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Autore: Venenum    18/01/2012    23 recensioni
Hermione Granger è sempre stata come un disegno su carta per Draco Malfoy. Immobile, impassibile e impenetrabile, oltre a essere bestemmia e peccato. Ma l'ama. L'ama di un amore pazzo e folle, di un'ossessione che non conosce limite. L'ama.
L'ama così tanto che per lei sfiderà la legge della morte stessa.
Fanfiction partecipante dell'OTP Tournament ~ I Edizione, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »
Questa fanfiction si è classificata prima al contest Canon/Fanon: due mondi di un'unica realtà, indetto da Artemy. Ha inoltre vinto il premio Miglior storia drammatica.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Fanfiction che ha partecipato all' OTP Tournament ~ I Edizione, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »

 

A forza di essere vento

 

Diceva un foglio bianco come la neve:

«Sono stato creato puro, e voglio rimanere così per sempre. Preferirei essere bruciato e finire in cenere che essere preda delle tenebre o venir toccato da ciò che è impuro».
Una boccetta di inchiostro sentì ciò che il foglio diceva, e rise nel suo cuore scuro, ma non osò mai avvicinarsi.

Sentirono le matite multicolori, ma anch’esse non gli si accostarono mai.
E il foglio bianco come la neve rimase puro e casto per sempre

– puro e casto –

 ma vuoto.

Kahlil Gibran

 

 

Quella notte la terra aveva smesso di tremare.

C’era una tormenta, nella Foresta Proibita; il vento si abbatteva sulle acque frastagliate del Lago Nero, le cui creste bianche si stagliavano nel buio come sorrisi sbiechi.

Nell’aria si consumava una nebbia spettrale e le nuvole offuscavano la luna. L’oscurità aveva risucchiato quel luogo, facendolo cadere in uno stato di eterno riposo.

 Draco Malfoy aveva ferite che gli squarciavano la pelle, rendendone ancora più evidente il pallore, come macchie nel latte. Stava correndo, nonostante i molti pericoli che intralciavano il suo cammino. Avrebbe voluto trovare subito quella pietra preziosa che l’avrebbe salvato dall’oblio che gli stava scorticando il cuore e la mente.

Devastato dalla ricerca, si lasciò cadere sull’erba umida, chiudendo gli occhi per immaginare il volto della Mudblood, quelle fattezze che l’avevano condannato a una vita di stenti e privazioni, poiché bramava solo lei, più di quanto la sabbia cocente desiderasse essere preda dell’acqua.

Distese ancora un po’ le braccia, tastando le prime gocce di pioggia che gli sfioravano le gote, che sembravano le lacrime che Draco non avrebbe mai versato. Ebbe un attimo di esitazione. Un pensiero insolente lo aveva fatto rantolare: e se non avesse trovato la pietra della resurrezione?

Provò a rialzarsi e a cercare, ovunque, tra ciottoli che non avevano nessun significato e rametti sporchi di fango. Draco voleva riprendersi quell’anima in pena. Lei lo aveva lasciato da solo e lui non aveva mai avuto l’occasione di confessarsi; voleva solo riportarla in vita, rivederla e poterla toccare, avvicinare le proprie dita alle sue, sebbene il solo pensiero fosse bestemmia e sogno di cui non poteva privarsi.

“Il coraggio, Granger, è il motivo per cui adesso sei sotto terra. Sei morta così, a forza di essere vento.

Quella notte la terra aveva smesso di tremare.

 

***

 Ora se c'è una cosa amara,

desolante,

è quella di capire all'ultimo momento che l'idea giusta era un'altra,

un altro movimento.

Fabrizio De André

 

Quella mattina, Hermione Granger era stata svegliata da un cinguettio di uccellini che avevano costruito il nido sopra la finestra di casa sua; come un’orecchiabile melodia, quel pigolio le aveva donato tranquillità e un sorriso dolcissimo: un’emozione deliziosa, diversa da quelle delle persone che si trovavano al Ministero della Magia. La serenità dovuta alla caduta di Voldemort si era presto confusa con l’angoscia, figlia del fatto che molti, come Hermione, si erano offerti di aiutare i parenti delle vittime.

Ancora a distanza di mesi, Hermione ripensava alle giovani vite spezzate per il sogno di un folle. Spesso, aveva ammirato i genitori di Colin Canon, che stavano continuando a vivere, nonostante l’unico in grado di guarire le loro ferite fosse scomparso.

D’altronde, era stata sua nonna a insegnarle che piangere non era atto di debolezza, ma qualcosa che liberava e fortificava, poiché la tristezza era il Demonio che doveva scacciare dal corpo per essere libera.

Immersa nel passato, non si era accorta dello sguardo di Draco Malfoy. Si voltò e intravide quegli occhi come mani invisibili a sfiorarle la pelle. Brividi soffici e acuminati la sfiorarono appena, facendole schiudere le labbra e tremare impercettibilmente le mani.

Draco non manifestava il suo disprezzo: era immobile, impassibile e impenetrabile.

Come un disegno su carta.

A Hermione sembrò che il tempo si fosse fermato al varco per rispettare quel momento prezioso e raro, giacché lui, per una volta, non la stava deridendo né insultando: eppure doveva essere nuda ai suoi occhi. Lo aveva compreso quando un ghigno aveva mutato le labbra di lui.

“Mudblood,” mormorò Draco con voce assente.

Hermione comprese quell’ennesima offesa leggendola sulla sua bocca. Inghiottì saliva amara, fremendo di rabbia inconsulta. Disgustata, fece un respiro profondo, fino ad avvertire un’incontenibile sensazione di pienezza emotiva.

“Preferirei che tu andassi all’appuntamento con Shacklebolt, Malfoy, e che non fossi così sicuro di te, anche quando il vento non è più a tuo evidente favore, piuttosto che continuare a oltraggiarmi. Sei in ritardo per entrambe le cose.”

Draco si sfiorò il braccio con le unghie dove c’era il Marchio Nero coperto dalla camicia: a Hermione parve di cogliere il loro sibilo stridente sulla pelle del Mangiamorte.

Hermione soffocò un singulto; evidentemente giocare contro chi aveva vissuto di maschere da quando era nato, come Malfoy, l’avrebbe, in ogni caso, devastata.

Il Marchio Nero non era una fiaba, era esistito e avrebbe continuato a vivere sul corpo di chi lo aveva accolto e servito.

Draco Malfoy le fece un cenno.

Poi sparì.

Quel giorno la terra aveva cominciato a tremare.

 

***

 

Quando aveva visto Voldemort dissolversi nell’aria, come un fantasma, Draco aveva appurato che il Marchio Nero non era svanito con il suo vero possessore. Aveva sperato che esso sarebbe divenuto polvere, ma quel tatuaggio era rimasto a fargli compagnia, come se fosse la sua anima gemella o un ricordo sgradevole che lo torturava nelle notti insonni.

Non era stato più lo stesso dopo quella constatazione. Aveva finto di essere un reduce di guerra e che quello fosse un’effigie del suo onore. D’altronde, Draco era conosciuto come il più giovane Mangiamorte di tutti i tempi. In realtà, non era altro che il promemoria della sua missione: uccidere Albus Silente.

Voldemort aveva creduto davvero che lui sarebbe stato in grado di portare a termine quell’incarico?

Nella sua immaturità, Draco aveva pensato di essere la persona adatta per svolgere quel compito; poi sua madre gli aveva confessato che per lei sarebbe stato sempre il migliore, anche se avesse fallito.

Un pomeriggio, Draco aveva avvertito il richiamo di Lord Voldemort. Sudato e stremato, era precipitato a terra; l’agonia era insopportabile, il braccio sembrava avvolto da fiamme ardenti, il respiro mozzato come quello di un naufrago in balia di acque maledette.

Per questo motivo, era stato costretto a recarsi al San Mungo. Gli infermieri lo avevano condotto in uno stanzino, guardandolo con rammarico. Odore di medicinali che non conosceva permeava l’ambiente: forse erano di origine Babbana e ciò lo aveva irritato.

Risentito da quella mancanza di rispetto, si era mostrato restio a farsi esaminare, ma il dolore lo aveva colpito di nuovo, costringendolo ad abbassare ogni difesa.

Il Guaritore che era venuto a visitarlo era anziano, le mani esperte di chi svolgeva il suo mestiere da tempo. Stava visitando il braccio di Draco. Aveva l’espressione rassegnata, come se si trovasse davanti a un caso già visto, a un paziente già condannato.

Avrebbe dovuto dire, chiedere – implorare – ciò che lui non era pronto ad accettare.

Ecco perché aveva parlato per primo, pur essendo impreparato all’inevitabile. Per sperare ancora.

 “Se… se ne andrà mai?”

Aveva chiesto, timido, quasi implorante, manifestando quel desiderio per la prima volta. Purtroppo non esisteva risposta capace di cancellare la domanda; nel caso fortuito in cui il Marchio Nero fosse divenuto invisibile sulla sua pelle, ogni sera, prima di dormire, Draco avrebbe potuto udire gli orrori cui il Marchio aveva dato vita nella sua immaginazione, senza mai trovare pace.

Perché era stato inciso lì, dove i ricordi non morivano.

Qualcosa che viveva dentro di lui.

Qualcosa con cui avrebbe dovuto convivere per sempre.

“Sono spiacente, signor Malfoy. Non esiste rimedio possibile. Dovrà solo stare attento a quale sostanza deciderà di usare per curarlo quando si infetterà.”

Un peccato che non conosceva purgatorio.

Draco se ne era andato senza salutarlo. Quella stretta di mano non avrebbe avuto senso, non avrebbe assicurato l’antidoto per il veleno entrato in contatto con il suo sangue.

Quando aveva aperto la porta, aveva desiderato che la terra sotto i suoi piedi si aprisse e lo risucchiasse.

C’era Hermione Granger davanti alla finestra, intenta a farsi baciare dai raggi solari. Era di spalle, ma Draco avrebbe riconosciuto quei capelli ovunque. L’aveva osservata con insistenza. Una leggera brezza le aveva scosso in capelli.

“Draco…”

Lui era rimasto immobile e taciturno, avvolto da un silenzio capace di durare in eterno.

C’erano cicatrici che, anzitutto, erano pezzi di vita mischiati a ricordi, sembravano sfregi sui muri, piccole crepe con un unico scopo: evocare il percorso che le aveva fatte nascere.

Draco sapeva che anche lei ne aveva una, poiché aveva assistito al momento in cui sua zia Bellatrix aveva marchiato il braccio di Hermione.

Come un disegno su carta.

Draco le aveva voltato le spalle.

Una corsa contro il tempo, forse, la voglia di non incontrarla mai più, nemmeno di lì a cent’anni. Il battito del cuore che aumentava e poi diminuiva, l’anima che non ne poteva più di essere tessitrice di menzogne.

“Anch’io ho una cicatrice, Draco.”

Anche se lei l’aveva sussurrato appena, Draco aveva avvertito la terra tremare. Era stata l’ennesima scossa di terremoto.

Aveva provato a farla smettere. Non ci era riuscito e si era abituato.

La terra tremava per Hermione.

 

***

Siamo tutti fratelli sotto la pelle,

e io vorrei spellare l’umanità per dimostrarlo.

Ayn Rand

 

 

Organizzare un ballo di beneficenza era un compito difficoltoso, ma lo sforzo e la fatica erano ben ripagati dai profitti; Hermione, dunque, aveva potuto raccogliere molti fondi a beneficio degli Elfi Domestici che ancora lavoravano per le famiglie più ricche.

Il luogo da lei scelto per lo svolgimento dell’importante evento era la sede del Ministero della Magia, che si presentava addobbata con buon gusto ed eleganza per l’occasione.

Dita delicate fremevano sui tasti di un pianoforte: i notturni di Chopin erano i più richiesti, giacché molti invitati erano Nati Babbani.

Tutti sembravano molto soddisfatti, eppure, tra la folla, Hermione poté incrociare un viso dall’aria malinconica; aveva lineamenti marcati e labbra sottili, sulle gote un pallore lunare da statua che, grigia e stanca, mostra agli altri una bellezza artefatta.

Draco sembrava così invisibile agli occhi della gente, attento a rimanere nell’ombra, perché lì era nato, constatò Hermione, centellinando un goccio di Vino Elfico.

Vicino a lei la folla continuava a parlare di Harry Potter e di come aveva sacrificato se stesso per il bene superiore. Era un controsenso che lì si discutesse del bene, quando c’era Draco Malfoy a idolatrare il male in disparte.

Hermione si distolse un attimo e non si rese conto subito di quello che stava accadendo.

Maschere d’incanto danzavano e fremevano al centro della pista da ballo; lo stupore dei presenti si trasformò in orrore. I bambini apparivano come messaggeri del Demonio e indossavano lunghe vesti e maschere nere striate di un bronzo sporco ai bordi.

Mangiamorte.

“Vi prego di restare calmi,” ordinò Shacklebolt, “vi prego, è solo un brutto scherzo!”

Gli Auror erano già pronti a duellare, ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Il colpevole era stato agguantato subito dopo: un ragazzino, che aveva perso i genitori in battaglia, urlava e rivendicava ciò in cui avevano creduto le persone a lui tanto care.

“Hermione, stai bene?”

Ron era subito corso al suo fianco, mentre Harry era impegnato a cercare Ginny. Hermione si fermò a osservarli e notò tutti quei piccoli gesti, parole sussurrate a mezza bocca tra un bacio e una carezza.

Per lui, invece, nessuno si era impensierito. Alcuni avevano puntato il dito verso ciò che credevano fosse il suo petto, trovando solo uno spazio vuoto.

Draco Malfoy era fuggito. 

Hermione si svincolò dall’abbraccio di Ron e andò a cercarlo.

Il vento, da sempre custode dei segreti del tempo, soffiava prepotente sul paesaggio scuro. L’aria profumava di gigli, di foglie, era pungente, frizzante, fasciava i loro corpi in un abbraccio.

La quiete tenace di un laghetto che rifulgeva di argento, mentre le acque prendevano la forma dei sogni donati alla luna, soprattutto degli amori perduti.

Hermione lo vide specchiarsi.

Non hai una maschera per questa occasione, Draco?

Fuggi via quando non sai come combattere?

Non sei pronto a sfidare la paura.

Non lo sei mai stato.

“Credi che voglia buttarmi, Granger, o sei venuta perché pensi che sia il colpevole?”

Lei si ricoprì le spalle con uno scialle, ma la brezza era puntigliosa, quasi gelida, come punte di diamanti che infilzano la carne.

“Tieni troppo alla tua vita per farlo. Comunque hanno già trovato chi ha scatenato quel putiferio. Un ragazzino di appena tredici anni, cresciuto con ideali sbagliati.”

Draco Malfoy si chinò e prese un sassolino tra le mani. Con la punta delle dita ci giocò, tracciando dei contorni indefiniti, che Hermione non poteva vedere.

“Non ho bisogno di un angelo custode,” disse, gettando il sasso. Si udì un rumore che fece eco alla notte. Risuonò oltre il bosco, fino a disperdersi.

Quanto è difficile essere se stessi quando a lungo abbiamo portato un’altra maschera, Draco?

Non sei un mostro.

In realtà, credo che tu sia il mostro di te stesso.

“Devi smetterla di inseguirmi, Mudblood. Ti piace umiliarti? Ti piace essere derisa?”

Hermione si avvicinò alle acque e si specchiò anche lei. Le lacrime si confondevano meglio con il bagliore canuto della luna. Sul volto piccole rughe – segni indistinti di come il coraggio aveva mutato la sua espressione – ne accentuavano il sorriso vissuto.

“Volevo solo accertarmi che quelle maschere non ti avessero spaventato.”

“Spaventato, Mudblood?” le si avvicinò, le mani verso la sua gola, la rabbia di chi aveva subito una terribile offesa. “Credi che io abbia paura di una maschera? Di un ricordo?”

“Io…”

“Tu, Granger, hai bisogno di qualcuno da salvare perché credi di avere le mani sporche di sangue. Scommetto che passi ogni secondo della tua vita a rimpiangere di non averli salvati tutti, pensi che forse avresti dovuto rinunciare a ogni attimo del tuo tempo, pur di proteggerli. Incolpi la tua mente, la tua intelligenza… Come puoi vivere con te stessa, Mudblood? La pena che ti sei inflitta da sola è… eterna.”

Hermione avrebbe voluto spiegargli perché provava quei sentimenti.

Avrebbe voluto sfiorarlo, calmarlo.

Protese la mano verso di lui, un gesto inibito, e le lacrime che bagnavano la sua bocca sapevano di speranze, gocce liquide di desideri.

Profumavano di Draco.

“Non toccarmi. Non potrei sopportarlo.”

“Perché?” singhiozzò Hermione, riuscendo a stento a trattenersi dal versare lacrime per quell’addio, che adesso le sembrava troppo, troppo prematuro.

“Ricorda, Mudblood,” proferì, soffiandole sul collo, “per me sei vetro contro acciaio.”

Non esistono solo maschere che abbiamo scelto di portare; ci sono anche quelle che ci hanno cucito addosso, pensò Hermione.

Draco Malfoy era, oramai, la traccia di un ricordo.

Se n’era andato.

 

***

A partire da una certa età,

per amor proprio e per furberia,

le cose che desideriamo di più

sono quelle a cui fingiamo di non tenere.

Marcel Proust

 

La bruma si era appena diradata in mille soffi scagliati dal vento.

Draco Malfoy aveva assistito allo spettacolo che il cielo offriva al crepuscolo prima di spogliarsi delle sue vesti e concedere il posto alla notte.

Le rose rosse erano state appena piantate nel giardino. Sua madre, che amava i fiori e la purezza che trasmettevano, si stava già preparando alla prossima primavera.

Lui aveva smesso da un po’ di osservare le stagioni, poiché i mesi scorrevano sempre uguali, simili ai loro gemelli passati.

Sapeva che non avrebbe mai potuto fare ammenda, ma non aveva smesso di sperare. Conscio delle iniquità subite – i ricatti di Voldemort, i pianti silenziosi di sua madre, un uomo, suo padre, che era tornato distrutto da Azkaban, tutti ostacoli sul cammino tortuoso del suo destino – aveva creduto ancora una volta che l’amore che provava per Hermione Granger gli fosse stato inflitto come punizione divina da qualcuno che gioiva nel vederlo soffrire.

Si vergognava. Non poteva ancora credere di essersi innamorato della Mudblood. Avrebbe preferito che quella parola avesse un timbro più dolce tra le sue labbra, invece del disagio che provava nel pronunciarla.

Si sentiva ingannato dalla vita; quanto imbarazzo aveva provato quando aveva immaginato la Granger nuda, tra le sue braccia. Quale umiliazione aveva subito quando lei gli aveva spedito una lettera che lo aveva oppresso per giorni. Hermione gli aveva offerto il suo aiuto: ti curerò, Draco, non sei irrecuperabile. Ti ho sentito quando hai detto che non c’è futuro per te, ma non è così. Il Marchio Nero non influirà più su di te se…

No. Era troppo mortificante.

Lei voleva solo salvarlo, trascinarlo via da quel baratro, impedirgli di contemplarsi in uno specchio per capire quale fosse la maschera che meglio sapeva indossare; non l’avrebbe mai amato come invece faceva lui, con la stessa intensità.

Il sapore di Hermione tra le labbra era un incubo ricorrente, soprattutto in inverno, quando la voglia di un abbraccio si faceva più urgente.

 “No… ti prego, no.”

Provava il desiderio incessante di toccarla e scoprirla, soffiare sulla sua pelle, lambirle il collo. Avrebbe voluto essere la causa dei suoi sorrisi e della sua rabbia; dormire con lei sdraiata accanto, svelare ogni possibile emozione.

“Perché devo desiderare ciò che è impuro?”

Draco aveva disprezzato più volte se stesso, dopo la fine della Guerra, e non ne era mai uscito illeso perché aveva imparato a giudicarsi troppo duramente. In effetti, era deluso e vinto; non aveva soddisfatto  la sua voglia, ma al contempo sentiva di aver perso, perché quel pensiero non sarebbe mai scomparso.

Quanti gesti aveva celato con le apparenze, o un insulto, all’occorrenza, per non abbandonare la sua maschera.

Al Ministero avrebbe voluto correrle incontro per chiederle come mai la sua fronte fosse corrugata, quale malessere la stesse privando della serenità.

Al San Mungo avrebbe voluto dirle che ricordava; la cicatrice di Hermione – Mudblood – era qualcosa di cui andare fieri.

Al Ballo di Beneficenza avrebbe voluto farsi toccare da quelle dita.

Ma lei l’avrebbe sfiorato con delle carezze che somigliavano a quelle di una madre, di una persona nata per difendere, di una persona che ama perché quello è il suo destino.

L’amore che provava Draco non mostrava i segni di un sentimento profondo né quelli folli dell’ossessione. Era infernale, un tormento continuo di alternanza di pioggia e sole.

 “Padrone?”

“Che cosa vuoi, Fuinur?”

Era seduto quando un Elfo Domestico gli si era avvicinato. Non si era mai interessato alla salute di quegli esseri, ma se quella sera avesse visto l’espressione infelice che distorceva i lineamenti di Fuinur, avrebbe capito che stava per riferirgli una notizia poco lieta.

“Padrone, stasera se ne va una persona molto speciale. Una persona che combatteva per noi!”

Hermione che gli dava baci tenerissimi, ripetendogli che avrebbe potuto salvarlo e che avrebbe potuto specchiarsi e precipitare in lei, se ne avesse avuto bisogno.

“Ah… chi?”

Lei che lo solleticava con la sua allegria, intenta a vivere – vivere sempre, Draco – a dirgli che era bello stare al sole con lui.

“È morta la signorina Hermione Granger, padrone. È morta per il suo coraggio. È morta per difendere i più deboli. Oh, povera signorina Granger. Come faremo tutti senza di lei?”

Draco non si lasciò sfuggire né un gemito né un lamento.

Non reagì.

Immobile.

Impassibile.

Impenetrabile.

Come un disegno su carta.

L’ultima immagine.

Lei morta.

E non tra le sue braccia.

Sorridi, Draco.

Oggi la vita ha bisogno di una delle tue maschere.

 

***

"E così,

nelle notti,

al fianco io giaccio del mio amore,

mio amore,

mia vita e mia sposa,

nel suo sepolcro là in riva al mare,

nella sua tomba in riva al risonante mare."

Edgar Allan Poe

 

 Quella notte la terra aveva smesso di tremare.

Tempo addietro, Draco aveva letto che era l’amore a fare girare il mondo; e se questo era vero, il mondo girava un po’ più velocemente quando c’era Hermione.

Lì, nella Foresta Proibita, disteso al suolo, si rese conto di aver perso tutto.

Aveva vissuto cercando di ingannare gli altri, spaventato che qualcuno si accorgesse dei suoi sentimenti.

Il coraggio e il sacrificio di Hermione non gli avevano insegnato nulla. Draco era diverso. Si trovava lì per un capriccio, ch’era anche un bisogno: riportarla in vita, guardarla per l’ultima volta, darle l’addio meritato. Poi, Draco si sarebbe portato nella tomba l’amore cieco che provava.

Fu in quell’attimo che Draco la vide. Nulla era riuscito a scalfirla: la pietra della resurrezione era intatta. Era come quella che aveva visto scivolare dalle mani di Potter, quando gli aveva lanciato il Legilimens, dopo il funerale di Hermione, dissacrando ogni suo ricordo intimo.

Indolenzito, la afferrò; si mosse sinuoso come un serpente e disse:  “He…” deglutì, “Hermione…” concluse, negli occhi lampi di insana passione. Tossì e sputò un po’ di sangue. Dalla tasca dei pantaloni prese una pozione Rimpolpasangue e la bevve.

“Accio scopa,” mormorò.

Non poteva aspettare oltre.

A Draco parve che il terreno oscillasse, ma non era il terremoto: era Hermione. Salì sulla scopa, mentre la nausea lo aggrediva. Sorvolò la Foresta Proibita con il respiro ancora concitato e, quando raggiunse il punto in cui poteva Materializzarsi, lo fece.

L’avrebbe ritrovata in riva al risonante mare; l’odore intenso dei fiori che germogliavano sarebbe stato lo scenario perfetto per l’ultimo atto della tragedia. Il passo soffice delle onde sul bagnasciuga li avrebbe accompagnati. Nel cielo volavano gabbiani che non trovavano rifugio; sembravano così liberi, come lui non lo era mai stato.

I petali dei ciliegi in fiore sfuggivano dai rami, lievi volteggiavano in aria, scendendo delicati al di là della scogliera, trasportati dal vento sferzante e riposavano infine sul mare smerlato.

Tentennò un po’, prima di usare la pietra della resurrezione. Avrebbe voluto essere più forte: essere l’artefice dei suoi giorni. Per quello aveva rivolto preghiere a un Dio in cui non credeva, in cui non aveva mai riposto la fede cieca di chi si affida a un’entità invisibile perché non è abbastanza forte da potercela fare da solo.

Girò tre volte la pietra della resurrezione e socchiuse le palpebre. Hermione stava arrivando, la percepiva.

Non avrebbe mai pianto. Si impose di non farlo. Eppure avrebbe voluto sentire il tocco fugace delle lacrime, calde, scivolargli fino alla gola e poi cadere giù nel mare, prigione di ogni ricordo

Non la percepiva davvero.

Hermione appariva pallida e stanca come la luna, preda di quell’eternità che d’ora in avanti l’avrebbe amata come una figlia.

Gli occhi di Draco, della sfumatura stessa della tempesta che si consumava nel cielo, rimasero asciutti anche nel momento in cui Hermione vi si rifletté.  Gli parve più bella che mai, con i capelli in disordine, le mani schiuse. Non sembrava uno spettro; piuttosto la raffigurazione della sua anima pura, candida. Fiabesca, così da Hermione, come i suoi occhi, accesi d’amore per il bene, per la giustizia, per tutto ciò per cui aveva scelto di battersi e morire.

Il suo coraggio.

 “Ciao, Draco.”

Draco deglutì e cadde a terra, senza più trucco né inganno: concesse a Hermione di guardarlo davvero, per la prima volta. Era come un libro bianco, cui l’inchiostro non osava avvicinarsi. Eppure quelle pagine sprigionavano sentimenti, parole invisibili.

 “Perché, Granger?

“Qual è la vera domanda?”

“Perché sei morta?”

Hermione si sedette su uno scoglio, accavallò le gambe e uno strano sorriso incurvò le sue labbra, come se da tempo quella bocca non conoscesse gioia.

“Non c’è una risposta. Non so dirti perché sono morta.”

“Dannazione, Granger.” Emise un rantolo, cercando di rialzarsi, “voglio sapere perché sei immobile, perché non potrò più rivederti e sopportarti e beffarmi di te!”

“Draco, devi andare avanti. Promettimi che lo farai. Abbiamo bisogno delle cose immobili, come lo sono io adesso. Qualcosa che sa di eterno e di immutabile e di pioggia. Anche se è un evento terribile condannato a ripetersi all’infinito, come un istante di dolore. Come qualcosa di morto che sembra ancora vivo. Un sentimento sospeso nel tempo come una fotografia sfuocata. Un fantasma, questa sono io."

Come un disegno su carta.

"Puoi provare queste sensazioni per qualche attimo, e lasciare che ti rapiscano, che non ti facciano vivere. Ma non è così che va il mondo. Noi nasciamo e cresciamo e combattiamo e diventiamo degli ideali. È per questo motivo che tu deciderai di lasciarmi andare. Io sono morta. Tu sei vivo."

Come un disegno su carta.

"E anche se adesso hai l'illusione che io mi muova... non è così. Oggi è un gioco. Mi sgretolerò, perché non faccio parte di questo mondo. Ho combattuto anche per questo momento, Draco. Non è solo coraggio. È voglia di vivere e di regalare un po' di vita agli altri."

Draco avrebbe voluto dirle di non andarsene. Sembrava sciocco, forse, ma era rimasto lì, immobile come un insetto intrappolato nell’ambra. Non aveva nemmeno trovato il coraggio di confessarle che l’amava e che aveva pregato di non provare più quel sentimento, che era difficile accettarlo.

"Perché non sei arrabbiata? Perché non sei furiosa? Sei morta, Granger. Avevi diciannove anni! La vita di cui tu parli non l'hai neanche vissuta!"

“Eppure a me sembra di avere cent’anni,” rispose Hermione, sorridendo. “Non arrabbiarti per quello che è stato. Pensa a quello che sarà, senza di me. Vivi per me e per tutti quelli che te lo chiederanno.”

Draco abbassò lo sguardo a terra. Hermione aveva accettato quello che era successo, pensò. Perché lei era diversa: era meno che umana, in quel momento, mentre a lui oramai toccava scontare tutti i peccati che aveva commesso, compreso quello di averla riportata in vita.

"Gli altri... se ne faranno una ragione. Riusciranno a rifarsi una vita senza di te,” disse poco dopo, temendo che quell'onore non gli sarebbe stato concesso. Eppure forse, in fondo, neppure l’avrebbe desiderato: non sentire più la sua mancanza, non vederla più: anche se ne fosse stato capace, l’avrebbe dipinta su mille muri pur di farsi uccidere da quella staticità, dal sapore di eterno.

D’un tratto Hermione si avvicinò. Una lacrima scivolò lenta sul braccio di Draco: era di Hermione.

"Fai finta che sia pioggia," gli disse. "Forse la pioggia non è altro che il pianto dei morti."

“Granger… resterai con me?”

Hermione sorrise.

“Finché tu ne avrai bisogno,” rispose e quella risposta sapeva di arrivederci, non di addio.

 

***

Vedere un mondo in un granello di sabbia,

e un paradiso in un fiore selvatico,

tenere l’infinito sul palmo della mano,

e l’eternità in un’ora.

William Blake

 

“Finché tu ne avrai bisogno.”

Hermione sapeva che, per Draco, il mondo aveva cominciato a girare un po’ più velocemente, dopo quella promessa. Perché, infine, l’aveva mantenuta, ed era stato ciò a salvare Draco da un destino solitario. Non lo aveva mai abbandonato e aveva vegliato su di lui, come su Ron, Harry, Ginny e tutti quelli che avevano bisogno di sapere che non se n’era mai andata, in fondo.

Ne aveva osservato i successi e gli era stata accanto, come forse solo un angelo custode avrebbe saputo fare: aveva vegliato sul matrimonio di Draco con Astoria, sulla nascita di Scorpius, che assomigliava a suo padre più di quanto avrebbe voluto.

Come un’ombra fedelissima, li aveva seguiti per tutta la vita. E anche lei, infine, aveva provato la morsa della gelosia. Sottile e intollerabile, quell’emozione l’aveva colta quando guardava Draco con Astoria.

Hermione, che aveva amato Ron, con Draco aveva provato un nuovo tipo di amore, diverso, come se fosse stato lì, da sempre, ma lei non ne fosse consapevole.

Adesso era lì, dove tutto era iniziato. King’s Cross.

Per l’ultima volta. Dopodiché, nessuno avrebbe più avuto bisogno di un fantasma: solo dei ricordi.

Stava sorridendo a tutti, anche se loro non potevano vederla. Hermione aveva imparato a soffocare la tristezza, perché non aveva più nulla da perdere. Le bastava stare accanto ai suoi amici e al suo grande amore e questo era il motivo per cui aveva scelto di restare, ma non per sempre.

Il suo aspetto non era mutato: era ancora la ragazzina sognante di allora, sempre con una risposta tra le labbra, mai quella sbagliata.

Quando arrivarono tutti, capì che stavano pensando a lei: era negli occhi di ognuno di loro, come un disegno su carta.

Harry la immaginava in un posto migliore, e una volta aveva addirittura creduto che lei si fosse dissolta in una nuvola.

Ron non aveva mai accettato la sua morte, ma sperava che lei si trovasse con Fred, che lui le facesse i dispetti e che lei lo rimproverasse di essere il solito burlone.

Ginny… Ginny non aveva più rivelato a nessuno i suoi segreti, perché l’amicizia che aveva con Hermione era unica e inimitabile. Se l’avesse sostituita, si sarebbe sentita una traditrice.

Giunse alla stazione anche Draco, con Astoria e Scorpius.

Sembrava una rimpatriata tra amici, dove lei era l’unica a non portare una maschera.

Debole, si accostò per l’ultima volta a Draco: voleva parlargli prima della fine, confidargli ciò che aveva provato e rassicurarlo.

“Ho imparato ad amarti in questi anni, Draco. Il tempo non ci è stato concesso, è vero, e tu hai iniziato ad amarmi molto prima di quanto mi aspettassi. Ho visto in te – così come in me, Harry, Ron e Ginny – ferite talmente profonde che ci hanno lasciato un segno. Ogni volta che ci viene fatto un torto, si riaprono e ricominciano a sanguinare e allora siamo costretti a disinfettarle di nuovo. Sono un monito che ci rammenta che dobbiamo ringraziare chi ce le ha inferte, perché così abbiamo vissuto con il ricordo di chi siamo ogni giorno e non lo abbiamo dimenticato nemmeno per un attimo, e abbiamo sempre avuto chiaro dove volevamo andare e chi volevamo essere e cosa volevamo lasciarci indietro.”

Hermione, mentre parlava, avvertiva il peso degli anni che non erano mai trascorsi, dei pensieri che non aveva mai osato formulare. Sentì sul suo volto i segni delle prime rughe, come quelle di una donna adulta. Poi qualche ciocca di capelli divenne bianca.

 “È un bene che tu non possa ascoltare le mie parole. Hai accettato la mia morte, e ne hai compreso il motivo e la bellezza. Anzi ti ha aiutato a maturare e ad amare te stesso. Non ti sei più vergognato di essere quello che sei. Hai scelto maschere bellissime, da vero uomo, per tua moglie e per tuo figlio, e anche per me.”

La sua voce si affievolì, fino a essere sottile come un canto di fenice. Faticava, quasi, a ritrovare le parole, mentre nella sua mente ricordava l’infanzia e i momenti con i suoi migliori amici. Riviveva la sua vita, così com’era stata.

 “Oh, Draco. Sono così fiera di te. E di amarti. Sempre.”

A forza di essere vento si erano ritrovati, avevano percorso tragitti uguali, ma in binari differenti. E ogni tanto, quando il vento gliel'aveva permesso, si erano guardati da un vetro appannato di un treno in corsa.

“Adesso mi preparo ad affrontare il mio ultimo viaggio. Non so dove andrò, forse comincerò una nuova vita, finalmente potrò far riposare la mia anima in un posto segreto che nessuno conosce, eccetto me. Sono così stanca… mi si chiudono gli occhi. Forse sto per morire, di nuovo.”

Hermione aveva subito l'ultima trasformazione. Assomigliava a una donna anziana che ormai aveva vissuto a lungo e che era pronta a cedere i suoi umili resti alla nuda terra.

“Addio, Draco. Sei stato molto importante per me, forse più di quanto io lo sia stata per te. Non immagini nemmeno quanto mi risulti difficile salutarti per l'ultima volta, ma devo andare.”

Rivolse un ultimo sguardo a Harry, Ron e Ginny e sorrise. Poi baciò Draco. Gli sfiorò le labbra come l’alito del vento accarezza un vetro.

Lui non avrebbe sentito nulla, eccetto un’impercettibile brezza sulle sue labbra. Hermione, invece, ne gustò il sapore e solo in quel momento si rese conto che era vero quello che aveva sempre detto Draco a se stesso, dopo la sua morte: il loro era un amore cieco, che non conosceva ragione.

Poi, una goccia di pioggia scivolò sulla mano di Draco.

Il pianto dei morti.

L’ultima immagine.

Hermione, morta a forza di essere vento.

Tra le sue braccia, per l’addio conclusivo al mondo dei vivi.

Sorridi, Draco.

La vita non avrà più bisogno di maschere.

 

Dal cielo tutti gli Angeli
videro i campi brulli
senza fronde né fiori
e lessero nel cuore dei fanciulli
che amano le cose bianche.
Scossero le ali stanche di volare
e allora discese lieve
 lieve
la fiorita neve.

U. Saba

 

 

Piccola specificazione:

La prima stesura è stata betata da Stregabuffyna.

La seconda stesura della storia è stata riveduta e corretta da poison spring. Questo perché nel frattempo ho cambiato beta e ho deciso di rivedere tutto ciò che ho scritto nel passato, per mettere in atto i suoi consigli. Ho quindi cambiato determinate frasi per renderle molto più scorrevoli: la storia non è stata stravolta, solo sistemata.

 

Note e Citazioni:

I prompts a me assegnati per lo svolgimento erano i seguenti: pozione rimpolpasangue, un esperimento finito male, ultimo bacio alla stazione di King’s Cross.

 

 “A forza di essere vento” è una storia che definirei strana. Anzitutto non ho spiegato come è morta Hermione – ho sottolineato un paio di volte che è il suo coraggio il motivo per cui è deceduta, ma ho preferito non narrare la vicenda.

Secondo il mio parere Hermione è morta per difendere chi proteggeva – gli Elfi Domestici o Ron o Harry o Ginny o la gente, chiunque.

Questo è il fulcro della storia.

Una nota ben più importante è il nome che ho scelto di assegnare all’Elfo di Draco – Fuinur, infatti, significa Morte della Tenebra, che è anche la fine di questa storia; una volta cadute tutte le maschere, una volta scesa la fiorita neve… si rinnova tutto, come il ciclo infinito di cui si sente parte Draco, e il buio cede il posto alla luce.

Il titolo della storia è una canzone di Fabrizio De André.

Vi segnalo anche le tre citazioni che ho inserito:

 

-     “Per me sei vetro contro acciaio” è un verso di Gabriele D’Annunzio.

-     “È l’amore che fa girare il mondoE se questo era vero, il mondo girava un po’ più velocemente quando c’era Hermione.” La prima è di William Gilbert, che si ricollega alla seconda, che invece è tratta dall’episodio dieci della quinta stagione di Criminal Minds – al posto diHermione c’era Haley nella frase originale.

-     “Anche se è un evento terribile condannato a ripetersi all’infinito, come un istante di dolore. Come qualcosa di morto che sembra ancora vivo. Un sentimento sospeso nel tempo come una fotografia sfuocata. Un fantasma, questa sono io." La spina del diavolo.

 

Ho trovato piacevole scrivere questa Dramione, nonostante i toni drammatici.

Ringrazio, ovviamente, lo staff del CoS per la splendida idea e per avermi invitata a questo Torneo.

E poi ovviamente a loro, che non mi hanno abbandonata nemmeno per un attimo: AtopikaPiperina e Morgana.

Questa è per voi.

   
 
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