Crossover
Ricorda la storia  |       
Autore: Jade MacGrath    08/09/2006    4 recensioni
Quando era ricoverato per l'aneurisma alla gamba, e stava lottando durante la crisi cardiaca, House vide una donna che non c'era. Cinque anni più tardi, la stessa donna gli riappare davanti. Il suo nome è Six, solo House la può vedere, e sconvolgerà la vita del dottore da cima a fondo... crossover House/Battlestar Galactica
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
New Page

La ragazza col vestito rosso.

No, non quella di Matrix. Gregory House era stato molto fiero di annunciare a Wilson che lui una volta aveva avuto la sua personale ragazza in rosso. Una vera apparizione. Capelli di un luminoso biondo miele, pelle d’alabastro, sottile come un fuscello. Portava dei tacchi a spillo che per molte sarebbero stati importabili ma su cui lei si muoveva con grazia innata, ed era fasciata in un abito rosso fuoco che lasciava ben poco all’immaginazione. Non aveva nessun gioiello a parte un braccialetto d’argento.

Wilson a quel punto aveva preso un’aria offesa, e aveva detto che se se House voleva farsi perdonare doveva dargli subito il numero di quell’accompagnatrice.

“Dolente di deluderti, Jimmy” aveva risposto con un sogghigno House “La signorina in questione non è un’accompagnatrice.”

Wilson insisteva sul contrario. Non c’era nessuna possibilità che una ragazza del genere si fosse consapevolmente accompagnata ad House, a meno che non fosse una del mestiere, e pure una di quelle care. House però non raccontava mai tutta la storia. Preferiva che tutti immaginassero quella splendida creatura con il suo vestito, i tacchi a spillo e un sorriso seducente sulle labbra, e morissero d’invidia… o gli dessero del bugiardo, cosa che quando aveva ragione lo divertiva particolarmente. Non diceva mai che quando aveva visto quella ragazza, aveva gli occhi colmi di lacrime e un’espressione di enorme e profondo dolore sul viso.

E soprattutto che lui in quel momento stava avendo un arresto cardiaco a causa delle tossine liberate nel sangue dai tessuti morti nella sua gamba.

Pur non essendo credente, quando l’aveva vista sulla soglia della sua stanza, con una mano portata alla gola, aveva pensato che gli angeli esistevano davvero. Poi analizzando la cosa, aveva concluso che nemmeno l’angelo della morte avrebbe potuto andare in giro abbigliato a quella maniera.

Forse un emissario di Satana… ma l’espressione addolorata non collimava. House decise di smettere di pensarci, bollando la cosa come un’allucinazione, e di attenersi alla prima parte della sua storia.

Questo fino a qualche giorno dopo lo sparo. Si era di nuovo trovato in un letto d’ospedale, di nuovo era stato vicino a restarci, ma questa volta era da solo. Questo rafforzò l’idea dell’allucinazione casuale. Quasi rise di sé stesso per aver addirittura pensato che gli angeli esistessero.

Il sorriso gli morì sulle labbra quando, appena alzato lo sguardo dal suo Gameboy, la ragazza in rosso – stessa donna, stesso vestito, stesso tutto – passò nel corridoio di fronte al suo ufficio. Non aveva per niente un’aria triste… anzi, gli sorrise radiosa e passò oltre. House rimase in shock per qualche instante, poi cercando di correre più velocemente che poteva andò nel corridoio e intravista un poco avanti a lui cercò di aumentare il passo.  La ragazza girò l’angolo… e scomparve.

House si guardò intorno. Niente, nessuna traccia. Anzi, quando si voltò si trovò davanti una vecchietta sdentata e con una brutta eruzione cutanea che gli sorrise ammaliante. Convincere i muscoli facciali a contrarsi e non in un’espressione completamente disgustata fu in quell’occasione veramente molto difficile.

La rivide di nuovo il giorno seguente, più volte nell’arco della giornata, e ogni momento più a lungo.

Si disse di nuovo che era un’allucinazione. Che altro poteva essere? Le cause poi potevano essere molteplici: qualcuno poteva avergli sciolto dell’acido lisergico nel caffè, per esempio. Avrebbe bastonato Foreman per quello, lui e i suoi amichetti del ghetto. Oppure era stanco. Poteva sempre essere. O poteva essere la ketamina che gli faceva qualche scherzetto, non era certo acqua, ma neanche il suo vecchio compagno Vicodin lo era.

No, meglio la prima versione. Qualsiasi scusa gli permettesse di tormentare Foreman era cosa buona, giusta e legittima.

 

Ma Foreman ovviamente non ne sapeva niente (“Con tutte le persone che ti odiano e ti vorrebbero morto vieni proprio ad accusare me?”), né Chase (“Sei sicuro di non aver esagerato con il dosaggio dei farmaci? Sai, con i tuoi precedenti…”), e tantomeno Cameron, la quale non disse niente ma esaminò per un attimo la possibilità di fargli quello scherzetto e poi fargli la paternale che lui aveva fatto a lei quell’unica volta che si era fatta di anfetamine. Poi si ricordò di essere geneticamente incapace di fare qualcosa anche solo di vagamente trasgressivo e di farla franca con House nei paraggi. (Tutti però si domandarono per tutto il pomeriggio per che cosa fosse quel sorrisetto che Cameron avesse sulle labbra. Vista l’incapacità materiale, almeno la fantasia…)

Provò a far cadere in trappola Wilson, visto che lo sapeva in grado di rispondere ai suoi scherzi idioti colpo su colpo. E aveva osato segare il suo bastone, cosa che tutti prima o poi avevano sognato di fare. No, Wilson non aveva LSD, ma se voleva poteva offrirgli una canna, visto che il suo paziente col glaucoma era tornato per un controllo.

Non potendo rifiutare un così cortese invito, ne prese due progettando di fumarsene una sul balcone e una a casa.

Poi vide la ragazza in rosso, seduta sulla sua scrivania con le gambe accavallate, e d’un tratto gli passò la voglia.

Ad essere precisi, più che la ragazza House guardò le sue lunghe gambe. E gli immancabili stiletti rosso fuoco, in abbinamento col vestito.

“Non che mi dispiaccia, ma ad ogni modo io sono un po’ più in alto.”

Questo bastò a far scattare gli occhi del dottore dalle gambe al viso della donna. Era la prima volta che la sentiva parlare.

“Se vuoi che qualcuno ti guardi in faccia, allora evita di andare in giro con quel vestito.”

“Sfortunatamente, il mio abbigliamento non è un’opzione che puoi discutere” sorrise la ragazza, dondolando leggermente il piede che non toccava il suolo. “In compenso, possiamo discutere di molte altre cose.”

“Compenso, hai detto? Beh, in tal caso il tuo abbigliamento è perfetto. E quanto prendi a notte?”

La ragazza si limitò a inclinare la testa e a sorridere di nuovo “Hai visite, Gregory.”

House si girò verso la porta, e vide Wilson venire verso di lui.

“L’offerta era per una. Ti ricordo che al mio paziente quella roba serve!”

“Non ti facevo così accanito sostenitore delle terapie alternative. Le provi le cose che prescrivi?”

Wilson scosse la testa in esasperazione, e tese la mano.

“Ah, e a proposito di esperienze, di lei che ne dici?”

Wilson lo fissò confuso “Di chi?”

“Capisco che quelle gambe possano distrarre, ma…”

House fissò la scrivania. Eccetto le sue carte e l’I-Pod, sopra non c’era nessuno.

“Era lì… appena cinque secondi prima che arrivassi tu… anzi, me lo ha fatto notare proprio lei…”

Wilson fissò l’amico con un sopracciglio alzato, e decise di andarsene. Non poteva esigere la restituzione di una canna che si era evidentemente già fumato.

House ritornò lentamente verso la scrivania e si sedette. Afferrò la sua tazza, fissandola con aria perplessa. Nel dubbio, buttò il caffè nel lavandino.

Stava iniziando a pensare che forse, nel suo stato, fumarsi quelle canne o farsi un goccio non fosse una buona idea.

Quando, una volta a casa, vide la ragazza vicino al suo pianoforte, decise che l’idea era davvero, davvero pessima. E decise anche che da quel momento in poi avrebbe ignorato la ragazza.

“Gregory, non è affatto carino quello che stai facendo.”

House continuò a ignorarla. Si mise sul divano, e iniziò a guardare una replica di General Hospital. Pur cercando di non farci caso, sentì distintamente il rumore dei tacchi a spillo muoversi sul pavimento di legno. Con la coda dell’occhio vide le mani della ragazza alla sua destra e alla sua sinistra, appoggiate allo schienale del divano.

“Non durerà” disse rivolgendosi alla coppia dello schermo “Lui è gay e lei è aliena.”

House si girò a guardarla, piuttosto seccato. La ragazza sorrise soddisfatta.

“Finalmente! La mamma non ti ha insegnato che non è carino ignorare le persone quando ti parlano?”

“Tranne quando dicono assurdità o mentono, ovvero la maggior parte delle volte. Ma non è questo il punto… tu non sei una persona. Non esisti.”

“Lo pensi davvero?” disse lei, mettendosi davanti all’uomo e nascondendo il televisore.

“Sì, davvero” disse lui, cercando di allungarsi per vedere la sua soap.

“Mi ci hai costretto tu, ricordatelo.”

“Costretto a c…?” mormorò distrattamente House, prima di spalancare gli occhi per la sorpresa.

La sua allucinazione lo stava baciando. E lo stava facendo piuttosto bene, a dirla tutta. Meglio di un’accompagnatrice, e diecimila volte meglio di Stacy, che quando lo faceva ci metteva la verve di un bradipo.

Non sapeva quando, ma le sue braccia si erano avvolte intorno alla ragazza, ora seduta sulle sue ginocchia. D’improvviso com’era iniziato, il bacio s’interruppe e lei fissò House negli occhi da molto vicino, poi chinandosi verso il suo orecchio destro.

“Ti sembro ancora un’allucinazione?” sussurrò.

House era troppo sconvolto per rispondere. La ragazza guardò la sua espressione divertita, e si alzò in piedi. Spense il televisore, e si sedette nella poltrona messa opposta al divano.

“Il mio nome è Numero Sei. Puoi chiamarmi Six.”

“Che razza di nome è Six?”

“E che razza di nome è Gregory? Ma neanche questa è una materia su cui discuteremo. Ne abbiamo molte altre, e tutte più interessanti.”

House si allungò a prendere il bicchiere e la bottiglia di whisky che stavano sul tavolino vicino al divano, e se ne versò una dose più che generosa.

“Non mi farà sparire.”

“Se devo parlare con un’allucinazione…”

“Non sono un’allucinazione” lo corresse Six.

“…o quel che è… credo che la mente non lucida sia una condizione fondamentale.”

Six lo guardò mandare giù il bicchiere colmo fino all’orlo in un colpo solo. Lo osservò strizzare gli occhi, probabilmente pregando di vedere solo una poltrona vuota quando li avrebbe riaperti. Cercò di non ridere, quando vide la sua faccia dopo aver riaperto gli occhi.

“Io ti avevo avvisato.”

House si passò una mano sulla faccia. Assurdo. Era assurdo. Cos’era, l’universo che si prendeva gioco di lui?

Fece quasi per versarsene un altro, ma Six lo interruppe, con un tono freddo che non le aveva mai sentito.

“Smettila di comportarti come un idiota” sibilò. “Io non sparirò solo perché lo vuoi tu. Sono qui per un motivo, e non me ne andrò prima di aver raggiunto il mio obiettivo.”

“E sarebbe?”

“Farti capire che stai vivendo una menzogna. Che niente di quanto vedi, o percepisci, è reale. Eccetto me.”

Al che, House le rise in faccia.

Six, riprese lo sguardo gelido di poco prima e si alzò dalla poltrona.

“Posso aiutarti e lo farò. Scegli tu come… ma ti avviso, mi stai facendo innervosire. E non è una buona cosa.”

 “Perché, sei un’allucinazione che soffre di pressione alta?”

Six strinse gli occhi e si diresse verso la porta “Non mi vuoi prendere sul serio? Benissimo. Te ne farò pentire amaramente.”

 

House passò i due giorni seguenti da solo. Sembrava che qualsiasi fenomeno avesse dato vita a Six, fosse sparito com’era iniziato. Commise l’errore di pensare che fosse finita.

Aprì la porta della sala visite Uno, e si trovò davanti Six, con un camice ospedaliero, seduta sul lettino.

“Alla buon’ora” sbottò. “Lo sa che la sto aspettando da un’ora?”

House ridacchiò “Ma guarda chi si rivede. Six. Avessi saputo che eri tu, non sarei nemmeno venuto!”

La donna lo guardò con aria perplessa “Six? Io mi chiamo Natasha!”

“Sì, certo… e di cosa avresti bisogno, Natasha?”

“Di un controllo medico per un nuovo lavoro” borbottò, contrariata dai modi scortesi del medico.

“Ovvero andrai a scocciare qualcun altro? Allora sarò felicissimo di fartelo!”

Passarono cinque minuti, dopo i quali quella donna uscì dalla sala visite e dall’ospedale.

Il mattino seguente, quando si presentò al lavoro, venne convocato d’urgenza da Cuddy. Nell’ufficio, oltre a lei, House trovò anche l’avvocato dell’ospedale.

“Io non c’ero e se c’ero dormivo” disse sedendosi.

Nessuno cambiò espressione, nemmeno Cuddy per fare una delle sue solite facce scocciate.

“Conosci una donna di nome Natasha Helfer?”

“Mai sentita prima. Abbiamo finito?”

“La signorina Helfer è venuta qui per un controllo di routine ieri. Appena uscita d qui, ha sporto denuncia contro di lei” disse l’avvocato.

“Continuo a non sapere chi sia…”

“House, quella donna ti ha accusato di molestie. Ed è stata molto precisa.”

“ E molto fantasiosa. Non so chi lei sia!”

Cuddy a quel punto tirò fuori da un fascicolo una fotografia, e la spinse sul tavolo verso di House.

“Questa è Natasha Helfer.”

House si trovò a fissare il volto angelico di Six.

“Me la ricordo, ora” sussurrò. “Ma non è successo niente. Cinque minuti ed ero fuori. Questa è pazza!”

“È la tua linea difensiva? ‘Questa è pazza?’” domandò Cuddy.

“Dottor House, per una volta, prenda la cosa sul serio. Questa denuncia può finire in tribunale.”

“Io non ho fatto niente!”

“Lo so! Puoi averla maltrattata e lei ha deciso di vendicarsi, ma va dimostrato. E al momento, c’è solo la tua parola contro la sua. E una diffida ad avvicinarla.”

“Di norma è lei che viene da me, però…” borbottò sottovoce.

Dopo aver appurato che Cuddy gli credeva e forse anche il suo cane da guardia di Yale, House se ne tornò al suo ufficio. Ma essendo il Princeton Plainsboro Teaching Hospital il covo di portinaie che era, per tutta la strada su accompagnato da un seguito di bisbigli e occhiate.

Beh, forse la voce non era ancora giunta al suo ufficio.

Sbagliava. Di nuovo.

Subito Cameron gli fu vicino, chiedendogli come si sentiva con aria apprensiva. Foreman lo guardava con aria di disapprovazione scuotendo la testa e Chase faceva semplicemente atto di presenza. Schivò Cameron che cercava di mettergli una mano sulla spalla e fulminò con lo sguardo Foreman, che come sempre era pronto a pensar male. Prese la sua palla da baseball gigante , e dopo un paio di lanci contro la parete la lanciò contro la testa di Chase, per vedere se era con loro.

“Ahia!”

Bene, era con loro.

“Non vi devo spiegazioni, ma ovviamente le voci sono false. Ovviamente.”

“Ma certo che sono false!” disse Cameron. “Non è la prima volta che una paziente si inventa certe accuse!”

“Però uno si domanda… Cristo, ma quanto male l’hai trattata per farla reagire così?”

“Ad averlo saputo, avrei fatto di peggio. Ma credevo che fosse…”

“Che fosse… cosa?” fece Cameron.

“Niente” minimizzò House. Spiegare che l’aveva trattata male perché pensava che fosse l’allucinazione che gli dava il tormento suonava nell’ordine stupido, incredibile e completamente folle perfino a lui. No, allucinazione no, pensò sarcasticamente, a Six non piace quando le do dell’allucinazione…

 

Ah, ma se credeva che sarebbe riuscita a fregarlo, quella biondina aveva proprio capito male.

E si riferiva sia a Six che Natasha.

 

***

 

Avrebbe ripensato alla sua dichiarazione d’intenti riguardo Six e la signorina Helfer. Oh, se l’avrebbe fatto.

Solo che al momento, quando uscì dall’ospedale e la vide lì, vestita in bianco angelico, che parlava con quello che sicuramente era il suo avvocato, semplicemente gli andò il sangue alla testa. Appena fu sola, andò da lei il più velocemente possibile (e ogni passo sempre più felice di aver avuto l’idea della ketamina), deciso a chiudere la faccenda.

“Ti hanno già dato l’Oscar?”

Natasha incrociò le braccia e lo guardò con aria truce “C’è una diffida emessa a suo nome, dottor House. Posso farla finire in galera.”

“Mettiti in fila, bellezza. E soprattutto, inizia a dire la verità.”

“O cosa? Lei ha una reputazione, dottor House… reputazione che non depone a suo favore, ma che di sicuro depone al mio.”

House l’afferrò per un braccio “Non provocarmi, non ti conviene.”

Poi sentì gridare verso di lui “Lasci immediatamente la mia cliente! Ho già chiamato la polizia… ha commesso un errore stupido, dottor House.”

Natasha si liberò dalla stretta del medico, fingendo che tale stretta fosse dolorosa, e interpretò di nuovo la vittima, cosa che le riusciva particolarmente. Quando gli agenti arrivarono, qualche minuto più tardi, non ascoltarono nemmeno quello che House aveva da dire. Lo ammanettarono, lo infilarono in macchina, e House per tutto il tempo continuò a urlare che non centrava, che avrebbero dovuto arrestare quella maledetta bugiarda che al momento stava singhiozzando sulla spalla del suo avvocato… alzando la testa giusto un secondo, per lanciargli un sorrisetto cattivo, e poi ricominciando.

Seduto in una cella, ancora incredulo che fosse realmente capitato a lui, House ripensò al momento in cui si era ripromesso che non si sarebbe fatto fregare.

Scosse la testa, e si diede dell’idiota integrale per essere caduto come una pera nella trappola lampante che Natasha gli aveva teso.

“Ti avevo detto di non farmi innervosire, Gregory.”

House alzò di scatto la testa. Davanti a lui, dall’altro lato delle sbarre, c’era Six.

“Non parlo se in presenza del mio avvocato.”

“Sarebbe saggio. Ma non sono Natasha.”

“Ah no?”

“Dillo.”

“Dire cosa?”

“Tu sai cosa.”

House si alzò dalla panca, e zoppicò fino a quando non fu esattamente davanti a Six.

“Dovrai fare di meglio.”

Six sorrise, poi con un gesto fulmineo fece scattare la sua mano attraverso le sbarre fino ad afferrare il suo collo, e la ritirò fino a far cozzare la testa dell’uomo contro il metallo.

“Vuoi che trovino prove? Posso farlo” gli sussurrò gelida. “Posso farti finire in galera. Posso renderti la vita un inferno. E lo farò, solo perché posso farlo. Dillo!”

Six strinse la mano, e House iniziò a trovare difficile respirare.

“Dillo!”

“Io…” boccheggiò “Io… sbagliavo… T-Tu sei… sei reale.”

Six lasciò andare di scatto la presa e si allontanò di qualche passo, soddisfatta. House si portò una mano alla gola, massaggiando la parte dove Six l’aveva afferrato, e la fissò quasi con odio. Dal minuto secondo in cui quella ‘donna’ era entrata nella sua vita, tutto aveva iniziato ad andare a rotoli…  

In quel momento si sentì una serratura scattare, e due agenti fecero la sua comparsa. Nessuno notò Six, che si era appoggiata alla parete, segno che era visibile solo a lui.

“Le accuse sono cadute, dottor House. Una cosa da non credere… la donna che l’accusava è saltata fuori essere una paziente scappata da un ospedale psichiatrico nello stato di New York. L’hanno rintracciata appena visti i movimenti sul conto corrente… dio benedica l’avidità degli avvocati.”

“Visto?” trillò Six. “Tutto a posto. Sei libero!”

“Sono libero?” ripeté House, ma rivolto agli agenti.

“Ma certo, dottore. È libero di andare. Ha bisogno di qualcuno che la riporti a casa?”

“No… “ rispose House, declinando l’offerta. Riavuto il cellulare, chiamò Wilson, e mentre l’amico sparava domande a mitraglia (e dopo aver saputo il fato della sua moto) House staccò l’audio e si addormentò.

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Jade MacGrath