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Autore: Gertie    07/09/2006    0 recensioni
“Cosa farai quando sarai adulto?”
“… Il cavaliere.”
“E tu?”
“Anche io farò il cavaliere.”
“E massacreremo i sassoni insieme!”

La storia di Elynor, la sorella adottiva di Lancillotto.
Genere: Romantico, Drammatico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di nuovo qua per voi! Vorrei ringraziare calorosamente erienne per la sua recensione in cui mi ha incoraggiato ad andare avanti (evviva un'altra fan di Lancillotto! *___*)

Capitolo Secondo
Nel quale la nostra eroina fa uno strano incontro, accade una catastrofe e si preannuncia un lungo viaggio

Mi risvegliò una luce soffusa.
Aprii lentamente gli occhi. Ero nel mio letto.
Le tende della finestra non erano state tirate, e un leggero venticello le muoveva dolcemente. La vallata era immersa nella foschia del primo mattino.
Tentai di issarmi a sedere, ma al primo tentativo ricaddi pesantemente con la testa sul cuscino. Entrò piano Lynet, che reggeva una brocca d’acqua.
“Sei sveglia…” disse sottovoce.
L’unica parola che riuscii a dire fu: “Lancillotto…” e la donna assunse un’espressione mesta. “No, Elynor. Non è più qui.”
Per un attimo avevo sperato di essermi sognata tutto.
Ma sfortunatamente non era così, come testimoniava lo sguardo triste di Lynet.
“Se la caverà, vedrai. Diventerà un buon cavaliere…” mi disse, strizzando con un gesto convulso il panno che mi aveva posto sulla fronte mentre dormivo.
“Un buon cavaliere…” ripetei io, rapita.
Lynet mi diede una tenera carezza, e poi mi fece bere dell’acqua fresca.
La mente che prima era annebbiata, si schiarì subito.
“Devo andare a prendere la legna…” dissi, tentando di scendere dal mio giaciglio.
“Ma…” Lynet mi bloccò con un braccio.
“Devo andare a prendere la legna!” dissi quasi gridando.
Lei si zittì e abbassò gli occhi.
“Vai pure. Ma non tornare tardi, per favore…”
“D’accordo.”
Poco dopo, uscii per andare a controllare Kelpie.
Brucava tranquillo, nel recinto al limitare del villaggio.
Quando mi vide sollevò la testa grigia e nitrì, soffiando fuori l’aria dalle narici in nuvolette di vapore.
Pulii il suo mantello, mentre lui mi guardava con quei suoi occhi scuri e acquosi.
Gli offrii una carota.
“Mi dispiace di averti fatto correre come un pazzo, ieri.” dissi, provando una fitta di rimorso.
Lui per tutta risposta continuò a sgranocchiare rumorosamente la sua carota.
Lo lasciai a mangiare in pace, e mi avviai verso il bosco.
Esitai, e non provai ad entrare subito nel folto della macchia. Non ci ero mai andata da sola.
“E chi se ne importa.” ringhiai. Non sarebbero stati quattro alberi spogli a spaventarmi.
Il suolo era coperto di felci e foglie secche che crocchiavano quando le calpestavo.
Per rincuorarmi un po’, mi misi a canticchiare una vecchia canzone. Quel posto era davvero lugubre. Le parole rimbombavano tra i tronchi, e le foglie stormivano sinistramente.
Deglutii.
Come se non fosse stato già abbastanza spaventoso, la nebbia si fece più fitta.
“Oh, accidenti…” mormorai, atterrita.
Non mi ricordavo più da che parte ero arrivata.
Confusa e arrabbiata, non avevo fatto caso a possibili segni di riconoscimento, come sassi o chiazze di muschio con cui avrei potuto orientarmi.
In me cominciò a salire il panico.
C’erano un sacco di pericoli, nascosti tra le piante. Animali selvatici. Trappole di cacciatori. Gli Woad.
Al solo pensiero di quei selvaggi dipinti di blu mi misi a tremare.
Andai avanti a tentoni, cercando di fare meno rumore possibile.
Dopo un po’ di tempo, sentii qualcosa che si muoveva alla mia sinistra.
“Uno scoiattolo… E’ solo uno scoiattolo…” mi dissi, sperando di aver ragione.
Ma l’essere era molto più grosso di un roditore…
Rimasi impietrita, le unghie conficcate in un tronco, mentre davanti a me si ergeva una nera figura minacciosa.
Sperai che non mi avesse visto, ma purtroppo non era così. La creatura si mosse verso me.
“Non uccidermi!” gemetti, stendendomi a terra.
Non udii nulla.
Poi una mano ferma mi prese per il colletto del vestito. Fui tirata di nuovo in piedi.
Non avevo mai visto un uomo così strano.
Era un Woad, senza dubbio. Aveva segni blu su tutto il corpo. Allacciata in vita aveva una specie di gonnellino di pelle sbrindellata, e sulle spalle una pelliccia di volpe. Calzava stivali di cuoio infangati.
Era piuttosto anziano, ma molto robusto e alto. Aveva anche una ispida barba incolta che scendeva dal mento fino al torace. I suoi occhi brillavano.
Rimasi a fissarlo sbigottita, finché lui non mi rivolse la parola.
“Elynor” disse solo.
Aggrottai la fronte. Non l’avevo mai visto prima, come faceva a sapere il mio nome?
“Ehm…” azzardai “Mi spiace signore, ma io non la conosco…”
“Sono Merlino.” mi rispose lui prontamente, fissandomi con quegli occhi penetranti.
Merlino… Il vecchio che mi aveva salvata quando ero piccola. Possibile che fosse proprio lui?
Ero ancora dubbiosa.
“Non temere, noi Woad non ti faremo alcun male.” disse con voce rassicurante.
Per alcuni istanti non si sentì altro che il frusciare delle foglie.
“Che bella musica…” sussurrò Merlino, sorridendo.
Questa volta fui piacevolmente sorpresa. Anche lui conosceva le canzoni delle piante, come il vecchio Uwaen. Era una cosa positiva.
“Piace anche a me.” ammisi, con un po’ più di fiducia.
“Vieni spesso qui sulla collina.” continuò lo sciamano “Ti vedo, quando siedi sull’erba profumata e guardi le nuvole.”
Arrossii. Mi faceva uno strano effetto pensare che qualcuno mi aveva sempre spiato, proprio nel posto in cui credevo di essere completamente sola.
“Elynor, cosa pensi, quando guardi il cielo?” mi domandò Merlino.
Io non risposi subito. Mi vergognavo di dire ciò che immaginavo quando rimanevo da sola. Erano bambinate… Ma quell’uomo mi ispirava un grande senso di pace e calma. Sembrava un nonno.
Decisi di fidarmi.
“Io… Guardo i guerrieri che ballano attorno al fuoco. E poi anche i cavalieri che galoppano per le vallate…”
“Ti piacerebbe essere una di loro, non è vero?”
Non so cosa mi spinse a continuare quella conversazione così assurda.
“Sì. Ma non posso.” con una fitta al cuore mi tornò in mente Lancillotto.
Agli occhi attenti di Merlino non sfuggì il mio dolore represso.
“E perché non puoi?”
Iniziai a balbettare.
“P-perché… S-sono cose da uomini… I-io sono una femmina… E… Ho solo dodici anni.”
Stavo per rimettermi a piangere dalla rabbia.
“Invece tu puoi, Elynor. Tu puoi fare qualsiasi cosa.”
Quelle parole così dense di significato mi comparvero chiare nella testa.
Non ci avevo mai pensato. Chi diceva che io non sarei potuta andare in guerra come Lancillotto? Chi diceva che non potevo lasciare il pollaio?
Strinsi i denti. Merlino aveva ragione; io potevo farlo.
Alzai la testa.
“Ma io non so niente su… Come si diventa cavalieri…” dissi, ripiombando nello sconforto.
“Te lo mostrerò io.” annunciò lo stregone.
Io rimasi per un attimo a fissare la punta delle mie scarpe, valutando l’offerta.
Sarei diventata una vera combattente… Avrei finalmente lottato per difendere la mia terra dai sassoni. Avrei finalmente lottato per qualcosa di importante.
Tutto questo mi esaltava.
“Senti, Merlino, io…” esclamai. Ma quando alzai lo sguardo, il vecchio era già scomparso.
Tutto era silenzio. Solo lo stormire delle foglie.
Mi accorsi solo in quel momento che la nebbia si era diradata, e un pallido sole era spuntato tra le nubi.
Mi resi conto di essere in ritardo. Probabilmente era già passato mezzogiorno da un pezzo. Ero rimasta lì tutta la mattina!
“Oh, no… Ban mi inchioderà alla porta!” gemetti, raccattando la mia legna.
Corsi a perdifiato, fino a quando non raggiunsi la fine del bosco. Mi fermai un attimo per calmare il respiro, ma quando mi voltai verso il villaggio…
Una nuvola nera si alzava dalle macerie. Le capanne erano crollate, ed erano state ridotte in cenere dalle fiamme dell’incendio. I recinti erano tutti aperti. Non si vedeva neppure una gallina.
Ripresi la mia corsa verso quel che restava di Graeth.
Ci misi poco a realizzare ciò che era successo. Erano arrivati i sassoni. Avevano distrutto tutto, come un branco di cavalli selvaggi che calpesta qualunque cosa trovi sul suo cammino. E io ero stata troppo occupata a perdermi nel bosco, invece di difendere la mia casa!
“Lynet!” chiamai.
“Ban!”
“Dove siete??”
“Rispondetemi, vi prego!”
In risposta ebbi solo il lento crepitare delle fiamme.
Corsi verso la capanna centrale, che non era ancora crollata.
La porta era spalancata.
Entrai, con il terrore che mi scorreva nelle vene.
“Lynet? ...Ban?”
Agghiacciai.
Appeso alla trave centrale giaceva senza vita il corpo di Ban. Penzolava sinistramente. Lo avevano impiccato. E gli avevano anche cavato gli occhi.
Sul tavolo della cucina c’era Lynet, riversa in una pozza di sangue.
Fui sopraffatta da un senso di nausea, e corsi fuori.
Vomitai. E piansi. Gridai e battei i pugni per terra.
Perché proprio qui? Perché proprio Graeth?
Tutto quello per cui potevo vivere era rimasto lì in quel villaggio. Ora non esisteva più.
Restai tutta la notte sdraiata bocconi sull’erba, gridando tutto il mio dolore.
Alla fine, sfinita, mi addormentai.
Mi svegliai perché qualcuno mi stava tirando i capelli.
“Ahi!” gemetti, scattando in piedi.
Davanti a me stava Kelpie. Il vecchio castrone grigio.
Gli saltai al collo.
“Che bello rivederti!” gli sussurrai ad un orecchio “Temevo che avessero ucciso anche te!”
Non osai staccarmi dal cavallo per un po’. Avevo paura che se ne andasse pure lui.
Poi, mi avvicinai alla legnaia.
Passai circa due ore a costruire una barella. La attaccai a Kelpie, che mi osservava tranquillo.
Entrai in casa per la seconda volta. Cercai di non badare al puzzo di morte che la pervadeva.
Con immensa fatica, trascinai i due cadaveri fuori dalla porta, e uno dopo l’altro, li issai sulla lettiga improvvisata. Afferrai un vecchio badile.
“Dai, Kelpie… Su alla collina.” diedi un buffetto al cavallo, che cominciò a muoversi lentamente. Io gli stavo accanto, e non dissi una parola fino a quando non fummo sulla sommità dell’altura.
Lì, scavai fino a tardo pomeriggio, e dopo aver creato due buche non troppo profonde, scoprii con sgomento che mi ero rotta tutte le unghie, e ora le mani grondavano sangue.
Mi strappai un pezzo del vestito e me le fasciai.
Con cura, trasportai i due cadaveri nelle fosse, e li ricoprii di terra.
“Mi dispiace. Vorrei fare di più.” dissi, mesta. Quelle tombe non erano granché, ma ci avevo messo tutte le mie forze perché Ban e Lynet potessero riposare in pace.
Come simbolo, piantai nel terreno un paletto di legno, e ci appesi una ghirlanda fatta di fiori d’erica e ranuncoli.
Sapevo che ai funerali bisognava dire qualcosa. Un addio ai morti.
Non me la cavavo molto bene, con le parole, ma decisi di tentare ugualmente.
Diedi un colpo di tosse.
“… Ban, Lynet; siete stati gentili e premurosi con me, mi avete cresciuto come se fossi figlia vostra. Non mi avete mai fatto mancare niente. Vi ringrazio con tutto il cuore. Ammazzerò due sassoni anche per voi, ve lo prometto…” la voce mi si affievolì.
Era tremendo. Per un istante sperai di ricevere una risposta.
“Diventerò una brava guerriera e vi vendicherò. Tutti quanti.” quest’ultima frase la pronunciai con ardore. Poi Kelpie mi si avvicinò, e appoggiò il suo grosso e morbido muso sulla mia spalla.
“Ah, e un grazie anche da parte del vostro vecchio Kelpie…” aggiunsi.
Rimasi lì davanti alle tombe per un po’. Il vento mi accarezzava i capelli, e scompigliava la criniera del mio unico amico rimasto.
Poi, una domanda mi si piantò nella mente.
“Cosa faccio adesso?” le parole continuavano a rimbalzarmi per la testa.
Al villaggio non potevo restare, perché non era rimasto niente.
Dovevo cercare fortuna altrove, e poi arrangiarmi.
Abbandonai la lettiga lì sulla collina, balzai in groppa a Kelpie e insieme tornammo a casa per preparare i bagagli.
La dispensa era stata quasi svuotata per intero. Rimanevano del pane secco, un sacchetto di legumi e due uova rotte. Arraffai tutto, a parte le uova, che ormai erano immangiabili.
Ma io sapevo dov’era la botola segreta…
Corsi nella mia stanza, e spostai con fatica il mio letto. Sotto c’era una piccola apertura buia.
Infilai un braccio nel buco, e ne estrassi un pacco legato con dello spago.
Sorrisi tra me e me. Era la mia scorta personale di vivande, che avevo preparato la mattina precedente, in vista di un pranzo sulla collina assieme a Lancillotto; ma poi aveva minacciato di piovere, e così avevo lasciato tutto dov’era. E Lancillotto era partito.
Ebbi ancora una fitta di dolore, ricordandomi che forse non avrei mai più pranzato con lui.
Un po’ di carne secca, dell’uva, un cestello di nocciole sgusciate e della frittata di erbe fredda.
Frugai ancora, e ritrovai il mio vecchio zaino di cuoio, che riempii con tutto ciò che avevo accumulato. Ripiegai un paio di tuniche invernali, e le pigiai giù, verso il fondo.
Andai nella stanza di Ban e Lynet. Sapevo esattamente cosa e dove cercare.
Dentro il materasso, che strappai sbrigativamente, era nascosto un sacchetto di denaro. Lo tenni in mano e lo soppesai. Le monete tintinnavano urtandosi.
Nella cassapanca al fondo del letto, sepolte sotto le coperte, c’erano la cintura e la spada di Ban.
Allacciai in vita la cinghia. Era un po’ grande, e mi ballava sui fianchi, ma non ci feci caso.
Notai con gioia i due pugnali dal manico d’osso, lunghi e sottili, inseriti nelle loro guaine di pelle. Quelli mi sarebbero stati molto utili.
La daga era piuttosto pesante. Dovevo usarla con tutte e due le mani, per riuscire a sferrare qualche fendente. Aveva l’impugnatura d’argento. Era bella, e luccicante.
La legai alla cintura.
Prima di uscire, riempii due borracce di cuoio. Una la misi nella sacca, e l’altra la attaccai alla sella di Kelpie, assieme ad una padella con il manico storto.
Per ultimo, indugiai su una vecchia coperta di cervo. Alla fine presi anche quella, non si poteva mai sapere quanto avrebbe fatto freddo.
Infilai i miei gambali più comodi e robusti. Mi gettai sulle spalle il mantello color indaco che mi aveva cucito Lynet, e mi calai il cappuccio sulla testa. Era poco prudente viaggiare a viso scoperto.
Ero ancora indecisa sul da farsi, ma una cosa era certa: mi dovevo assolutamente allontanare dal villaggio. I sassoni potevano ancora essere nelle vicinanze.
“Dannati bastardi!” imprecai, per poi rabbrividire. Non avevo mai usato quelle parole. Mi fecero uno strano effetto; e decisi di non ripeterle mai più.
Mi rammaricai di non aver avuto abbastanza tempo per dare una degna sepoltura agli altri abitanti di Graeth.
L’incendio aveva divorato anche i loro corpi.
Montai in groppa a Kelpie, faticando per il peso della cintura e dello zaino.
Rivolsi un ultimo sguardo a quel che rimaneva delle capanne.
Poi, una strana furia cominciò a ribollire sorda dentro di me.
Voltai il cavallo e lo spronai verso la collina.
Adesso sapevo cosa dovevo fare. C’era solo una persona che mi avrebbe potuto accogliere: Merlino.


Fiuuu... Ragazzi che lavoraccio! Allora, vi piace il secondo capitolo? ^___-
Aspetto commenti, mentre la mia testa macchina già la terza puntata!
A prestissimo!
Bacetti da Gertie

PS = Nel prossimo capitolo ci sarà una sorpresa!
  
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