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Autore: Gio26    06/01/2012    3 recensioni
"Il momento buio della vita arriva per tutti. Improvvisamente, ti sembra che il mondo intero faccia schifo, che non abbia più senso continuare a vivere...
E poi incontri lei, la persona che ti ascolta in silenzio, ti consola, ti consiglia, ti aiuta ad andare avanti, a vivere.
Quella persona ti capisce con uno sguardo, perché tu sei come un libro aperto, per lei.
Ed io avevo incontrato quella persona per caso, in biblioteca, in uno squallido e piatto pomeriggio di settembre."
-
[Songs by: Jimi Hendrix, The Beatles, Bob Dylan, Tom Petty]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Libro 1
LIBRO 1 - Suicidio

[Jimi Hendrix - Manic Depression]
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Manic depression is touching my soul
I know what I want but I just don't know
How to, go about gettin' it
Feeling sweet feeling,
Drops from my fingers, fingers
Manic depression is catchin' my soul

“Suicidio”. Oh, quanto cercavo quel libro!
Mi trovavo in biblioteca, in uno squallido e piatto pomeriggio di settembre. Era ricominciata la scuola da pochi giorni e mi sentivo già a terra: la quarta superiore si prospettava una vera seccatura.
Un bel libro divertente mi ci voleva proprio per tirarmi su di morale.
Anche se ad essere sincera avevo passato anche le vacanze estive a leggere...
E non solo le vacanze. Diciamo che per me la lettura era come una droga: non riuscivo a smettere.
Ultimamente ero arrivata anche al punto di leggere più di un libro a settimana e appena ne concludevo uno avevo la smania di cominciarne un altro. Era una fissazione.
Mia madre diceva che esageravo. È buffo: i genitori quando i figli non leggono si lamentano, quando leggono troppo, si lamentano lo stesso. Non va mai bene nulla, per loro. Ogni cosa è un pretesto per rompere le scatole, soprattutto per mia madre.
In realtà capivo la preoccupazione di mia madre: non era tanto per i soldi che avevo speso per tutti quei libri, perché ora li prendevo in prestito in biblioteca (in realtà non avevo più posto negli scaffali di casa mia); la sua vera preoccupazione era che rimanendo giorno e notte tappata in casa immersa nella lettura, diceva che mi estraniavo dal mondo reale. Balle. Solo perché non avevo amici e non uscivo mai?! Che c'era di male nel vivere un mondo migliore nella fantasia? Non significava che non vivessi la realtà. Non era così! No! Ne ero certa!
Credo...
Ad ogni modo, stavo rigirando i corridoi della biblioteca in cerca di quel libro, ma non lo trovavo. Eppure conoscevo la biblioteca come le mie tasche: oramai era diventata una seconda casa, per me, anzi, passavo più tempo lì che a casa mia. Sapevo benissimo che ce l'avevano, perché lo avevo già visto: conosco tutti i libri che ci sono, lì dentro, e ne ho letti la maggior parte.
Ma “Suicidio” mi mancava, e ora più che mai lo desideravo. Mi serviva. Dovevo trovare l'ispirazione per ammazzarmi in modo dignitoso. Non scherzavo, avevo intenzioni serie. Ormai, senza di lui, la mia vita non aveva senso. Mi sentivo vuota, triste e maledettamente sola. A nessuno sarebbe importato più di tanto: ci sarebbe stato un po' di chiacchiericcio in città, poi nulla: le vite di tutti sarebbero continuave tranquillamente, senza che nulla cambiasse. Di amici che piangessero la mia scomparsa, come ho detto, non ne avevo; mio padre, era come se non lo avessi, perché non c'era mai a causa del lavoro; e quella frustrata di mia madre, sì, forse avrebbe fatto un piantino lì per lì, per lo shock e la sorpresa, ma poi sarebbe stata felice di non avermi più tra le scatole. Nessuno mi voleva davvero bene. Nemmeno io. Per questo avevo deciso di togliermi da questo mondo schifoso. Però voleo farlo in modo elegante, raffinato... Cosicché sorprendessi un po' qualcuno, così avrebbero parlato di me almeno per un po'. Magari, qualcuno si sarebbe sentito in colpa... Magari! Il mio più grande desiderio era finire in prima pagina di un giornale.
"Suicidio" era proprio ciò che faceva a caso mio: dentro vi avrei trovato certamente soluzioni interessanti, e avrei scelto con cura la mia fine. Sapevo anche il punto esatto in cui si trovava, quel libro: sezione C, terzo corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la “S”. Ma non c'era! Non c'era da nessuna parte!
Era un'ora che cercavo senza successo, così mi arresi e mi diressi mio malgrado al bancone per le prenotazioni e le informazioni. Odiavo rivolgermici: non mi serviva mai, ma quello era un caso estremo e dovevo ammettere che ne avevo bisogno. Anche se sapevo già che mi sarebbe servito a poco.
E poi quello che odio di più è dover incrociare la faccia degli impiegati. Quando ero entrata avevo visto chi c'era: la vecchia megera. Non la sopportavo, con quella sua aria da saccente e quegli occhialini a punta! Ma feci un bel respiro e mi avvicinai.
Gli impiegati, spesso, hanno un'aria seccatissima, quasi ti facessero un favore a risponderti: è un miracolo trovarne qualcuno di gentile e disponibile. Una gattara alla quale è morta tutta la sua banda di gatti sarebbe più sorridente. A volte vorrei rispondere: "È il tuo lavoro, quindi devi rispondermi, e a modo. Se non ti piace il tuo lavoro non sono fatti miei."
Quello era uno di quei casi in cui avrei voluto rispondere così. Ma non lo feci: in fondo ero educata. O forse solo codarda.
Odio questa impiegata della biblioteca! Dovevano pagarla proprio una miseria per essere sempre di cattivo umore: era quasi peggio di me. Quasi.
Era scorbutica e indisponente, lei. L'altra era più gentile, quella cicciottella che sembrava una palla con la camicia coi bottoni che davano l'impressione di essere sul punto di saltare da un momento all'altro. Poi c'era l'altro, quel vecchietto sarcastico che veniva solo una volta a settimana, il venerdì. Era piuttosto fastidioso per le sue glaciali battute fuori luogo (freddure, in tutti i sensi), ma era passabile: almeno lui ci provava a risultare simpatico.
La donna-palla era senz'altro la migliore, metteva di buon umore solo a guardarla, tutta tonda e cicciotta com'era. Peccato che non c'era lei. Magari mi avrebbe tirato un po' su di morale, guardandomi con quegli occhiotti tondi. Invece temevo che quella strega mi avrebbe fatto innervosire ancora di più, anzi, era scontato.
La megera stava picchiettando con forza le sue dita ossute sulla tastiera del pc ad una velocità supersonica. Sicuramente stava chattando con uno sconosciuto, invece di lavorare... Anche se in effetti non aveva un cazzo da fare. Già quel picchiettio era snervante, per me.
-Scusi, stavo cercando il libro "Suicidio", ma non lo trovo- le chiesi gentilmente.
-Sezione C, terzo corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la “S”- borbotta senza nemmeno alzare la testa.
-Questo lo so, ho già cercato. Ho detto che non lo trovo.
Quella abbassò sulla punta del naso gli occhialini a punta e alzò gli occhi, dando un po' di tregua alla povera tastiera. Mi guardò con aria stitica. L'avrei presa a schiaffi più che volentieri.
-Vuol dire che non c'è.
“Grazie al cazzo!” gridai nella mia mente; ma mi controllai. Quella dovette aver intuito i miei pensieri. Mi fissava come a pensare “Ma guarda chi si è abbassata alla fine a chiedere aiuto: Miss topo di biblioteca...”
La odiavo.
-Infatti vorrei sapere quando dovrebbe rientrare- Era uno sforzo pazzesco essere gentile. -Può controllare sul database, per favore?- vomitai. Quella tizia da voltastomaco per tutta risposta sbuffò e ricominciò a picchiettare sulla tastiera.
-È stato preso appena 20 minuti fa, quindi non lo ritroverai prima di un mese, probabilmente – mi rispose pochi secondi dopo. - Ma che peccato.- Lo aveva proprio detto a presa di culo. Che rabbia!
-Ho capito. Grazie lo stesso.
Fu una gioia distogliere lo sguardo da quella feccia umana. L'avrebbero dovuta licenziare solo per la sua maleducazione. Ero curiosa di sapere chi l'avesse assunta e con che coraggio: probabilmente era drogato. Forse l'aveva drogato lei.
Mi allontanai stizzita e ancora più incavolata di prima e tornai fra gli scaffali, alla ricerca di un altro libro interessante. I libri erano sempre la soluzione per tutto, per me. Forse avrebbero calmato i miei bollenti spiriti.
Trovai "Omicidio nella notte": il titolo mi ispirava solo per "omicidio", allora decisi che l'avrei preso, anche se sarebbe rimasto solo un indegno sostituto al capolavoro “Suicidio”.
Se pensate che sono il tipo che ama questo genere di argomenti – morte, assassinii, suicidi, malattia, depressione e chi più ne ha più ne metta – beh, ci avete preso in pieno.

Woman so weary, the sweet cause in vain
You make love, you break love
It's all the same
When it's, when it's over, mama
Music, sweet music
I wish I could caress, caress, caress
Manic depression is a frustrating mess

Nonostante tutto, non ero convinta. Quando io andavo con un'idea in testa e me ne tornavo con un'altra, non ero soddisfatta. Così, prima decisi che lo avrei sfogliato un po' nella sala lettura della biblioteca e che poi avrei deciso se prenderlo o meno, nell'attesa di “Suicidio.”
Sospirando, mi sedetti in un tavolo e aprii il libro.
La biblioteca solitamente era sempre vuota, soprattutto nella sala lettura, quindi mi stupii non poco nel notare che c'era qualcuno di fronte a me. Comunque non ci feci troppo caso e aprii la prima pagina.
“Sentii un passo, poi un altro. I passi acceleravano sempre di più. Sentivo che qualcuno mi seguiva. Lo percepivo alle mie spalle e mi misi a correre a perdifiato. Non avevo il coraggio di voltarmi per accertarmi se ci fosse davvero qualcuno o se fosse solo la mia immaginazione. Due mani possenti mi afferrarono, tappandomi la bocca e impedendomi di emettere il grido di terrore che mi attanagliava l'anima...”
Alzai gli occhi, sbuffando. Già dall'inizio sembrava bello, davvero, ma non era lui, non era “Suicidio” e non riuscivo ad accettarlo. Non potevo capacitarmene.
Proprio allora, vidi con mio grande stupore che l'uomo davanti a me aveva la faccia coperta proprio da lui, il mio agognato “Suicidio”. Quell'uomo mi aveva battuto sul tempo! Nessuno poteva: lui era mio!
Scattai in piedi, sbattendo le mani sul tavolino. L'uomo sobbalzò e abbassò il libro.
-Quel libro è...! - “mio”, avrei dovuto concludere, ma rimasi a bocca aperta. - Professor... Spencer? - mi sforzai di ricordare il suo nome, temendo di sbagliarmi e di fare una figuraccia.
-Proprio così: Herberti Spencer, come il filosofo... E per un'ironica coincidenza, io sono un professore di storia e filosofia. Oh, se non erro tu devi essere una mia allieva della quarta … B?
-Quarta A, Julia Hendrix.
-Perdonami, non ho ancora inquadrato le facce e mi ci vuole un po' a memorizzare i nomi.
Alla fine la figuraccia l'aveva fatta lui. Ah ah. Ben gli stava, a quel ladro.
Il professor Spencer era il nuovo insegnante di storia e filosofia, appena trasferitosi nella mia scuola. La scuola era cominciata da appena dieci giorni, e lui lo avevamo visto sì e no due volte, quindi era più che comprensibile che non si ricordava chi fossi.
-Stavi per dirmi qualcosa su questo libro? Ti interessava? - mi chiese indicando “Suicidio” che stringeva fra le mani.
-No, no, nulla... - risposi. Non avevo voglia di risultare antipatica al prof, che non mi conosceva ancora: non avevo alcuna intenzione di fare una brutta impressione.
Così mi sedetti e riaprii il mio libro, ma non riuscivo a finire un rigo perché mi distraevo sempre a fissare quello. Lo volevo così tanto!
-Scusi, professore, in realtà prima stavo per dirle che quel libro che ha preso lei interessava anche a me. L'avrei voluto prendere io ed ero venuta qui apposta, ma a quanto pare mi ha battuta sul tempo – dissi ridendo. In realtà avrei voluto strangolarlo e strapparglielo dalle mani.
-Oh, mi dispiace tanto. Se vuoi te lo cedo.
-No davvero, ci mancherebbe! - In realtà era proprio ciò che volevo. Ngheee.
-Ma figurati, lo prenderò quando l'avrai finito tu – mi disse con un sorriso, allungandomi il libro.
Lo presi delicatamente fra le mani, come se fosse un tesoro prezioso. Ogni libro per me era un tesoro prezioso, e quello non era più bello di altri, ma era quello che desideravo leggere allora e quindi era speciale e insostituibile.
-Grazie, professore. Grazie mille- dissi con gli occhi che mi sbrilluccicavano. Ero troppo furba, yeah.
-Spero che tu studi anche storia e filosofia, Hendrix, oltre che alla musica rock – mi disse, cercando di fare il sarcastico sul mio cognome. Ecco, lo sapevo: era spuntato il professore rompiscatole.
Sospirai. – Sì, prof. La filosofia è una materia interessante...
-No, non lo è affatto – mi rispose. Mi lasciò di sasso. Quel professore si prospettava alquanto strano. – La storia è una materia noiosa e la filosofia è complicata e dannatamente complessa, per non dire alquanto incomprensibile a tratti.
Non sapevo cosa rispondere: ero rimasta con la bocca mezza aperta, basita. Lui lo capì e fece un sorrisetto. – Ma ciò non toglie che siano materie obbligatorie e vadano studiate.
-Certo – risposi con una smorfia. Non volevo e me ne pentii subito, ma avevo agito senza accorgermene.
-Dunque, signorina Jimi... Volevo dire, Julia Hendrix... - "Ci risiamo: ah ah ah. Spiritoso." La cosa buffa era che a me piaceva davvero, Jimi Hendrix: era il mio mito e per me era un onore portare il suo stesso cognome. Però ogni volta tutti facevano i sarcastici sul mio cognome... Che dire: prevedibili. Alla lunga era diventato seccante. – Come mai è interessata al suicidio?
-C-cosa glielo fa pensare? – esclamai. Mi sentii scoperta.
Il professore indicò il libro, sorridendo. Io aggrottai le sopracciglia. – Solo perché voglio leggere un libro che parla di suicidio non vuol dire che...
-Suvvia, non nasconderti. Non vorrei perdere una studentessa a causa mia.
-Stia tranquillo, non è certo a causa sua – ribattei, secca. Continuava a fare il simpatico? Suicidarsi per la scuola era da coglioni. – Sono appena stata scaricata.
-Nel lavandino? - ridacchiò.
-No, nel cesso! - esclamai, ad alta voce. Per fortuna non c'era nessuno, ma la stregaccia delle informazioni si era girata a guardarci, scrollando la testa con aria di superiorità. Quel giorno mi volevano far incazzare proprio tutti?! Come se fossi già allegra. – Perdoni il linguaggio scurrile, prof.
-Tranquilla, non siamo a scuola. E poi, forse ho esagerato un po'.
“Forse?! Decisamente!” pensai stizzita. Ma che razza di professore era per prendersi tutta questa confidenza? – Comunque sono sicuro che non valga la pena privarsi della vita per una delusione amorosa – continuò con aria saccente.
-Lei sta giudicando senza conoscere la situazione, vero? Tipico degli adulti! Crede che sia la solita cotta adolescenziale, ma non è così!
-Allora perché non mi racconti che com'era?

Well, I think I'll go turn myself off,
And go on down
All the way down
Really ain't no use in me hanging around
In your kinda scene
Music, sweet music
I wish I could caress and kiss, kiss
Manic depression is a frustrating mess.

Il professor Spencer mi spiazzò nuovamente. Si era seduto comodamente, a braccia incrociate, pronto ad ascoltarmi. – Sono tutto orecchi.
-Perché dovrei raccontare i miei fatti personali al mio professore?
-Perché a volte fa bene sfogarsi, liberarsi la mente e il cuore dal peso che ci opprime... Scommetto che non lo hai ancora raccontato a nessuno, non è vero?
Colpita e affondata. Ma come lo aveva capito? Ero così prevedibile?
Sospirai, e mi accomodai anche io nella poltroncina.
Tanto non avevo nulla da fare, e nessun altro era disposto ad ascoltarmi. Nessuno mi aspettava, nessuno mi capiva.
-Si chiamava Philip... O meglio, si chiama, perché purtroppo è ancora vivo. Fin da quando sono entrata in prima superiore, mi è sempre piaciuto. Lui è un anno avanti. L'ho sempre ammirato da lontano, sospirando ogni volta che passava per il corridoio e incrociava fortuitamente il mio sguardo; ma lui non sapeva nemmeno che esistessi. Nonostante ciò, non sono mai riuscita a levarmelo dalla testa. Ormai tutta la scuola conosceva i miei sentimenti... Mi sentivo derisa e presa in giro da tutti, perché Phil era considerato il ragazzo più bello della scuola e io ero una racchia sfigata. Non mi avrebbe mai e poi mai considerata: ha sempre avuto un sacco di ragazze stupende che gli giravano intorno. Fino a quando un giorno, alla fine dell'anno scolastico scorso, Phil mi salutò: per la prima volta in tre anni mi rivolse la parola. Mi sentivo in paradiso: non poteva essere che un miracolo. D'un tratto si era accorto di me... Chiacchieravamo a lungo, giorno dopo giorno; ci scambiammo i numeri di telefono, mi chiese di uscire. Alla fine ci siamo messi insieme: è stato il mio primo ragazzo, il mio primo e unico amore.
Mi fermai per riprendere fiato e per controllare che il prof non si fosse addormentato; invece mi aveva davvero ascoltata. Avevo sputato tutta la fottuta verità senza pensarci troppo, come mai avevo fatto. Guardai negli occhi il professor Spencer, che era rimasto ad ascoltarmi in un rispettoso silenzio. Stranamente non mi aveva interrotta con stupide domande inutili e imbarazzanti, come invece mi sarei immaginata.
-Sembra una storia molto romantica – commentò lui. – Ma non siamo ancora arrivati al punto in cui tu decidi di suicidarti. Continua.
-Beh, siamo stati insieme soltanto una settimana. Dopo soli sette giorni lui mi molla. Mi pianta in asso, lasciandomi una gigantesca amarezza. L'estate per me è passata a fatica. Sono rimasta tappata in casa, al buio, ad ammuffire sui libri: leggere è stato il mio unico svago. Sono stata molto depressa... E penso di esserlo ancora. Capisce? Io lo amavo da tre anni, e quando finalmente il mio desiderio si realizza e ottengo un po' di speranza, un pizzico di fiducia in me stessa, un briciolo di felicità... Tutto finisce in sette miseri giorni. Io mi deprimo, invece a lui non gliene è fregato mai nulla di me! Infatti mentre io ero chiusa in casa lui se la spassava in discoteca con una marea di troiette!
-Come, scusa?
-Ho visto le foto su Facebook. È alquanto deprimente, no?
-Sì, capisco – disse alla fine. – Ma non è un buon motivo per gettare via la vita.
-Io l'amavo, tantissimo, più della mia stessa vita. Ma poi l'amore si spegne. Ti frega, l'amore: ti fa credere che possa durare per sempre. Per sempre, pf! Nemmeno l'universo durerà per sempre. Ma l'amore è così presuntuoso che pensa perfino di sopravvivere alla fine del mondo.
-Però tu hai capito che non è così, giusto? – mi disse, alzandosi. – Ora devo andare, è tardi: faresti meglio a tornare a casa anche tu. Ci vediamo domani a scuola. La vita va avanti.
Detto questo se ne andò, lasciandomi lì come una scema. Però parlare con il professore era stato liberatorio, proprio come mi aveva detto.
Sorrisi. Forse non era poi così antipatico.
Quello strano incontro mi aveva lasciato qualcosa dentro; non saprei spiegare cosa, ma sicuramente mi aveva fatto riflettere. Con poche parole, il prof-filosofo mi aveva tranquillizzata e mi sentivo un po' meglio. Solo un po', però.
Fatto sta che decisi di non suicidarmi. Quel libro tanto agognato, “Suicidio”, era rimasto in biblioteca, e invece presi in prestito "Omicidio nella notte".
Che svolta!

Music, sweet music
Music, sweet music,
sweet music...


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Ciaoooo! Come va? Io, sinceramente, BENISSIMO. Era ora. <3
Finalmente metto questa storia: l'avevo in mente da tanto.
Saranno solo quattro capitoli, ognuno con una bellissima canzone di sottofondo. Questa parte proprio con Jimi Hendrix, il mito di Julia, e non solo suo :)
Sarebbe strano avere un professore come Herbert Spencer, no? Sinceramente non so se mi piacerebbe o no... Avrete modo di conoscerlo se continuerete a seguire questa storia.
Il cuore di Julia è chiuso, per ora (ecco spiegata l'immagine finale: tutte avranno un significato preciso). In futuro, chissà...
Grazie per aver letto e fatemi sapere che ne pensate! A presto, spero,
Gio.
  
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