Nota
dell’autore:
Da
quell’immagine è nato questo racconto.
Inoltre…
“Eccolo!”
pensò, osservando l’alta
figura stagliarsi contro l’orizzonte.
Era lì, come
sempre. Ogni volta
che lo cercava, quando si trovavano in missione su una portaerei, lo
trovava
sempre sul ponte, ad osservare gli F-14 che decollavano e si perdevano
in
cielo.
Si fermò a
guardarlo per un
attimo. Era immobile, appoggiato con le mani al parapetto, con lo
sguardo fisso
sull’aereo che sarebbe stato in grado di pilotare come fosse una specie
di
prolungamento di se stesso. L’F-14 aveva appena acceso i motori e il
pilota
stava facendo il consueto cenno di ok, che aveva osservato fare anche a
lui,
ogni volta che lo aveva visto decollare.
Attese che
l’aereo si alzasse in
cielo e vide che anche il suo sguardo si sollevò verso l’alto, a
seguire il
volo del caccia: l’avrebbe seguito finché non sarebbe scomparso dietro
alle
nuvole, e anche oltre…
Gli si
avvicinò.
“La stavo
cercando, capitano”.
Non gli
rispose subito. Si voltò
lentamente verso di lui, con negli occhi ancora tutto il suo desiderio
di
essere lassù. Poi gli fece un sorriso, il suo solito sorriso che gli
faceva
capire che lo perdonava per averlo costretto a tornare sulla terra.
“Ciao, Bud.”
“Signore, il
comandante mi ha
pregato di riferirle che la desidera al suo tavolo, a cena, stasera.
Vuole
discutere con lei degli sviluppi del caso”
“D’accordo,
Bud. Grazie.
Riferiscigli che ci sarò” rispose, tornando subito con lo sguardo verso
l’orizzonte.
Il tenente
Roberts lo osservò
ancora un attimo, poi si decise e gli chiese:
“Lo
rimpiange, vero?”
Harm non
rispose. Bud fece per
allontanarsi, credendo che non lo avesse sentito. Ma la sua voce lo
fermò.
“Sai, Bud, a
volte darei non so
cosa per essere ancora al posto di uno di quei piloti…”
“Perché ha
smesso, allora? Perché,
anche dopo aver ripreso la carriera di pilota, ha deciso di tornare al
Jag?”
Harm si voltò
verso di lui e lo
guardò di sottecchi, quasi a chiedersi cosa avesse spinto il tenente,
nonostante la loro amicizia, a fargli una domanda tanto personale.
Tanto
intima.
Nessuno mai
gli aveva davvero
chiesto perché, dopo esser tornato a pilotare i caccia una volta
eliminato il
suo difetto di visione notturna, alla fine avesse deciso, di sua
volontà questa
volta, di tornare alla carriera d’avvocato.
Nessuno.
Neppure Mac.
“Mi scusi,
signore. Non volevo
essere invadente…” si precipitò a dire Bud, appena scorse l’espressione
del
capitano Rabb.
Ma lui lo
interruppe:
“Il mio
cuore, ormai, era diviso
in due. E un pilota non può avere il cuore diviso in due. Il cuore di
un pilota
di caccia, di un pilota da combattimento, deve essere solo per il suo
aereo.
Altrimenti è troppo rischioso.”
“Non capisco,
signore. Credevo che
lei adorasse pilotare gli F-14…”
“Ed è ancora
così. Vedi, Bud: io
sono nato per fare il pilota. All’inizio, quando ero in accademia e
studiavo
per diventare un ufficiale di Marina, pensavo d’aver scelto questa
carriera
solo per seguire le orme di mio padre. Per diventare un pilota militare
come
lui. A volte mi ero pure chiesto se davvero lo volessi. Finché non
entrai a far
parte di una squadriglia… Allora scoprii che quando sono lassù, tutto
cambia.
Quando sono lassù, in volo, per me è come rinascere ogni volta. E non è
come
pilotare il mio Stearmen. E’ tutt’altra cosa…”
“E’ più
eccitante?” chiese Bud,
incoraggiato dalla loquacità di Harm. Era abile con le parole, e aveva
potuto
sperimentarlo molto spesso, vedendolo agire in tribunale. Ma in
privato, era
sempre restio a confidarsi, anche se lui sapeva di essere un
privilegiato,
perché, nonostante tutto, con poche frasi, lo aveva messo spesso al
corrente
dei suoi pensieri più intimi.
Lo vide
sollevare di nuovo lo
sguardo al cielo e perdersi nel suo mondo sopra le nuvole.
“E’ diverso.
Più eccitante, anche.
Ma soprattutto diverso. Pilotare uno Stearmen mi fa sentire libero,
felice… lo
paragono a quando, da piccolo, giocavo in giardino, a quando mi
arrampicavo
sugli alberi o a quando correvo a perdifiato… una specie di gioco,
insomma.”
“Per lei,
magari, signore! Perché
lei lo sa fare… “ disse Bud.
“Certo, Bud.
Tu hai un’altra idea
del gioco, vero?” gli rispose scherzando. “Per te, giocare, è stare al
computer…”
“Già. E’
un’attività che mi è più
consona!” ridacchiò il tenente.
Harm gli
sorrise; poi riprese:
“Quando sono
su un caccia, invece,
non mi sento più come se stessi giocando. L’aereo diventa una parte di
me, e io
sono tutt’uno con esso. Tutti i miei sensi sono all’erta. La mia
concentrazione
raggiunge il massimo. Non sento neppure paura: magari l’ho avuta prima
di una
missione, oppure dopo, ma non nel momento in cui accendo il motore e
decollo…
Da quell’istante esisto solo io, io e l’aereo. Adrenalina pura, capisci
Bud? La
mia capacità di farlo decollare, dirigerlo dove voglio per compiere la
missione
e farlo atterrare di nuovo su una portaerei… e l’aereo, un gioiello
della
tecnica, che obbedisce ai miei comandi…”
“Ma non è
stato sempre così… Ha
avuto due gravi incidenti, signore. Eppure…”
“Lo so, Bud.
Ma è un amore
assoluto, il mio. Poter volare è come sapere di poter respirare per
vivere!
Pilotare un caccia, per me è una sfida continua con me stesso, una
sfida che mi
fa sentire uomo. Tuttavia, per dare il massimo, come pilota di una
squadriglia,
tutto il tuo sentirti uomo deve ridursi a questo, all’aereo stesso.
Nulla deve
interferire, nei tuoi pensieri, per non perdere il controllo. E non
devi mai
perdere il controllo, perché ho imparato che se perdi il controllo,
muori.”
“E’ per
questo, allora, che ha
deciso di tornare al Jag?”
“Quando ho
potuto essere io a
scegliere, ho scoperto che anche fare l’avvocato m’impegna allo stesso
modo.
Anche vincere una causa in tribunale, soprattutto una causa in cui
credo, è
come una sfida. Quando ripresi a volare, mi resi subito conto che la
mia mente
non era più solo per gli aerei, per la squadriglia. Aver interrotto la
carriera
di pilota, essermi appassionato alla legge, mi ha fatto scoprire altri
modi per
vincere sfide con me stesso. Ma questo ha diviso il mio cuore… La mia
decisione
è stata inevitabile. Come per un genitore, quando è costretto a
prendere atto
che deve lasciar andare suo figlio: non lo vorrebbe mai fare, ma sa che
è solo
per amor suo che deciderà di farlo.
Quando mi
trovi qui, ad osservare
gli F-14 che decollano o che tornano alla base, è perché a volte
rimpiango di
aver scoperto anche la passione per la professione di avvocato e tutto
un altro
mondo, altre persone… che mi hanno fatto capire che nella vita esiste
altro,
oltre ad essere un pilota di caccia.
Non
rimpiango di aver scelto di non esserlo più: sono sicurissimo d’aver
fatto la
scelta giusta. Col cuore diviso in due, non sarei stato un buon pilota
da
combattimento! Ma
non potrei mai
smettere di volare! Sapere di poter volare quando lo desidero è come
essere
certo di vivere… Per questo seguo sempre le qualificazioni semestrali,
anche
correndo il rischio di finire in mare…” e i suoi occhi s’illuminarono
in un
sorriso monello, a quell’ultima frase.
Poi continuò,
rivolgendo di nuovo
lo sguardo al cielo:
“Quello che
rimpiango è l’aver
capito tutto questo. A volte rimpiango le circostanze che mi hanno
fatto
intraprendere la carriera d’avvocato, perché così ho scoperto che
esiste anche
altro, nella vita di un uomo…”
“Avrebbe
preferito non saperlo
mai?” chiese Bud. Ormai voleva sapere tutto. Quello che gli stava
dicendo il
capitano Rabb glielo faceva vedere sotto una luce nuova. Era convinto,
fino a
quel momento, che avesse fatto la scelta di tornare al Jag, solo perché
si era
reso conto di essere troppo vecchio in confronto ai piloti che
avrebbero volato
con lui. Oppure perché aveva ragionato che avrebbe avuto più
possibilità di far
carriera come avvocato, anziché come un vecchio pilota, costretto,
probabilmente, a stare all’ultimo posto della classifica, rispetto i
suoi
compagni. E conoscendolo… pensava che non avrebbe retto un’umiliazione
simile.
Anche se, a quello che aveva sentito dire, continuava ad essere sempre
il
migliore, anche durante le qualificazioni semestrali.
Una scelta
calcolata, insomma!
Fatta solo per la carriera.
Invece quello
che gli stava
dicendo ora, gli faceva capire il contrario. La sua scelta non era
stata fatta
in nome della carriera, ma solo seguendo il suo istinto e il suo cuore;
fatta
unicamente per rispetto della sua grande passione: pilotare i Tomcat.
“Forse si…
così non sarei stato
costretto a scegliere. Ma in questo caso, non avrei conosciuto altri
aspetti di
me stesso. E non avrei incontrato persone speciali come quelle che
lavorano al
Jag. Amici come te, Bud.”
Distolse lo
sguardo dall’orizzonte
e guardò il tenente per un breve istante, Poi, immediatamente, abbassò
gli
occhi, come faceva ogni volta che sentiva di esporsi troppo. Ma gli
sfuggì
ancora una frase:
“Inoltre, se
fossi rimasto con la
squadriglia…”
Si rese conto
d’aver parlato ad
alta voce, seguendo il filo dei suoi pensieri. Ma quest’ultimo
pensiero, non
poteva esser detto. Doveva restare tale.
“Inoltre?” lo
incalzò Bud, quando
lo sentì tacere.
Harm lo
guardò negli occhi e
sorrise. Poi s’incamminò sul ponte, lasciando il tenente Roberts a
chiedersi
cosa avesse voluto dire.
Bud lo vide
allontanarsi. Allora
rientrò.
Harm fece
ancora qualche passo: un
altro F-14 stava per decollare. Si fermò a guardarlo, finché non vide
anche
quello diventare un minuscolo puntino nel cielo. E, mentre lo seguiva
con gli
occhi, terminò il pensiero che non avrebbe mai detto a Bud.
“ … inoltre,
se fossi rimasto con
la squadriglia, non avrei avuto lei accanto.”