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Autore: Milako    25/08/2006    17 recensioni
Ciò che Tolkien non ci ha mai rivelato.
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Disclaimer: i personaggi presenti in questa storia appartengono a Tolkien e a chi ne detiene i diritti. Non scrivo a scopro di lucro e nessuna violazione del copyright è intesa.
Per citare/riprendere/tradurre questa storia in parte o in toto dovete avere il mio esplicito permesso.

_______

De Ignoto Silmarillion

ovvero

Ciò che Tolkien Non Ci Ha Mai Rivelato.

1. Ainulindalë
Il Casino degli Ainur


Esisteva Eru, l’Unico, che in Arda è chiamato Ilúvatar; ed egli era prima che ogni altra cosa esistesse.

Come chiunque al suo posto, Ilúvatar si sentì molto fiero del ruolo di divinità onnipotente e prese ad andare in giro per il Vuoto Atemporale, declamando a gran voce la propria grandezza.
‹‹Emh emh. Io sono Eru, l’Unico!››.
Ma non ricevette risposta. Riprovò.
‹‹Sono Ilúvatar, Colui che è Padre di tutti!››.
Ancora una volta nessuno gli rispose. Ilúvatar si incupì, ma prese fiato e portatosi le mani attorno alla bocca a mò di megafono, tuonò:
‹‹
Sono il Signore dell’Universo per tutti i Tempi a venire!››.
Silenzio.
Ilúvatar si sentì d’improvviso molto solo e molto triste. Che gusto c’era ad essere il Signore incontrastato dell’Universo se non ci si poteva figheggiare con nessuno? Non era affatto giusto.
L’allora giovane ed inesperto dio cominciò a camminare in circolo, rimuginando intensamente sulla questione. Insomma, lui era l’Onnipotente! Il fatto che non avesse alcun seguace, adepto o sottoposto che ammirasse incondizionatamente il suo splendore era quantomeno frustrante. E ancor più frustrante era che non gli venisse in mente nulla per risolvere l’inconveniente! Doveva assolutamente fare qualcosa, poffarbacco…
Fare qualcosa! Ilúvatar si fermò di colpo e batté il pugno sulla sua enorme mano destra. Ma certo! Sono dio da mezz’ora e non ho ancora creato nulla. Che stupido: speriamo che quello che in sette giorni ha creato l’Universo non lo venga a sapere, mi sfotterebbe a vita.
Tutto contento per la genialata, Ilúvatar trotterellò indietro sfregandosi le mani, impaziente di recuperare il tempo perduto. Si chinò, afferrò il Kit del Dio Alle Prime Armi che gli avevano consegnato Ancora Prima, si mise a gambe incrociate per terra e si alzò le maniche; una volta che ebbe tutto pronto – das, plastilina, colori, pennelli, colla vinilica e forbici dalla punta arrotondata – poté finalmente dare inizio alla Creazione.

***

Fu così che Ilúvatar creò gli Ainur, Coloro che sono santi, progenie del proprio pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altra cosa fosse creata.
Nervosamente, il giovane dio li mise in schiera, raddrizzò le loro spalle e li spolverò un poco. Dopodichè indietreggiò, ammirando soddisfatto il proprio lavoro.
Gli Ainur erano la rappresentazione del sottoposto ideale che ogni dio vorrebbe: bellissimi, splendenti, soavi, con i capelli setosi e le unghia perfettamente curate; erano stati creati con il preciso intento di lodare e ammirare il loro fattore oltre i limiti del possibile, sapevano cantare, ballare, recitare, guidare, fare le pulizie, programmare il videoregistratore e preparare il caffé.
Un moto d’orgoglio si agitò nel mastodontico petto di Ilúvatar: le sue creature! Impaziente, li mise alla prova.
‹‹Emh emh...›› esordì, la voce carica di aspettative, ‹‹io sono Eru Ilúvatar!››.
Gli Ainur rimasero un attimo in silenzio. Subito dopo alcuni di essi sgranarono gli occhi e si portarono le mani alla bocca in un’espressione di completa adorazione; altri si guardavano fra di loro bisbigliando increduli come in cerca di una conferma, incapaci di credere a quanto sentito; qualcuno addirittura scoppiò in lacrime, sopraffatto dall’emozione; la maggior parte di essi comunque si era immediatamente gettata ai divini piedi di Ilúvatar, in un coro di gridolini isterici che neancheun mix fra Johnny Depp, Orlando Bloom e Raoul Bova sarebbe in grado di scatenare.
A questa vista Ilúvatar fu colto dalla gioia, già gongolante al pensiero delle adulazioni in cui avrebbe sguazzato. Incapace di resistere, fece un’altra prova.
‹‹Sono Colui che è il Padre di tutti!››.
‹‹Oooh!››.
‹‹Waaaaah!!!››.
‹‹Oh , wooow!››.
‹‹Sono il Signore dell’Universo!››.
‹‹E’ vero, è vero!››.
‹‹Sì, mio Signore, dell’Universo intero!››
‹‹Oh, sì, mio Sire, lo dica di nuovo, la prego!››.
E sarebbe andata avanti così ancora per molto - gli Ainur sembravano essere tanto belli quanto ruffiani e non accennavano né a interrompere né a diminuire le lusinghe - se Ilúvatar, alzato un attimo lo sguardo dalle sue creature, non si fosse avveduto di un’anomalia. Uno degli Ainur non stava svolgendo il suo "lavoro": non sembrava né in preda all’adorazione più folle né sconvolto dalla gioia; stava seduto di spalle, lontano dal gruppetto, tutto preso dall’ultimo numero della Settimana Enigmistica. Ilúvatar ne fu turbato.
‹‹Melkor›› lo chiamò ‹‹che stai facendo?››.
‹‹I cruciverba.›› rispose l’Ainu. ‹‹Perché, non si vede?›› aggiunse, sventolando il giornaletto verso l’interlocutore.
‹‹Sì, lo vedo. Tuttavia me ne dispiaccio. Perché non vieni qua a salutare il tuo Creatore come i tuoi fratelli?›› lo incitò Ilúvatar sfoggiando un sorriso paterno.
‹‹Ma non ci penso nemmeno, guarda. Ho una dignità, io, e anche un cervello. Piuttosto, senti un po’…›› chiese Melkor tornando alle sue occupazioni ‹‹…quattro orizzontale: "Il J.R.R. autore del Silmarillion". Sai mica chi è?››.
‹‹Boh? No, mai sentito›› rispose candidamente Ilúvatar. ‹‹Comunque ci sono rimasto male, Melkor. La tua indifferenza mi ferisce e la tua ingratitudine mi offende: non ti parlo più!››, concluse, tornando a volgere il suo amore e la sua attenzione alle dolcissime e adoranti creature attorno a lui.

***

Trascorsero lieti giorni. Gli Ainur pendevano dalle labbra di Ilúvatar, che dal canto suo non sembrava desiderare altro nella vita. Il Vuoto Atemporale sembrava un enorme frappé al cioccolato con sopra la panna e le roselline di zucchero, dal momento che gli Ainur, ad un cenno di Ilúvatar, gli riversavano addosso fiumi delle più stucchevoli e fantasiose lodi (dove arriva la ruffianeria… Che schifo. N.d.A).
Disgustato da tutto ciò, Melkor trovò saggio continuare a dedicarsi alle parole crociate, ai sudoku, agli origami, ai castelli di carta, alle freccette, ai francobolli, al ricamo, ai manuali di cucina orientale e a tutto ciò che potesse in qualche modo distrarlo da quel nauseante e continuo spettacolo.
Ilúvatar però si dispiaceva molto degli atteggiamenti dell’Ainu ribelle. Non sopportava di vederlo così solo, triste e cupo: ci doveva essere di sicuro qualcosa che poteva fare per aiutarlo! Scosse la testa e si voltò verso gli Ainur.
‹‹Creature mie, io mi allontano un attimo…›› cominciò, ma non fece in tempo a finire la frase che gli Ainur precipitarono nello sconforto.
‹‹No! E nooo! E ci lasci soli?›› pigolò la piccola Varda in tono lamentoso.
‹‹Ma solo per poco, piccina mia…›› tentò il dio.
‹‹Dove vai, padre?›› intervenne Manwë saltando su. ‹‹Eh? Dove vai? E quando torni? E…Padre! Non avrai forse intenzione di andare da Melkor!?›› aggiunse guardando Ilúvatar con tanto d’occhi.
‹‹Sì, Manwë, vado da tuo fratello Melkor. Nonvedi com’è sempre triste e isolato? O ti fa forse piacere che lui stia sempre da solo in camera sua mentre tu ti rallegri del mio amore?›› indagò Ilúvatar, sospettoso.
Manwë, che per la verità odiava profondamente Quello Sfigato -come fra sé e sé chiamava Melkor-, stava già per rispondere: "Sì, ci godo come un riccio!"; fortunatamente Mandos fu veloce a tappargli quell’infame boccaccia e rispose al suo posto: ‹‹Ma no, padre: Manwë dice sempre che gli piacerebbe tanto che Melkor giocasse con noi. Vero, Manwë?››.
L’antica ruffianeria risorse immediatamente in Manwë che confermò docilmente.
‹‹Ne ero sicuro›› disse Ilúvatar sorridendo bonario. Ah, com’era bello l’amore fraterno!
Prese in braccio il piccolo Manwë (che tanto piccolo non era, ma in confronto a Ilúvatar… N.d.A.), gli scompigliò i capelli e si rivolse al resto degli Ainur.
‹‹Ora papà va un attimo via, va bene?››. Gli Ainur annuirono amorevolmente. ‹‹Voi nel frattempo state buoni e giocate. Mi raccomando, non mi fate preoccupare!›› aggiunse, con una nota di apprensione. Dopo aver messo giù Manwë, il buon Ilúvatar si avviò verso la cameretta di Melkor.

***

Dev’essere triste per qualche motivo, pensava Ilúvatar mentre camminava, forse è geloso perché sto sempre con gli altri Ainur e mai con lui. Magari è sempre così triste e scontroso perché gli manca l’affetto paterno. Sì, dev’essere sicuramente così. Ma non sia mai che una delle mie creature debba sentirsi poco amata!
Cuore di padre!
Ilúvatar si fermò davanti alla porta della stanzetta, rimanendo per un attimo ad osservare i vari adesivi che recitavano avvertimenti come ‹‹Vietato l’accesso ai non addetti ai lavori›› e ‹‹Pericolo di morte!››. C’era anche un grossa foto adesiva di Ilúvatar con la scritta: ‹‹Io non posso entrare››. Il dio sospirò, quindi si risolse a bussare.
‹‹Melkor?›› chiamò, esitante.
L’unica voce che gli rispose fu quella del cantante dei Blind Guardian: il giovane Ainu stava ascoltando Nightfall in Middle-Earth a tutto volume (Mi rendo conto che i gusti musicali di Melkor siano prevedibili, ma... N.d.A.).
Ilúvatar sbuffò. ‹‹Melkor? Sono io, apri!›› disse, bussando per la seconda volta.
La musica si interruppe. Ilúvatar sperò che le sue divine orecchie lo avessero ingannato, perché gli era parso di aver sentito qualcosa che assomigliava terribilmente a: ‹‹Oh, no, di nuovo lui… Che sacrosante palle!››…
‹‹Melkor! Avanti, dai!››.
Un tintinnare di catene metalliche accompagnò i passi di Melkor, che aprì la porta con la migliore delle sue facce schifate.
‹‹Beh?›› chiese, scostante, rimuovendo inesistenti granelli di polvere dal cappotto di pelle nera. ‹‹Che vuoi?››.
Ilúvatar sospirò: stava cominciando a scoprire le gioie di avere un figlio adolescente.

***

‹‹E noi che facciamo?›› sbuffò Manwë incrociando le braccia, contrariato. ‹‹Papà è da Quello Sfigato!››.
‹‹Facciamo i gavettoni!›› propose speranzoso Ulmo, futuro Signore delle Acque.
‹‹No! Giochiamo con i Lego!›› ribatté Aulë, che col tempo sarebbe divenuto il Maestro degli artigiani.
‹‹Io voglio giocare ai cavalieri!›› si intromise Oromë, ignaro di avere davanti un’intera vita di cavalcate.
‹‹Facciamo i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse? Io faccio la Morte !›› saltò su Mandos, che come sentiva la parola "morte"si sentiva stranamente a suo agio.
‹‹Ma noi siamo quattordici, non quattro…›› obiettò timidamente Lórien.
‹‹E allora gli altri dieci fanno gli Stallieri dell'Apocalisse!››.

***

‹‹Melkor, figliolo…›› cominciò Ilúvatar, intimidito.
‹‹No, no… aspetta…›› Melkor aveva la faccia di uno che ha appena ingoiato un limone intero ‹‹…se mi chiami un’altra volta "figliolo" è la volta buona che mi suicido e libero questo Universo dal male…››
Ilúvatar impiegò un attimo ad interpretare la frase. Dopo essere giunto alla conclusione che quello non era decisamente un complimento si sentì mancare: in fondo lui aveva ascoltato soltanto complimenti in vita sua! Si riscosse e decise di tentare con un altro approccio.
‹‹Melkor… ho bisogno di parlarti!›› disse speranzoso.
L’Ainu lo fissò per due secondi. ‹‹Capisco…››.
‹‹Oh, pace…››.
‹‹…però io non ho bisogno di ascoltarti!››.
Ilúvatar gemette. Insomma, gli altri quattordici gli erano venuti così carini! Cosa aveva sbagliato con lui? Tentò con la forza.
‹‹Melkor! Non parlare così a tuo padre!››.
‹‹Ecco, ora mi suicido veramente…››.
‹‹
Melkor!››.

***

‹‹Facciamo a braccio di ferro?›› suggerì il forzutissimo Tulkas, ma tutti rifiutarono con decisione.
‹‹Giochiamo che io ero la Regina delle Stelle e Manwë era il mio sposo!›› disse Varda in tono sognante. Subito Manwë si tirò indietro rabbrividendo: non avrebbe passato con quell’insopportabile piccola dea nemmeno un giorno della sua millenaria esistenza!
‹‹Io voglio cantare! Cantiamo?›› cinguettò Yavanna.
‹‹No!›› la metà maschile degli Ainur non ne aveva la minima intenzione.
‹‹Ma a me piace cantare… e anche a Varda…›› pigolò la dea raggiungendo l’amica del cuore. ‹‹Manwë, mio sposo! Convincili tu!›› disse questa, rivolta allo "sposo".
‹‹Taci, oca!›› rispose Manwë.
Il labbro inferiore di Varda cominciò a tremare. Yavanna fulminò Manwë con lo sguardo e fece un passo verso di lui. Manwë deglutì.

***

‹‹Cos'hai da urlare!›› sbottò Melkor. ‹‹Sono giovane, IO - ci sento!››.
‹‹Sì! Sei giovane, e stronzo!›› gli gridò contro Ilúvatar, che a quel punto aveva già perso il lume della ragione.
‹‹Cosa hai detto, vecchio?›› sibilò Melkor.

***

‹‹Come hai chiamato Varda, verme?›› inquisì Yavanna minacciosa. Manwë fece immediatamente appello a tutta la sua ruffianeria.
‹‹Io… "cara"! L'ho chiamata "cara"!›› rispose prontamente il piccolo Signore dei Venti.
‹‹Ah, bene…›› rispose Yavanna ‹‹…perché altrimenti Varda piangerebbe, e noi non vogliamo che Varda pianga, vero? Anche perché altrimenti piangerebbe anche Nienna…››
‹‹NO!››intervennero in coro Mandos e Lórien con gli occhi di fuori: conoscevano bene l’entità e la durata dei pianti di loro sorella Nienna. La piccola, sentendosi chiamata in causa, cominciò a preparare le ghiandole lacrimali: non si sa mai…
‹‹No, Yavanna!›› esclamò orripilato Manwë a quella vista. ‹‹D’accordo, facciamo quello che decidete tu e Varda! Basta che Nienna non si metta a piangere››.
‹‹Bene! Allora canteremo!›› concluse vittoriosa Yavanna.
Nel tempo sarebbe diventata, oltre alla dea della fertilità, anche il simbolo della supremazia femminile sull’uomo.

***

‹‹Stronzo: ti ho chiamato stronzo! Lo sei!›› sputacchiò Ilúvatar fuori di sé.
‹‹Ma taci, specie di impedito, almeno fai più figura…›› disse disgustato Melkor. ‹‹Va', torna dai tuoi lecchini, di sicuro loro non ti fanno venire il sangue acido!››. Gli sbatté la porta in faccia e accese di nuovo lo stereo. Ilúvatar era sgomento: cosa aveva detto dei suoi Ainur?!
‹‹Melkor!›› chiamò, bussando forte. ‹‹Melkor!››

***

‹‹La la laaaa…››
‹‹La laaa…›› ♪
‹‹Lalallàààà la là!›› ♫
‹‹Lalà laaaalà!›› (*)

(*) Antichi canti che in lingua Valarin vogliono dire: "Stiamo creando tutto quanto l'Universo semplicemente cantando". N.d.A


***

‹‹Apri subito, giovane Ainu dalla faccia perennemente corrucciata!››
‹‹
Niiiiiightfaaaaaaaall – Quietly it crept in and changed us aaaaaaaaall ♪ ♫››

***

‹‹Firulì, firulà…››
‹‹Trallallero trallallàààà…›› ♫
‹‹La… la laaa… la LAAA!›› ♪

***

‹‹Melkor! Apri subito o sfondo la porta!››
‹‹
…Valinor's empty, now allied the Elves and Meeen - they shall be damneeeeed! ♪ ♫››

***

‹‹Etrallallalleru lalleru lalleru lalleru lallààà!›› ♪
‹‹Loondon Bridge is falling down, falling down, falling dooown…››
‹‹…my fair Lady!›› ♫

Nel mezzo di questo scontro, che scosse le aule d’Ilúvatar e che diffuse un tremito nei silenzi ancora immoti, Ilúvatar bussò una terza volta e il suo volto era terribile a vedersi. Poi egli alzò entrambe le mani e, con un unico colpo contro la porta di Melkor, più profondo dell’Abisso, più alto del Firmamento, penetrante come la luce dell’occhio d’Ilúvatar, il Casino cessò.

***

Gli Ainur accorsero e alla vista della porta sfondata furono colti da terrore. Tutti tranne Manwë, che già gongolava all’idea delle legnate che Melkor avrebbe preso.
Poi Ilúvatar parlò e disse: ‹‹Ecco, bravo, bravo l’adolescente problematico! Lo vedi cosa mi hai fatto fare? Io ora non te la faccio la porta nuova, resti così, non me ne frega niente! E non fare quella faccia che mi spaventi i piccoli!›› aggiunse, facendo da scudo alle sue creaturine. Melkor era rimasto immobile, quasi ammirato del fatto che "il vecchio" fosse stato in grado di buttare giù la porta. Notevole. La voce di Manwë lo riscosse da queste riflessioni.
‹‹Ora lo picchi, padre?›› disse il futuro Signore dei Venti tirando l’orlo della veste di Ilúvatar. ‹‹Ora picchi Melkor?››. Gli brillavano gli occhi e gli tremava la voce dell’emozione.
Ilúvatar dovette ammettere a se stesso di aver considerato per un paio di secondi l’intenzione di massacrare Melkor fino a farlo diventare viola; tuttavia nella sua infinità bontà fraintese la malizia della domanda di Manwë, scambiandola per apprensione fraterna.
‹‹No, piccolo mio››. Manwë scattò su ma trattenne un grido di protesta. ‹‹Non picchio tuo fratello e nemmeno lo punisco, stai tranquillo. Tuttavia, Melkor, è bene che tu veda come non sia possibile eseguire alcuna azione che non abbia la propria ultima origine in me e come nessuno abbia il potere di alterare la Volontà a mio dispetto››.
Allora gli Ainur ebbero paura e non compresero ancora le parole che venivano dette loro. Ilúvatar rimuginò soddisfatto sulla sua perla di saggezza: in realtà aveva detto una cazzata, ma tanto nessuno l’avrebbe smentito.
Melkor si voltò lentamente verso il dio: ‹‹Sarà, ma secondo me hai detto una cazzata…›› disse.
Gli Ainur sgranarono gli occhi, turbati; in Manwë rinacque la speranza di vedere un po’ di sana violenza su suo fratello e Ilúvatar si disse: Beh, tre volte buono è uguale a cretino!.
‹‹Bambini, andate in camera vostra›› ordinò loro guardando fisso Melkor.
‹‹Ma, padre…››.
‹‹
Bambini, andate in camera vostra!››.
Gli Ainur eseguirono, nonostante le lamentele di Manwë.
Allora Ilúvatar afferrò Melkor, gli abbassò i pantaloni, se lo mise sulle ginocchia e, ignorando proteste e calci, quel giorno diede al futuro Signore Oscuro le più sonore sculacciate della sua immortale esistenza.

***

‹‹Tutto a posto, piccoli miei?›› domandò placidamente Ilúvatar facendo capolino nella stanza delle pesti. In volto gli brillava un’inedita scintilla di sadismo appagato.
‹‹Padre! L’hai picchiato, padre?›› chiese subito Manwë saltandogli in braccio con la sua faccetta più innocente. Il dio sospirò.
‹‹Sì, Manwë…›› l’Ainu sorrise, incoraggiante, sperando nei dettagli, ‹‹…ma se l’è meritato. Ora ha imparato la lezione e non sarà più necessario››.
‹‹Oh›› borbottò il piccolo, deluso, ‹‹Sì, capisco…››.
‹‹Ma non pensiamoci più! Su, piccoli, ditemi: che avete fatto mentre io ero via?››.
‹‹Abbiamo cantato!›› enunciò Yavanna tutta contenta.
‹‹Sì! Abbiamo cantato tante canzoni!›› disse Varda andandosi a sedere sulle ginocchia del "papà".
‹‹E di cosa parlavano queste canzoni?›› chiese Ilúvatar. Sorrise. Era di nuovo felice! Era circondato dalle sue creaturine e niente, niente avrebbe disturbato questo momento di pace.
‹‹Parlavano di tante cose›› rispose Varda con voce sognante. ‹‹Del cielo, delle stelle…››
‹‹…della luce, della natura…››
‹‹…delle acque e degli oceani…››
‹‹…dei venti, delle montagne…››
‹‹…dei sogni…››
‹‹…e della
mooooorte!›› concluse Mandos tutto contento. Un brivido percorse la sala.
‹‹Erano tanto belle quelle canzoni›› mormorò Nienna, triste. Va bene, lo so che Nienna èsempre triste, ma questa volta lo era particolarmente.
‹‹Perché ti addolori, piccolina?›› le chiese Ilúvatar sorridendo forzatamente. Ecco, se lo sentiva! Era un momento perfetto e i Fratelli Morte & Malinconia dovevano sempre arrivare a guastare tutto!
‹‹So-sono triste perché le co-cose delle canzoni n-non esistono; è tutto nella nostra fantasia!›› si lamentò la piccola. ‹‹Le ste-stelle esistono solo nei pensieri di Varda. Non sono vere. Io vo-voglio vedere le stelle!›› singhiozzò Nienna, cominciando a tirare su col naso.
Gli Ainur si guardarono l’un l’altro, inquieti. Mandos si tappava già le orecchie con le mani, Manwë buttò lo sguardo al cielo, Varda strizzò gli occhi preparandosi all’onda d’urto, mentre Yavanna accarezzava con scarsa convinzione i capelli di Nienna: la piccola, lieta di constatare il terrore che era riuscita a diffondere con un singhiozzo e due lacrime, aprì la bocca con tutte le intenzioni di piangere le sue lacrime fino ad esaurimento scorte.
Fiutando la catastrofe imminente, Ilúvatar si affrettò a rimediare.
‹‹No, no!›› disse, sorridendo rassegnato. ‹‹La mia Nienna non deve piangere!
Non deve!››, tuttavia c’era ben poca tenerezza in quelle parole: il dio sembrava piuttosto in preda al panico. ‹‹Sai cosa fa ora il papà?››.
Nienna si arrestò un attimo prima dell’esplosione, guardando interrogativa il "papà" con due occhi grandi come uova di struzzo. Mandos, speranzoso, ebbe addirittura l’ardire di stapparsi le orecchie.
‹‹Ora il papà crea le stelle! Va bene se il papà crea le stelle?›› propose Ilúvatar, chiudendo gli occhi al pensiero dell’immane fatica che lo aspettava. Nienna sembrò pensarci su per un attimo, trattenendo i lacrimoni in posizione strategica: pronti a straripare al minimo ripensamento!
‹‹Sì››, mormorò infine. ‹‹Per le stelle va bene. M-ma per t-tutto il resto?›› si affrettò ad aggiungere, tornando in assetto d’attacco. ‹‹E’ br-brutto il cielo senza le nuvole!››.
‹‹E va bene…›› concesse il buon dio ‹‹…allora papà fa le stelle e le nuvole in cielo!››.
‹‹Ma non è giusto!›› Ulmo scelse il momento meno adatto della sua vita per lamentarsi. ‹‹Fai le stelle a Varda e il cielo e le nuvole a Manwë. Perché a me non fai gli Oceani? Vuoi più bene a loro due!››.
‹‹E’ vero!›› concordò Aulë. ‹‹Se fai l’Oceano a Ulmo io voglio le montagne!››.
‹‹E io la terra!››.
‹‹E io i giardini!››.
‹‹E io le aule degli Spiriti!››.
‹‹E io McDonald’s!››.
‹‹E io il Disney Store!››.
A quel punto Ilúvatar vacillò. Passino una manciatina di stelle e due nuvole giusto per fare contenta la piccola, ma montagne, terre e oceani erano un altro paio di maniche! Per non parlare del fast-food... No, non poteva accontentarli tutti - sarebbe stata una fatica immane anche per lui, e poi non poteva di certo viziarli! Gli Ainur lo guardavano con tanto d’occhi, stampandosi in faccia tutta la tenerezza di cui erano capaci. Ilúvatar scosse la testa e aprì la bocca, intenzionato a fare ai piccini un discorso su quello che un papà può regalare ai propri figlioli e quello che non può, ma una voce lo interruppe.
‹‹Oh… Cosa sono queste preferenze? Guarda che io voglio l’Inferno, eh!››.
Melkor, più morto che vivo dopo le divine sculacciate ma sempre strafottente, metallaro e con la sua faccia eternamente corrucciata, si era intromesso nella discussione.
‹‹Melkor…›› Ilúvatar chiuse gli occhi ‹‹L’Inferno lo scatenerò sul tuo sedere se non ti levi di qua. Mi spaventi i piccoli; guardati: sei allegro come la Morte!››.
‹‹Morte? Dove?›› Mandos si guardò attorno speranzoso, ma mai quanto Manwë che non stava più nella pelle dalla voglia di assistere ad un potenziale bis di legnate.
‹‹Mandos, zitto – Melkor, non parlare di queste cose davanti ai bambini. E tu sta giù, Manwë: non gli faccio niente, tranquillo!››. Manwë gemette impotente di fronte a tanta ottusità.

Ilúvatar, del resto, aveva già i suoi problemi: le crisi di pianto di Nienna, i capricci degli altri Ainur, i gusti macabri di Mandos e ora pure le pretese di quella piaga di Melkor! C’era un limite anche a quello che l’Onnipotente poteva sopportare e i suoi nervi erano già tesi come le corde di un violino reduce da dodici ore di concerto ininterrotto: sarebbe bastata un’altra, un’altra sola goccia e il vaso sarebbe drammaticamente traboccato…
Manco a dirlo, la "goccia" assunse le fattezze di un singhiozzo di troppo di Nienna, che non fece in tempo a dire "Porco Melkor!" e si ritrovò, assieme a tutti gli altri Ainur, scaraventata su Arda, il mondo appena creato.
‹‹Eh, quando ci vuole ci vuole!››. Uno schermo nero apparve davanti agli Ainur e su di esso il volto di Ilúvatar li guardava torvo.
‹‹Ma… Padre! Perché ci punisci così? Perché ci privi dello splendore della tua vista?›› si lamentò Manwë, di ritorno all’antica ruffianeria.
‹‹Taci, lecchino!›› disse rabbiosamente il dio. Manwë calò il capo, umiliato. ‹‹Ora tu e tutti i tuoi fratelli abiterete in Arda. Vi chiamerete Valar…››
‹‹…Valar? Perché Valar?›› domandò timidamente Varda.
‹‹Perché Ainur non mi piace più, sembra un nome da Pokémon; e poi Valar viene meglio da pronunciare›› spiegò rapidamente Ilúvatar. ‹‹Ora vi impegnerete per realizzare con le vostre mani le cose che avete immaginato e cantato›› proseguì senza pietà.
‹‹Ma come!›› si sbalordì Aulë. Lui aveva pensato a montagne alte tremila metri e pesanti innumerevoli tonnellate, ma mica si era mai sognato di farle con le sue mani! E che diamine!
‹‹E’ così, e taci!›› ripeté Ilúvatar godendosi per la prima volta appieno il suo potere. ‹‹Melkor!›› tuonò in direzione della "pecora nera". ‹‹Tu invece ti impegnerai a distruggere tutte le cose create dai Valar! Mi raccomando, olio di gomito e mano pesante, eh!››.
‹‹No! Ma perché! Lui si diverte così!›› obiettò Manwë. ‹‹E’ un premio, non una punizione!››. Melkor non disse nulla, avendo già fiutato il bidone.
‹‹Sì, ma che c’entra…›› spiegò Ilúvatar ‹‹…è perché poi voi lo terrete prigioniero per tre ere: ve lo rivelo in anteprima››.
‹‹Ecco, e ti pareva…›› Melkor scosse la testa e si allontanò con le mani in tasca.
‹‹Ah, un’altra cosa.›› aggiunse Ilúvatar richiamando l’attenzione dei Valar. ‹‹Fra un migliaio di anni o due, non so… quando mi tornerà la voglia di lavorare, comunque…›› i Valar si guardarono scettici ‹‹…ho intenzione di mandare su Arda delle mie nuove creaturine››.
‹‹Ma no! Ma basta!››.
‹‹Ancora?››.
‹‹E che è?››.
‹‹Ma che bisogno c’è?››.
‹‹Beh, avete ragione›› ponderò l’Onnipotente, ‹‹in realtà non c’è alcun bisogno, ma è così… tanto per il gusto di farvi provare com’è bello essere circondati da piccoli Elfi orgogliosi e viziati come voi…›› concluse ghignando al pensiero del malsano seme della follia dilagante che aveva intenzione di impiantare in gran parte dei suoi Elfi. I Valar, non sapendo più cosa aspettarsi da colui che nel giro di dieci minuti era passato dalla modalità "papà buono" a quella "ira divina" fino al "vecchio buontempone", scossero la testa e si allontanarono lentamente, facendo una rapida stima delle loro disgrazie.
‹‹Ah. Manwë!›› ilSignore dei Venti si voltò, sperando in un improvviso cambio di idee. ‹‹Ho deciso che sposerai Varda. Contento, sì?››. Il dio a quel punto non poté più trattenersi e scoppiò a sghignazzare senza ritegno. Manwë impallidì, rantolò e non proferì verbo; raggiunse i suoi fratelli ed essi scorsero da lontano Melkor che si dava già alla pazza gioia, distruggendo quelle quattro pietre che c’erano ai tempi in Arda.

Ebbe così inizio la prima battaglia dei Valar contro Melkor per il dominio di Arda; e di quei tumulti gli Elfi conoscono ben poco […] . E tuttavia le fatiche dei Valar non furono tutte invano; e sebbene il loro volere e il loro progetto non ebbero compimento in alcun luogo e in alcuna opera […], nondimeno la Terra venne lentamente modellata e resa stabile. E così alla fine la dimora dei Figli d’Ilúvatar venne edificata nelle Profondità del Tempo e al centro delle stelle innumerevoli.


Note:
Sì, lo capisco che il Professore sarà lì a rivoltarsi nella tomba, ma che posso farci? Stavo rileggendo il Silmarillion e le idee sono venute tutte da sé...
Nel caso in cui qualche anima pia abbia voglia di puntarmi il dito addosso accusandomi di blasfemia ed eresia, che si calmi: Ilúvatar non esiste.
Nei prossimi capitoli ci sarà un po' più di movimento, spero... =P

   
 
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