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Autore: CieloAmaranto    08/01/2012    1 recensioni
Dopo aver abbandonato il nome Nathan, un antico Chevalier si reca a svegliare la sua Regina.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo Chevalier s’avvicinò al luogo ove riposava la sua Regina. I suoi piedi sfioravano appena il terreno, leggero come una piuma si muoveva nella notte perlacea. Era giunto il momento che tanto a lungo aveva atteso. Era giunto il momento di risvegliarla.
Si fermò all’improvviso. L’erba dinnanzi a lui era uguale a quella che cresceva in tutto quell’enorme parco. Eppure, lui sapeva che era diversa, che s’era nutrita di qualcosa che l’aveva resa più verde e più profumata.
Era qui che i resti della sua Regina erano stati sepolti dopo che gli umani avevano finito di profanare il suo corpo. L’avevano presa per un essere defunto, una mummia, una strana creatura rinsecchita senza alcuna possibilità, interessante soltanto per via della sua incredibile struttura fisica. Le avevano dato un nome per poi dissezionarla come una volgare rana e non avevano avuto nemmeno l’accortezza d’incenerirne i resti. Sciocchi. Solo perché il suo volto era rimasto schiacciato, solo perché la sua pelle bianca s’era essiccata, questo non significava che per lei fosse giunta la fine. L’unica cosa che potesse ucciderla era scomparsa in tempi ormai perduti.
La sua Regina dormiva. La sua Regina riposava dopo la fatica. Ed egli aveva vegliato su di lei e sul suo desiderio, per quello che aveva potuto. Aveva recitato la sua parte con zelo e letizia, coprendosi di frivolezze, osservando la trama dipanarsi dinnanzi ai suoi occhi.
Lo Chevalier s’inginocchiò sull’erba umida, un gesto d’umiltà, di sottomissione… e cominciò a scavare. E a ricordare.
Ricordare Niflheim. La bella Niflheim. Più tardi quella città sarebbe entrata nella leggenda come “il mondo dei morti” ma ovviamente lui allora non lo sapeva e sorrideva al pensiero della gloriosa serata che l’attendeva. Niflheim, governata da due sovrane che si diceva discendessero dagli dei.
Finalmente, dopo giorni di viaggio, lui e i suoi compagni erano arrivati a destinazione. Giusto in tempo per la festa. Aveva attraversato i cancelli pieno di gioia nel cuore: con la sua compagnia si sarebbe esibito dinnanzi a loro, le due creature la cui fama aveva raggiunto persino Asgard, coloro che si nutrivano del sangue degli impuri per preservare il cuore dei giusti.
L’hanno sepolta in profondità, pensò lo Chevalier mentre lo strato che lo separava dalla sua Regina s’assottigliava. Si sentivano in pericolo. Ma probabilmente Amshel non se l’era sentita di incenerire quel corpo che poteva ancora essere studiato. Una prova in più della sua stupidità.
Lui quella sera invece s’era sentito come un astro che splende. Tutti l’avevano osservato con attenzione, mentre si muoveva sulla scena. Tutti i miti antichi, quelli che poi sarebbero stati dimenticati e rimpiazzati, avevano preso vita tramite i suoi gesti. Si sentiva importante, mentre lo faceva. Si sentiva vivo.
Anche i loro occhi erano puntati su di lui. Occhi diversi in volti identici.
Lo spettacolo finì in uno scrosciare d’applausi. Anche le due creature avevano applaudito.
E poi, era cominciata la festa.
Nonostante ci avesse provato per anni, non era mai riuscito a ricreare un’atmosfera tanto perfetta. Quella era stata la Festa delle Feste, resa ancor più memorabile dal disastro che l’aveva a breve seguita.
Allontanò l’ultimo strato di polvere con un gesto di reverenza. Ed eccola lì. Einmyria. Violata, scarnificata, poteva sembrare irrimediabilmente perduta. Lo Chevalier si sentì salire le lacrime agli occhi. Che cosa ti hanno fatto? Perché non ero lì a proteggerti, a proteggere le tue figlie? Perché, quando ti ho trovata, ormai era tardi... tardi, per impedire che il disastro si ripetesse.
La mano dello Chevalier si posò sulla pelle raggrinzita e sporca di terra della Regina. Poi, lentamente, si sollevò fino a portarsi alle labbra del suo padrone, che la baciò dolcemente prima di morderla a fondo.
Il sangue cominciò a gocciolare su quel corpo martoriato dagli uomini. Lo Chevalier rovesciò indietro la testa e

guardò la luna con un sorriso. Era soddisfatto dello spettacolo, degli applausi, delle risate, del vino. Si portò il calice alla bocca e bevve con avidità. Quando l’abbassò, due occhi color del ghiaccio gli stavano dinnanzi, incastonati in un incarnato perfetto.
“Tu sei il primo attore della compagnia che ci ha allietato stasera, vero?”
Il giovane s’esibì in un profondo, grazioso inchino. Sapeva come trattare con i nobili, cosa volevano sentirsi dire e cosa doveva restar taciuto. Immaginava che con le dee non fosse molto diverso. Anche la vita, dopotutto, era come una grande recita. E lui era un ottimo attore.
“Esattamente, mia bellissima signora. Vi ringrazio con tutto il cuore d’averci ingaggiato per questa festa meravigliosa e ovviamente ringrazio anche la vostra illustre sorella.”
Si raddrizzò con un gesto lezioso. Ora anche due occhi di fuoco gli stavano dinnanzi, bruciando, bruciando, bruciando… “Einmyria, a me non piace. Sei certa che ti vada bene?” La Regina di fuoco, quella il cui nome sarebbe sparito nell’oblio, ma che allora tutti chiamavano Eisa, si rivolse alla sorella in tono di protesta. Sembrava una ragazzina viziata, più che una terribile sovrana che consumava il sangue dei sudditi indegni. Il giovane attore rabbrividì. Non era l’unico a saper recitare bene la sua parte.
“Oh, sì. Mi diverte. Vorrei essere sempre allegra come stasera.” Eisa s’imbronciò, i suoi occhi rossi lampeggiarono.
“Allora, fai come vuoi. Ma a me non piace e questo non è giusto.” Per tutti gli dei, sta davvero facendo i capricci, pensò il ragazzo, sorpreso e affascinato. “Io ho scelto Alberich perché piaceva a te, sorellina.”
“Vorrà dire che il prossimo lo sceglierai tu, d’accordo?” La Regina di fuoco annuì riluttante e s’allontanò, non prima di lanciare un’ultima, bruciante occhiata al ragazzo che la sorella aveva scelto. Einmyria l’osservò con preoccupazione fino a che non fu scomparsa tra la gente. Poi, si rivolse di nuovo all’umano.
“Vieni con me, mio caro ed amato suddito. Mi è tanto piaciuta la tua rappresentazione e voglio darti una ricompensa adeguata.”
Lo stupore e la gioia che si dipinsero sul suo volto la fecero sorridere. Voleva servirla, l’amava e l’ammirava. Era spiritoso e di bell’aspetto, con quei capelli biondi e gli occhi azzurri che contraddistinguevano le genti di quei luoghi. E non era tetro come Alberich, aveva uno sguardo furbo e sornione. Il giovane attore si lasciò prendere per mano dalla Regina e insieme percorsero parecchi corridoi del grande e splendido palazzo di Niflheim. I rumori della festa si fecero sempre più lontani e lui cominciò a sentirsi come sospeso tra due mondi, mentre con tutta la sua classe rispondeva alle domande della sovrana. Quando alla fine ella aprì la porta che rivelò una sontuosa stanza da letto il ragazzo si fece quasi prendere da panico. Quella era davvero una ricompensa troppo grande per lui che era solo un attore! Avrebbe dovuto essere all’altezza di una dea, non sapeva se ce l’avrebbe fatta a recitare quella parte…
“Io ti piaccio, capo della compagnia?” domandò lei, all’improvviso. Quel volto da ragazzina in qualche modo lo intenerì. Sembrava quasi una giovinetta qualsiasi, quante gli avevano fatto quella domanda…
S’inginocchiò dinnanzi a lei e chinò la testa, perché solo questo poteva fare, di fronte ad un essere tanto meraviglioso. “Mia signora, voi siete la cosa più bella che io abbia mai visto.”
“Vorresti entrare al mio servizio, per sempre, diventare il mio cavalier servente?” Il ragazzo alzò lo sguardo e lo posò sul viso di lei. Quanta solitudine in quegli occhi di ghiaccio. Lui avrebbe potuto alleviarla. Ne era certo. Avrebbe potuto portare allegria nella vita della sovrana. Ed era certo di desiderarlo.
“Mia Regina, sono vostro.” Lei sorrise. Un sorriso umano. S’inginocchiò a pochi centimetri da lui e l’abbracciò delicatamente.
“Allora, chiamami pure

Einmyria. Eccola, la sua Regina. Il sangue aveva fatto effetto. La pelle era tornata pallida come la luna, il volto martoriato s’era ricomposto ed ora la sua signora era lì, ancora addormentata ma bella come la dea che era stata in un tempo lontano. Lo Chevalier era molto stanco. Non sapeva se aveva ancora abbastanza sangue per risvegliarla lì, sul prato. Con le ultime forze che gli restavano, la portò sulla torre coperta dalle rose blu, la torre dove una delle figlie era stata a lungo imprigionata con l’unica compagnia della sua stessa meravigliosa voce. Chissà se Diva, la sua amatissima Diva, la rosa dalle acuminate spine ma dalla delicata corolla, sapeva da dove provenisse la canzone che le era sempre stata di conforto. Chissà se ricordava, in qualche recesso di quella mente sconvolta, la voce di sua madre che cantava alle sue bambine ancora non nate. Era giusto che vedesse la torre, al suo risveglio. Che vedesse il luogo dove la sua musica continuava ad essere cantata, dove l’unica figlia che ancora ricordava una parte di lei era stata prigioniera.
La posò delicatamente sul freddo pavimento di pietra. Le accarezzò il volto. Era stanco, voleva solo dormire. Ma gli Chevalier non dormono mai. Loro vegliano sulla Regina dormiente. Posò un delicato bacio sulle labbra della sua signora, poi s’allontanò. Aveva bisogno di

sangue. Molto sangue, per tenersi in forze. Ora che era in dolce attesa, la sua signora doveva nutrire la nuova generazione di Regine, oltre a lei. Il suo cavaliere glielo procurava con solerzia, aiutato da Alberich, il padre delle regali infanti. Ovviamente lui era geloso di Alberich, bellissimo e misterioso, con quell’espressione impenetrabile sul volto perfetto. Eisa gli aveva spiegato che l’aveva scelto come servitore solo perché piaceva a Einmyria, perché Einmyria desiderava avere dei bambini e solo un uomo che avesse bevuto il suo sangue avrebbe potuto darglieli. Per questo, Alberich poteva avere Einmyria in un modo che lui non avrebbe mai potuto nemmeno sognare, l’aveva preso in giro, con quell’aria crudelmente infantile. Ciò significava ovviamente che il cavaliere di sua sorella poteva dare figli a lei. Ma che non ci provasse nemmeno, perché lui, a lei, non piaceva per niente. Tutto questo gli era stato detto con quella voce da ragazzina viziata. Bene, nemmeno a lui piaceva Eisa. E dopo che Einmyria era rimasta incinta, sembrava che le due non si piacessero più neppure tra loro.
E il motivo era dei più semplici. Nella città di Niflheim non c’erano abbastanza malvagi per nutrire la sua Regina. Così la sorella aveva ordinato che anche i savi fossero sacrificati. Questo, a Einmyria, non piaceva. Si affamava per giorni, fino a quando non ce la faceva più e allora diventava davvero spaventosa, perdeva il controllo e calava sulla popolazione inerme mietendo vittime finché era sazia. Poi piangeva in preda ai sensi di colpa. Ed Eisa rideva di lei, dicendo che era stata stupida a lasciarsi ingravidare se poi non poteva sopportarne le conseguenze. Il suo cavaliere tentava di scovare per lei anime malvagie in modo che non si riducesse in quello stato. Ma era sempre più difficile. Tentava di farla sorridere con quei suoi modi leziosi che lei amava tanto. Ma non sempre ci riusciva.
“Non è giusto che gli innocenti soffrano a causa mia” gli disse una notte, con gli occhi colmi di lacrime. Lui l’abbracciò e le offrì di bere direttamente il suo sangue. Lei scosse la testa. “E poi, tu, dove andrai a nutrirti?” gli chiese. E aveva ragione. “C’è un’unica cosa che possiamo fare, mia Regina” aveva detto lui, dopo un lungo, terribile momento di silenzio. Lei l’aveva guardato speranzosa. “Dobbiamo partire. Viaggiare nel mondo, come facevo anni fa con la mia compagnia. Smettere d’affidarci a una singola città.”
Lei gli aveva sorriso.
“Ho sempre desiderato vedere il mondo.”
“Ma dovremo vivere tra gli umani. E noi non siamo come loro.” Lei gli strizzò l’occhio. Un gesto umano.
“Possiamo recitare. Vero?” Lui le aveva baciato la mano, affascinato, innamorato. L’avrebbe seguita ovunque.
“Allora è deciso, mia Regina.” Lei annuì e s’accarezzò il ventre.
“Così anche le mie bellissime bambine saranno delle viaggiatrici. Vorrei tanto che fossero libere e felici, che vedano il mondo invece che starsene sempre chiuse tra quattro mura. Sapevo che saresti stato il cavaliere perfetto. Aiutami a crescere le mie bambine.”
Le parole di Einmyria lo commossero come nulla era riuscito a fare fino a quel momento. Annuì, senza riuscire a dire nulla. E la sua Regina, di nuovo lieta, cominciò il suo canto, melodioso, dolce, la cui melodia era antica come il mondo. Lo Chevalier chiuse gli occhi, deliziato, mentre quella voce divina gli risuonava nella

mente. Si leccò via dalle labbra le ultime gocce del sangue degli uomini che aveva ucciso quella notte, pervaso da un elettrizzante senso di gioia e trionfo. Il canto di Diva ancora gli risuonava nella mente ogni volta che si nutriva. Con il nome di Nathan era stato al suo fianco per anni, proteggendola e si era affezionato a lei. Aveva scelto lei, tra le due nuove Regine, e aveva avuto i suoi buoni motivi. Prima di tutto, ed era il motivo più stupido ma anche il più importante, il suo volto assomigliava incredibilmente a quello della sua Einmyria e quando l’aveva vista per la prima volta, nascosto nel parco della tenuta, fuggire con Amshel Goldshmidt poco dopo l’incendio, se n’era innamorato. Saya aveva lo sguardo di sua madre, così umano, così gioioso, Saya era capace d’amare e di odiare. Ma non era riuscita a suscitare in lui quella passione che avrebbe dovuto essere necessaria per fingere di diventare il suo Chevalier. In secondo luogo, Diva era la più fragile. Diva era crudele. Diva non conosceva la gioia, come già era successo a Eisa, la Regina dimenticata. Aveva bisogno di lui per trovare la felicità che sua madre aveva desiderato per lei. Lui l’avrebbe fatta splendere. Quell’Amshel la vedeva solo come una cavia. Solo lui poteva renderla felice, prima che la tragedia si ripetesse. Perché la tragedia si sarebbe ripetuta, e questo era il terzo motivo. Ormai l’odio tra le due sorelle era nato e sarebbe solo cresciuto. Si sarebbe giunti al disastro e lui aveva il dovere di realizzare il desiderio della sua Einmyria, anche se era arrivato troppo tardi per salvarle entrambe. Per il tempo che le rimaneva, Diva doveva essere felice. Lui avrebbe allestito la scena del mondo per il nuovo scontro, perché era sciocco tentare d’evitarlo. Ma avrebbe fatto in modo che gli attori fossero lieti e che tutto fosse bellissimo, perfetto. Così aveva atteso ed era diventato Nathan, l’umano, il produttore. Aveva recitato la sua parte con zelo (tra l’altro Nathan era un personaggio tanto lezioso e divertente che era stato un piacere interpretarlo per così lungo tempo) e aveva finto di subire la trasformazione a cui già si era sottoposto molto tempo prima. Aveva bevuto da Diva, perchè nessun sangue ormai poteva ucciderlo. Aveva messo in piedi il suo spettacolo migliore, lo scontro tra le due Regine sul palcoscenico più grande del mondo. L’unica cosa che gli dispiaceva era che Diva non avesse potuto veder nascere le sue figlie. Ma era morta accanto a loro, ed era certo che ne era stata lieta. Nathan aveva svolto bene il suo compito e si era ritirato dalla scena con il finale teatrale che gli si addiceva. Lui aveva allora trovato un altro volto, e come giornalista aveva accelerato la conclusione delle indagini sulla Cinque Fleche. Abbandonato quell’ultimo personaggio, era tornato sé stesso. Aveva ritrovato la sua regina.
Ed ora era giunto il momento di

svegliarla. Dovevano andarsene, prima che il sole sorgesse e la Regina di fuoco lasciasse i suoi appartamenti. Le due sorelle avevano litigato furiosamente, la sera precedente. Se Einmyria avesse lasciato il palazzo, se l’avesse abbandonata, aveva tuonato Eisa, lei avrebbe raso al suolo la città, sterminato tutti i suoi abitanti e sarebbe venuta a cercarla fino in capo al mondo, per uccidere lei e il suo cavaliere. Einmyria aveva pianto molto, dopo quella discussione. Sapeva che Niflheim era condannata in ogni caso: l’avrebbe distrutta lei per nutrire le sue figlie, se non ci avesse pensato la sorella. Il suo cavaliere le aveva allora consigliato di partire comunque. Di seguire il suo desiderio. “Partiremo di nascosto, travestiti. Saremo abili a confonderci tra gli umani e tua sorella non ci troverà mai. Vivremo come loro, in mezzo a loro. Non dovrai più uccidere innocenti per nutrire le tue figlie e le cresceremo in letizia.”
Così avevano deciso. E così s’allontanarono, senza far rumore, portando con loro soltanto poche cose preziose e la spada della Regina, un oggetto ch’ella non poteva né voleva lasciare indietro, poiché era legato al suo destino da un incantesimo più antico e più forte di lei. Volarono così verso un mondo con diversi miti e diversi dèi. Viaggiarono per giorni, cibandosi dei pochi briganti e assassini che ancora popolavano i boschi, per poi volare via di nuovo, fino a che non furono usciti dai territori dei feudi di Niflheim. Fu allora che cominciarono a camminare per le vie del mondo come viandanti qualsiasi, perché Einmyria non voleva più essere una dea. A lui andava bene: amava camminare, esibirsi come artista di strada e servire la sua Regina. Il suo ventre cresceva in fretta e così cresceva il bisogno di sangue, ma nel mondo alberga tanta malvagità e il cibo non mancava. L’unica ombra che compariva ogni tanto negli occhi azzurri della Regina era il ricordo della sorella.
“Mi manca” disse una sera, mentre riposavano sotto la luna. Lui aveva annuito, senza rispondere. Per quanto le stesse accanto, non poteva sostituire sua sorella, né avrebbe potuto. “Mi manca, eppure sento che la rivedrò e ne ho paura. So che quando accadrà, dovremo combattere. E se perderò, morirò con le mie bambine.”
“Non perderai. Te lo prometto” rispose lui. E quando Einmyria lo baciò col suo bacio di sangue, sorbendo da lui la vita, si sentì l’essere più felice della terra. Il bacio della sua Regina, l’estasi più pura che esistesse al mondo, era un dono che accoglieva sempre con gioia e deferenza. Quando lo lasciò egli non poté non rammaricarsi del distacco. La sensazione, già di per sé sgradevole, sembrava quasi definitiva. La Regina cantò alle sue piccole, accarezzando dolcemente il punto dove probabilmente pensava stessero le testoline. La sua voce era divina, il cuore dello Chevalier sembrò scoppiare di felicità e mentre guardava la luna essa gli ricordò la notte in cui era cambiato. Abbracciò Einmyria finché, stanca, non s’assopì. Passarono quell’ultima notte sotto il cielo stellato, la Regina e lo Chevalier. L’alba successiva si sarebbe tinta del colore del

sangue. Goccia a goccia, cadeva sulle labbra della Regina. Einmyria, apri gli occhi. Apri gli occhi, mia regina. Apri gli

occhi!” gridò lo Chevalier, allarmato. Due figure si stagliavano contro il sole che nasceva da dietro le spalle delle montagne di Asgard. Einmyria si svegliò di soprassalto, angosciata. Il presagio s’era fatto sempre più forte, negli ultimi giorni. Durante la notte, sognava occhi rossi che la cercavano, la trovavano, la scrutavano. Sognava la voce della sorella che la chiamava. E quei sogni s’erano bruscamente trasformati in realtà. Lo Chevalier aveva preso la forma che utilizzava quando doveva difenderla e stava attendendo il nemico con i muscoli tesi. La Regina s’alzò in piedi. Sapeva che non ci sarebbe stata alcuna negoziazione. Sua sorella sarebbe calata su di lei con una spada insanguinata nella mano, pronta ad uccidere lei e le sue figlie per averla abbandonata sola in una città morta.
E così fu. Lo Chevalier si gettò contro Alberich, per tenerlo occupato. Einmyria era troppo lenta e impacciata per combattere anche un altro Chevalier. Dilaniò e morse con tutta la forza, artigli e denti gli strapparono le carni. Udiva il suono delle spade incrociarsi, spade che da millenni erano state custodite come artefatti divini solo per quella singola, dolorosa battaglia. E quel suono era come una canzone, una voce melodiosa e bellissima. Uno scontro epico e irripetibile si stava svolgendo alla luce sanguigna di quell’alba meravigliosa e nonostante il dolore, la paura e la preoccupazione per la salvezza della sua Regina, lo Chevalier si sentì colmo di felicità e di piacere per poter prender parte a tanta perfetta bellezza. Quando il braccio di Alberich lo passò da parte a parte, non poté sopprimere un ghigno. Mentre cadeva a terra udì la voce della sua Regina gridare il suo nome, vide il baluginio della lama insanguinata calare sul collo di Alberich. La sua vista si offuscò mentre guardava Eisa rivolgere tutta la sua furia sulla sorella. Desiderò accorrere in aiuto della sua Regina, ma aveva perso troppo sangue e non riusciva a muoversi. Mentre chiudeva gli occhi sulla tragedia, l’ultima cosa che riuscì a pensare era che non avrebbe potuto vedere il finale di quello spettacolo perfetto. Fece un ultimo sforzo per restare cosciente, ma il suo corpo fu pervaso da un irrefrenabile torpore. Vivi, mia Regina. Non morire. Vivi per te e per le tue figlie. Io ti ritroverò, pensò mentre perdeva conoscenza. Vivi, mia

Regina.”
La Regina di nome Enmyria, colei che era stata una dea in un tempo ormai finito, aprì gli occhi su un mondo nuovo. Non disse nulla, si limitò a fissare a lungo la stanza ricoperta di rose blu, il volto del suo Chevalier, la finestra che lasciava intravedere una bellissima luna. Poi, lentamente, abbassò gli occhi sul suo ventre ormai piatto.
“Ho ucciso Eisa” disse con voce dolce. Lo Chevalier represse lacrime di gioia e commozione. Si limitò ad annuire. “L’ho trapassata con la mia spada. Dov’è la mia spada?”
“Perduta nei secoli, mia Regina.”
“Ho trapassato Eisa con la spada, ma lei ha allungato la mano. Ho sentito la mia testa sfondarsi. L’ho sentita.” Einmyria rabbrividì. “Ed ero così debole, così debole. Non volevo cadere nel sonno prima della nascita, ma non potevo… pensavo che tu mi avresti svegliata, come hai sempre fatto. Mi hai svegliata, mio cavaliere. Ma dove sono le mie bambine?”
Lo Chevalier s’alzò in piedi, fece un profondo inchino e le rivolse un sorriso sornione. Era il sorriso che lei conosceva bene. Il sorriso dell’attore che sta per raccontare una storia.
La Regina sedette nella stanza delle rose blu, una sala del trono abbandonata per una dea dimenticata, e ascoltò la storia dello scontro tra Saya e Diva, e di come il suo Chevalier aveva preparato il mondo per esso.

  
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