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Autore: Selene Silver    03/01/2012    6 recensioni
«E poi i giornali dicono che sei inutile e sottovalutato» sussurrò Robert, tornando ad abbracciarlo.
«Lo prendo come un complimento» replicò tranquillamente John.
«Saresti davvero stupido a non farlo, Jonesy.»

Un papiro egizio per dedicare un buonissimo compleanno a John Paul Jones (Sidcup, 3 gennaio 1946, all'anagrafe John Baldwin), il mio - credo, ma ecco che già gli altri mi guardano con gli occhioni afflitti da "e noi no?" - membro preferito della mia band preferita.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Expecting to fly.

From the Beginning.

- Vuoi la verità sui Led Zeppelin? Eccotela qui, servita su un piatto d'argento. È ciò che hanno cercato di scucirci per anni, sbavandoci attorno e diffamandoci, e dicendo su di noi un sacco di assurdità a cui purtroppo alcuni hanno creduto.
- Ma, la vuoi sapere, questa storia vera? Bada bene, è molto più breve di quanto tu non ti aspetti. Non potrai farci un articolo o qualcosa di simile; io ti dirò semplicemente una verità piccola e semplice, esattamente come quando trovi una piuma per strada, mentre cammini, e la raccogli, ed è leggera, morbida e sul punto di volare via nella tua mano.
- Ed eccoti la verità, perché hai gli occhi che ti brillano come stelle. La verità è che eravamo solo quattro fottuti, stupidi ragazzini di campagna, che per tutto il tempo hanno cercato di dimostrare più forti di quanto non fossero.
- E tu di sicuro sai come vanno queste cose. L'avrai fatto anche tu, quando andavi a scuola. Ti fingi forte e più forte, ma alla fine crolli, perché le emozioni sono come le piogge che corrodono il Gran Canyon, e le persone che ti picconano tutto intorno non aiutano.
- Ecco come andò. Eravamo giovani e avevamo gli occhi grandi come i bambini che vedono la luna per la prima volta, e siamo caduti in pezzi perché proteggersi rende ancor più fragili.

Blow away.

Il sole al tramonto inondava le campagne gallesi, dorando le spighe ed incendiando i rami degli alberi. Era un autunno mite, di quelli che ti invogliano a rimanere a casa piuttosto che a partire.
A John, in effetti, rimanere sarebbe piaciuto. Lì c'era tutto ciò di cui aveva bisogno. Era la sua casa, con le sue bambine e la donna che - incredibile ma vero, avrebbe detto qualcuno di sua conoscenza - amava ancora.
Il sole gl'inondava il viso; in quella luce i suoi capelli si coloravano di rosso, così come le sue ciglia più lunghe di quanto non sembrassero. I suoi occhi diventavano vividamente azzurri, poi, di un colore che ricordava tanto i laghi di montagna, e sulle sue guance comparivano centinaia di lentiggini, tanto che sarebbe stato impossibile contarle.
Era quello il suo vero aspetto ed il suo vero ambiente; lì, nelle vallate verdi di  quella terra che sentiva così incredibilmente sua - e non nelle camere d'albergo che per quanto lussuose diventavano tutte uguali, non nei backstage pieni di fumo e persone. Lì il colore dei suoi capelli diventava banalmente castano, ed i suoi occhi si scurivano, diventando grigi.
In quei lunghi, infiniti tours che lo portavano in giro per il mondo - se l'America era il mondo, perché poi era quello il sogno, non è vero? Palchi più grandi, un pubblico meno contenuto e ragazze a volontà? - solo suonando riusciva ad essere un po' se stesso, confinato nel suo angolino da dove le pulsazioni della musica, la sua, la loro musica, era talmente forte da fargliela sentire in ogni punto del tempo, dello spazio. La sua mente ed il suo corpo erano effettivamente tempo e spazio, flessi in modo da contenere manciate di emozioni che rimanevano chiuse dentro di lui.
C'erano cose che lo facevano sorridere di tenerezza ed altre che invece lo facevano sentir spezzato dentro, ma è la vita, non è vero?
Il fumo della sua sigaretta si sollevò nel cielo sempre più scuro, anche se nei suoi occhi e nei suoi capelli i bagliori di quel sole rimanevano, e quando sarebbe entrato in casa avrebbero danzato fra le pareti, e le sue bambine li avrebbero acchiappati, ed il freddo che gli entrava dentro col calare della notte sarebbe stato dissipato da quelle risate così dolci ed infantili.
Il fumo macchiava il cielo e l'aria attorno a lui, sembrava una nuvola scesa sulla terra - un piccolo angelo? La toccò e disperse con la punta delle sue dita affusolate. 
«È la vita, non è vero?»

The smile of your shadow.

Una volta aveva incontrato una ragazza, ricordava; una che se fosse stato più folle l'avrebbe fatto innamorare, come succedeva periodicamente ai suoi compagni.
Lei sembrava totalmente priva della malizia delle loro graziose accompagnatrici; aveva i capelli scuri e corti, arruffati sulla testa, e sembrava totalmente sperduta, forse a causa di quegli occhioni blu che gli aveva puntato addosso non appena l'aveva visto; gli aveva fatto talmente tanta tenerezza che praticamente l'unica cosa che aveva osato fare era stato accarezzarle i capelli come fossero le piume di un pulcino.
Lei aveva sorriso, abbassando le ciglia sulle guance, e gli aveva detto: «La luce è più pericolosa di quanto non sembri, vero? Solo vivendo nella propria piccola ombra si può essere sicuri di riuscire a scappare in ogni momento.»
Il mattino dopo era sparita senza lasciare traccia se non una piuma nera sfuggita al boa che teneva sopra una specie di trench spiegazzato, e lui se l'era messa nel portafogli e aveva sorriso ai suoi compagni durante la colazione, appuntando distrattamente quella frase su un tovagliolo di carta. Era sicuro che Jimmy l'avesse letta, e lui aveva lasciato il fazzoletto sul tavolo, trovando che era sparito, ed un leggero sorriso sulle labbra del chitarrista, quand'era tornato dal bagno.

Rosebud.

Non capiscono, non capiranno mai.
Non riuscivano a capire, i media o i fan più stupidi - e non lo faceva sentire in colpa definirli così, alcuni lo erano, certi in modo quasi adorabile, altri folli, non gl'importava poi molto: erano ferite che in qualche modo riusciva a contenere perché, pensava, erano troppo lontane per far male.
L'aveva pensato finché la ragazzina non aveva tentato maldestramente di uccidere Jimmy; e avrebbe ricordato per sempre le spalle scosse dai fremiti - così sottili - del chitarrista; le braccia di Robert che le avvolgevano e lui e Bonzo che si stringevano attorno a loro.
Ciò che i media e i fan non capivano era che loro erano quasi una cosa sola. Il più delle volte, almeno.
Quella volta si erano sentiti talmente parte gli uni degli altri, e al di fuori della musica, da far risultare ridicole distinzioni e classificazioni che le persone al di fuori fanno.
Era un'idea stupida, perché in realtà erano quattro persone distinte, e John sapeva che si sarebbe pentito del proprio stesso infantilismo di lì a breve.
«Va tutto bene, Pagey, tutto bene» mormorava Robert, come una cantilena, accarezzando la schiena scheletrica del chitarrista, soffermando le dita sulle sue scapole sporgenti come piccole ali.
Erano in una buia camera d'hotel, in attesa che arrivassero le limousine; Jimmy aveva posato la testa sulla spalla del biondo, singhiozzando e perdendosi nei suoi capelli, con Bonzo accovacciato davanti e lui, John, che gli teneva una mano sul braccio. Anche gli occhi degli altri erano lucidi, ed il modo in cui il respiro di Percy affogava nei capelli di Page era sufficiente a lasciar capire quanto fossero effettivamente coinvolti.
Poi Jimmy, dopo un altro paio di singhiozzi, aveva deglutito e si era staccato un po' dal cantante, appoggiando la schiena contro Jonesy e la spalla contro Robert e sorridendo a tutti e tre con gli occhi bassi. 
«Grazie» aveva mormorato, strofinandosi gli occhi. «Grazie» aveva ripetuto con un filo di voce a malapena, e le mani di Plant erano passate in una carezza veloce nei suoi capelli, scostandoglieli dal viso umido, con una tenerezza che sembrava superare qualunque confine fisico e verbale - qualcosa che aveva toccato i due John così nel profondo da costringerli a distogliere un po' lo sguardo, come ogni volta che quei due stavano troppo, decisamente troppo vicini.

Long as I can see the light.

Quella sera John scese, per un impulso misterioso, ai piani inferiori del nuovo albergo della nuova città in cui si erano trasferiti, e lo trovò lì al buio, con solo una candela accesa davanti.
Quando si avvicinò, notò che accanto alle sue mani c'era un piccolo cimitero di fiammiferi rotti; si doveva essere scottato le dita, ed era una cosa che succedeva di frequente, perché Jimmy ed il fuoco non andavano d'accordo sotto nessun punto di vista, e sembrava sempre che facessero a gara a chi si consuma di più, e più in fretta.
Jonesy si sedette di fronte a lui, e Page alzò mestamente la testa. Teneva davanti a sé un foglio di carta spessa, da lettere, elegante, con il sigillo dell'hotel dov'era venuta la ragazza. La scrittura che lo ricopriva ricordava quella di un bambino che ha appena imparato a scrivere: le lettere erano grosse, in stampatello marcato, la penna che affondava senza pietà nella carta e l'inchiostro sbavato in alcuni punti.
Riuscì a leggere solo poche parole, nella luce guizzante della candela, ma da come le mani del chitarrista tormentavano il foglio si capiva che in realtà voleva solo mostrarglielo, non farlo venire a conoscenza del contenuto.
«Dice che aveva previsto la mia morte» sussurrò Jimmy. «La ragazza, dico.» Deglutì con forza. «Una stanza buia, persone grandi e grosse che incombono su di me» gli sfuggì una risatina fievole. «Niente di diverso dal solito.»
«Cosa ti facevano?» chiese John, chinandosi verso di lui con le mani aperte sul tavolo.
Le mani di Jimmy tremavano quando si portò alla bocca un bicchierino pieno per metà di liquido ambrato, e solo allora lui si accorse della bottiglia di Jack Daniel's nascosta nelle ombre che circondavano il cerchio di luce generato dalla candela. «Mi aprivano la pancia» disse, posando seccamente il bicchierino sul tavolo. La sua voce era molto ferma, ora. «E mi tiravano fuori il cuore. Ma piano. Ed io rimanevo cosciente, e urlavo. Poi diventa tutto confuso, non riesco quasi a capire cosa c'è scritto.» Si passò il dorso di una mano sugli occhi.
Rimasero per un attimo in silenzio, John che guardava Jimmy, e Jimmy che fissava non si capiva bene se il bicchiere o la lettera.
«Non avrei dovuto lasciarmi shoccare così tanto, non credi?» Formulò la domanda come se davvero volesse una sua risposta sincera, e attese anche un attimo per dargli il tempo di replicare. Ma Jonesy si limitò a guardarlo: avevano occhi simili, notò, perché invece di splendere alla luce, mostrando il loro vero colore, la inghiottivano, e diventavano quasi neri.
«È solo che ho pensato che» prese un piccolo sorso «se Rick non fosse Rick, se ci fosse stato qualcun altro meno furbo, lei sarebbe passata, ed io… Non so, l'avrei scopata, e probabilmente poi lei mi avrebbe piantato un coltello nella pancia. È questo che mi tormenta. Quanto ci sia andata vicino.»
Poi Jimmy tacque, quasi che il discorso fosse concluso, ed il crollo che aveva avuto poche ore prima fosse già passato.
Jonesy lo guardò, e fu certo che gliene stesse parlando perché voleva essere frainteso. Non avrebbe potuto fare quel discorso con Robert perché il biondo lo conosceva troppo bene, e allo stesso modo lo amava - ormai il verbo era quello, lo era sempre stato - in un modo che impediva l'uno all'altro di mentire.
Jimmy, ancora una volta, l'aveva sottovalutato, pensò con un mezzo sorriso. Allungò una mano e trovò facilmente la bottiglia di whiskey ed un altro bicchiere, che riempì per metà con attenzione meticolosa. «Per quanto tu sia uno pieno di paranoie e seghe mentali, Page, dubito che te ne stia qui al buio di notte solo per rimuginare su ciò che avrebbe potuto succedere.» Lo guardò di sottecchi portandosi l'alcol alle labbra.
Jimmy irrigidì quelle sue spallucce ridicolmente sottili per un attimo, poi alzò gli occhi ed il modo in cui lo guardò - oh, era la cosa più fragile e sperduta che avesse mai visto, anche più di un neonato, di un cucciolo di gatto. «Te ne sei accorto così facilmente?» replicò infine Pagey, con la voce che gli tremava. Tremava tutto, a dir la verità, e John desiderò che ci fosse Robert al suo posto, Robert così luminoso che riusciva a riportare la lucidità e la voglia di vivere anche nella mente più sconvolta solo con uno sguardo partecipe.
Ma c'era lui, e fece un breve sorriso, simile all'ammiccare di una stella nel cielo buio. «Mi sottovaluti, Page» disse, stavolta ad alta voce.
Persino lui ci aveva messo tempo ad accorgersene, perché loro erano diversi l'uno dall'altro nel più completo dei modi, e quindi sembravano fatti per respingersi: ma c'era in loro quello stesso senso di responsabilità che li avvicinava. Nessuno capiva, neanche Jimmy, neanche lui - non fino in fondo -che in realtà erano molto più complementari di quanto non volessero anche solo credere.
Forse perché guardarsi negli occhi mostrava loro troppo di ciò che avrebbero potuto essere se avessero fatto altre scelte, percorso altre strade.
«Lo so cos'è che ti ha terrorizzato tanto» mormorò, raccogliendo con la punta del dito una goccia di liquore che stava lentamente rotolando lungo il bicchiere.
Le spalle di Jimmy erano scosse da un tremito tanto forte che si meravigliò non gli battessero i denti.
«Sai che è colpa tua» sussurrò ancora John, e la sua voce aveva un che di sibillino. Nel buio e nel silenzio di quel grande salone, in cui le sedie vuote indicavano nient'altro che polle di solitudine, riempite e subito svuotate di nuovo, di tanto in tanto si udiva lo sfrecciare di una macchina nella strada laggiù, tanto lontana da loro quanto lo era una casa sicura.
Jimmy si curvò su se stesso. Persino il suo soprannome sembrava parlare della sua fragilità. Sembrava un filo di cristallo di una qualche scultura futurista che non sa come reggere il proprio stesso peso.
Raccolse un respiro grande come il mondo, socchiudendo quelle labbra che a Jonesy, chissà perché, ricordavano quelle di un bambino. «Perché mi sono scoperto troppo» concluse Page. «Volevo essere grande e… non so. Non so come dirtelo, John. Non so neanche… Cosa credevo di fare? Non ho mai voluto convincere nessuno delle mie convinzioni. Solo parlare a ruota libera, sentendomi vivo, sentendomi potente. Sapendo che qualcuno mi stava ascoltando.»
Si accasciò contro la sedia e rise di una risata sfatta e sgangherata, e sempre ridendo blandamente aggiunse: «Una volta Robert mi ha detto che sembro un bambino abbandonato. Anzi, ciò che resta di un bambino abbandonato.» S'interruppe, e fissò lo sguardo nel vuoto, forse ricordando altre parti di quella conversazione.
Jonesy si chiese quanto avesse bevuto prima che lui lo trovasse.
Poi Jimmy si sfregò i polsi sugli occhi e rimase un attimo in quella posizione. «Ho voluto uscire dalla mia ombra perché mi ha sempre attratto la luce. Ma adesso mi fa male agli occhi, e la mia ombra è ormai troppo piccola per tornare a nascondermi dentro di essa.»
Si passò la lingua sul palato con un gesto voluttuoso che John gli aveva visto compiere mille volte in presenza delle groupies o quando beveva molto. «Te la ricordi, vero?» sussurrò infine.
«Sì» rispose, senza neanche chiedere chi: erano passati quasi anni, ormai, eppure la memoria di quella ragazza continuava a tornargli in mente di tanto in tanto, strappandogli un sorriso.
«Chi era?» domandò ancora Jimmy, strofinandosi l'angolo di un occhio eppure riuscendo ugualmente ad osservarlo come se volesse leggerglielo nell'anima.
«Non lo so» rispose Jonesy, con una certa afflizione; e le parole successive gli uscirono così, sussurrate e pensose - e forse aveva bevuto anche lui un po' troppo, perché solo allora si accorse di aver svuotato tre o quattro volte il bicchiere. «Forse era un angelo» mormorò.
Lui e Jimmy si guardarono un attimo, e alla fine si scambiarono un pallido sorriso, mentre un'auto particolarmente rumorosa passava laggiù nella strada. 
«Socchiudi gli occhi, Page» mormorò Jones, dolcemente, quasi come avrebbe fatto con una delle sue figlie spaventate dal buio. Jimmy era spaventato dalla luce, ma aveva quella stessa fragilità sperduta dei bambini che cercano la mano del genitore quando fuori scende la notte. «Schermati come puoi e prosegui. Ormai hai scelto la luce. E devi proseguire fin dove vedi la luce.»

Jimmy.

La sera dopo, Jimmy buttò la lettera della sua quasi-assassina nel caminetto dello Starship, che si era fatto accendere di grazia da Cole.
John non avrebbe potuto dimenticare neanche volendolo la sua figura sottile stagliata contro il fuoco, i capelli scuri che diventavano biondi sulle punte e quella curva sottile delle sue spalle.
Dopo quella notte, Jimmy non si aprì mai più con lui. Anzi, iniziò a sfuggirgli, a diventargli ostile. E lui non se la prese, perché Page diventava giorno dopo giorno sottile come lo stelo di un fiore e quasi più fragile, ed è questo che le persone fragili e sperdute e piene di dolore - un dolore insensato - fanno per non soffrire.
Però scappare dalla luce è difficile, non è vero, James?
Col senno di poi, avrebbe voluto che quella conversazione avvenisse di giorno, sotto la luce splendente del sole. Allora forse avrebbe potuto stringere la mano di Page ed infilare un fiore nei suoi capelli, per mostrargli quanto la luce potesse essere bella.
Ma le cose prendono il corso che vogliono, e anche se John non era mai stato un grande fan di cose come il destino e la sorte, aveva saputo, in quel modo sottile in cui le persone sensibili riescono a sapere le cose, che non avrebbe potuto andare in altro modo che così.
Ci sono persone che, semplicemente, hanno bisogno di autodistruggersi per tornare intere. Forse un giorno Jimmy ci sarebbe riuscito: allora se lo sarebbe visto comparire davanti alla porta di casa, con gli occhi luminosi come quand'era un giovane sessionman; una sacca in spalla e «Vado in autostop in India, Jones, forse riesco a procurarmi un po' di nuovi spunti musicali. Non sparire mentre non ci sono, eh?»

Dark Sweet Lady.

«Cosa stai pensando, John?» La voce alle sue spalle era dolce e vellutata, e gli era mancata così tanto che per un attimo gli s'inumidirono gli occhi.
Si lasciò cadere all'indietro e lei lo prese, mantenendo l'equilibrio così come l'aveva mantenuto nella loro vita.
«Ancora sigarette, eh?» domandò poi Maureen, fissando corrucciata il bastoncino fumante fra le sue dita. Gli si posizionò davanti per scrutarlo meglio con un piccolo cipiglio. 
«Sì, è una brutta abitudine. Lo so.» Le sorrise, sornione, avvicinando il viso al suo e sfiorandole un po' il naso col suo. Mo gli fece scorrere le dita sulle braccia, affondando un po' nella piega morbida fra il braccio ed il costato. Aveva le dita calde. 
La baciò, ma lei si allontanò un po', arricciando il naso. «Puzzi di fumo.»
John rise. «Mi spiace se la prima cosa che senti quando torno è la puzza.»
Per la verità era tornato già da alcuni giorni, ma ci voleva tempo per abituarsi al fatto che quella era una casa stabile, fissa, sua, in cui poteva rimanere senza dover preparare di nuovo i bagagli al mattino per dirigersi da qualche altra parte.
Gli piaceva quello stile di vita, viaggiare e suonare, ma c'era sempre qualcosa in lui che lo implorava di stare a casa, vedere le sue bambine crescere - era sempre un piccolo shock ritrovarle molto più cresciute ogni volta che tornava a casa.
Per i primi giorni dopo il ritorno a casa doveva abituarsi ai loro nuovi tagli di capelli, al fatto che riuscissero ad afferrargli il polso senza doversi alzare sulle punte dei piedini, al fatto che avessero imparato nuove parole; e anche loro dovevano riadattarsi a lui, a quel papà che c'era e non c'era.
Si sistemò meglio fra le braccia di Mo e spense la sigaretta contro il tacco dello stivale. «Meglio?»
«Uhm, sì» Gli accarezzò lievemente il capo. «Adoro quando i capelli ti vengono di questo colore» aggiunse, e lui rise, prendendole delicatamente i polsi e baciandola ancora. 
«Le bambine?» domandò, quando fu piuttosto sicuro che la puzza di sigarette non le importasse poi così tanto.
«Mmmh… Sono a casa con Martha, stava per fare il bagno a Tamara. Dopo ceniamo, e tu devi venire dentro, uhm? O ti verrà qualcosa. Non sei tanto robusto.» Gli pizzicò il fianco e fece un'espressione leggermente preoccupata notando la sporgenza delle sue costole.
John rise quietamente, baciandola ancora. «Certo che vengo. Stavo solo guardando il tramonto…»
Si alzarono e s'incamminarono verso casa: quando Mo aveva già aperto la porta, si voltò verso di lui, il capo leggermente inclinato nella sua direzione, e disse: «Comunque, fumo a parte, è bello che tu sia tornato.»
Lui le diede una spintarella. «Poteva andarti peggio; avrei potuto fumare sigari come Peter…»
Dio, quanto gli era mancata la sua risata.

 

Tragic Magic (Evening Blue).

L'aria tutt'attorno a loro era fresca come soffi si bambini spiritosi sul viso mentre stai dormendo. John si passò una mano sugli occhi, distendendo le spalle e tentando di smettere di sentirsi così inumanamente stanco; aveva solo voglia di dormire, eppure il paesaggio fuori da quella finestra l'aveva attratto inevitabilmente.
E l'aveva trovato lì, fuori dal contesto che lo voleva dentro fra droghe e ragazze, e insieme così straordinariamente naturale in quella cornice di natura e libertà. Gli si era avvicinato e si era poggiato sulla balaustra coi gomiti, sorridendogli. «Ehi, Plant.»
Robert si era voltato e aveva sorriso. «Ciao, Jonesy. Non sei sparito?» e fece una piccola risata dolce, che cancellava la frecciatina in quelle parole.
John rise a sua volta, appoggiandosi per un attimo con la spalla alla sua. «E tu, non vai dentro?»
Per un attimo, il viso di Percy si rabbuiò. «No, stasera no. È troppo bello, non credi?»
La California stessa era bella, piena di gente, sole, vita. Un giorno gli sarebbe piaciuto potervi portare le sue bambine. Un giorno, quando non avrebbe più avuto il significato di notti infinite passate in locali e camere d'albergo buie, piene di gente. Forse era lo stesso pensiero che stava facendo anche Percy, nella sua tranquilla solitudine. 
Giù, in basso, sulla spiaggia, si vedevano minuscoli puntolini di luce di tanti falò. 
«Immagina tutti quei ragazzi con tutti i loro sogni laggiù, che si amano e bevono e fumano, proprio come lo stiamo facendo noi; ma nel loro modo di farlo c'è più innocenza e dolcezza, e tu sai che non lo stanno facendo per guarirsi o scappare, ma semplicemente perché sono giovani e vivi.» Robert fece quel discorso con la voce bassa, così all'improvviso da lasciarlo incapace di replicare. Eppure quelle parole gli entrarono nelle vene, lente e dolci come il suo stesso sangue, e le sentì così forti nella testa e nel cuore che seppe di essere in perfetta sintonia, almeno quella sera, con quel piccolo sole di nome Robert Anthony Plant.
Si appoggiò di nuovo alla sua spalla. «Jimmy non sta bene, vero?»
Percy fece un piccolo sorriso. «Lieto che qualcun altro lo noti.»
«È difficile non notarlo. Sembra che stia… scomparendo.»
Il biondo fece un sospiro. «Un tempo avevo l'assoluta fiducia che lui ce l'avrebbe fatta, che sarebbe passato indenne attraverso tutto questo. Sembrava invincibile, troppo intelligente e furbo per lasciarsi fottere così. Evidentemente non lo conoscevo abbastanza bene. Forse ero troppo innamorato di lui per vedere quanto fosse fragile.»
«Nessuno se n'era accorto, all'inizio» tentò di consolarlo, posandogli una mano sulla spalla. «Forse solo Peter.»
Robert annuì, ma non sembrava che quella consapevolezza lo facesse sentire meglio. Socchiuse semplicemente gli occhi, inclinando un po' la testa all'indietro. Poi riaprì le palpebre, e le stelle sembrarono specchiarsi in quegli occhi così incredibilmente azzurri. «E quando poi me ne sono accorto» continuò «ho pensato di volerlo proteggere e stringere più forte che potevo. Per non lasciarlo volare via, sai. Ma non era questo ciò di cui lui aveva bisogno, ed ha iniziato ad allontanarmi. Non vuole accettare di essere… se stesso.»
Jonesy gli passò il braccio attorno alle spalle e Percy, sospirando, glielo passò attorno alla vita. «Finirà in pezzi.» Quella sua bella voce tremò, mentre appoggiava la testa sulla sua spalla. «È troppo testardo per tornare indietro, ma adesso ho capito che ciò che più vuole non è aiuto - sia mio o tuo o di chiunque - ma solo essere lasciato solo a fare le sue scelte, essere libero di rotolare giù per la sua china e cadere e cadere. Come se si stesse punendo per qualcosa di cui non ha neanche colpa.»
E si trovarono abbracciati, così, perché improvvisamente persino Robert sembrava troppo fragile per reggere quella certezza; e Percy era davvero una delle persone più forti che lui avesse mai conosciuto. E Jonesy conosceva quella sensazione come di finire in pezzi che sono la vicinanza di qualcuno che ti vuol bene può lenire. 
«Conosci Jimmy. Può finir solo orrendamente male oppure talmente bene da lasciarti a bocca aperta, a maledirlo perché è un fottuto cazzone.»
Percy rise e appoggiò la guancia contro la sua. «Dillo ancora.»
«Page è un fottuto cazzone, ma sa quello che fa, il più delle volte. Vedrai, un giorno lo incontreremo e sarà stronzo esattamente come ora, con più ciccia addosso e l'aria serena di chi non ha mai avuto un problema in vita sua, cosa che fra l'altro sarà anche il suo modo più sfacciato di prenderci tutti per il culo.»
Un'altra piccola risata, e Jonesy sorrise a sua volta, passandosi la lingua sulle labbra per continuare. «Ci farà la sua migliore faccia da schiaffi e riprenderemo tutti a corrergli dietro come fossimo le sue fottute puttane, perché, in fondo, chi è che non rimane affascinato da lui?»
Le spalle di Robert si rilassarono sotto le sue mani, poi si ritrovò il suo viso a due centimetri, naso a naso, ed infine le labbra sottili di Percy si posarono sulle sue, in uno bacio che gli ricordò quelli delle sue bambine per quanto era semplice e dolce: un modo come un altro per dire grazie.
«E poi i giornali dicono che sei inutile e sottovalutato» sussurrò Robert, tornando ad abbracciarlo.
«Lo prendo come un complimento» replicò tranquillamente John.
«Saresti davvero stupido a non farlo, Jonesy.»

Robert.

Non ne parlarono più, ma sapevano che ciò che si erano detti su quel balcone era un semplice palliativo alle loro ansie. Jimmy divenne sempre più magro e Bonzo sempre più sperduto, e loro si guardavano e andavano avanti come potevano nonostante facesse male quanto avere una spina conficcata nel cuore; vedere quella parte della loro vita, la migliore, finire così tragicamente, dolorosamente, mentre i media vi si accalcavano sopra come avvoltoi.
Eppure Robert resisteva. Aveva un sorriso che sembrava spezzarlo in due sul viso e resisteva, guardando Jimmy come se si aspettasse di vederlo cadere a terra da un momento all'altro - lo sguardo che tutti ormai avevano nei confronti di Page - e lo toccava come se volesse tenerlo insieme fra le sue mani, come fosse un bambino.
Quando gli avevano descritto Robert per la prima volta, gliene avevano parlato come un principe delle fiabe mancato; lui, vedendolo, aveva pensato a Teddy Bear di Elvis. Adesso però riusciva a capire il perché di quella descrizione così sdolcinata. Che lo sapesse o no, Robert aveva quello stesso stoicismo dei nobili nelle fiabe del passato.

Love comes to everyone.

«Papà!» quella vocina sottile lo svegliò, una mano piccola e sudata gli scuoteva la spalla. 
Si voltò con gli occhi pesti socchiusi. «Cosa…?»
«Papà!» esclamò di nuovo la vocina.
«Jacinda?» si sfregò gli occhi e finalmente riuscì a vederla nel buio della stanza; era in camicia da notte, coi capelli biondicci arruffati e l'aria di poter scoppiare in lacrime da un momento all'altro.
«Papà, ho fatto un sogno bruttissimo.»
Anche Mo si svegliò, sentì il suo movimento dietro la sua schiena, un sospiro appena soffocato. La sera prima gliel'aveva detto: «Jacinda è nell'età dei brutti sogni», e lui aveva ridacchiato.
Al momento però era una questione seria, visto che lui voleva solo dormire. Però si mise a sedere e le prese le manine tremanti. «E cos'hai sognato?»
Lei si morse le labbra e scosse la testa, tendendo le braccia e lasciandosi abbracciare. «Posso dormire con voi?» sussurrò.
«Vieni» rispose Jonesy, stendendosi di nuovo e facendole spazio; lei ne occupò pochissimo, era ancora così piccola! La guardò con affetto mentre lei gli affondava una mano nei capelli. «Sono diventati lunghissimi, pa'. Posso farti le treccine?»
Lui soffocò una risata assonnata. «Domani, okay?» Le passò un braccio attorno alle spalle e le baciò la fronte.
«Mmmh, va bene» la voce della bambina era già più assonnata. «Sono felice che tu sia tornato, mamma non se le lascia fare mai» disse in uno sbadiglio, e poi si addormentò, e John, con un sorriso, subito dopo di lei.
Non doveva essere più tardi che una mezz'oretta dopo che si sentì un trambusto vicino alla porta e la voce rabbiosa di una bambina. «Vai via, Tam!»
«Sei cattiva!» era un sussurro piagnucoloso, questo. «Voglio starci anch'io, vicino a papà!»
«Mmh?»
«Pa', vero che posso stare anch'io vicino a te?»
«Tamara, hai fatto anche tu un brutto sogno?» Parlare gli era difficile, e riusciva a malapena a vedere il viso di lei, visto che i suoi occhi proprio non volevano aprirsi.
«No, voglio stare con te e Jacie non me lo lascia fare!»
«Va bene, va bene» sussurrò lui. «Vieni a metterti fra me e la mamma. Non svegliatela, okay?»
«Sì!» cinguettò Tamara, poi si arrampicò addosso a lui e sua sorella - che si lasciò sfuggire un «Ahio!» piuttosto rumoroso - e si sistemò con una certa soddisfazione sotto le coperte, premurandosi poi di schioccare un bacino sulla guancia di suo padre. «Mi pizzichi!» esclamò poi, abbracciandolo.
«Domani mi faccio la barba» bofonchiò Jonesy, addormentandosi di nuovo.
Purtroppo fu totalmente inutile, perché gli parve un secondo dopo quando si udì un pianto piuttosto forte provenire dalla stanza accanto alla loro. John si svegliò di soprassalto, e si accorse di avere entrambe le bambine addosso ed il pianto della terza nelle orecchie.
Imprecando sottovoce, si districò da coperte e bramine e barcollò lungo il corridoio, fino a entrare nella stanza buia. «Kierra?» domandò.
«P-papà?» balbettò la più piccola delle sue figlie, voltando la testa verso di lui. Ad illuminare i suoi capelli rossi c'era solo un piccolo lume da notte, e lui notò che aveva il visetto sfatto di lacrime.
«Oh, tesoro, che succede?» Si chinò sul suo lettino e la prese in braccio, notando per la centesima volta ch'era diventata più grande e pesante.
Lei gli si avviticchiò addosso come una specie di pianta rampicante e gli affondò il viso nei capelli. «Jacy e Tam sono cattive! Mi lasciano sempre qui da sola e vanno a dormire con la mamma ed io non posso andarci perché il corridoio è troppo buio!» Tremava forte e lui le accarezzò la schiena, sperando di farla calmare.
«Forza, andiamo a dormire, vuoi?»
Lei annuì e singhiozzò un altro paio di volte; mentre percorrevano il corridoio gli tenne la testa affondata nel collo come un uccellino che tiene il capo sotto l'ala, ed infine si ritrovarono nella camera da letto. Tamara si era appiccicata a sua madre, mentre Jacinda stava tutta raggomitolata vicino al suo posto.
John si rimise lentamente sotto le coperte, senza mai lasciare la presa su Kierra, che poi posò fra sé e Tamara senza rumore. La bambina voltò le spalle a sua sorella e si accomodò più comodamente addosso a lui - ecco cosa pensavano di lui le sue figlie: che fosse un cuscino, ridacchiò  fra sé e sé.
Dopo neanche un secondo dopo, la sua bambina stava dormendo, e la voce di Mo si alzò assonnata e scherzosa dall'altro capo del letto: «Ti era mancato anche questo, scommetto.»
«E a te era mancato che venissero da me invece che da te» soffiò lui, carezzando la guancia ancora bagnata della più piccola.
«Touché» mormorò Maureen.

La mattina dopo era pieno di nebbia, tanto fitta e bianca da far sembrare che avesse nevicato. 
Martha, la loro bambinaia, passò a prendere le bambine per portarle all'asilo, e lui e Maureen fecero l'amore come due adolescenti, ridacchiando e toccandosi quasi sgraziatamente ma con dolcezza, e poi si ritrovarono a fare colazione tardissimo, mentre ascoltavano un vinile di Charles Mingus e lei lo prendeva in giro perché finalmente le bambine avevano qualcuno che si lasciasse fare le treccine - come testimoniavano i suoi capelli che Jacinda aveva avuto la premura di annodare amorevolmente prima di entrare in macchina.

With a little help from my friends.

L'aereo rollava sotto di lui, muovendosi a un ritmo irregolare.
La maggior parte degli altri passeggeri erano ormai andati a dormire, ed i pochi ancora svegli formavano un gruppetto di sei-sette persone intente a parlottare nervosamente.
Lo Starship era entrato in turbolenza da quasi un'ora, ormai, e anche se il pilota non era preoccupato tutti provavano almeno una punta d'ansia.
In realtà John era tranquillo. Volare gli piaceva molto. Gli piaceva oltrepassare gli strati di nuvole e poter vedere le luci delle città sotto di loro; sembravano campi di stelle persi sulla terra.
Una persona che non la pensava così si lasciò cadere pesantemente sul sedile accanto al suo.
Jonesy si voltò e sorrise. «Tutto a posto, Bonz?»
Il batterista gli lanciò un'occhiataccia. «Non prendermi per il culo, Jones» disse, e in contraddizione col suo sguardo bieco la sua voce suonò quasi supplichevole. «Ci ha già pensato Percy.»
John rise. «Ti ha chiesto se volevi dormire nel lettone con lui e Jimmy come un bravo bambino?»
«Più o meno» sul viso di Bonzo passò un mezzo sorriso. «Quei due scopano come ricci, è inquietante.»
«Anche tu l'avrai fatto con Pat, non appena vi siete innamorati.»
«Lo facciamo tutt'ora» precisò Bonham, con espressione soddisfatta. Poi l'aereo ebbe un'altro scossone e lui deglutì sonoramente, lanciando un'occhiata terrorizzata fuori dal finestrino bagnato di pioggia.
«Oh, piantala di preoccuparti, John! Non ci schianteremo» lo riprese Jonesy, scuotendo la testa. In confronto a come Bonzo stava seduto, con i braccioli stretti fra le mani e la schiena tesa, lui sembrava l'immagine della rilassatezza, quasi fosse appena uscito da un centro benessere.
«Mai sentito parlare della Legge di Murphy?» ribatté nervosamente.
«Mai sentito parlare del fatto che c'è la possibilità dell'1% che l'aereo cada?» Jonesy rise. «Andiamo, John; col nostro stile di vita, questa turbolenza è meno pericolosa di un cavatappi.»
«Se te lo lanciano addosso, un cavatappi fa male.»
«Appunto.»
Rimasero per un po' in silenzio, ma all'ennesimo scossone John imprecò così forte che alcuni del gruppetto parlottante voltarono la testa per lanciargli un'occhiata quasi scandalizzata. 
Jonesy ridacchiò. «Va bene, Bonzs, vediamo un po'. Cos'è che potrebbe calmarti?»
«Un bicchiere di whisky grande quanto la tua testa» bofonchiò Bonham.
Lui rise ancora. «Meglio di no, vomiteresti e lo sai.»
Bonzo replicò con un grugnito, forse vagamente divertito.
«Okay. Allora lascia che ti spieghi perché volare è splendido.»
«Perché è più veloce di un tour bus?»
John scosse la testa. «Guarda fuori dalla finestra. C'è tutto il mondo là fuori, e potresti quasi toccarlo. Di giorno vedi il cielo del suo vero colore, ed il mare è una distesa di pietre preziose luccicanti al sole. E poi sei dentro una nuvola - non è un modo poetico per spiegare ciò che stiamo attraversando? E poi, di notte, sei circondato da stelle. Quelle in cielo e quelle sulla terra, e non importa che siano luci elettriche. Ma tu sai che ognuna di quelle stelle corrisponde a una vita, una storia, una famiglia, e non esiste più né cielo né terra… sei semplicemente in mezzo alla vita. Capisci, Bonzs?»
«Mmm…»
Jonesy rise. «Scommetto che stai pensando che io mi sia rincitrullito.»
«Nah. Ho semplicemente capito perché le tue figlie ti adorano così tanto.»
John lo guardò, interdetto. Bonzo ridacchiò alla vista della sua espressione confusa. «Sei un bravo cantastorie, Jonesy, non credi che dovresti mettere a frutto questa capacità?»
«Mah, Robert è molto più bravo di me.»
«Percy è una cosa a parte, e poi, dai, almeno tu non dedicheresti tutti i tuoi testi a un chitarrista ninfomane dal sesso dubbio e una faccia da schiaffi grande come quest'aereo.»
Risero insieme, mentre lo Starship ballonzolava un altro po'; e quando la turbolenza passò senza che loro fossero ancora riusciti a riprendere fiato - chissà perché prendere per il culo Jimmy era così divertente, poi - Jonesy sogghignò e disse: «Lascio il posto a Robert, ma almeno potrò vantarmi di averti fatto passare la paura per una mezz'oretta.»
Bonzo gli diede una spintarella, senza smettere di sghignazzare.

John.

Era come un bambino troppo cresciuto, che vedesse tutto per la prima volta. Durante il primo anno lui e Robert non facevano altro che starsi appiccicati e meravigliarsi di tutto - come lo ricordava bene.
Non era cambiato molto da allora, se non forse in una rivelata passione senza freni per la vita.
Gli piaceva andare veloce e poi starsene sdraiato su un prato e dormire, e forse era la persona più semplice che lui avesse mai conosciuto, con quel piacere che aveva a sorridere alle persone, e quella sua aria tanto feroce quando perdeva il controllo.
A distanza d'anni, faceva ancora male pensarci, e quindi preferiva ricordare altre cose. Preferiva ricordare i suoi occhi fra il verde e il castano, la sua risata ed i suoi modi quasi infantili, e quanto fosse bello starsene accanto alla sua enorme batteria durante i concerti, e diventare una cosa sola nel ritmo - erano quelle le uniche cose che importavano, solo quelle.

Here comes the moon.

Adesso che faceva più buio lo sentiva nelle ossa, quel piccolo dolore che di sicuro a portargli era stato la vecchiaia.
Il cielo era pieno di nebbia, e lui si sentiva come se avesse fatto ritorno dopo un lungo viaggio. Era sempre così, da un po', perché il passato sembrava avvicinarsi, e lui sceglieva ogni piccolo ricordo e lo metteva da parte, brillante e colorato come una stella. I ricordi importanti, oltre che quelli belli. Gli altri era meglio lasciarli scivolare via, ché ci avrebbe pensato qualcun altro a tenerli a mente.
La mano di Mo era nella sua, adesso, ancora piccola e morbida. Guardavano insieme la luna che saliva nel cielo, oltre la foschia.
Era incredibile essere ancora insieme dopo tanto tempo, ed era quello l'unico motivo per cui sentiva sempre di avere una casa, anche se ogni giorno era un viaggio in altri mondi.

Expecting to fly.

Se avesse dovuto scegliere un ricordo fra tutti, ne avrebbe scelto uno in Giappone. Bron-Yr-Aur li aveva resi tanto affiatati da farli sentire come un'unica persona.
Non ricordava perché, a dir la verità, si fossero trovati sul tetto del loro hotel, loro da soli, mezzi nudi e totalmente fuori di testa. Sapeva solo che un attimo prima c'erano fumo e corpi e quello dopo solo l'aria fredda e le stelle sopra la loro testa.
«Accidenti!» Robert l'aveva urlato, aggrappato al collo di Jimmy come se non riuscisse bene a rimanere in equilibrio. Il moro, con aria del tutto naturale, gli teneva le mani infilate nelle tasche posteriori dei pantaloni e guardava verso l'alto con gli occhi verdi quasi neri nella luce fioca della luna.
«Sembra che una nave spaziale possa venire a prenderci da un momento all'altro!» continuò il cantante.
«Hai visto troppi film di fantascienza, Perce» rise Bonzo, appoggiandosi alla balaustra.
Jonesy teneva la testa reclinata all'indietro, e dentro di sé diede ragione a Percy: sembrava davvero che fossero sul punto di volare via.
Poi, chissà perché, si tenevano tutti per mano, guardando verso l'alto. Il mondo era infinito sia sotto che sopra di loro, tutte le possibilità danzavano loro attorno come piume nel vento, ed improvvisamente urlavano, urlavano di gioia e di libertà, ed erano quattro in una persona sola, ed era come se stessero solo aspettando un soffio di vento più forte che li sollevasse in aria, a volare.



 

Credits titoli: Expecting to Fly - Buffalo Springfield.

Blow away

Credits titoli: Expecting to Fly - Buffalo Springfield.
From the Beginning - Emerson, Lake & Palmer.
Blow away - George Harrison.
The Smile of your Shadow - John Paul Jones
Rosebud - Jeff Beck.
Long as I can see the light - Creedence Clearwater Revival.
Dark Sweet Lady - George Harrison.
Tragic Magic & Evening Blue (purtroppo su youtube non c'è la versione studio ^^) - Traffic.
Love comes to everyone - George Harrison.
With a little help from my friends - Beatles.
Here comes the moon (demo version) - George Harrison. 

 


***
Ci tengo così tanto a questa storia che avrei miliardi di cose da dirvi in proposito, ma già la lunghezza eccessiva del testo vi avrà uccisi, non vorrei tediarvi anche coi miei scleri insensati ^^ Se volete chiedermi qualcosa in proposito, quindi, lasciatemi una recensione o un messaggio privato *nessuno la caga*
Ah, comunque ho scelto solo canzoni di George per dare i titoli ai paragrafi sulla vita privata di Jonesy perché tutte le canzoni di quel disco (George Harrison, che la mia Peter Thief mi ha pure regalato per Natale *bacia alla francese*) sono la cosa più dolce e delicata che io riesca a immaginare ^^
E fra l'altro qui in mezzo c'è un gender bender di Castiel, l'angioletto di Supernatural (sono fissata, sì, sparatemi e non farà differenza) - non ditemi che non ve n'eravate accorte xD
E OVVIAMENTE, BUON COMPLEANNO, JONESY, TI AMO!
  
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