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Autore: Sylence Hill    08/01/2012    3 recensioni
Londra, 1835
Rachel Williams è un topo di biblioteca, sempre china con il naso infilato tra i libri. Ragazza di buona famiglia, con un padre fatto da sé e una madre che insiste sul matrimonio, ha un cuore buono e gentile, che ama incondizionatamente.
Ma è anche caparbia e testarda, che vuole affermare a quel mondo che tiene conto solo le apparenze che una donna può essere più che una semplice decorazione per la casa del futuro marito.
Non ha fatto i conti, però, con quello che il destino - al quale non crede - ha deciso per lei. 
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Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sy Hill: Eccomi qui. Sto pubblicando molte FF in questo periodo, ma questa è un tantino speciale. Ho cominciata a scrivere per caso, buttando giù qualche frase e, in men che non si dica, avevo già scritto ben otto pagine.
Questa è l'introduzione.
Ringrzio vivamente chi leggerà e che recensirà.
Questa è dedicata a te, Rachy. Sei stata tu ad ispirarmi e a pronarmi ad esprimermi.
Grazie.
Leggete e Recensite.
Baci,


Sy Hill <3<3<3<3





Stavo camminando sul marciapiede ricoperto di neve, stringendo la mano del mio fratellino Julian, il quale era impaziente di arrivare al negozio di giocattoli in Bond Street.

Nostro padre gli aveva dato il consenso per andare a prendere la barca di legno lunga quanto un mio braccio e alta quasi la metà di Julian, che aveva visto nella vetrina del signor Bradfell un paio di settimane addietro. Quando l’aveva vista la prima volta, è rimasto a guardarla come sotto effetto di un incantesimo e poi aveva pregato mio padre di poterla avere.
Nostro padre, un tipo di persona da cuore gentile ma abbastanza severo, aveva risposto di no, poiché nella nursery aveva ancora tanti giocattoli con cui giocare.
Arrivati all’angolo da svoltare per immetterci della caotica Bond Street, mi sentii tirare la gonna di velluto.
Abbassai lo sguardo ad incontrare i brillanti occhi verde oliva di mio fratello, un sorriso largo e con un varco in mezzo alla fila inferiore di denti – gli era caduto un altro dente da latte.
« Sorellina, sono così felice! » esclamò. « Mi piace tanto quella barca, ho anche trovato un nome adatto da far scrivere al signor Bradfell sulla fiancata e sai qual è? »
Sorridi al suo entusiasmo. « No, qual è? »
« Il “Sorriso di Rachel”. »
Oh, quanto gli volevo bene quando diceva certe cose. Mi trattenei dallo schioccargli un bacio sulla guancia, sapendo che non lo avrebbe gradito e gli scompigliai affettuosamente i capelli.
Bond Street era illuminata a festa, anche se non era occasione di nessuna festiva e le nobildonne e i gentiluomini entravano ed uscivano dai negozi con centinaia di pacchi e pacchetti.
Julian mi tirò per affrettarmi. « Julian non tirarmi. Le signorine beneducate non corrono. »
« Effettati! E se ha già venduto la mia barca? »
« Non preoccuparti. » gli dissi, sistemandomi il capellino di lana in testa. « Papà ha fatto recapitare una lettera al signor Bradfell questa mattina per chiedergli di conservarla per il nostro arrivo. Il signor Bradfell è un uomo onesto e mantiene le promesse. »
Tirai bruscamente mio fratello prima che si buttasse in mezzo alla strada mentre una carrozza nera con uno stemma argentato e blu ci passava davanti.
« Julian, ti ho detto tante volte di non attraversare la strada senza guardare prima a destra e a sinistra. » lo sgridai.
Lui incassò la testa tra le spalle. « Scusa sorellina, ma… »
« Niente ma. » Mi inginocchiai alla sua altezza. « Sai che ti voglio bene e non voglio che ti succeda qualcosa di brutto. »
Lui annuì.
Sospirai e sorrisi. « Andiamo. » l’esortai, tendendogli una mano per stringerla.
Attraversammo la strada, badando bene a non far correre quel birichino di mio fratello nelle pozzanghere di neve sciolta.
« Non sporcarti le scarpe, altrimenti la signora Droom ti costringerà a mangiare uno dei suoi pasticci di verdure! »
L’espressione disgustata che apparve sul suo viso mi fece scoppiare a ridere.
I negozi di Bond Street erano i più visitati della città. La maggior parte dei negozianti ci conoscevano perché mio madre era un uomo molto cordiale, che apprezzava le persone che lavoravano duramente.
Lui stesso si era fatto con le sue mani. L’ Immagination, l’editoria di cui era proprietario e il Millenia, l ’impresa navale, erano state costruite con l’impegno e la dedizione.
Era per questo che io avevo la passione per i libri e mio fratello quella per le navi.
Essendo nata per prima, ero cresciuta di pari passo con l’ Immagination. Ogni volta che papà stampava un libro, ne portava una copia a casa, autografata dall’autore.
Ormai, nella nostra casa, all’incrocio tra Grosernor Street e Devies Street*, aveva un’ala dedicata interamente alla biblioteca, la mia biblioteca. Ero capace di rimanere lì dentro un giorno intero e, se non fosse per i richiami di mia madre e per quei stancanti e stressanti balli a cui ero obbligata a partecipare, beh, credo che sarei capace di passare la mia intera vita tra quei scaffali ripieni di libri.
Mio fratello, invece, era nato otto anni fa, quando mio padre aveva appena avviato il Milleniae ad era cresciuto giocando con il primo modellino di nave con cui mio padre aveva incominciato a viaggiare, fino a fermarsi a quell’ultimo modello che stavamo appunto andando a comprare.
Julian lo voleva perché era una copia esatta della Crystal, l’ultima nave entrata nel Millenia.
« Eccolo! » esclamò Julian, vedendo l’insegna di legno del signor Bradfell.
I sognagli di ferro suonarono appena aprii la porta, facendomi sorridere: mi piaceva tanto quel suono cristallino.
Il negozio si presentava come un’unica grande stanza, ripiena di tutti i balocchi che un bambino potesse desiderare: dalle bambole di porcellana a quelle di pezza a quella di legno con le giunture movibili; i soldatini in piombo, i cavalli a dondolo e tanti altri ninnoli.
Dietro al bancone di legno, un uomo sulla sessantina con una folta barba sale e pepe e un capello di lana in testa, era intento ad esaminare un giocattolo. Al suono della campanella, alzò gli occhi e sorrise vedendo Julian.
« Oh, bentornato, signorino Julian. Sono felice che tu sia venuto. » disse, posando il gioco sul bancone e alzandosi in piedi. « Felice di rivedere anche lei, Miss Williams. Diventate ogni giorno più bella. »
Arrossii vistosamente. Non ero abituata ad essere lusingata poiché non ero una vera bellezza. Certo ero carina con i miei capelli castano dorati, sempre stretti in una crocchia giacché indomabili essendo mossi, e i miei occhi di un colore indefinito tra il verde e il marrone, a seconda della luce e perennemente nascosti da occhialetti tondi.
Il fisico era quello che richiedeva la moda di quell’anno, né troppo fine né troppo grande, ma l’incarnato scuro – volendo essere buona, si poteva considerare dorato –, dovuto al sangue italiano di un antenato di mio padre, non era visto di buon occhio.
Guardando l’aspetto di Julian, non si sarebbe mai detto che eravamo fratelli. Lui era pallino, capelli biondissimi e splendidi occhi azzurri. Una copia maschile e in miniatura di mia madre.
Io ero tutta papà.
« La ringrazio, signor Bradfell. Noi… »
«Oh, so perché siete venuti. » sopraggiunse l’uomo, girando intorno al piano di lavoro, e si inginocchiò davanti a mio fratello. « Mi sa che qualcuno ha una nave da governare. »
Julian annuì freneticamente, troppo entusiasta da poter stare calmo.
Il negoziante sollevò lo sguardo scuro su di me e mi sorrise. « Potrei portarlo con me nel retro del negozio? »
Avevo un po’ timore a lasciarlo andare da solo e come sorella maggiore dovevo sempre stare con cui, per controllarlo. Ma mi fidavo del signor Bradfell, era come un amico di famiglia.
« D’accordo, ma fate in fretta. » chiarii.
L’uomo di alzò. «Oh, non si preoccupi, signorina. Ci metteremo un attimo. »
Mi fratello mi strinse le ginocchia in un abbraccio e sparì con il negoziante dalla porta sul retro.
Sospirai. Era dura fare la sorella. Quella piccola peste non mi dava mai un attimo di tregua.
Gironzolai per il negozio, guardando quello che era esposto, ma dopo qualche minuti, sbuffai annoiata.
Lanciai un’occhiata alla porta in cui erano entrati gli altri e, sentendo la risata cristallina di mio fratello, decisi che avrei potuto fare una capatina al negozio d’antiquariato proprio lì accanto.
« Julian, sono al negozio affianco, se hai bisogno di me. » comunicai.
« Come vuoi, sorellina. » mi rispose lui, la voce ovattata.
Non era educato per una signorina urlare in quel modo come se fossi al mercato, ma tanto a chi dovevo dare conto? Non c’era nessuno lì.
Già, non c’era nessuno che ci accompagnasse – una cameriera o un valletto – come si vuole dall’etichetta. Sapevo che non era bene, ma… insomma eravamo ad un isolato di distanza da Bond Street e c’erano centinaia di persone che conoscevo nel tragitto da casa fino a lì, perciò cosa poteva capitare di brutto?
Uscii fuori dal negozio di giocattoli e proseguii per pochi metri, fino ad arrivare davanti alla vetrina del negozio di antiquariato, dove erano esposti tanto oggetti di vecchia data.
La cosa che mi piaceva di più era un carillon di porcellana, un po’ rovinato, ma ancora bello: aveva un angolo scheggiato e il disegno floreale che lo ricopriva consumato, ma una volta lo avevo sentito suonare e la melodia che aveva eseguito era talmente dolce che me ero innamorata.
Costava un po’, e volevo comprarlo, però volevo farlo con soldi guadagnati da me.
Era un’idea sciocca, visto che non avrei dovuto la lavorare: era una signorina di buona famiglia, con una dote incalcolabile e con un padre tanto buono da potergli tranquillamente chiedere di comprarmelo.
Ma non volevo. Neanche io avevo idea del perché. Forse volevo che quel carillon fosse un qualcosa di veramente mio e non un regalo di qualcun altro, chiunque fosse. O forse era solo un capriccio momentaneo e, tra qualche tempo, sarei andata direttamente da mio padre.
Fatto sta che volevo quel carillon.
E lo avrei avuto con le mie sole forze.
Mentre guardavo anche gli altri oggetti esposti, il riflesso della strada alle mie spalle catturò la mia attenzione.
I miei occhi vennero catturati dal viso di un uomo fermo sul marciapiede. Era alto, molto alto, forse quasi due metri, fasciato ad un abito nero dall’ottimo taglio e coperto da un pesante mantello d’ermellino.
I tratti del volto, forti e regolari, facevano risaltare l’ampiezza della bocca dall’aspetto morbido e accentuavano la linea delle sopracciglia. Lasciati al vento e bagnati dall’umidità della neve, i capelli scuri sembravano indomabili, come la criniera di un leone.
Ma quello che  più risaltava sul quel volto dall’espressione impassibile erano gli occhi.
Sembravano bianchi, ma ero più che sicura che non lo erano e sembravano guardare nella mia direzione.
Quell’uomo, così fuori dal comune, dava l’impressione di essere uno stallone nero in mezzo ad un corraldi puledri.
Quando i suoi occhi scattarono nei miei, ebbi l’impressione che il mio cuore volesse prendere il volo, talmente batteva forte.
In quel momento, un uomo tarchiato, calvo e in forte soprappeso, si avvicinò all’uomo, costringendolo a lasciarmi andare.
Lo vidi salutare il nuovo arrivato con una stretta di mano salda e sorridere leggermente, probabilmente per qualcosa detta dal suo amico.
Vedere quel sorriso fugace mi fece supporre che il gigante non fosse uomo da sorridere spesso, forse quasi mai.
L’uomo tarchiato indicò al compagno di seguirlo e gli batté una mano sulla spalla.
Quando l’uomo mosse un passo ebbi voglia di andare lì e trattenerlo. Impulso alquanto insensato e disdicevole, che cancellai scuotendo leggermente la testa.
Eppure, qualcosa mi spingeva a impedirgli di andarsene, come se una corda mi tirasse ogni volta che l’uomo si allontanava ulteriormente.
Lo segui con lo sguardo e, mentre mi rassegnavo all’idea di vederlo sparire per sempre, questi alzò lo sguardo fino ad incrociare il mio.
Fu un attimo fugace, ma talmente intenso da darmi un brivido.
Quagli occhi straordinari, incatenati ai miei, erano capaci di suscitarmi dentro un fremito sconosciuto e proibito, che una giovane come me non dovrebbe mai provare se non dietro le sacre barriere del matrimonio con il proprio marito.
Decisa a non oltrepassare linee invalicabili, staccai bruscamente il mio sguardo da quello diamantino, voltando di scatto la testa e rientrando nel negozio di giocattolo.
Il mio cuore batteva simile ad un uccellino in volo e il respiro era ansante.
Mi portai una mano al petto, come a fermare quel thum thumfrenetico e a cancellare le tracce di quello che era appena successo – qualunque cosa fosse – prima del ritorno di Julian.
All’occhio infantile di mio fratello non sfuggiva mai niente e durante quell’ultimo anno, avevo imparato a nascondere bene la miei emozioni quando ero in sua presenza, lasciandogli vedere la sorellina che tanto gli voleva bene.
Oh, ovviamente gli volevo bene davvero, ma certe volte era meglio che quel marmocchio non si impicciasse di cose che non lo riguardavano e non avrebbe capito se non in età adolescenziale.
Allora, raddrizzai le spalle, prendendo un bel respiro profondo, mi aggiustai gli occhiali sul naso e i cappellino di lana.
Di lì a pochi minuti, dalla stanza sul retro emersero il signor Bradfell e un Julian talmente entusiasta e splendente di felicità da poter eguagliare la luce del sole.
« Oh, Rechel, sapessi quanto è bella! » esclamò, afferrandomi le gonne.
Gli poggiai le mani sulle spalle per tenerlo in equilibrio. « Beh, allora dov’è? »
« Beh, ho chiesto al signor Bradfell di scriverci sopra il nome e mi ha detto che ci vuole un po’. »
« Oh, » dissi, sollevando lo sguardo sull’uomo risiedutosi dietro al banco di lavoro. « Allora, quando possiamo venire a ritirarla? »
« Anche questo pomeriggio, Miss. »
« Ah, bene! Allora, » continuai all’indirizzo di mio fratello. « Verremo con la carrozza e un valletto per poterla caricare. A dire il vero, avrei dovuto già portarlo qui, visto che la nave era pronta, ma credo che sia stato meglio:sarebbe venuto inutilmente. »
Presi Julian per mano e mi avvia alla porta. Mio fratello salutò il negoziane agitando una mano.
Salutammo il buon uomo e ci immettemmo nuovamente in mezzo alla folla che passeggiava per Bond Street.




* Le strade sono relazionate alla Londra di oggi, visto che alcune di quelle hanno lo stesso nome di quell'epoca.
  
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