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Autore: Vesdronica    11/01/2012    10 recensioni
Il trillo della campanella scandì il cambio dell'ennesima ora.
Il corridoio lungo era inaspettatamente vuoto, gli armadietti argentei allucchettati di colpo si aprirono rovesciando il loro contenuto sul pavimento.
Fogli bianchi, un'infinità di pagine vuote presero a svolazzare per il corridoio, come foglie secche autunnali.
Poco a poco si tinsero spontaneamente di rosso acceso, della tonalità del sangue.
Un urlo agghiacciante riecheggiò contro i muri facendomi voltare di scatto.
Quello che sembrava essere il mio liceo si stava trasformando nello scenario di un orrido incubo.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lupus in Aula cap 1
Posto, finalmente, dopo anni d'insicurezza la mia prima fanfiction! Spero vi piaccia, le recensioni sono ben gradite :D
Disclaimer: questa mia fanfiction è stata concepita e scritta senza fini di lucro, i Jonas Brothers, come penso sia ben chiaro, non mi appartengono in alcun modo; il personaggio di Vee è invece di mia proprietà.


Lupus In Aula:

Il trillo della campanella scandì il cambio dell'ennesima ora.
Il corridoio lungo era inaspettatamente vuoto, gli armadietti argentei allucchettati di colpo si aprirono rovesciando il loro contenuto sul pavimento.
Fogli bianchi, un'infinità di pagine vuote presero a svolazzare per il corridoio, come foglie secche autunnali.
Poco a poco si tinsero spontaneamente di rosso acceso, della tonalità del sangue.
Un urlo agghiacciante riecheggiò contro i muri facendomi voltare di scatto.
Quello che sembrava essere il mio liceo si stava trasformando nello scenario di un orrido incubo.
Fui colpita da un'ondata di luce e pur non riuscendo a vedere nulla, avanzai dritta davanti a me.
Sapevo che non avrei dovuto muovermi, ma quella luce era come se mi stesse chiamando. Mi sentivo come una piccola falena attratta dalla bellezza micidiale di una lampadina.
Priva di ogni buonsenso, totalmente affidata all'illusoria sensazione di pace che il calore della luce mi faceva provare, continuai passo dopo passo.
All'improvviso dalla luce comparvero due occhi castani, impassibili ed impetuosi, che mi puntavano.
Una lingua di fuoco cingeva il nocciola sfumato dell'iride, sottolineando la rabbia che contenevano.
Erano occhi scuri e freddi, contrariamente a quanto ci si aspetti.
Il cuore mi fece un tuffo nel petto e mi ritrovai nel mio letto.
Era successo ancora.


Per molti il liceo è stato un vero incubo, un luogo da quale difficilmente si pensa di uscire vivi; diversamente alla maggior parte delle persone, che lo descrivono in questo modo per rendere le loro avventure più colorite, per me, invece, fu proprio così.
Frequentavo una scuola superiore molto particolare: la Nottingale Obscure High School; questa scuola accoglieva solo studenti con particolari capacità psichiche
o paranormali dove veniva insegnato loro come farne un uso corretto e funzionale alla società.
Erano presenti alunni con qualsiasi potere, dall'invisibilità alla telecinesi.
Nessuno sapeva dell'esistenza di questo istituto speciale e nessuno era tenuto a farlo.
Gli approcci che si usavano per allontanare i futuri studenti dalla famiglia d'origine era dei più disumani: il più delle volte bastava convincere, spesso grazie ad una sorta di lavaggio del cervello, i genitori che i propri figli erano stati accettati in una prestigiosa scuola per i loro meriti scolastici.
Altre volte invece, quando l'inganno si presentava più duro da attuare, si usava un metodo più brutale, facendo credere che il figlio in questione fosse morto in un incidente o fosse semplicemente sparito nel nulla.
Tutto questo per non avere problemi se poi, in futuro, i ragazzi diplomati, fossero stati assunti da importanti associazioni governative o potenti multinazionali per sfruttare le loro particolari capacità.
Non si aveva nessuna scelta, una volta rintracciati, chiunque possedesse un qualunque tipo di potere era destinato a varcare quelle porte. Era il proprio destino, volenti o nolenti.
Tutto questo può sembrare agghiacciante, ma è sempre stato il mio pane quotidiano.
Mi chiamo Vee e sono la figlia del vice direttore dell'istituto Nottingale Obscure.
Sin dall'età di quattro anni sono stata preda di violenti sogni premonitori, visioni che mi avvertivano dell'avvento di catastrofi o eventi nefasti.
Appena fui in grado di capire, mi fu spiegato cosa mi sarebbe successo compiuti quattordici anni; fui quindi da subito messa al corrente del mio futuro, di ciò che mi aspettava.
Sapevo che una volta diplomata non avrei vissuto come una qualsiasi ragazza, non sarei potuta andare al college, vivere la mia vita facendo le mie scelte. Li altri avrebbero scelto per me, io avrei dovuto solo mettere a disposizione la mia prodigiosità per il bene comune. Ma l'idea di non avere voce in capitolo sulle mie sorti mi irritava e mi rendeva immensamente misantropa.
Possedevo un carattere ostico, difficilmente gestibile, anche per me.
Gli altri mi chiamavano "La regina di ghiaccio".

Il  Nottingale Obscure appare come un comune liceo, vi affluiscono studenti da ogni parte del mondo, segue le regole basilari di ogni altro isitituto superiore e fatta eccezione per le materie 'supplementari', i corsi sono i soliti: matematica, letteratura, lingue straniere...
Esistono poche regole extra:

  • Ogni alunno deve essere allontanato dalla propria famiglia d'origine per preservarla da ogni possibile complicazione dovuta alle anormali capacità dello studente;
  • Gli alunni devono abitare nel dormitorio messo a disposizione dalla scuola e non in altri luoghi;
  • Gli alunni non possono avere contatti con elementi esterni alla scuola;
  • Ogni alunno è tenuto ad indossare la divisa ufficiale durante le ore di lezione.

Per questioni di privacy ogni alunno ha la possibilità di scegliere se rivelare o no le proprie capacità speciali. Io ho scelto di non farlo e fino ad ora sono l'unica.
< Buongiorno Vee! > mi salutò Ariel.
Ariel era una ragazza mediamente alta, capelli castano rossicci e ricci con così tante lentiggini sputacchiate sulla faccia da dare sui nervi.
Frequentavamo lo stesso corso di storia e solo per questo si considerava la mia confidente personale.
In realtà, alle volte dimenticavo persino la sua presenza.
Molta gente in quella gabbia di matti mi vedeva come un'amica, semplicemente perché condividevamo li stessi spazi durante la giornata.
< 'Giorno.. .>
Aprii il mio armadietto e cercai i libri per la prima ora.
Cosa ci sarebbe stato? Francese o Chimica?
< Hai sentito che voce gira? >
Francese, sì.
< No, quale sarebbe? >
< Pare siano arrivati tre nuovi ragazzi! >
Di norma il comitato scolastico cercava di rintracciare i futuri alunni durante l'estate per non farli restare indietro con il programma scolastico e l'allenamento dei propri poteri, ma non era raro che delle matricole iniziassero ad anno scolastico inoltrato.
< Addirittura tre. Quest'anno l'organizzazione scolastica fa proprio schifo... > commentai aspramente.
< Già, beh, Becca dice di averli visti ieri nel dormitorio, però non ha potuto guardarli per bene..
Comunque sembra che siano veramente carini! Però poverini.. Si devono sentire proprio spaesati! Mi ricordo come mi sentivo io appena arrivata.. ma ci penseremo noi a farli sentire i benvenuti, vero? Ihihihi! Ci voleva proprio una bella ventata di aria nuova in questa noiosissima scuola! >
Mi stupiva sempre la velocità con cui si esprimeva, come se non le servisse dare aria ai polmoni.
Smise per un attimo di sproloquiare e si appoggiò contro un armadietto chiuso, si mise a guardarmi.
< Secondo te che poteri hanno? >
Come già detto non provo grande interesse riguardo nessuno in questo istituto e non sopporto chi non sa badare ai fatti suoi.
< Perchè ci tenete tanto a saperlo? >
< Così! >
Rimasi a fissare la grossa Tour Eiffel stampata sulla copertina del mio libro di francese.
< Si sa da dove vengono? >
Ariel mi fissò sorpresa, mi era scappato un minimo segnale di curiosità per un altro essere umano.
< No, nessuno è ancora riuscito a parlare con uno di loro. Pare però che siano fratelli! Mmm.. Secondo me uno di loro è superfortissimo! Te lo immagini? L'uomo perfetto! Carino, simpatico e così forte da proteggerti sempre! OH! >
< Chi ti ha detto che sono simpatici? Magari sono snob viziati, con la puzza sotto il naso... >
< Come te? >
Ed eccola lì. Camilla Bellow, la mia peggior nemica in assoluto.
L'unica che riuscisse a suscitarmi una vera reazione: la pura ed accecante rabbia.
Non ricordo da dove sia nata la nostra rivalità, ma so che risale al primo anno e non ha mai avuto fine.
< Esatto. E visto che sono una snob, non ho tempo da perdere parlando con te. Addio. >
Presi la mia roba e mi allontanai.
Camilla mi seguì con la coda dell'occhio, poi se ne andò per la sua strada.
< Che oca! > esclamò Ariel.
< Seh. Io vado in classe, ciao. >
< Va bene, ci vediamo dopo? >
Mi lanciò un'occhiata supplichevole sbattendo le sue infinite ciglia da cerbiatto.
< Uh. > Mi limitai ad emettere un verso.
Entrai nell'aula.
Ogni singolo muro era tappezzato da foto della Francia e di Parigi, sopra la lavagna ne era persino stata attaccata la bandiera.
Mi accomodai al mio posto, in prima fila.
Ero seduta da sola per scelta, non volevo essere disturbata da seccanti commenti o domande, non tanto per seguire le lezioni, ma più per fastidio personale.
Come ho già ribadito, sono una tipa molto poco socievole.
< Bonjour, les élèves! Comment ça va? Oggi ho il piacere di presentarvi tre nuovi studenti di questa scuola! >
La signorina Mellrose, l'insegnante, aprì la porta e fece entrare i ragazzi.
L'attenzione della classe si catalizzò su di loro.
< Questi sono i fratelli Joseph, Nicholas e Kevin Jonas, date loro un caldo benvenuto e cercate di farli sentire a loro agio, mi raccomando! >
Li squadrammo dalla testa ai piedi.
Kevin di poco più alto dei suoi fratelli, aveva i capelli ricci, castano scuro e un accenno di barbetta sulle guance.
Era snello, dalle gambe lunghe e sode, e solo stando lì fermo in piedi, emanava un'aura di eleganza e classe che non mi era mai capitato di vedere in un ragazzo, senza che questo sembrasse effeminato.
Nicholas, più bassetto e piccolino era anche il più enigmatico: sguardo indecifrabile, una via di mezzo tra il timido e il furbo; un un ciuffo di grossi boccoli castani gli scendeva sulla fronte e rimbalzava ad ogni suo movimento.
Se ne stava stretto nelle spalle e con le mani in tasca, fingendo disinteresse, se non fosse stato per gli occhi, che vedevo spostarsi freneticamente a destra e sinistra, attenti.
Ed infine Joseph.
Appena mise piede nell'aula mi si contorsero le budella, come se un pugno invisibile mi avesse colpito al centro dello stomaco.
Non capivo che mi stesse accadendo, improvvisamente sentii un forte senso di disagio accarezzarmi la pelle, facendomi rabbrividire.
Media statura, capelli scuri, pressocchè corvini e a spazzola; sul volto un grosso strato di superbia, mitigato dai lineamenti delicati del viso.
Se ne stava sulla difensiva, tenendo le braccia incrociate al petto.
Era proprio...carino.
E mi costò enormemente dirlo, non avevo mai avuto pensieri come quello prima, ma il suo arrivo mi aveva...scombussolata.
Non ero l'unica a pensarlo: ogni ragazza della classe aveva iniziato a commentare l'aspetto dei fratelli Jonas, per decidere come spartirseli.
< Avanti ragazzi, sedetevi pure nei posti liberi.. >
Si guardarono intorno e Kevin e Nicholas scattarono velocemente verso gli unici due banchi vuoti in fondo all'aula.
Joseph li fulminò e tornò a guardarsi intorno in cerca di un posto dove sedersi.
Era rimasto libero solo il posto che avevo tanto gelosamente protetto a fianco a me.
Ringraziai mentalmente la mia indole solitaria.
< Ciao > gli feci.
Mi sforzai persino di sorridere in modo carino.
< Ciao > borbottò.
Mi concesse un'occhiata di un secondo e poi aprì il suo blocco degli appunti dal quale non alzò più il viso.
Avevo così tremendamente NON fatto colpo.
Alla fine della lezione mi sentivo così amareggiata che non riuscivo a concepire l'idea di fare altro se non rinchiudermi in camera a fissare il soffitto.
Mi barcamenai a forza verso la porta senza prestare attenzione a dove mettessi i piedi.
Finii per metterli su quelli di un poveretto.
< Oh -realizzai che si trattava del piede sinistro di Kevin- SCUSAMI! >
Fu la prima volta in cui mi sentii dispiaciuta e fortemente imbarazzata per qualcosa, per quanto stupida fosse.
< Oh, figurati! > mi fece un sorriso gentile e mi fece segno di passare prima di lui dalla porta.
< Prima le signore > disse.
Ammutolii e mi sbrigai a passare.
Girovagai un po' senza meta prima di dirigermi nella classe della seconda ora.
Iniziai a sentirmi sempre peggio.
Il mal di stomaco non accennava a smettere ed ora si era aggiunto pure il batticuore. Poi una forte ondata di improvviso caldo soffocante, di gran lunga peggiore di quello di una giornata estiva.
Per quale motivo il loro arrivo mi aveva tanto agitato? Che avevano di diverso dalle altre matricole incontrate? Di ragazzi carini ne erano passati per quei corridoi, ma nessuno che meritasse più di un paio di occhiate e men che meno il batticuore.
Dovevo smettere di pensare a quei tre e concentrarmi sull'algebra!
Faticando in ogni modo possibile per tenermi la mente occupata, raggiunsi l'ora del pranzo.
Sapevo che Ariel e le altre sue strambe amichette mi avrebbero tenuto il posto a sedere, come al solito; non che io glielo avessi chiesto, lo facevano ormai per abitudine. Almeno così mi risparmiavano la scocciatura di cercarmi un buco tra la ressa della mensa.
Presi il mio pranzo e notai Ariel sbracciarsi nella mia direzione per avvertirmi della sua presenza.
< Vee, ciao! > squittirono le altre tre ragazze.
Si chiamavano Peggy, Susie e Lucy ed erano, se possibile, più fastidiose di Ariel.
< Abbiamo sentito che frequenti il corso di francese con i tre fratellini... >
La guardai come per dire: 'e allora?!'
< E non ci dici nulla? Uno di loro si è pure seduto vicino a te! Com'è stato? >
Ma cosa crede, che solo perchè si era seduto affianco a me, fosse successo qualcosa?
Mi avesse rivolto almeno la parola...
< Lo ha fatto solo perchè non c'era altro dove sedersi... >
< E che ti ha detto? >
Fu in quel momento che li vidi avanzare nella sala, sempre l'uno vicino all'altro, sul viso i chiari segni della parentela e la solita aura di mistero attorno a loro.
Si sedettero con i loro vassoi ad un tavolo di distanza da noi, Joseph era dritto davanti a me in linea d'aria.
Oh no, di nuovo il batticuore.
< Niente >
Lui in quell'istante alzò gli occhi ed incrociò il mio sguardo. Mi fissò mentre si metteva una patatina fritta in bocca.
Ebbi una strana sensazione di gelo dietro il collo, come se ci fosse uno spiffero dietro di me. Ma le finestre erano tutte chiuse.
Il respiro mi si mozzò.
Non era una bella sensazione, neanche lontanamente descrivibile come piacevole.
Chiaramente non era legata alla mia attrazione nei suoi confronti; c'era ben altro e c'entrava sempre con i tre nuovi arrivati.
Staccai per prima il contatto visivo e tornai al cibo.
Ma non riuscii più a mandare giù nulla.


Dopo pranzo avrei avuto solo un altro paio di lezioni e poi la giornata scolastica sarebbe finita.
Non vedevo l'ora di rinchiudermi nella mia stanza e non uscire più.
Mi accomodai al mio solito banco solitario nella classe di letteratura inglese, alla sinistra della cattedra, vicino la finestra.
Attesi, nessuno era ancora entrato.
Mi capitava spesso di fare così: arrivavo in anticipo per godermi la tranquillità della classe vuota.
Si respirava tutt'un'altra aria quando si era da soli tra quelle quattro mura. Mi sentivo protetta. Ma quella sensazione piacevole svanì non appena i miei compagni varcarono la porta.
Finii per guardare fuori dalla finestra per non incontrare lo sguardo di nessuno di loro.
< E' occupato? > sentii chiedermi.
Alzai gli occhi e gelai. No, non di nuovo!
Joseph mi osservava in attesa di una risposta con una mano sullo schienale della sedia e l'altra appoggiata sul banco.
< Ehm.. No, fai pure >
Senza dir altro prese posto e tirò fuori astuccio e quaderno.
Cercai con lo sguardo dove fossero i suoi fratelli e se lo avessero nuovamente lasciato da solo, ma non li trovai.
Probabilmente frequentava da solo questo corso.
Quindi...Si era seduto vicino a me di sua spontanea volontà!
Controllai meglio. Sì, c'erano almeno altri tre banchi non occupati nella classe e sicuramente in posizioni più "tattiche" e coperte della mia, eppure lui si era seduto vicino a me.
Doveva pur voler dire qualcosa!...O no?
Non riuscii a non sentirmi frustrata. Era tutto nuovo per me, non mi ero mai trovata ad essere interessata ad un ragazzo e non sapevo bene come comportarmi e come decodificare le sue azioni e parole (quando e se mi avesse mai parlato).
C'era un modo per saperlo con chiarezza? Una sorta di manuale sulle relazioni tra ragazzo e ragazza?
Avrei potuto direttamente chiederglielo, ma l'idea non mi sfiorava nemmeno.
< Scusa, hai il libro? > domandò poco dopo.
Non mi guardò in faccia, tenne sempre lo sguardo basso.
< Sì >
Lo appoggiai sul banco e lo misi in mezzo, perchè potesse vedere anche lui.
Avrebbe pure potuto tenerlo se fosse stato per me, tanto ormai di concentrarsi non se ne parlava più.
Di sott'occhio scrutai ogni dettaglio del suo profilo.
Era bello, il naso scendeva lineare giù dalla fronte e dolcemente, come una tenera virgola, si piegava all'insù; il taglio del viso era proporzionato ed armonioso, il collo muscoloso e perfetto. Sul naso erano anche sparse delle lentiggini che mai, prima di quel momento, avevo considerato adorabili.
Aveva parvenze molto dolci, che cozzavano tremendamente con il suo modo di fare scostante.
In un certo senso ci assomigliavamo. Io stessa ad una prima occhiata avevo un aspetto dolce; i miei grandi occhi di un colore indefinito tra l'azzurro, il grigio e il verde, contornati da lunghe ciglia mi avevano sempre fatto passare per una specie di angioletto.
Ma la mia lingua era come quella di una serpe e non risparmiava nessuno.

Probabilmente avevo preso a fissarlo con troppa insistenza perché si voltò verso di me.
Incontrai per la prima volta, da vicino, i suoi occhi. Erano stranamente familiari: intensi e castani, con riflessi ambrati simili a impetuose lingue di fuoco.
Il ricordo di dove li avevo già visti mi colpì, come un colpo di frusta sulla schiena. Quelle due iridi fiammeggianti mi erano comparse davanti nell'incubo della notte prima, erano presagio di sventura.
Iniziai a preoccuparmi.


Per il resto del pomeriggio cercai di far finta di nulla, ma nella mia mente non riuscivo a trovare un nesso tra l'arrivo di quei ragazzi e la pressante atmosfera di terrore del sogno.
Temevo si trattasse di un altro sogno premonitore, ma nulla mi aveva ancora dato prova che fosse così.
Dovevo sforzarmi di togliermelo dalla testa, mi avrebbe solo distratta e quella era l'ultima cosa di cui avevo bisogno.
Finiti i compiti assegnatemi per quel pomeriggio mi stesi sul letto a fissare il soffitto, annoiata.
La noia. La mia più grande compagna di vita. Non avevo ancora trovato nulla che mi attirasse così tanto da dedicarci il mio tempo libero, le uniche attività a cui mi dedicavo erano scolastiche.
Guardai il mio orologio da polso. Le cinque. Un altro paio d'ore e sarebbe stata ora di cena.
Un'improvvisa impazienza mi attraversò il corpo. Due ore erano lunghe, troppo lunghe. Volevo che fosse già giunto il momento di scendere nella grande e spaziosa sala da pranzo del dormitorio, persino l'idea di incontrare i compagni non mi dispiaceva. Magari avrei rivisto anche i tre fratelli, Jonas se non ricordo male.
Chi sa come si vestivano quando non erano obbligati a portare la divisa. Erano tipi da capi sportivi? O magari casual? Portavano camicie o più semplici t-shirt?
Ma che diavolo mi passava per la testa?! Da quando mi interessavano tali sciocchezze?
Mi alzai di scatto e raggiunsi l'armadio, l'aprii e analizzai il suo contenuto.
Possedevo poche cose, la maggior parte non erano nemmeno state scelte da me, ma speditemi da casa da mia madre.
Ero l'unica che poteva avere contatti con il mondo esterno e l'unica a cui in realtà non interessava averne.
Raccolsi un paio di jeans da terra. Non li avevo mai indossati, mi erano stati recapitati un paio di settimane prima e dopo una veloce occhiata li avevo lanciati sul fondo.
Ma infondo, anche se odiavo tutti e tutto, non c'era ragione per non prendersi cura di me stessa, no? Forse avrei anche potuto sforzarmi di indossare quei jeans a sigaretta e metterci un po' di impegno nel mio aspetto esteriore. Forse avrei anche potuto rivolgere "amichevolmente" parola  ai nuovi arrivati, dopotutto ero la figlia del vice preside, nessuno conosceva quell'istituto meglio di me!
Ecco che rifacevano capolino tra i miei ragionamenti.

Varcai le porte del refettorio e mi ritrovai di fronte alla solita baraonda di ragazzini che si muovevano senza sosta da una parte all'altra, in lungo e in largo, come tante piccole formichine che si prodigavano per il fabbisogno del formicaio.
Ancora incerta se volessi farlo oppure no, procedetti lungo il corridoio principale.
Sentii gli occhi puntati su di me.
< Wow Vee! Sei molto carina stasera! > esclamarono Ariel e le sue amiche guardandomi arrivare.
Mi ero messa un po' d'impegno: avevo legato i capelli in una coda alta, indossato gli orecchini di perla della cresima e una t-shirt con scollo a v, molto semplice.
< Accidenti, non sapevi avessi tutto quel ben di Dio! > esclamò chiassosamente Peter, un ragazzo con cui seguivo il corso di storia.
Sorrisi impercettibilmente, non ero abituata ai complimenti -se così si poteva considerare- mi lasciavano un forte senso di disagio e di lusinga.
Vidi, poi, Ariel sbracciarsi verso la porta d'entrata, cerava di farsi notare da qualcuno.
Le tre new-entry raggiunsero il nostro tavolo e si accomodarono nei posti lasciati liberi appositamente per loro dalla "pel di carota".
Ingoiai a vuoto. Non potevo cenare con loro seduti affianco, era troppo imbarazzante.
Nicholas aveva preso posto davanti ai suoi fratelli, seduti alla mia destra; potevo osservare con chiarezza ogni sua espressione: sembrava a suo agio, scherzava con Kevin e Joseph con tranquillità, sorrideva spesso spiluccando di tanto in tanto della mollica da una fetta di pane.
Non avevo mai visto nessuno sorridere in quel modo sghembo e genuino.
Joseph fece un altro dei suoi micro sorrisi e mandò giù un sorso d'acqua.
< Buon appetito ragazzi! > esclamò Kevin, tuffandosi bramoso sulla sua pasta fumante.
< Buon appetito > borbottò Joseph con uno spaghetto penzolante dalla bocca.
< Buon appetito -Nick mi scoprì a fissarlo imbambolata- buon appetito anche a te! >
Oh. Mi aveva rivolto la parola.
Mi affrettai a rispondere con cortesia e non staccai gli occhi dal piatto che mi era davanti.
La situazione non poteva andare avanti così, dovevo riprendere in mano le mie facoltà intellettuali e rivolgere la parola a Joseph, da ragazza matura quale mi consideravo.
< Scusa, mi passeresti il sale? >
Una scusa più banale e patetica non la potevo trovare, ma almeno avrei rotto il ghiaccio.
Non si mosse, continuò imperterrito a mangiare il suo piatto di pasta ascoltando quello che i fratelli avevano da dirgli.
Per Dio, poteva andarmi qualcosa per il verso giusto?
< Scusami...? >
Nulla, ero stata ignorata completamente. Anzi, lui stesso aveva in mano la saliera, ne aggiunse un pizzico e rispose deciso che "gli Yankees avrebbero vinto anche la prossima partita".
< SCUSA?! -si girarono tutti a fissarmi, oh oh- posso il sale? >
Me lo passò con noncuranza e tornò al suo acceso discorso sulla stagione sportiva.
Seguirono altri tentativi fallimentari, dopo aver chiesto l'olio, l'aceto e il pepe, per liberarsi da quella scocciatura mi passò l'intero portacondimenti.
Dovevo rassegnarmi e basta, di me non ne voleva proprio sapere.
Finito di cenare, depressa come mai prima, mi ritornò l'intenso desiderio di vegetare sul letto a fissare il vuoto, a ragionare sul perché improvvisamente avevo iniziato a provare quelle stupide sensazioni da ragazzina confusa.
Fui trattenuta per una spalla.
< Ehi -i grandi occhi verdi di Kevin si posarono sui miei- posso rubarti un attimo? -annuii- Sei nella mia classe di francese giusto? Non è che mi daresti qualche dritta sul corso? >
Ok, non era una dichiarazione d'amore nè una promessa d'eterna amicizia, ma almeno era un passo avanti.
Cercai di essere il più esauriente e meno fredda possibile.
< Grazie mille, sei stata molto gentile > era il momento giusto, dovevo trovare un modo per incontrare suo fratello.
< Vi va di trovarci nella "Play Room" più tardi? >
< Come scusa? >
< La "Play Room". E' la sala dove di solito ci si trova per passare del tempo in compagnia. C'è la televisione, il biliardo, qualche divano... E' divertente! > mi costrinsi a dire quelle cose con un minimo di convinzione.
Odiavo quel posto, non ci avevo mai nemmeno messo piede, troppo affollato da individui odiosi che non facevano altro che baccano.
Ma avrei stretto i denti pur di vederlo.
< Oh, grazie dell'invito, ma credo che stasera andremo a letto presto, dobbiamo ancora finire di sistemare le nostre cose e siamo piuttosto stanchi -mi sorrise- ma grazie lo stesso! >
< Ma no figurati, capisco... > piano sfumato, come il solito.
Ci salutammo e girai i tacchi con un'espressione penosa in viso. Quanta sfortuna poteva capitarmi in una sola giornata?!

* * *

I fratelli Jonas tornarono nella loro stanza appena finito di cenare.
< Kev, dov'eri finito? > domandò il fratello mezzano.
< Oh, stavo parlando con Vee >
< Chi? >
Si era piazzato davanti allo specchio ad ammirarsi, seriamente preoccupato per un foruncolo che sembrava aver messo le radici sulla sua fronte.
Troppo schizzinoso per schiacciarlo ma troppo vanitoso per lasciarlo a fiorire, non c'era attimo in cui non cercasse un modo per sbarazzarsene.
< Vee, la ragazza seduta vicino a te a cena! >
< C'era una ragazza seduta vicino a me a cena? > lasciò stare il bitorzolo per un attimo per voltarsi verso Kevin.
< Sì, Joe. Dov'eri con la testa? La ragazza mora con la coda e la maglietta bianca! >
< Ah! Quella che voleva ogni condimento sul tavolo?! >
< Sì > sospirò.
< Era strana forte >
Kevin lanciò un'occhiata loquace a Nicholas, che se ne stava steso a pancia in giù sul suo letto.
< Condivido Kev > rispose.
< Nick, mi presti la tua maglietta rossa? > domandò il moro, fisso sullo specchio.
< Non se ne parla. >
< Oh, andiamo Nick, prestami la tua maglietta... Non ti costa nulla prestarmela, sii buono! >
Si avvicinò quatto quatto al letto del fratello, puntando dritto nei suoi occhi, senza mai lasciare il contatto visivo.
< Avanti, prestamela... >
< N-no... >
Continuò a fissarlo insistente, aumentando sempre più la sua concentrazione e l'intensità dello sguardo.
Ma un'improvvisa cuscinata lo colpì dritto in faccia.
< Joe, smettila di usare i tuoi poteri su Nick! > lo rimproverò Kevin.
< Esatto, vedi di smetterla, ho una tremenda emicrania. Con tutta la gente che c'era, il ronzare dei loro pensieri era insopportabile >
< Non riesci ancora a padroneggiare i tuoi poteri per non sentirli? >
< No. Vanno e vengono. Alle volte sono solo un leggero brusio, altre sono come un centinaio di martelli pneumatici che cercano di fracassarmi il cranio. Non è piacevole. >
Calò il silenzio: Joe tornò al suo brufolo, nell'ultimo minuto sembrava essersi magicamente ingigantito; Kevin iniziò a ripiegare i suoi vestiti e infilarli nei cassetti del comò.
Nick restò sdraiato, dolorante.
< Joe lascia stare quel brufolo, non si è fatto più grande, è solo nella tua mente bacata! > esclamò dall'alto del letto a castello, senza neppure aver bisogno di guardarlo.
Joe si rivolse indignato al maggiore.
< Kevin! E dopo è colpa mia, vero?! Dì a LUI di non usare i suoi poteri su di me! >

Volò un altro cuscino che gli atterrò sempre in piena faccia.
Si preparò alla carica ma fu prontamente diviso da Kevin, paciere ufficiale.
< Dai, dai, sembrate due bambini! >
Da dietro le spalle di Kevin, Joe notò Nick lanciargli una linguaccia di sfida; strinse i pugni e tornò alle sue faccende.

< Che ne pensate di questa scuola? > chiese piegando una camicia.
Nicholas non rispose. Il respiro regolare e la bocca leggermente socchiusa erano chiaro segnale che si trovasse ormai nel mondo dei sogni.
< Mah, può andare -fissò un libro appoggiato sulla scrivania- ci sono molte ragazze carine. A letteratura ho rubato il libro alla mia compagna, avrò una scusa per andarle a parlare domani... >
Sulla copertina riportava il nome V. Vane.


   
 
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