenere un minimo di autocontrollo; mai avrebbe creduto che il caos cosmico provocato da Ryo e Shu in casa in tempi normali gli sarebbe mancato a tal punto, mai avrebbe creduto di provare nostalgia per le chiacchiere senza freno e su ogni minima cosa di Shu e per la frenetica iperattività di Ryo. Rivoleva i suoi compagni nella loro normalità, più di ogni altra cosa al mondo.

Uno sbuffo, il volto che si chinava sul kotatsu mentre avvicinava alle labbra la tazza con il suo contenuto bollente, che scese dentro di lui, accolto con gratitudine, ricordandogli ben altro e ancor più agognato tepore... quello dei suoi nakama quando le cose tra loro andavano bene. Non che andassero male... erano solo esami... ma tali esami erano in grado di turbare l'atmosfera come mai avrebbe creduto possibile.

Be', dopotutto lui aveva contribuito pesantemente affinché l'atmosfera non fosse delle migliori e se desiderava che si rimediasse, spettava a lui cominciare. Aprì gli occhi e fece correre nuovamente lo sguardo intorno; la prima cosa che lo colpì fu Shin ancora in piedi, non stava facendo nulla, semplicemente li osservava, ma stava in piedi. Korin lo conosceva bene ormai, era in grado di indovinare le motivazioni dei loro atteggiamenti senza neanche troppo sforzo: Suiko stava in piedi per essere pronto a scattare nel momento stesso in cui intuiva un bisogno, un desiderio di qualcuno tra loro... per essere pronto a servirli insomma.

Era ora di darci un taglio e, anche in quel caso, non poteva rimproverare nulla a nessuno, perché lui stesso non ci aveva mai fatto troppo caso, era semplicemente naturale avere alle loro spalle quella presenza premurosa, costante, lui stesso se n'era sempre approfittato, senza volerlo, ovvio... senza rendersi conto... o forse senza volersene rendere conto.

Lo fissò con i suoi occhi d'ametista, severi ed intensi:

"Shin, non è il caso che fai la bella statuina, vieniti a sedere".

L'interpellato avvampò, sorrise, distolse lo sguardo ma, prima che potesse rispondere qualunque cosa, Ryo si unì all'invito di Seiji:

"Sì, Shin, vieni!".

E strisciò un po' più in là, facendosi più piccolo, con l'intenzione di lasciargli spazio accanto a sé; Shin chinò il capo, si abbandonò ad un sospiro e ad una risatina e infine obbedì, decidendosi anche a prendere il proprio tè insieme ad un biscotto.

Seiji non poté fare a meno di notare l'occhiata languida ed adorante con il quale Rekka seguì ogni suo movimento e con la quale continuò a fissarlo anche dal momento in cui Suiko cominciò a bere e a mangiare. Avrebbe probabilmente ridacchiato per la tenerezza se non si fosse nuovamente concentrato sull'atteggiamento del tutto incomprensibile di Shu: solitamente lui e Ryo facevano a gara per contemplare ogni mossa di Shin... Shu insisteva nel suo isolamento mentale.

"Come va il raffreddore, Shin?" si levò la vocetta un po' ansiosa di Ryo.

"Meglio Ryo, non preoccuparti".

Shin aveva risposto senza guardare il compagno e Seiji sapeva che non si trattava di timidezza: se si fosse lasciato guardare troppo in viso chiunque avrebbe potuto notare che mentiva. Il raffreddore non era migliorato per nulla e, probabilmente, aveva anche un po' di febbre, ma avrebbe cercato di nasconderlo al mondo intero almeno fino alla fine degli esami. Non volendo metterlo in imbarazzo, Seiji non disse nulla ed ostentò indifferenza. Si limitò a studiare ancora Shu: sapere che Shin stava poco bene, solitamente, lo rendeva paranoico quasi al livello di Ryo e invece... sembrava non accorgersene nemmeno.

Brontolò qualcosa tra sé, colpito da quanto si potesse sentire la mancanza di una scimmietta dispettosa per casa; il bisogno di coinvolgerlo in qualche modo nella loro reciproca compagnia divenne disperato.

"Shu... sei molto stanco?".

Non giunse nessuna risposta dall'interessato, ma la sua domanda aveva attirato le attenzioni di tutti gli altri che, a loro volta, si misero ad osservare il samurai del Diamante.

"Sembra dormire della grossa" sentenziò Touma.

Seiji corrugò la fronte, strinse un po' le palpebre: non si era accorto che gli occhi di Kongo si erano chiusi del tutto. Sorrise:

"E lasciamolo dormire allora".

Seiji scrutò alternativamente gli altri tre:

"Anche voi sembrate piuttosto stanchi.".

"Tu sei riposatissimo invece, non è vero?" ridacchiò Tenku e Korin si strinse nelle spalle.

"Sono temprato contro la fatica fisica e morale".

"Oh, certo" cantilenò il samurai dell'aria sollevando gli occhi al cielo.

Sorrise enigmatico e si rimise a fissare il tè nella sua tazza, facendola girare tra le dita con una sorta di tenerezza; in effetti era vero, stranamente non si sentiva stanco, in qualche modo era... euforico. In quel momento neanche gli esami lo preoccupavano più, che importavano degli stupidi esami scolastici quando poteva godere di quel calore, di tutta quella bellezza da cui era circondato? Che importava di tutto il resto quando si trovava lì, con tutti loro e il suo cuore si riempiva di loro? Il suo cuore... che ora batteva, pulsava come impazzito... cosa stava succedendo? Forse la consapevolezza improvvisa della loro presenza... e di quanto gli faceva bene? Possibile che dare tutto per scontato si rivelasse così deleterio? Aveva rischiato di non accogliere tutto quel tepore solo perché... era diventata abitudine... era naturale?

Non era così... non era abitudine... si erano scelti, avevano deciso di vivere insieme, di condividere una medesima esistenza, di far sì che i loro cuori battessero come uno anche al di là di Yoroi, di Samurai Troopers, di Masho e impietose battaglie... i loro cuori un solo cuore nella quotidianità come nella squadra e lui era stato uno sciocco insensibile a non accorgersi... a non sentire... a non essersi mai davvero concentrato sui loro cuori che, ormai, erano tutti frammenti del proprio.

Ed erano bellissimi i loro cuori, che rendevano il suo ancor più completo, lo rendevano più grande, i loro battiti erano le note musicali che si univano a quelle del suo; che senso aveva ricercare il proprio perfezionamento interiore... senza quei frammenti? Senza quelle note? La perfezione era lì, quella sera, al caldo, tutti riuniti mentre fuori il mondo si tingeva di bianco, la perfezione era la completa simbiosi dei loro spiriti che, anche nel silenzio, dialogavano tra loro parlando di reciproco amore. Non c'era bisogno di parole, lui non ne aveva bisogno perché gli bastava concentrarsi un attimo e li sentiva, uno per uno, pur nella coralità inebriante delle pulsazioni, li sapeva distinguere, sapeva dare un nome a ciascuno di quei battiti, sapeva interpretarli, capirli ed amarli per quello che erano.

Davvero, aveva perso anni inutilmente, quando la risposta era lì, a portata di mano... così facile... e così straordinariamente bella che avrebbe desiderato che anche loro lo sentissero; ma forse era così. Vi era una tale tranquillità, in quel momento, tra loro, che era quasi convinto che tutti stessero ascoltando il silenzio intriso dei loro cuori pulsanti, vivi e innamorati.

O forse erano semplicemente troppo stanchi, ma a lui andava bene così, anzi, se poteva aiutarli a riposare, non chiedeva di meglio; in quale altro modo dimostrare la propria gratitudine a Touma, a Shin, la propria comprensione a Ryo ed a Shu?

Aprì un attimo gli occhi per guardarli e trovò più o meno lo scenario che si era aspettato: Ryo si era raggomitolato per terra, accanto a Byakuen, la testa corvina sul fianco della tigre ed entrambi dormivano profondamente. Touma pendeva il capo, dava l'impressione che, tra poco, avrebbe dato una testata violenta contro il tavolo, perché tentava di resistere al sonno, così Seiji sorrise, allungò una mano, gli sfiorò una guancia:

"Devi dormire To-chan... hai riposato meno di tutti in questi giorni e... per quanto tu sia preparatissimo, ci sono gli esami anche per te. Fallo per me... dormi...".

Il ragazzo del Kansai sbatté le palpebre, scosse il capo come un cucciolo che tentava di riscuotersi dal torpore, si stropicciò gli occhi con una mano:

"Oh... Seiji... scusa... credo... di avere davvero sonno... e non è pigrizia questa volta...".

"Ma lo so" ridacchiò Korin, strisciando accanto a lui per abbracciarlo e spingerlo verso terra, preoccupandosi di mettergli un cuscino sotto la nuca e assicurandosi che gambe e fianchi rimanessero al calduccio sotto al kotatsu. Touma rimase del tutto passivo e probabilmente si era già abbandonato al sonno ancor prima di posare la testa sul cuscino.

Seiji non poté impedirsi di contemplarlo qualche istante e di sfiorargli la capigliatura ispida con una mano, soffiandogli nell'orecchio un sussurro:

"Sogni d'oro... e meritati... piccolo panda...".

Era del tutto certo che due occhi attenti se ne stavano fissi sulla sua schiena a contemplare lo spettacolo e infatti, quando si voltò, incontrò lo sguardo dolce e sorridente di Shin. Il caro Suiko avrebbe potuto restare ispirato dalla scena nei modi più svariati, a seconda della disposizione d'animo: presa in giro, battutina adorabilmente ironica o silenziosa tenerezza. In quel momento sembrava prevalere l'ultima reazione e Seiji gliene fu grato. Era un momento troppo sacro per lui... e, forse... per tutti loro.

Shin si mosse e Korin indovinò subito quali fossero i suoi intenti: si sarebbe alzato, avrebbe prelevato i resti dello spuntino dal tavolo e si sarebbe messo a riordinare. Fece un balzo in avanti e, con le mani sulle spalle, lo costrinse a restare seduto:

"Non pensarci neanche".

"Seiji" lo interrogò l'altro, gli occhi sgranati.

"Faccio io".

"Ma...".

"Non era una richiesta...".

"...ma un ordine... lo so..." piagnucolò Suiko, con una smorfia rassegnata, rintanando la testa tra le spalle.

Seiji osservò per qualche istante, un po' preoccupato, i suoi occhi lucidi, il naso arrossato ed infiammato e gli si fece più vicino:

"Stai prendendo qualcosa contro l'influenza?".

Shin si rannicchiò su se stesso, dando l'impressione di voler scomparire:

"Sì e comunque sta passando".

"Non cercare di prendere in giro anche me!".

Il samurai della luce si sentì in colpa per aver utilizzato quell'inflessione severa, accorgendosi del sussulto di Shin, così cercò di imprimere una decisa gentilezza nel nuovo tocco della sua mano sulla fronte del giovane Mori e, questa volta, non ebbe dubbi:

"Come immaginavo, sei caldissimo; dovresti prenderti più cura di te... e noi non ci siamo accorti di nulla".

Parlò con tenerezza, il tono quasi commosso e il guerriero dell'acqua fu scosso da un tremito.

"Ma... non..." balbettò, fissandosi le mani che si tormentavano nervosamente l'un l'altra. Si bloccò senza riuscire a trovar le parole, poi si riscosse un poco e proseguì:

"E'... solo un po' di influenza... mi sto curando, passerà presto... tranquillo...".

"Oh, certo e passerebbe ancora prima se evitassi di trascurarla".

"Non la sto trascurando!".

Era come un bambino capriccioso che doveva negare a tutti i costi l'evidenza.

"Se non la stessi trascurando, staresti qualche giorno a casa al caldo, invece non hai mai smesso di uscire per ogni minima commissione o di andare all'Università".

"Perché sentivo di poterlo fare, conosco il mio corpo!".

In tutto questo manteneva il volto a terra e la voce ridotta ad un sibilo per non correre il rischio di svegliare i compagni. Anche Seiji tentava di parlare a bassa voce:

"Se ti chiedessi di stare a casa, domani, lo faresti?".

"No, farei preoccupare i ragazzi e poi ho dei corsi importanti in facoltà ai quali non posso mancare".

"Li farai preoccupare di più se le tue condizioni dovessero peggiorare".

Il volto di Shin si sollevò di scatto e i suoi occhi, ora ardenti per la frustrazione oltre che per la febbre, lo trapassarono come lame:

"Seiji per favore, sto bene!".

Intanto cercò di alzarsi, ma fu colto da un evidente capogiro e crollò addosso al compagno che lo raccolse prontamente:

"Certo... vedo... stai benissimo".

"E' che... mi stai destabilizzando e rendendo nervoso!".

Seiji scosse il capo con fare condiscendente, mentre lo stringeva a sé, protettivo, una mano a carezzargli i capelli:

"D'accordo, io mi rilasso ma... un piacere proprio non me lo vuoi fare?".

"Un... piacere?".

Il capo di Shin si sollevò quel tanto che bastò a cercare i suoi occhi, il volto atteggiato ad un punto interrogativo.

"Siccome tutti si stanno concedendo un po' di riposo, faresti in modo di permettertelo anche tu e di andartene a letto, almeno per il resto di questa giornata? Alla cena ci penserò io e dirò che ti sei addormentato e che ho preferito lasciarti dormire".

Gli occhi di Suiko sfuggirono subito, strofinò un po' la guancia sul petto di Seiji mentre riabbassava il viso e dalle sue labbra uscirono timide parole che somigliavano, in qualche modo, ad una supplica:

"Io... veramente... preferirei restare qui... sto bene qui... con voi...".

Seiji si rese conto di come il tono si facesse strano, vacuo... pesante e sospirò nel rendersi conto che il compagno stava scivolando nel sonno. Scosse il capo e sussurrò tra i denti:

"Testone, testone... più testone di Touma, il che è tutto dire...".

Ma al tempo stesso non poteva impedirsi di sorridere mentre, con delicatezza, compiva per lui i medesimi gesti con i quali poco prima aveva messo a nanna Tenku. Anche Shin venne adagiato sul tatami, un cuscino sotto alla nuca e Korin lo sistemò in modo che potesse essere più comodo e caldo possibile.

Poi rimase immobile, a contemplarli ancora uno ad uno per parecchi istanti, sembrava incapace di distogliere gli occhi dai suoi... i suoi tesori addormentati. Scosse il capo tra sé, prendendosi in giro per i termini con cui ormai pensava a loro, ma non poteva fare a meno di considerarli tali.

Infine si mise all'opera, raccogliendo tutto nel vassoio per poi recarsi in cucina, dove rovesciò i restanti biscotti in una biscottiera di ceramica, richiudendola con cura perché si mantenessero freschi, impilò tazze e teiera nell'acquaio, passò un panno sul vassoio e lo ripose al proprio posto. Quindi si dedicò al lavaggio delle porcellane facendo attenzione allo scopo di ridurre al minimo ogni rumore.

Terminò nel giro di pochi minuti, diede una pulita extra e, alla fine, si guardò intorno, soddisfatto, le mani sui fianchi:

"Shin sarà orgoglioso di me quando vedrà come ho trattato la sua amata cucina".

Tornò nell'altra stanza e li ritrovò come li aveva lasciati; eppure, benché lo scenario fosse esattamente lo stesso di prima, si immobilizzò in una sorta di incantato stupore, quasi stesse assistendo ad un miracolo. Ma, in fin dei conti, per lui quella vista era un miracolo... così come ciò che sentiva nel proprio petto... certo che era un miracolo... il miracolo che aveva risvegliato davvero il suo cuore e che l'aveva reso completo.

Compì qualche timido passo, fino a lasciarsi cadere al suo posto, delicato, timoroso al solo pensiero di poter turbare quel sonno, quei respiri... quei battiti. Era davvero possibile ascoltare i battiti dei cuori nel silenzio, se ci si concentrava e lui voleva farlo ancora, voleva ascoltarli ancora.

Richiuse gli occhi, cercò i loro sospiri, i loro aliti vitali, uno per uno e li trovò, anche i battiti giunsero, non alle orecchie ma allo spirito, uno per uno ed armonizzò il proprio con i loro. Quella era l'occupazione migliore per rilassarsi prima degli esami... cercare la pace dentro di sé cogliendo l'armonia di tutto l'amore che lo avvolgeva... e il giorno dopo, così come i giorni a venire, quei battiti li avrebbe portati con sé, per questo decise di imprimere nella memoria ogni pulsazione, ogni sfumatura che li rendeva tutti tanto diversi ma tanto indispensabili gli uni agli altri.

Benevolenza, altruismo, esplosione scarlatta, il rosso del fuoco e delle emozioni, del calore, delle passioni portate all'estremo, senza mezze misure, ma dettate solo dal desiderio di cancellare ogni sofferenza dal mondo... Rekka... Ryo...

Giustizia, determinazione, il color ocra della terra, la testardaggine e l'abnegazione di chi per proteggere coloro che amava si gettava a testa bassa nel pericolo, con la rabbia disperata di chi non comprendeva la crudeltà gratuita... Kongo... Shu...

Fiducia, sincerità, l'azzurro dell'acqua che non è semplice azzurro perché è più il trasparente, limpido cristallo, che in sé riflette l'azzurro puro e pulito, ma anche le tenebre degli abissi più oscuri e profondi... le tenebre del tormento, della sofferenza provocata dalla troppa bontà... Suiko... Shin...

Saggezza, strategia, intelligenza, il blu del cielo, che sa essere sereno e sgombro di nubi ma anche burrascoso, sa essere chiaro come il giorno ma anche scuro come la notte... e la notte può essere punteggiata di stelle. Contraddizioni, insicurezze, bisogno di sentirsi amato e di voler solo amare, fare tutto per loro, fino al sacrificio di sé, fino ad annullarsi in loro... Tenku... Touma...

E poi c'era un altro cuore, non meno importante, non meno fondamentale, a tutti gli effetti ormai parte di tutti loro, il cuore di un antico spirito cui Kaosu li aveva affidati tutti, uno spirito in forma di tigre che su di loro vegliava, come un padre con i cuccioli e che, Korin a volte non aveva dubbi a riguardo, era il più forte, l'autentica guida.

 

***

 

Giunse la sera e, ormai, i ragazzi avevano deciso di abbandonare ogni studio dell'ultim'ora. Ryo era stato precettato da Shin e Touma messi assieme e si era arreso solo quando anche Byakuen si era imposto con un ruggito severo. Nuovamente attorno al kotatsu, sedevano tutti con aria arrendevole, un po' preoccupata ma decisamente stanca: sul volto di tutti e cinque il desiderio inespresso che tutto fosse già concluso e alle spalle.

Shu, più di tutti, era quello che aveva dormito meno: si concedeva poco per pura testardaggine, ma era arrivato a un punto di non ritorno. Quella sera il sonno e il nervosismo lo rendevano simile a una pericolosa bomba a mano o a una corda di violino tirata fin quasi al punto di rottura.

Desiderava ingurgitare qualunque cosa ci fosse da mangiare per poi dedicarsi solo al sonno. Sonno e nient'altro.

Touma, nel silenzio generale, fu il primo a parlare tra uno sbadiglio e l'altro.

"Domani sera a quest'ora saremo a posto. A scuola ci tornerò solo per il diploma".

"Sei terribile Touma..." replicò Shin. "Dovresti goderti gli ultimi giorni da liceale".

"Non ho voglia di tornare a Osaka per qualche giorno. Qui sto meglio".

"E tu Seiji?" chiese Shin con un sorriso curioso.

"Andrò anche io per il diploma... tecnicamente è meglio".

"Per la tua famiglia?".

"Diciamo di sì...".

"E tu Ryo? Almeno tu andrai?".

"Pensavo di stare con voi, a dire il vero".

Shin non riuscì a trattenere un moto di tenerezza nei confronti del micetto di casa.

"Ho idea che ci ritroverai tutti nel letto".

"E allora dormiremo tutti assieme!".

Il buffo cipiglio che lo aveva animato fece sorridere anche Seiji, mentre Touma ricordava al ragazzo che l'unico letto capace di ospitarli era il kotatsu.

"Che, tecnicamente, non è un letto".

"L'importante è stare assieme, Touma...".

"E dormire anche..." e l'arciere soffocò uno sbadiglio.

"E tu, Shu?"

Gli occhi verdi di Shin si posarono amorevolmente sul più silenzioso dei compagni che, braccia incrociate sul tavolino, osservava ogni cosa dietro una cortina di nebbia di stanchezza.

Era silenzioso, così tranquillo da non sembrare nemmeno lui: la casa senza la sua voce calda e squillante sembrava decisamente strana. Gli mancava la sua scimmietta sempre sorridente, sempre positiva. Shin ringraziò il cielo che l'indomani avrebbe segnato la fine di quel piccolo incubo.

"Cosa...?" mormorò Kongo con aria e voce spente. Non aveva assolutamente seguito il discorso. A dire il vero, temeva di essere in preda ad un sogno.

"Rimani qui a casa o torni a Yokohama?".

Il capo di Shu si alzò leggermente, mentre gli occhi fluttuavano sul tavolo, poi verso gli occhi di Shin che, sempre e comunque, lo rendeva partecipe di tutto ciò che avveniva.

"Non... non so...".

"Devi tornare a casa?" chiese Suiko.

"Forse... ma ora... non so ancora".

"Oh, Shu... dai, rimani con noi!" Gli occhi blu di Ryo lo pregavano insistentemente, ma...

"L'ho promesso... prima... dell'Università...".

"Tua madre ti vuole vedere? Questioni di famiglia?".

Il capo di Shu si scosse e un'espressione seria gli attraversò il viso.

"Dobbiamo sistemare delle cose. Mia madre... mah...".

Una mano andò a sfregare il viso, mentre cercava di farsi forza, anche nelle parole.

"Ci sono dei problemi?" chiese Seiji serio serio, mentre cercava di leggere in quel cuore stanco e un poco distaccato dalla realtà.

Shu scosse un attimo la testa e pensò che sarebbe stato perfetto infilarsi nel letto, invece di queste conversazioni... poteva risparmiarsele per quella sera.

"Problemi? Ma Shu... tu... sei sempre così sorridente. Tu..." Ryo si allungò verso il compagno, con un sorriso. "Sei sempre così positivo. Riusciresti a superare tutto!".

Povero Ryo. E dire che lui aveva inteso altro. Mai si sarebbe aspettato il putiferio che avrebbe scatenato.

Furono le mani che scendevano pesanti sul tavolino a dare inizio a tutto: la figura di Shu si levò terribilmente minacciosa, pur nella sua stanchezza ed aprì bocca.

"Positivo? Io... sarei sempre... positivo?".

Lo sguardo a terra si alzò e negli occhi tutti poterono intravvedere le lacrime.

"S-Shu?" mormorò Shin intimorito mentre, davanti ai suoi occhi, il ragazzo cominciava a gettare fuori ogni cosa.

"IO NON SONO POSITIVO! ANCHE IO SONO TRISTE E SONO STANCO E SONO... SONO..." la bocca del ragazzo si chiuse per un attimo e le lacrime cominciarono a scorrere. "E VOI... NEI MIEI SOGNI... SCOMPARITE... E POI VI RITROVO QUI E POI..." una mano si mosse ad asciugare le lacrime ma a nulla valse quel gesto. Il viso era distrutto, sconvolto. Così triste... "OGNI NOTTE VI PERDO... E POI VI RITROVO E POI HO PAURA DI SVEGLIARMI E... E NON TROVARVI PIU'! E VOI DITE CHE IO SONO POSITIVO?! IO... IO..." nascose dietro il braccio la bocca ed il singhiozzo giunse privo di freni a scuoterlo del tutto.

Attorno al tavolo si era fatto il silenzio più tombale, tutti gli occhi non riuscivano a staccarsi dalla sua figura: Ryo e Shin furono i primi ad alzarsi per raggiungerlo, ma Shu arretrò i propri passi verso le scale, quasi senza rendersene conto.

"...non sono positivo... perché lo pensate...?" la voce si abbassò, rotta dal pianto, gli occhi blu si chiusero, lasciando altre lacrime a scendere sul suo viso. "...è perché... rido e scherzo... e voi pensate...".

"Shu... io... perdonami..." mormorò Ryo.

E gli sembrò che fossero le sue parole a far caracollare Shu su per la scala e in camera sua.

"Ho... ho fatto... un danno..." bisbigliò Rekka con un viso che diceva tutto quanto. Shin raggiunse la sua mano e la strinse: in quegli occhi verdi brillava una cortina di pioggia trattenuta ma sul punto di crollargli addosso.

"Shu... è... solo triste... io credo che... i suoi pensieri siano usciti solo perché il suo cuore non riusciva più a trattenerli. È stanco... così stanco... come lo siamo tutti...".

Le mani strette sciolsero il loro legame e Ryo si ritrovò a percorrere i passi che poco prima aveva compiuto Shu: si sentiva uno sciocco, si sentiva stupido, si sentiva... come poteva definirsi nakama di Shu se riusciva ad uscirsene con una frase così idiota?!

Però... non avrebbe mai voluto ferire Shu: per lui dire che Shu era positivo era... era semplicemente ammirare quell'energia, quel flusso di calore che il sorriso del ragazzo riusciva a infondergli. Il suo sorriso era così bello, dava speranza...

Ma dargli del positivo, dell'ottimista... aveva forse ignorato le sue paure, i suoi demoni? Aveva creduto che fosse perfetto, che su di lui le battaglie fossero rimaste come un vago ricordo impotente davanti a quel carattere solare?

Le ferite lasciavano sempre cicatrici.

La mano di Ryo spinse dolcemente la porta della camera che Shu divideva assieme a Shin e lo ritrovò sdraiato col viso affondato nel cuscino, visibilmente addormentato, tale era la stanchezza.

Fece qualche passo timido, lottando contro le lacrime che gli salivano agli occhi; aveva fatto il danno e ora piangeva? Era davvero così immaturo?

"Dovrei essere un uomo, dovrei essere il capo, si presuppone che io sia la loro guida... ed eccomi a piangere come un bambino colpevole di aver ferito un proprio... familiare...".

Sussultò a quel pensiero... sì... si sentiva esattamente così; far del male a chi si ama tanto... e a coloro da cui si è tanto amati... era senza dubbio una delle sensazioni più orribili con cui si potessero fare i conti. E avere una famiglia implicava anche quello... perché a stare sempre insieme, a condividere tanto... il rischio di ferirsi era per forza sempre in agguato.

E i bambini ignoranti ed impulsivi erano coloro che sbagliavano di più, per poi piagnucolare sul latte versato, con il cuore in pezzi, desiderando di non aver neanche mai imparato a parlare se la propria bocca sapeva formulare unicamente sciocchezze e frasi infelici.

Shu... chi poteva immaginare quanto avesse sofferto nel corso delle drammatiche esperienze che avevano condiviso? Il coraggioso, impulsivo, esuberante Diamante che si gettava come un kamikaze nella lotta, incosciente, con il sorriso birichino sulle labbra a volte, con la fiamma dell'ardore e della disperazione negli occhi nei momenti più drammatici, quando il terrore di perdere uno di loro... o tutti... lo rendeva folle. Il loro Shu, che li amava e li aveva accolti dentro di sé fino a renderli... nakama... una cosa sola... fino a non poter fare a meno di loro. Non l'aveva forse detto? Non l'aveva dimostrato costantemente? E non l'aveva ulteriormente confermato in quella sfuriata cui Ryo stesso aveva dato adito?

Si fermò a pochi centimetri dal letto, continuando a fissarlo, senza più trattenere le lacrime, carezzando quella figura massiccia ma al tempo stesso piccola... così piccola... raccolta tra le coperte, il volto ancora intriso di pianto pur nel suo sonno nervoso. Lo accarezzò, con le dita leggere sulle guance umide e con lievi sussurri:

"Paura di perderci? E' questo il tuo peggior incubo, Shu? Hai persino paura di lasciarci la sera per dormire... temendo di non ritrovarci più al risveglio? Era questo che temevi anche in battaglia, quando cercavi di fare il forte con quel sorriso strafottente? E quando ti gettavi come una furia senza preoccuparti della tua sicurezza? Ed è questo che ti ha lasciato l'incontro con Suzunagi?".
Si inginocchiò, continuando a piangere, continuando ad accarezzarlo, ora passando il dito sul naso che sembrava quello di un bimbo, continuando a mormorare:

"Tu... ogni volta che uno di noi veniva colpito... o ferito... tu lo sentivi, vero? Era come se facessero del male a te... lo so... l'ho capito... e perdona questo stupido leader che non è neanche capace di rispettare la vostra sensibilità senza commettere sciocchezze".

Gli sfuggì un singhiozzo più forte:

"Fratellino...".
Ecco... l'aveva detto... era così bello avere tanti fratelli... era così bello avere una famiglia... il sangue... quello... cosa poteva importare se c'era un tale amore?

Non resistette oltre, si gettò sul compagno, si aggrappò a lui in un abbraccio disperato:
"Fratellino!".

Nel mezzo di un sonno profondo, Shu fu scosso all'improvviso dalla sensazione di calore che aveva avviluppato il suo corpo: con difficoltà riaprì gli occhi su una luce soffusa e la prima cosa che percepì fu il sussurro dolce di una voce familiare.

"R-Ryo...?".

La bocca impastata dalla troppa spossatezza, gli occhi che bruciavano, la testa che non riusciva a comprendere tempo e spazio... la stanchezza...

Dietro quella cortina sfumata di stanchezza c'erano gli occhi azzurri di Ryo, occhi preoccupati, occhi lucidi e occhi che sembravano...

Poi ricordò tutto.

Una certa lucidità sembrò avvolgere la sua mente e dal suo cuore traboccarono tanti sentimenti contrastanti: vergogna, tristezza, senso di colpa e di sconfitta. Nuovamente, le lacrime scesero.

"Sono uno stupido... tanto stupido..." una mano cercò di lavarsi via le lacrime ma scoprì di non riuscire a muovere le proprie braccia: esse giacevano incastrate tra il proprio corpo e quello di Ryo.

"Shu, non piangere... ti prego...".

"R-Ryo, io...".

La stretta delle braccia del compagno si fece più sicura, più forte, più protettiva... pareva non volesse lasciarlo andare.

"Tu non te ne vai, vero? Perché noi non lo faremo... vorrei cancellare quegli incubi Shu...".

Il samurai della Terra tremò al ricordo di certe scene, certi pensieri che l'avevano travolto in quei giorni sfiancanti e terribili.

"Vorrei solo che tu sapessi che noi... ci saremo sempre... io sento che è così... e... ed è solo... solo il momento che... solo quello. Io... io lo so, Shu".

"Io non volevo... Ryo..."

Un sospiro da parte di Shu, il suo abbandonarsi fino a far scivolare il viso contro la sua spalla, per poi fermarsi sul petto, lì dove Rekka sentiva battere il proprio cuore, fino a scoppiare; sperava che Shu potesse percepire quel battito, tanto da venire cullato da esso... e che potesse cacciare i suoi incubi, non solo quelli legati agli esami ma soprattutto gli altri... tutti gli incubi della sua adolescenza costellata di traumi e paure.

"Perdonami Ryo... è stanchezza... sono... sono tanto stanco...".

La sua voce era ridotta ad un soffuso mormorio e fu accompagnata da un nuovo sospiro, quando il samurai del fuoco gli accarezzò i capelli, mentre con l'altra mano lo teneva stretto a sé.

"Scusami tu, Shu-kun... la mia bocca non era in sintonia con il cuore, temo di essermi espresso molto, molto male...".

Shu tentò di scuotere il capo ma ne uscì solo un debole strofinare della guancia contro il petto di Ryo:

"Sarei... scattato per qualunque cosa...".

"E io me ne sono uscito con una qualunque scemenza" ridacchiò Rekka senza riuscire a smettere di accarezzarlo.

"Oh... Ryo..." sbuffò Shu, forse tentando di ridacchiare a sua volta ma troppo spossato per farlo. Lo fece ancora Ryo al suo posto mentre pensava che, un po', gli sembrava davvero di abbracciare e coccolare una scimmietta, ma preferì non confessarglielo a voce alta, aveva già combinato abbastanza guai con la sua lingua precipitosa.

Però non si trattenne dal sussurrare qualcosa il cui senso non era molto diverso:

"Vuoi dormire, scimmietta?"

"Mmmh... forse... ma... posso addormentarmi così?".

Ryo sussultò, non era certo che, già rapito dal dormiveglia, Shu si fosse reso realmente conto di quel che aveva detto. E tuttavia, se desiderava tanto addormentarsi tra le sue braccia, perché no? Era dovere di capo, dovere di amico... dovere di fratello... E Rekka si sentiva così felice se, in quel semplice modo, poteva apportare al suo caro Kongo un po' di sollievo. Forse, in quel modo, addormentandosi nell'abbraccio di uno di loro, la paura di perderli, di vederli scomparire, non sarebbe giunta a tormentarlo nel sogno. Se bastava davvero così poco, Ryo era disposto a restare così anche tutto il resto della sera, tutta la notte... e condurlo poi, per mano, agli esami.

Seppe che si era addormentato dal respiro regolare e profondo, dalla pesantezza con cui si era definitivamente abbandonato a lui.

"Ryo...".

Il samurai del fuoco si voltò a quel sussurro e vide Shin sulla soglia della stanza, una mano sullo stipite, l'altro braccio abbandonato lungo il fianco; sembrava così stanco... c'era qualcosa di strano nel viso di Shin ma era anche tanto bello, come circondato da un'aura incantata... sacra... materna.

Rekka sussultò e scosse il capo: che andava pensando?

E poi, senza risoluzione, di nuovo giunse la consapevolezza che, dopotutto, non vi era nulla di male nel definire Shin materno; lo era perché era gentile, era buono e protettivo, era il calore e la tenerezza di un abbraccio, di una piccola premura che significava tanto, di un amore totale che li avvolgeva tutti in uno spirituale abbraccio e tutto ciò lo rendeva bello e Ryo non si sarebbe mai stancato di contemplarlo. Gli sorrise:

"Si è addormentato".

Shin rispose al sorriso e Rekka seppe, una volta di più, che anche lui desiderava proteggerlo, preservarlo da dubbi e insicurezze, dai suoi pensieri che tanto spesso si aggrovigliavano su se stessi e non gli davano tregua, dalla paura dell'abbandono... una delle irrazionali paure di Shin... quella di perdere l'amore.

Ma non si poteva smettere di amare Shin; Ryo gli tese una mano e Suiko accolse quell'invito senza esitare, benché il passo apparisse un po' malfermo. Ryo non ci fece molto caso, poteva essere l'emozione... le emozioni agivano in maniera talmente intensa su Shin...

Il samurai dell'acqua si inginocchiò accanto al letto e si mise ad osservare Shu con la disarmante dolcezza del suo sguardo che, da solo, senza bisogno di ulteriori gesti, sapeva accarezzare ed emanare un fluido d'amore.

"Poverino..." sospirò, un po' triste.

"Mi dispiace Shin" sussurrò Rekka accentuando l'abbraccio con cui avvolgeva Kongo e distogliendo momentaneamente lo sguardo da Suiko perché, a volte, guardarlo a lungo gli faceva male al cuore "Per quello che è successo a tavola, intendo...".

La testa dell'altro si scosse, lenta:

"Nessuno ha frainteso... solo Shu... è stato un crollo nervoso, che sarebbe avvenuto per qualunque parola in quel momento".

"Anche lui ha detto una cosa simile...".

Ancora non lo guardava, ma poi una mano passò tra i suoi capelli, tenera, rassicurante e risollevò gli occhi su quelli di Shin che, adesso, fissavano lui, sorridenti nelle iridi verdi-azzurre e sulle labbra:

"Posso stare io con Shu, tu dovresti riposare".

Ryo sorrise a propria volta, colmo di convinzione:

"Non lo lascio... non lo posso lasciare adesso... ma puoi stare con noi... anzi... io credo che dovremmo stare tutti con lui... per fargli sentire... che non ce ne andremo... che non scompariremo...".

Parole un po' sconnesse, Ryo non sapeva come altro esprimere ci che riteneva giusto, poteva solo sperare che Shin, con la sua profonda empatia, avrebbe compreso; il samurai dell'acqua lo scrutò, inclinando lievemente il viso su una spalla, una domanda sul volto. Era incredibile quanto ogni suo atteggiamento potesse apparire incantevole, si trovò a pensare Rekka.

"Lui... teme di vederci scomparire... di non trovarci più al risveglio... perché..."

Tornò il sorriso sul bel volto di Suiko, che si illuminò di consapevolezza e lo interruppe, salvandolo da ogni ulteriore, confusionaria necessità di spiegazione:

"Va bene Ryo... hai ragione...".

"Serviamo anche noi a quanto pare".

Sia Ryo che Shin sorridevano mentre si voltavano ad incontrare gli sguardi dei compagni: Touma era appoggiato con la schiena allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto e lanciava loro un'occhiata obliqua. Alle sue spalle faceva capolino Seiji e, tra loro, spuntava il muso attento e saggio di Byakuen.

Mentre si avvicinavano, mentre tutti si stringevano in un comune abbraccio atto a scacciare gli incubi dal sonno di uno di loro, ma che in realtà li avrebbe protetti tutti, Ryo cominciò a sentirla, la gioia completa della famiglia, la bellezza dell'essere lì, gli uni per gli altri, anche per una cosa così piccola, ma che aveva un significato immenso. Perché tra familiari non erano sempre necessari gesti estremi per dimostrare l'amore; era anzi proprio nei minimi eventi quotidiani che si cercava di capirsi, di venirsi incontro, di far giungere all'altro la propria presenza, insieme alla promessa di esserci sempre... che mai nessuno se ne sarebbe andato.

"E nessuno di loro se ne andrà" pensava mentre si crogiolava in quell'unione di corpi, anime e cuori "Io non me ne andrò da loro, loro non se ne andranno da me... nessuno lascerà nessuno...".

Era la felicità, la gioia dell'essere amici ma anche dell'essere famiglia... dell'essere, gli uni per gli altri madri, padri, fratelli... e amori...

E proprio quell'ultima notte che precedeva gli esami Ryo seppe, definitivamente, che non sarebbe mai più stato solo.

  
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