Giuro che non so come mi
sia uscita quest’idea. Non so nemmeno se sia buona o meno XD adoro
semplicemente i botta e risposta fra questi due.
Desclaimer: Sherlock e John
sono proprietà di Sir Doyle, e dopo dei signori Moffat e Gatiss. Io non li
possiedo, ed è un gran peccato, ma mi diverto molto a scrivere su di loro, dato
che sono la mia ultima fissazione.
Vi auguro buona lettura.
__________________________________________________________________________________________________
Com’era
nata quella discussione, sinceramente, non ne aveva la minima idea.
Era
successo in un giorno come gli altri: Sherlock ammazzava componendo la noia del
primo di una serie di giorni senza casi fra le mani – ovvero le uniche 24 ore
in cui il coinquilino era ancora sopportabile – mentre John passava il tempo
del suo giorno libero scrivendo sul blog dell’ultima impresa portata a termine
dal consulting detective.
Era
superfluo dire che nel web stavano diventando abbastanza famosi, e le due
telefonate che Mycroft gli aveva fatto solo quella mattina ne erano una
dimostrazione. Soprattutto se si metteva a discutere del fatto che troppa
visibilità non avrebbe fatto bene alla loro vita di coppia, “che comunque
rimane affar nostro” aveva specificato lui prima che Sherlock gli prendesse il
telefono e terminasse bruscamente la chiamata.
In
quel momento erano le undici e trenta del mattino e, John lo sapeva, la
tranquillità in cui si erano gradevolmente immersi non sarebbe durata molto.
Infatti,
all’improvviso, Sherlock abbassò il violino e si girò in sua direzione.
« Come hai fatto,
John? » domandò,
apparentemente dal nulla.
Non
era dal nulla, Watson lo sapeva bene. Sicuramente era una domanda uscita da un
qualche ragionamento di sorta che l’altro aveva portato avanti per tutta la
mattina, ma a volte si dimenticava che gli altri, quelli che poi avrebbero
dovuto ascoltarlo e possibilmente tentare di fugare i suoi dubbi, non erano
nella sua testa e non erano nemmeno veloci come lui nel carpire il pensiero che
si nascondeva dietro la domanda posta.
Motivo
per cui John, alzando gli occhi dal notebook, esordì con un « cosa? ».
Sherlock
roteò gli occhi. « Voglio dire, come
hai fatto a frequentare tutte quelle donne se sei gay? » esordì, questa
volta un poco più esauriente.
Ebbe
la sensazione che il discorso cominciasse già da subito a prendere una brutta
piega.
« Io non sono gay » rispose però
John, mantenendo una sorta di dignitosa calma.
Sherlock,
già intento a rimettersi il violino sotto il mento, si fermò. « Scusa? » domandò,
perplesso.
« A me piacciono le
donne, Sherlock » specificò il
medico.
« Allora sei
bisessuale » ribatté
prontamente Holmes.
« No, non mi
piacciono gli uomini » disse però John,
e questo fu sufficiente per distogliere completamente l’attenzione di Sherlock
dal violino. Cosa che gli sarebbe anche piaciuta, se solo il discorso non fosse
incentrato su sesso e sessualità.
Non
fraintendiamo, John Watson considerava fare
sesso con Sherlock Holmes – suo attuale compagno
nel vero senso del termine – una cosa gradevole ed appagante; ma parlare di sesso con Sherlock Holmes,
doveva ammettere, lo metteva un po’ a disagio.
Preferiva
disquisire di cadaveri e morti violente.
« Nelle tue parole
c'è del controsenso, John » esordì Sherlock: « da quello che mi ricordo, e me lo ricordo
vividamente e con una certa soddisfazione, ciò che saltuariamente facciamo in
camera tua non mi sembrano partite a Risiko, nonostante ci sia effettivamente
una certa lotta per la supremazia e la sottomissione » disse, calmo e
sereno come se parlassero del tempo.
« Sherlock... ».
« E di solito sei
tu quello in cerca di attenzioni, o che si ricorda la data dell'anniversario
ogni mese » continuò.
« Sherlock! ».
« Inoltre, e fino a
prova contraria, io sono un uomo » concluse.
« Sì, sì, ho
capito! » esclamò Watson,
chiudendo il computer con un sospiro. Non ci avrebbe cavato i piedi finché non
avesse fornito a Sherlock la risposta che voleva, questo era poco ma sicuro. « Mi correggo, non
mi piacciono tutti gli uomini » optò poi per
dire.
Sherlock
alzò un sopracciglio. « Devo ammettere, e
lo faccio con amarezza, che sei riuscito a confondermi, Jonh
».
Il
medico sospirò. « In cosa ti ho
confuso, di grazia? » domandò poi,
massaggiandosi la tempia destra con indice e medio della relativa mano.
« Ho terminato le
categorie socialmente riconosciute per indicare la sessualità di una persona. E
tu non fai rientrare te stesso in nessuna di queste, dunque dove intendi
collocarti, se posso saperlo? » chiese.
« Devo proprio
rientrare in una categoria? ».
Voleva
averla vinta a tutti i costi. Come al solito.
« Tutti rientrano
in una categoria! » esclamò quindi,
quasi sdegnato.
« Oh, Sherlock, è
carino da parte tua inserirti di tua sponte fra i comuni esseri umani, ma fatti
dire che non ti si addice » ribatté però il medico, stirando le labbra in un
piccolo sorrisetto.
« Stai glissando,
John » commentò serio
Sherlock.
« Senti, non posso
inserirmi in una categoria quando si tratta di te » si risolse nel
dire: « proprio perché tu
non rientri in nessuna delle categorie che ogni essere umano riterrebbe
standard. Ammettiamolo Sherlock, tu ti ritieni gay? » domandò allora,
cercando di farlo ragionare.
O
desistere.
« Io sono cervello,
John ».
« Stai glissando,
Sherlock ».
Touché. Ogni tanto riusciva a prendersi la sua
piccola rivincita sul cervello dell’altro.
« Diciamo che sono
in grado di soddisfare entrambe le categorie ma non amo inserirmici
» disse però
l’altro, tranquillo come se parlassero del tempo.
Ehi,
aveva detto “ogni tanto”, no?
Sospirando,
si arrese a rispondergli nuovamente: « perché allora io non posso seguire lo
stesso ragionamento? » domandò.
« Perché tu sei una
persona normale, io no. Tu rientri in categorie sociali normali, io no » gli rispose
Sherlock.
Watson
roteò gli occhi. « Visto? » domandò
retoricamente, ponendo fine al discorso.
Holmes,
dal canto suo, sembrò quasi volerlo graziare. Si limitò a posare
definitivamente il violino e stendersi sul divano, la vestaglia svolazzante nel
tuffo in cui si era appena esibito.
Passarono
in silenzio qualche minuto, lasso di tempo che John aveva passato osservando di
sottecchi l’altro, disteso con gli occhi chiusi e le mani dietro la nuca. Pensò
di essere finalmente al riparo da quell’interrogatorio imbarazzante – anche se
aveva imparato a non darlo a vedere – e stava appunto per riaprire il notebook
quando l’altro riprese parola, all’improvviso.
« Ma se tu fossi obbligato a... »
« Sherlock! » lo interruppe
John, sbottando a un’ottava in più.
« Avanti John,
soddisfa la mia curiosità » ribatté però il moro, osservandolo di sbieco con un
sorriso appena abbozzato.
Con
quello sguardo che riusciva a sciogliere qualsiasi intento omicida che
immancabilmente faceva capolino fra i neuroni di John H. Watson quando la vita
con il suo insopportabile compagno diventava ancora meno sopportabile – sì, era
possibile.
Non
puoi più scappare John, si disse, continuerà finché non avrà ottenuto ciò che
vuole. Sperare il contrario è inutile.
« Io sono Sherlocksessuale » si risolse dunque a rispondere.
Risposta
che Sherlock Holmes non si aspettava.
« Prego? » domandò infatti,
accigliato.
« Hai capito.
Preferisco le donne dal lato fisico e gli uomini non mi garbano nemmeno di
striscio. Sto con te non perché sei un uomo, ma perché sei Sherlock Holmes. O
perché ti ammiro oltre i limiti dell'umana comprensione, scegli tu quello che
preferisci... » spiegò, aprendo
finalmente il computer e cercando qualsiasi modo per non guardare direttamente
negli occhi l’altro, che lo stava osservando con quel – quel – sorrisetto malizioso che scatenava nella sua mente immagini
non esattamente caste e disinvolte, in cui immergeva le dita nei suoi ricci
scuri e mordeva ogni centimetro di pelle pallida che potesse raggiungere con le
labbra.
Sospirò,
chiudendo gli occhi. Sapeva che Sherlock aveva già capito, lo sapeva dal modo
in cui lo stava sfidando silenziosamente a ricambiare lo sguardo, e John Hamish Watson si chiese per l’ennesima volta come facesse
ad avere armi di seduzione così efficaci se a tutto ciò che riguardava la sfera
amorosa era quasi completamene disinteressato.
« Ti rendi almeno
conto che è stata una dichiarazione d’amore malcelata? » gli chiese poi il
detective, continuando a guardarlo dal divano.
Watson
sospirò. Doveva smettere di farsi domande inutili, e magari ringraziare quella
forza sconosciuta dell’universo che gli aveva permesso di entrare a fare parte
di quel “quasi” che non rendeva Sherlock un individuo completamente avulso
dall’amore. « Sì, me ne rendo
conto... » rispose dunque: « ma a te non
serviva veramente, giusto? Lo sai già ampiamente » commentò, sconfitto.
Sconfitto
da se stesso e dall’amore sconsiderato che provava per la persona più irritante
del pianeta.
Sherlock,
abbandonando il suo adorato posto sul divano, si posizionò davanti alla
poltrona del dottore; chiuse piano il notebook, così da annullare ogni
disattenzione che impediva al medico di posare i suoi occhi caldi su di lui, in
piedi lì di fronte.
« Sai John, tu sei
tutto cuore » disse, e non era
una presa in giro: « è per questo che
stiamo bene insieme ».
Si
chinò poi su di lui, appoggiando le labbra sulle sue.