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Autore: Schizophrenia    09/01/2012    6 recensioni
Buchenwald,Germania,1943.
"Il lavoro rende liberi".
Per quanto questa frase viene ricordata adesso con disprezzo, collegata ai numerosi campi di sterminio utilizzati ai tempi di Hitler, non è solo al lavoro che si badava. Non è il lavoro che devono affrontare i giovani di questa storia.
Bea Gurtsieva viene dalla Russia ed è comunista, per questo viene portata nel campo di concentramento di Buchenwald e viene affidata all'allora soldato semplice Mark Schreiber.
Mark Schreiber vuole solo andarsene. Mark Schreiber si è arruolato nell'SS sperando di essere mandato in guerra, ma si ritrova lì, con suo padre, con il quale non ha un rapporto esemplare, a gestire il campo di concentramento.
"Forse fu perché Mark non aveva mai visto un corpo così bello; forse fu semplicemente perché lo attirarono i lividi di cui era ricoperta la ragazza... ma il giovane Schreiber venne scosso da brividi profondi al basso ventre, prima di avvertire l'impulso pressante di prenderla, lì, con violenza; pur sapendo chi fosse."
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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Salve a tutti!
Ecco a voi il nuovo capitolo! Non volevo farmi aspettare troppo e mi dispiace di aver tardato di un giorno, ieri sera il capitolo era già pronto ma ero seriamente in ansia per il ritorno a scuola e stavo mettendo a posto le ultime versioni. :3
Ad ogni modo vorrei ringraziare come sempre chi legge la storia, la commenta, la inserisce tra preferiti/seguiti/ricordate. Siete tutti fantastici. *-*
Volevo anche avvisarvi che non ho intenzione di fare più molti ritardi, ma come per molti di voi anche io oggi ho iniziato di nuovo la scuola. Una bella botta di sicuro, non vedo l'ora di collassare sotto le coperte. Ad ogni modo, ho un sacco di lavoro da fare per recuperare latino. Quanto odio quella materia, mio dio; no, la cosa davvero irritante è che non è vero che la odio, mi piacerebbe anche se solo riuscissi a capirci una mazza. D'accordo, inizio a mettermi sotto.
No, non è vero: come faccio a studiare quando ho messo su il dvd di "Senza filtro"?! Gné.
Su, giuro che ci provo. Voglio passare l'anno.
Buon capitolo!
Schizophrenia.





Salviamoci la pelle.


-Come noi vorremmo che fosse.




Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
28 Febbraio 1944
23:56

I giorni passavano così in fretta quell'inverno in Germania.
Così in fretta da sembrare attimi, attimi in cui tutti riuscivano a prendersi una pausa dal mondo esterno e dedicarsi ai propri problemi personali e alle proprie gioie. Che di gioie in realtà ce ne fossero ben poche effettivamente per molti tedeschi e persone residenti nel posto era un'altra cosa; a Mark Schreiber sembrava che tutto girasse nel verso giusto in quei mesi e che niente sarebbe potuto capitare di abbastanza forte da rovinare quell'assurda perfezione che per la prima volta era venuta a crearsi all'interno della sua complicata vita.
D'accordo, forse quando si coricava sul letto oppure reggeva un fucile per i suoi quotidiani allenamenti gli venivano in mente giusto una cinquantina di situazione che se si fossero verificate avrebbero potuto spezzare quell'armonia, ma ultimamente si era convertito al pensiero che essere ottimista ogni tanto non faceva male a nessuno e quindi ci provava anche lui, pensava positivo ed effettivamente andava tutto bene: Bea era ancora in vita pur essendo stato perso definitivamente l'Assedio di Leningrado e inoltre poteva finalmente definirla la sua Bea, almeno tra sé e sé quando pensava a loro due insieme; non era stato richiamato per combattere ancora dopo una ferita così grave alla gamba e pur sapendo che quella lettera poteva arrivare da un momento all'altro preferiva godersi la meritata libertà; suo padre non gli stava ancora facendo pressioni riguardo Barbara Von Hebel e questo era certamente da considerarsi un bene.
C'era certo una macchia in tutto quello: Walter. Secondo il sergente il suo migliore amico aveva un enorme segreto che non rivelava a nessuno, ma più si scervellava più non riusciva a venirne a capo quindi aveva deciso di mettere da parte "la questione Walter" e chiuderla a chiave, considerandola uno pseudo-pericolo per quello strano periodo di serenità mentale.
Si avvicinò alla porta di Beatrishka, senza bussare. Infilò le chiavi nella serratura, ma non giro. Stesse semplicemente qualche minuto a fissare prima il legno scuro della porta e subito dopo la maniglia dorata; aveva sempre qualche minuto di esitazione prima delle sue visite notturne a Bea: moriva dalla paura di aprire quella soglia e di non trovarla oppure trovare semplicemente il suo cadavere ricoperto di sangue. Non credeva che sarebbe mai riuscito a sopportare una visione del genere e comunque tutti erano perfettamente in potere di eliminarla da un giorno all'altro, la spiegazione sarebbe stata ovvia "non ci occorreva più", tuttavia c'era una possibilità più grande che dava a Mark motivo di panico e angoscia.
Qualunque persona che non conosceva bene la gerarchia di un lager tedesco avrebbe pensato, non trovando più la ragazza all'interno della camera a lei designata, che ella sia stata uccisa, ma c'era un'altra triste realtà e usanza: le belle e giovani ragazze potevano avere una vita migliore socialmente in un lager, mantenere i loro bei capelli proprio come era stato concesso a Bea se accettavano di prostituirsi ai soldati. "Accettare", poi, è decisamente un bel termine quando ti obbligano a fare qualcosa. Purtroppo quest'eventualità terrorizzava Mark dato che Beatrisa Gurtsieva era bellissima non solo ai suoi occhi, quella di lei era una bellezza semplice e in fiore, di una ragazza che sta crescendo con la pelle liscia e profumata di vaniglia, dai tratti leggeri e sofisticati, l'unica cosa che scoraggiava l'ammissione di Bea in questi "bordelli" per nazisti era il seno non troppo grande, caratteristica che molti soldati che il sergente Schreiber aveva conosciuto trovavano fondamentale in una donna. Eppure il ragazzo era attratto anche da quel seno piccolo e per niente volgare. Si, stava sicuramente andando fuori di testa.
Mark Schreiber alla fine, come ogni sera, si era deciso ad aprire quella porta ed entrare nella piccola stanza. Sorrise, nell'osserva che Bea era lì, ad aspettarlo. Seduta in un angolino della stanza, quello più distante dalla candela. Beh, non che vi fosse comunque molto altro spazio in un buco di stanza poco pulito, per giunta. La vide sorridere, appena si fu richiuso la porta alle spalle silenziosamente. La schiena della ragazza era schiacciata contro la parete e le gambe, pressate contro il petto, erano come protette dalle braccia. Il ragazzo osservò i lunghi capelli corvini di lei, che in quella posizione quasi sfioravano le assi del pavimento. Le si avvicinò a passi veloci, salutandola con un lieve cenno della mano. Quel giorno era stanco, ogni muscolo del suo corpo sembrava urlarlo.
<< Com'è andata la giornata, soldato? >> chiese la ragazza, poggiando il capo sulle ginocchia, osservando e memorizzando ogni suo movimento come se fosse vitale: l'avanzare velocemente, il sedersi accanto a lei contro la parete, quello sfiorare una ciocca di capelli come se fosse naturale, come se fosse come respirare. Le sarebbero serviti quando non le sarebbe stato più permesso di rimanere in vita.
Lui scrollò le spalle, << Come tutti i giorni >>  le sorrise, un sorriso disarmante. Gli sembrava di aver sorriso di più in quei pochi mesi -trasferta a Leningrado sotto le armi compresa- che nel resto della sua vita dai sei anni in poi. Quella ragazza aveva uno strano ascendente su di lui, se ne rendeva conto perfettamente, ma sembrava non riuscire proprio a farne a meno. << Sono andato ad allenarmi, ho anche incontrato Derek Keller oggi. Non parla molto con nessuno, ma sono convinto sia una brava persona, non ragiona come tutti gli altri. Credo sia un punto a favore >> disse, con una velata notare di ironia. Da quando faceva ironia sul nazismo? No, quello decisamente non era il ragazzino che sognava di andare in guerra a sparare addosso a qualche russo.
Beatrisa annuì, alle parole del sergente, osservandolo incantata. Riusciva ad incantarsi ogni volta che apriva bocca. << Chi è Derek Keller? >> chiese, appena l'altro ebbe terminato la frase. Di solito non gli chiedeva mai spiegazioni, di solito non c'era bisogno di farlo, ma quel nome non le diceva assolutamente nulla.
L'altro si bloccò, cercando qualche riferito. Era una morsa dentro non poterle parlare come se fosse una comune ragazza tedesca, invitarla a bere una birra  una sera-seppure qualcosa nel suo sguardo gli comunicava che non avrebbe mai accettato di bere una birra- o presentarla ai suoi amici. Certo, stava diventato smielato fino all'inverosimile, ma non riusciva a sopportare di non poter comportarsi come una persona normale. << Ricordi la prima volta che Walter è venuto a trovarti? Ci fu qualcun altro, quella sera, che ti portò da mangiare. Quello è Derek Keller >> borbottò, lasciando ciondolare il capo contro il muro freddo.
Non gli andava più di continuare quello stupido gioco, ma che altro poteva fare? Stava cercando ad una soluzione per farla fuggire da quel postaccio, ma perché? In fondo la compagnia di lei lo faceva sentire così vivo e riusciva a farlo sorridere dopo anni in cui la sua povera testolina aveva iniziato a credere che l'unico rapporto umano decente che avrebbe mai potuto avere sarebbe stato sempre e solo Walter. Eppure sapeva che prima o poi l'avrebbero uccisa, che qualunque cosa avesse provato per lei il destino della ragazza era segnato da tempo: era solo questione di aspettare un po' e poi sarebbe morta in una di quelle camere a gas, con la scusa di una doccia; l sergente lo sapeva bene.
La mora annuì, poggiando il capo sulla spalla del suo soldato, << Adesso ho capito >> concesse, un po' ironica, socchiudendo gli occhi. Moriva dal sonno e non dormiva decentemente se lui era con lei. Aveva sempre troppa paura che qualcuno,qualcuno che non era Mark, entrasse nel cuore della notte per portarla ancora in quelle terribili sale di tortura che purtroppo aveva già conosciuto.
Schreiber le accarezzò i lunghi capelli scuri, arricciandoseli ancora attorno alle dita, mentre scrutava ogni suo movimento. Riusciva sempre a stupirsi di quanto la ragazza fosse bella ed estremamente fragila. Non era stata quella ragazza ad urlargli contro qualche giorno prima? Quella che si imponeva, che pretendeva di aver ragione sul loro rapporto, quando diceva che non c'era nulla di sbagliato? Era fragile, sì, ma estremamente coraggiosa.
<< C'è qualcosa che non va >> notò lei. Non era una domanda, non aveva bisogno di una risposta, ma aveva notato lo stato di inquietudine generale che aleggiava nell'aria e non poteva fare a meno di comunicarlo anche al ragazzo. Ovviamente nemmeno lei era tranquilla, ma cercava di illudersi che andava tutto bene, che sarebbe andato tutto bene finché uno dei due non avesse chiuso gli occhi per sempre, nel buio infinito dell'oblio che circonda una morte serena.
Lui rise. Una risata vuota, priva di divertimento o di qualsiasi emozione, nemmeno negativa. << C'è mai qualcosa che va come dovrebbe?! >>, nemmeno quella di lui era una domanda, troppo cinica e sarcastica per esserlo. Sapeva benissimo che no, non andava nulla per bene, non c'era motivo di fingere davanti a Bea che non fosse così. Voleva solo godersi gli ultimi giorni -o forse, volendo essere davvero molto positivi, mesi- di tutto quell'inferno con lei; magari rivelandole finalmente quali erano i suoi veri sentimenti, cosa che non aveva ancora fatto per mancanza di chiarezza propria.
Bea scivolò lentamente nello spazio vitale del biondo, accoccolandosi sulle sue gambe, poggiandosi contro il suo petto e raggomitolandosi come un micio su una qualsiasi fonte di calore in una giornata invernale. << Tu sei con me, adesso. Questo è come dovrebbe essere >> mormorò, mentre socchiudeva gli occhi, come se avesse detto la cosa più logica del mondo, pronunciando quelle parole; e sentiva davvero che lei e Mark fossero logici, ovvi, scontati. Nulla di più matematica che sommare due cifre per unirle in un unico risultato. Non le passava mai per la testa che fossero un'eccezione a qualche regola o che i suoi sentimenti fossero qualcosa di nuovo, fresco.
Le labbra di Mark si curvarono in un leggero sorriso. Era l'immagine più bella che avesse mai visto in vita sua, osservò quella dolce creatura addormentarsi tra le sue braccia e in quel momento lo sentì: doveva proteggerla, senza badare alle conseguenze. Doveva pensare prima alla salvezza di lei che alla propria, perché vivere un'esistenza senza lei nella sua completezza sarebbe stato molto peggio che subire l'ira di dio, ed essere condannato a marcire per sempre all'inferno, guardando la morte in faccia. Le sfiorò dolcemente il volto, non ricordava di aver toccato mai nessuna donna in quello stesso modo; aveva consumato ogni amplesso velocemente senza sprecarsi a coccolare mai nessuna di loro. Sospirò: ancora gli risuonavano le parole di lei in testa.
<< Questo non è come dovrebbe essere, Beatrishka, è come noi vorremmo che fosse. >> soffiò, dolcemente, ad un orecchio di lei quando fu sicuro che stesse dormendo.


Weimar, Germania.
12 Marzo 1944
10:27

<< Sto ancora cercando di capire perché hai preteso che mi alzassi così presto di domenica mattina >> borbottò Walter, davanti al suo cappuccino e al croissant caldo, seduto al tavolo più isolato nel bar dove facevano colazione prima di andare a scuola, un tempo. A volte quei piccoli momenti gli mancavano e non solo perché vedeva Mark tutti i giorni, ma perché non doveva pensare ad altro se non hai compiti e ad essere felice giocando i soldati. Adesso il soldatino ce l'aveva seduto di fronte, ma non era di plastica rosa.
Mark rise, scrollando le spalle, << Perché non ci vediamo da parecchio >> provò con la prima scusa che gli venisse in mente, prendendo la tazza di espresso e bevendone un lungo sorso. Forse non era proprio quello il motivo, ma non riusciva più a tenere nascosto al suo migliore amico un segreto tanto grande e importante per lui, era assolutamente qualcosa che non riusciva e forse non voleva nemmeno fare. Era sempre Walter: era anche merito suo se era riuscito a scavare dentro di sé e trovarci un po' di buon senso, in dose sufficiente per non uccidere o maltrattare una splendida ragazza russa per cui aveva completamente perso la testa.
Hoffmann addentò il suo croissant, senza distogliere i grandi occhi azzurri dal biondo. << e per "parecchio" intendi due giorni? >> chiese, scettico. C'era qualcosa che non lo convinceva del tutto nello sguardo di Mark Schreiber quel giorno: sembrava quasi felice. Vedere quel ragazzo biondo e dagli occhi nocciola felice era una novità assoluta che si stava verificando sempre più spesso ultimamente, ovviamente il figlio del medico sapeva perfettamente che ormai il suo migliore amico era perso in un plico di lettere scritte a Leningrado sotto le bombe, ma in quegli giorni sembrava addirittura più rapito del solito.
L'altro rise, scrollando appena le spalle mentre finiva il suo caffè. Con Walter le risate erano sempre state facili, figurasi quel giorno. << Non credo tu voglia davvero sapere cos'è successo >> lo stuzzicò. Sapeva che dette quelle parole la testolina bacata del suo migliore amico avrebbe formulato tutte le ipotesi possibili per venire a capo di quel quesito, dopotutto il ragazzo dagli occhi azzurri era un bambino troppo cresciuto incredibilmente testardo.
<< Dipende. Di cosa stiamo parlando? >>, Hoffmann iniziava ad avere dei dubbi. Ormai quasi tutte le loro conversazioni erano incentrare su una persona soltanto, ma le novità che Mark poteva portare su ella non erano esattamente tutte rassicuranti. C'era decisamente qualcosa che non quadrava.
Il sergente Schreiber scrollò le spalle con un ghigno divertito stampato sul volto, << Forse è meglio parlarne lontano da qui >> suggerì. Il fatto che non volesse essere udito da orecchie indiscrete confermata l'ipotesi che volesse parlare della ragazzina russa; non sapeva se questo avrebbe dovuto rassicurarlo o farlo spaventare ancora di più: conosceva i momenti bui della vita del migliore amico e sapeva che essi di solito si presentavano senza preavviso, poteva essere successo ancora.
Chiamarono una cameriera e Walter pagò il conto. Quella mattina toccava a lui, era un bel po' che facevano a turno ed anche se non si ritrovavano da soli al bar per una colazione Hoffmann ricordava benissimo che l'ultima volta era stato l'altro a pagare e ci teneva a rispettare la tradizione. Forse per conservare quelle piccole abitudini che si portavano dietro fin da bambini e che non avrebbero mai voluto lasciare per degli sciocchi motivi.
Una volta usciti dal locale, il figlio del medico rivolse lo sguardo al più alto, << Allora, cosa è successo? >> chiese ancora, curioso. Si stava rodendo dentro per conoscere i segreti che quella domenica mattina poteva nascondere per il suo amico e probabilmente per la ragazza dai lunghi capelli corvini. Quando si erano visti negli ultimi giorni non ne avevano parlato quasi per niente, come se Mark evitasse l'argomento più del solito, come se cercasse di preservare un segreto che non voleva condividere con nessuno; il suo migliore amico era curioso e ogni tanto si preoccupava anche per lui, ma aveva rispettato quell'assurda decisione di chiudersi tutto a chiave dentro e aveva cercato di portare l'attenzione su argomenti come le ultime notizie riguardanti la guerra e la situazione della Germania in essa.
<< Shh >> lo zittì il sergente. Si stava divertendo ed era decisamente troppo allegro per tutto quello che stava succedendo: le perdite degli eserciti tedeschi ammontavano ad un numero abnorme che i cittadini non avevano né la forza né la voglia di contare e un sergente come lui doveva temere di essere il prossimo ad essere spedito sul fronte per morire. << C'è un posto particolare dove voglio parlarne >> aggiunse, subito dopo, iniziando a camminare per le vie della città, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. Fuori da Buchenwald poteva anche indossare abiti civili, anche se probabilmente il padre avrebbe preferito indossasse sempre la divisa per onorare l'SS, Hitler e la razza ariana.
Walter lo seguì e non parlarono per il resto della passeggiata. Nonostante fosse quasi primavera il tempo non era migliora di molto. Faceva ancora freddo e il vento fischiava violento, cosa testimoniata anche dalle sciarpe che indossavano i due ragazzi: lana semplice e blu per quella di Mark, uno sciarpone più pesante e degli stessi colori dell'arcobaleno per l'altro. Non pioveva più, almeno, e le nevicate erano molto più rare e leggere; la neve che si era depositata per le strade si era tutta sciolta.
Mark aprì un vecchio cancello di ferro battuto solo spingendolo, all'interno sembrava deserto nonostante fosse una bella mattinata. << Eccoci >> sorrise. Era certo che Walter si ricordasse di quel parco, era il primo che avevano visitato una volta ritrovatosi entrambi in quella città, dopo i primi anni d'infanzia a Berlino. Era tra l'erba di quell'area verde che Walter Hoffmann aveva osservato Mark Schreiber soffrire in silenzio per la perdita della madre, con il volto contratto in una smorfia orribile, ma senza versare nemmeno una lacrima. Era stato lì che, distesi su un lenzuolo, quello che allora desiderava ardentemente diventare un soldato dell'SS per far sì che suo padre fosse fiero di lui, aveva raccontato al suo migliore amico della sua prima esperienza sessuale, come se non fosse troppo importante: era il tempo in cui Mark cambiava giovani e bionde ragazze di buona famiglia almeno due volte al mese senza riuscire a trovare "entusiasmante" nessuna di loro. Non entravano lì dentro da almeno due anni, ma se Mark aveva deciso di portarlo lì si trattava sicuramente di una cosa seria.
<< E' rimasto lo stesso posto di sempre >> mormorò il più basso, iniziando a camminare seguendo Mark, lasciandosi guidare tra gli alberi che avevano ripreso da poco le loro foglie di un meraviglioso verde smeraldo e quelle staccate dalla corteccia dall'autunno dovevano essere state spazzate via da parecchio ormai. Il giovane Hoffmann si ritrovò a pensare che era davvero un secolo che non pensava di tornarci.
<< Anche noi siamo gli stessi di sempre >>, Mark sorrise all'occhiata scettica di Walter, << le persone non cambiano, Wal, tirano fuori il meglio o il peggio di loro con gli anni, ma non cambiano mai. Sono i loro ideali, i loro pensieri che cambiano ma sempre in base a ciò che sono e che hanno finalmente deciso di far emergere con un po' di barba o una camicia nuova >>, concluse come se fosse ovvio e addirittura scontato, quel discorso, da parte sua.
Hoffmann lo osservò, stupido, sedendosi di fronte all'altro che aveva scelto l'ombra di un albero come rifugio dai pochi raggi di sole donati da quella domenica mattina. << Beh, sicuramente qualche forza della natura è riuscita a tirar fuori il meglio di te >> mormorò, basito, stendendosi tra l'erba e, al contrario dell'amico, accettò di farsi baciare la pelle dalla luce che quasi scottava sul suo corpo congelato dal lungo inverno tedesco. La persona che gli stava parlando era sicuramente ancora il suo Mark, ma c'era una luce diversa negli occhi color cioccolato fuso, tale da renderli più luminosi.
<< Allora, vuoi sapere cos'è successo? >> lo stuzzicò il sergente, sapendo che l'altro stava morendo dalla curiosità. Poggiò il capo contro il contro d'albero, socchiudendo gli occhi e godendosi l'aria quasi sopportabile di quelle mattine di fine inverno. In fondo si divertiva a prendere un po' in giro Walter.
L'altro sbuffò, << Certo che voglio saperlo e se tu non fossi così perversamente crudele me l'avresti già detto >> borbottò, guardandolo male. Grazie alla lunga attesa era stato capace di farsi venire in mente almeno cinquecento possibili cose accadute negli ultimi due giorni che potessero aver sconvolto il suo migliore amico a tal punto da renderlo felice e da fargli fare il giro di mezza città per arrivare in quel parco a raccontargli tutto.
La risata del sergente risuono nel parco semi deserto. << Ci siamo baciati >> sussurrò, come se fosse il segreto più bello, dolce e naturale che fosse mai uscito da quelle labbra; come se fosse la conclusione di una fiaba che in realtà era appena iniziata, come se quell'evento rappresentasse lo sbocciare di un fiore che apre lentamente i suoi petali, uno dopo l'altro, trattandoli con estrema delicatezza.
Walter sussultò, con un misto di sorpresa. No, in realtà se lo aspettava dalla prima volta che aveva visto Beatrisa Gurtsieva, ma non riusciva a credere che fosse accaduto realmente, che si fosse finalmente realizzato l'impossibile; soprattutto perché non aveva mai visto il suo migliore amico in quelle condizioni, era un evento strano e allo stesso tempo affascinante. << Tu e...? >> conosceva benissimo la risposta, ma voleva essere sicuro, o forse si aspettava qualcos'altro. In fondo lui era sempre stato in grado di scavargli dentro e si era reso conto dei sentimenti dell'amico molto prima del sergente stesso.
Mark aprì gli occhi ed inarcò un sopracciglio, osservando il suo migliore amico in maniera indecifrabile << Bea >> rispose, con sarcasmo, pensando che forse era il caso di dargli la soddisfazione che si aspettava per non sentirlo fino al ritorno a casa: lo aveva portato lì proprio perché voleva che nessuno venisse a sapere di quello che si erano detti e della sua quasi relazione post-bacio con Beatrishka. << e avevi ragione tu, fin dall'inizio >> aggiunse, stavolta con ironia, osservando le foglie sopra di lui, appartenuti all'albero al quale era appoggiato, che occupavano quasi interamente la sua visuale.
Il povero Hoffmann scoppiava di gioia, ma cercava di trattenersi. Osservò l'amico con gli enormi occhi azzurri, quasi lucidi. << E... e... e... >> non riusciva a parlare. Quasi balbettava, cercando le parole giuste per commentare tutto ciò che aveva appena saputo, con risultati davvero scarsi. << Adesso? Tu la ami, no? >> riuscì solo a chiedere, di getto, tirandosi di scatto a sedere ed osservando il suo migliore amico come se fosse una fonte importante di notizie che avrebbero potuto cambiare il corso della sua esistenza. Beh, c'erano tantissimi problemi da considerare riguardo un'eventuale relazione tra lui e la giovane ragazza sovietica, ma era appena iniziato tutto: non era ancora arrivato il momento di pensarci, rovinandosi il momento.
<< Amare è una parola grossa, Walter >> rispose l'altro e lo era davvero, soprattutto quando il soggetto in questione non aveva mai pronunciato una frase come "Ti amo"; non ne aveva mai sentito la necessità. Era anche vero che non aveva mai sentito il bisogno quasi fisico e l'urgenza opprimente di vedere e sentire Bea accanto a sé, ma lui non aveva idea di cosa fosse l'amore, non l'aveva mai avuta e non era interessato a scoprirlo proprio quel giorno. Voleva godersi il tempo con Bea, senza scavare troppo dentro di sé. Cosa purtroppo inevitabile, si costrinse suo malgrado ad ammettere.
Walter lo osservava, sempre più meravigliato e per poco non si alzò in piedi. << Guardati. Ti sei mai visto così? E' ovvio che ne sei perdutamente innamorato, idiota! >> sbottò, e lui non insultava mai nessuno: era l'unico essere umano incapace di provare odio che il sergente Schreiber conoscesse.
<< Evitiamo di parlarne, Walter, sono venuto qui per informarti un avvenimento felice >>
Il più basso socchiuse gli occhi, prendendo un lungo respiro che l'aiutò un po' a tranquillizzarsi, << Quando vi siete baciati? >> chiese, sereno, aprendo gli occhi.
L'altro sorrise e alzò appena gli occhi al cielo: il suo migliore amico riusciva a sembrare una quattordicenne in piena crisi ormonale, quando voleva. << La sera del mio compleanno >> fu la sua risposta, mentre tornava con la mente agli avvenimenti trascorsi dal quattordici di febbraio a quel giorno. Forse erano stati davvero i più belli della sua vita.
<< E, di grazia, perché ti sei degnato di dirmelo solo adesso? >> Wal mise il broncio. Il suo adorabile broncio da bellissimo bambino di cinque anni e Mark scoppiò a ridere, in una domenica mattina di una quasi primavera.



Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
15 Marzo 1944
9:40

Il sergente Mark Schreiber era sgattaiolato dalla camera di una deportata russa poco prima delle sei, si era lavato in modo veloce e aveva indossato la sua nuova divisa per gli allenamenti: sebbene non lo avessero ancora richiamato alle armi, il ragazzo era convinto che sarebbe successo e se a Leningrado era stato fortunato non significava certo che sarebbe successo ancora. Sperava solo di rimanere al campo in quei giorni e mettere ordine tra i suoi pensieri e non pensava alla guerra, ma seguiva i suoi allenamenti quotidiani insieme a tutti gli altri arruolati nell'SS.
Venne poi chiamato all'ingresso del campo di lavoro di Buchenwald, con la certezza di un nuovo treno in arrivo. Lo sentiva già fischiare mentre camminava percorrendo il filo spinato, chissà perché da qualche mese a quella parte avvertiva l'arrivo di un treno così giusto e frequente gli metteva quasi ansia; vedere le persone scendere e venire spogliate e private di tutto ciò che avevano non era più un avvenimento gratificante, gli faceva solo desiderare di mandar via Beatrisa da lì il prima possibile e magari di scappare con lei, verso Montréal. Era sicuramente la scelta migliore.
Mentre osservava i deportarti scendere dal treno, era rimasto fermo accanto al filo spinato. Osservava i loro volti come se fossero state tutte persone importanti per lui che in quel momento stava perdendo per sempre.
Un uomo, stanco, sulla cinquantina quasi completamente calvo. Chissà che lavoro faceva, con quante donne era stato, se preferiva un sigaro o un bicchiere di alcool.
Una ragazzina di forse dodici anni. Dov'erano le sue bambole e i quaderni con le lezioni di matematica?
Un'anziana signora. Chissà se sarebbe riuscita a vivere ancora, fuori di lì, si e no quattro anni, sembrava già parecchio malaticcia di suo. I suoi figli erano riusciti a salvarsi?
Un bambino che forse aveva si e no quattro anni, capelli ed occhi chiari. E se l'avesse sottratto alle docce e spacciato per un tedesco? Dopotutto non era ancora stato segnato.
Una ragazza. Una bella, meravigliosa ragazza dagli occhi verdi e i capelli arruffati di uno splendido rosso chiaro. Probabilmente un uomo aveva chiesto la sua mano a suo padre e lui aveva accettato perché solo un uomo per bene può chiedere la mano di un tale fiore.
Quelli non erano gli occhi della sua Bea, ma si disse che sicuramente anche lei aveva un ragazzo a casa che la stava aspettando a braccia aperte. Non ebbe il tempo di formulare un pensiero coerente che non risultasse troppo ossessivo, che sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Si voltò di scatto, sebbene sapesse che lì per lui non c'era alcun pericolo e vide il volto di Hans Schreiber.
<< Vieni, devo parlarti >>
"Ciao, papà. Sto bene, grazie", ma i pensieri ironici non servivano se non espressi ad alta voce. Lo seguì, allontanandosi dal gruppo di persone sporche, stanche e tristi che si era formato. << Ti ascolto >>
Il maggiore Schreiber gli rivolse un'occhiata, senza smettere di camminare, << Non stai facendo molto, ultimamente >>, gli fece notare.
Mark Schreiber si trattenne dallo sbuffare, << Sono appena guarito e comunque continuo ad allenarmi. Cosa c'è che non va? >>
<< L'allenamento è un tuo dovere e non sei più convalescente da un mese, pretendo che anche tu dia una mano, qui dentro >> fu la risposta del padre. Non ammetteva repliche, dopotutto non era colpa sua se il ragazzo era stato ferito sul fronte e adesso non lo richiamavano alle armi. Di certo non poteva sperare di venir pagato senza far nulla.
<< Dimmi cosa vuoi che faccia >> si arrese, senza nemmeno combattere troppo. Ultimamente non aveva davvero la forza di lottare per qualcosa, nemmeno se vi credeva fermamente.
L'uomo si strinse nelle spalle, << Il tenente Friedrich Heinrich è morto la settimana scorsa, non ricordo di cosa. >> Il ragazzo non se ne meravigliava: era un uomo anziano con i suoi problemi. << Si occupava dell'appello all'entrata dei forni e delle docce. Stilava lui stesso le liste e una volta compiuto il lavoro me le portava. Credi di esserne capace? >>
Il sergente trattenne una smorfia all'idea di un compito simile. Fortunatamente lui non era il tenente Heinrich e non trovava piacere nello stilare liste simili. Ma qualche mese prima avrebbe preso a calci negli stinchi qualsiasi essere appartenente ad una razza inferiore. Scacciò via quel pensiero: doveva accettare per forza, se non voleva che suo padre lo pressasse per Barbara.
<< D'accordo, devo iniziare domani? >>
<< Perfetto >>



Se questo è il tempo che si ha, mettiamo una distanza
dalla città, dai numeri, dal freddo della stanza.
Voglio la tua bocca, ma mi passerà
prima che si apra per me.

Per rimandare ancora tutto a domani, amore
ed essere sempre quello che vuoi,
e non finire mai.
Non finire mai.
Non finire mai.
[Tutto domani, Afterhours]


   
 
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