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Autore: Sophie Hatter    14/01/2012    4 recensioni
Marlene è morta ormai da qualche giorno, ma Gideon non sembra riuscire a farsene una ragione.
*
Sottospecie di antefatto di Finché riusciamo a rimanere in sella, ma può essere letta anche senza conoscere questa storia, con l'aiuto del riassuntino iniziale.
Personaggi: Gideon Prewett, Caradoc Dearborn
*
[Gideon Prewett/Marlene McKinnon]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gideon Prewett, Marlene McKinnon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'I've not stop crying since you went away.'
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Nota introduttiva: come specificato nella presentazione, questa storia può considerarsi un prequel di Finché riusciamo a rimanere in sella, una storia che ho scritto per partecipare a due contest e che si è classificata prima ad entrambi con mia somma gioia e immensa gratitudine verso le due giudicie, Chu e Shadow_Soul. Può essere letta anche senza conoscere l’altra storia, tenendo conto di questo breve riassunto: Marlene McKinnon era una donna sposata e con due figli, che aveva instaurato una complicata relazione extraconiugale con Gideon Prewett, uno dei due fratelli di Molly e membro, come lei, dell’Ordine della Fenice. I due si erano conosciuti a Hogwarts, ma solo dopo anni si erano rivisti ed era stato proprio Gideon, in quell’occasione, a convincere Marlene a unirsi all’Ordine. Marlene, ora, è stata assassinata dai Mangiamorte insieme a tutta la sua famiglia e Gideon, insieme a Fabian, ha trovato i loro cadaveri. Nell’altra fanfiction, oltre ai vari flashback che illustrano meglio questa trama, si assiste al processo contro gli assassini dei McKinnon, durante il quale Gideon rivelerà la sua relazione clandestina con Marlene di cui nessuno, nemmeno Fabian, era a conoscenza.
La ragione per cui sono tornata su questi personaggi e su questa trama è essenzialmente egoistica, in quanto avevo bisogno di una valvola di sfogo che non riuscivo a trovare da nessuna parte. Il motivo per il quale avevo questa necessità è che una persona a cui ero molto affezionata si è uccisa qualche giorno fa, sconvolgendo tutti quanti, me compresa, per la totale imprevedibilità di questo gesto. Il vuoto che mi ha lasciato dentro è un boccone amaro, fatto di dolore, incredulità e rabbia, che ancora non riesco a mandar giù. Spero che comunque che la storia, per quanto scritta soprattutto per me stessa, possa far emozionare qualcuno, anche se non sarà di certo un racconto felice.
Un’ultima piccola precisazione: non avendo trovato precise informazioni a riguardo né sul Lexicon né sui libri, ho inventato un po’ di cose di sana pianta, ovvero che nella famiglia Prewett Molly è la maggiore, Gideon il secondo e Fabian il più giovane. Marlene ha un anno meno rispetto a Gideon ed è un Medimago. Nessuno di loro è coetaneo dei Malandrini; ho immaginato che fossero circa 6-7 anni più vecchi, giusto perché mi piace andare controcorrente.
Buona lettura,
S.






Ciò che restava sul fondo









Luglio 1981

Quando Caradoc entrò, facendo cigolare appena la porta, Gideon finse di non essersene minimamente accorto. Non aveva potuto impedire all’amico di passare a trovarlo per vedere come stava, tuttavia non nutriva il minimo desiderio di interagire né con lui né con chiunque altro, in quel momento. Era troppo concentrato nel tentativo di svuotare la mente da tutti i pensieri di morte e dolore che gli toglievano il sonno da giorni, concedendogli al massimo di trovare sollievo in un incubo notturno.
“Perdonami se non ho bussato, ma ho visto che avevi lasciato la porta aperta.”
La voce dell’amico gli giunse all’orecchio stranamente ovattata, come se provenisse da un universo parallelo.
Un universo in cui Gideon si stava svegliando di soprassalto da un brutto sogno che ormai faceva da diverse notti, nel quale davanti ai suoi occhi si stagliava impietosamente il cadavere di Marlene disteso sul pavimento.
“Amico, se non volevi che venissi qui era sufficiente dirmelo, anche se sai che volevo soltanto vedere come stavi...”
Qualcosa nella periferia della mente di Gideon cominciò, molto lentamente, a richiamarlo alla realtà. Caradoc era lì, si erano sentiti la sera precedente via camino. Era preoccupato perché non si erano più visti dopo quella notte; in realtà Gideon non aveva voluto vedere nessuno, perciò non un singolo componente dell’Ordine sapeva in che condizioni si trovasse in quel momento il secondogenito dei Prewett. Fabian aveva parlato con qualcuno di loro, ma per quanto fosse sconvolto e addolorato era noto a tutti che fosse sempre in grado di mantenere la calma. Aveva rilasciato la sua deposizione agli Auror e informato Silente con la pacatezza e la compostezza che da sempre lo contraddistinguevano, perciò era normale che ora fossero tutti in pensiero esclusivamente per Gideon. Caradoc lo era in maniera particolare, perché era legato a lui da un’amicizia che risaliva ai tempi di Hogwarts. Erano stati compagni di Casa, compagni di Quidditch e poi prefetti di Grifondoro. Se c’era qualcuno che poteva affermare di conoscere bene Gideon, quello era di sicuro Caradoc.
Eppure, nemmeno lui era mai stato testimone dello stato di annientamento e passività totale in cui Gideon era sprofondato durante quei giorni di solitudine. Se non l’avesse visto ridotto così con i suoi stessi occhi, sicuramente Caradoc avrebbe affermato che l’amico non era una di quelli che si lasciavano abbattere completamente dalle disgrazie. Avrebbe giurato che fosse una persona capace di reagire, rialzarsi e combattere.
Invece, dopo la morte di Marlene, Gideon non aveva fatto nulla di tutto ciò.
“Allora... le cose vanno un po’ meglio?” domandò infine il giovane Dearborn, tentando di intavolare una sorta di conversazione.
Gideon, intanto, pensava.
C’era un altro motivo per cui sapeva che tutti si stavano preoccupando per lui; ciò di cui nessuno era al corrente – nessuno, nemmeno Caradoc, nemmeno Fabian – era che lui e Marlene non erano stati semplici amici, come tutti ritenevano che fosse.
Li avevano visti spesso fermarsi a scambiare due chiacchiere dopo una riunione e monopolizzare le discussioni durante le serate alla Testa di Porco perché qualcuno di loro due riteneva che il nuovo disco di Melissa And The Werewolves fosse migliore del precedente, conoscevano tutti la storia di come fosse stato Gideon a introdurre Marlene nell’Ordine, ma nessuno aveva mai assistito a una qualche scena che lasciasse intendere di più. Stavano molto attenti a non farsi scoprire – anche perché sarebbe bastato un solo errore di distrazione affinché Marlene decidesse di ucciderlo. Lei era sposata e non voleva essere oggetto di pettegolezzi, sia per principio sia per troncare ogni rischio che qualche voce giungesse alle orecchie di suo marito. Tuttavia, il fatto che fossero più o meno amici era noto a tutti. Perciò, pensavano che ora stesse soffrendo molto per quella perdita, probabilmente più di qualunque altro membro dell’Ordine.
“Gideon.”
Nel sentirsi posare improvvisamente la mano di Caradoc sulla spalla, il giovane per poco non sobbalzò. Completamente smarrito nelle sue elucubrazioni, era riuscito ad ignorare totalmente la presenza del compagno, fino a dimenticarsi che fosse lì; un comportamento non esattamente amichevole e cordiale, del quale in fondo gli dispiaceva. Ma non ce la faceva, non riusciva a smettere di elaborare riflessioni, riesumare ricordi, giungere a conclusioni che portavano tutte in una sola direzione: doveva accettare il fatto che Marlene era morta.
“Non mi sembra vero,” mormorò infine, sforzandosi di dare un segno di vita. Si voltò lentamente per guardare Caradoc negli occhi: ecco, l’amico gli stava di fronte, reale, vivo e vegeto. Perché per Marlene non poteva più essere così? Perché non poteva, semplicemente, rialzarsi e tornare a svolgere la sua vita di sempre?
“Ti capisco, è una gran perdita per tutti noi,” rispose Caradoc, anche se il modo in cui lo guardava era strano: sembrava quasi che stesse cercando di scorgere un barlume di lucidità negli occhi di un delirante.
“No, ascoltami. È diverso... è come se non fosse successo realmente. Non riesco a rendermene conto.”
Era proprio così che stavano le cose; Gideon non avrebbe saputo esprimersi in maniera diversa. L’espressione di Caradoc si fece ancora più perplessa, ma lui, inconsciamente, riprese ad ignorarlo. Così tante volte aveva ascoltato la voce di Marlene contrapporsi alla sua in una discussione, osservato l’espressione spesso duramente corrucciata che assumeva il suo viso, sfiorato con finta casualità la sua gamba coperta dal mantello e schiacciato il corpo di lei sotto il suo desiderio; così tante volte che, adesso, gli sembrava assurdo non poter mai più ripetere quei gesti, divenutigli ormai abituali e familiari.
“Mi dispiace, davvero... non so che altro dire.”
Gideon vide affiorare chiaramente la compassione negli occhi di Caradoc. Quasi di sicuro si stava domandando quanto Gideon stesse soffrendo, se esistesse un modo per alleviare il suo dolore. Certamente non avrebbe mai desiderato trovarsi al suo posto. Per ironia della sorte, se solo Caradoc avesse saputo cosa esattamente Marlene aveva significato per lui, lo avrebbe commiserato molto di più.
Perché Gideon aveva amato Marlene, forse. Non sapeva da cosa si riconoscesse l’amore, a differenza di tutti gli altri che sembravano essere così abili in questo, ma ciò che aveva provato per lei era indubbiamente diverso da qualsiasi idea o sentimento che l’avesse mai spinto verso un’altra donna.
Perciò, con una certa probabilità si trattava di amore, anche se la loro storia non aveva avuto nulla di tipicamente romantico. Soltanto due creature meschine costrette ad incontrarsi in segreto, che mai avevano avuto il coraggio di compiere quel passo avanti che li avrebbe portati verso una relazione più sincera.
“Non ti preoccupare, amico, non c’è niente da fare,” rispose infine, tentando di abbozzare un sorriso. Ed era vero: non poteva chiedere a Caradoc di prendere consapevolezza della morte di Marlene al posto suo.
Rimasero seduti fianco a fianco sul letto di Gideon per un po’, fissando entrambi con sguardo perso gli intricati arabeschi del tappeto.
“Ascolta, lo so che è difficile, ma sforzati di guardare l’unico lato positivo di tutta questa storia. Tu e Fabian avete preso quei due, Travers e l’altro. Avete preso i colpevoli.”
La mente di Gideon tornò immediatamente a quella sera. Lui e Fabian, prima di catturare i due Mangiamorte, erano riusciti a udire qualche stralcio della discussione in cui erano impegnati. Uno dei due, quello con la voce più acuta e spaventata, si era arrabbiato con l’altro perché sosteneva che, teoricamente, non avrebbero dovuto uccidere Marlene. Tutti gli altri – suo marito, sua suocera, i suoi bambini – non avevano alcuna importanza, ma lei sì. Voldemort voleva interrogarla per scoprire dove si nascondevano Lily e James, perché riteneva che lei ne fosse al corrente. Perciò, se solo Travers non si fosse mai lasciato trascinare dalla sua furia omicida, al momento dell’arrivo di Fabian e Gideon Marlene sarebbe stata ancora viva, e loro avrebbero potuto salvarla.
Quella consapevolezza lo schiacciò nella maniera più sofferente che potesse immaginare; fu faticoso sopprimere l’impulso di scoppiare in lacrime come un bambino.
“Non avrò pace finché non li avranno condannati, Caradoc. Voglio vederli marcire ad Azkaban fino alla fine dei loro giorni, vedere le loro facce mentre ascolteranno la loro condanna. So che è già tanto che li abbiamo presi, ma fino ad allora non mi basterà.”
Caradoc annuì silenziosamente.
“Hai ragione, ma non temere. Abbiamo un sacco di prove che li inchiodano. Andrà tutto come deve andare.”
Gideon di nuovo non lo ascoltò; pensava. Pensava al fatto che, se quelli non fossero stati delle bestie disumane, lui forse a quell’ora non avrebbe perso Marlene, non avrebbe avuto bisogno di farsi entrare in testa una volta per tutte il fatto che non l’avrebbe rivista mai più, non sarebbe stato sopraffatto dall’angoscia nel cercare di ricordare l’ultima immagine di lei su cui aveva posato gli occhi. Il dolore si mutò rapidamente in collera: desiderò di poter avere davanti quei due bastardi assassini per urlare loro contro, torturarli con incantesimi, picchiarli a mani nude. Tuttavia, dopo un po’, anche la rabbia si esaurì; ciò che restava sul fondo era sempre ed immancabilmente quel senso di perdita incolmabile, che nessuno avrebbe potuto capire. Neppure il suo migliore amico.
“Grazie per essere stato qui. Ti prometto che mi riprenderò in fretta,” gli disse, cercando di suonare abbastanza convincente da poter troncare la discussione. Caradoc scrollò le spalle.
“Non mi devi ringraziare, lo sai.”
Gideon non rispose, pur sentendosi in colpa per essere stato così poco comunicativo. Sentiva di aver bisogno di stare da solo, anche se finora non l’aveva portato a niente.
“I funerali sono domani pomeriggio,” lo informò Caradoc, mentre si alzava. “Ci vediamo lì, allora.”
“Certo,” rispose Gideon, facendo almeno lo sforzo di accompagnarlo fino alla porta. Si salutarono, dopodiché il giovane Prewett rientrò in casa; in pochi secondi si ritrovò seduto sullo stesso punto del letto, dove ormai restava da giorni, in attesa che qualcosa dentro di lui cambiasse e gli permettesse di realizzare una volta per tutte ciò che era accaduto.
Gli sembrava così irragionevole che il mondo andasse avanti come se niente fosse. Qualcuno avrebbe dovuto andare in giro a scrivere a caratteri cubitali sui muri ‘Marlene McKinnon è morta’, così tutti si sarebbero fermati a riflettere e sarebbero corsi ad informarsi, apprendendo così che Marlene era stata un ottimo Medimago, un coraggioso membro dell’Ordine della Fenice e una madre fantastica, anche se con un matrimonio non troppo azzeccato. Tuttavia così sarebbe stato inevitabile, prima o poi, che la loro relazione clandestina uscisse allo scoperto e finisse sulla bocca di tutti.
E Marlene questo non l’avrebbe voluto, per quanto le piacesse piombare all’improvviso in casa sua e gettarsi fra le sue braccia per dimenticare tutti i guai della sua giornata e smettere di pensare con coerenza.
Tuttavia, prima o poi, Gideon sapeva che avrebbe dovuto dire la verità a qualcuno. Così, finalmente, gli sarebbe stato riconosciuto il diritto di soffrire per qualcosa di più della perdita di una semplice amica.
Questo, forse, gli avrebbe recato un po’ di conforto.



*fine*
   
 
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