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Autore: Electra_Gaunt    28/01/2012    1 recensioni
Le Armate Nere avanzano, fiere ed inarrestabili, sul suolo straniero. I feudatari, accortisi del pericolo, assoldano Breserter, comandante della truppa mercenaria più potente tra tutte, per arrestare l’offensiva barbara. Peccato che non tutto si limiti ad una battaglia, Syria lo sa bene. I sentimenti non si posso sedare come una rivolta popolare. L’amore, il dolore e la nostalgia possono distruggere una vita.
E Dio non è clemente con i traditori.
"Muove passi incerti, impauriti, verso una meta che non riconosce come propria. Tenta di rimanere lucida, cosciente sino alla fine eppure le sembra di camminare nella nebbia: se si volta indietro non intravede le forme sicure del passato, se guarda avanti rischia di cadere nell’eccessiva esitazione. "
SECONDA CLASSIFICATA AL [Mini Original 3] - Il Medioevo e...l'Albero INDETTO DA Eylis
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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• Nick dell’autore: Electra_Gaunt
• Titolo: Travelling Warriors 
• Tipologia: one-shot
• Lunghezza (numero delle parole): Circa 2.265
• Genere: romantico, drammatico, guerra
• Avvertimenti: nessuno
• Rating: giallo
• Credits: Citazione iniziale di Paulo Coelho; Citazione finale Genesi della Bibbia.
Note dell'autore: E’ alquanto ermetica in alcuni punti, me ne rendo conto.
(*): Barbaro è la parola onomatopeica con cui gli antichi greci indicavano gli stranieri (letteralmente i "balbuzienti"), cioè coloro che non parlavano greco, e quindi non condividevano la cultura greca.

Spero sia una buona lettura.  

_Electra_
 

Travelling Warriors

                                                                                                                   


Per il guerriero della luce non esiste amore impossibile.
Egli non si lascia intimidire dal silenzio, dall’indifferenza o dal rifiuto.
Sa che, dietro la maschera di ghiaccio che usano gli uomini, c’è un cuore di fuoco.
Perciò il guerriero della luce, rischia più di altri.
- Paulo Coelho

 
 
Il nefasto giorno giunge al termine, tra i sussurri degli uomini e le urla disperate delle donne che attendono piangenti tra le mura del castello.
Il popolo intero era stato costretto a rifugiarvisi, dopo l’attacco delle Armate Nere. Syria, indiscreta e attenta nel suo origliare la servitù, aveva sentito dire che i Cavalieri Oscuri (così li chiamavano i marinai, giù al borgo) avevano già spodestato il Signore delle terre vicine: il rinominato feudatario Aerés si era visto esiliato dai suoi stessi possedimenti, alla stregua di un traditore. Syria incominciò ad aver paura solo quando notò che, a ogni nuova alba, i nemici si facevano sempre più vicini alle mura. Di notte, al calar del sole, li osservava (dalle balconate delle sue stanze) ritirarsi negli accampamenti posti lontano dal ponte levatoio. Benché suo padre Breserter, comandante di truppe mercenarie assoldate poco prima dell’inizio della faida, avesse tentato di tranquillizzarla, Syria non era riuscita ad allontanare quell’infausta sensazione dal petto. La ragione, ormai, non esercitava più alcuna influenza sulle azioni.
Ora si pente di non essere stata, a tempo debito, abbastanza forte da razionalizzare gli eventi. Guarda le madri stringere i figli e pregare il buon Dio di riportare a casa i mariti, partiti volontari per difendere l’onore e stroncare l’avanzata barbara *.
La coscienza non potrebbe pesarle di più.
 
Il sole cala, si nasconde tra le nuvole per poi sparire all’orizzonte. I corvi volano, si avvicinano al sangue sparso sul campo di battaglia, gracchiando una litania funerea che non vorrebbe ascoltare.
Si sporge dal balcone (il mantello ben sistemato sulle spalle, il capo coperto e in ombra) ad osservare il panorama notturno, quasi esso celi al suo interno una verità superiore. Dopo il rumore della mattina, adesso regna il silenzio. Il riverbero degli abeti sul terreno crea ombre contorte dalle forme astratte: la luce non è ancora scomparsa del tutto ma le tenebre avanzano, portando quella distruzione che Syria non potrà fermare. La mente rievoca lo scintillare delle spade e l’abbagliante bellezza delle armature nere dei nemici.
Sul suolo conteso, dove temporaneamente non si svolge alcuna battaglia, i caduti riposano in pace (tanti corpi che, all’alba, saranno accantonati per far posto a nuovi martiri).
Non vi è confronto tra le due fazioni, anche Breserter lo sa (ella riconosce sul viso di suo padre le tracce di una sconfitta non ancora avvenuta). Syria stima le vittime, le battaglie perse e quelle vinte, cercandovi una soluzione. Ma la fine è vicina, non può negarlo.
Stringe i pugni, serra la mascella. Gli occhi grigi squarciano la notte appena giunta. Scuote la testa leggermente, cercando di allontanare quei pensieri funesti.
Evita di guardare in basso, verso l’ingiusta Morte, e ritorna nelle proprie camere. Il cielo, intanto, attende in bilico tra la luce e le tenebre.
 
Uscendo dalla camera nella quale è stata segregata per settimane, si ferma un attimo ad ascoltare il nulla. Il silenzio rimbomba tra le mura dei corridoi in pietra massiccia, fredda come il ghiaccio. Muove i primi passi verso una meta precisa ed elude le guardie che pattugliano l’ala nord dell’enorme castello. In un attimo si ritrova nella zona della servitù dove, lei lo sa bene, vi è l’unica uscita ancora non posta sotto sorveglianza.
Cerca di mantenere la quiete che avvolge quel luogo, senza romperla col rumore dei propri passi. Se qualcuno la vedesse uscire dalle mura, potrebbe pensare male. Non si può permettere di sbagliare, non ora.
Incamminandosi celermente per il porticato, sospeso nel vuoto da alti pilastri in pietra grezza, lascia vagare gli occhi verso l’orizzonte: la nebbia si addensa sulla sagoma del castello, ora così lontano da apparirle un puntino infinitamente piccolo. Indifeso.
Prima di quanto crede si ritrova avvolta dal florido bosco, dai suoi odori muschiati e delicati. Posa la mano sulla spada, agganciata alla cinta di cuoio, in un gesto automatico: essere iniziata all’arte della guerra sin da quando si ha pochi anni porta pregi ma anche difetti.
Con passo deciso, calibrato ed elegante, percorre un sentiero non ancora battuto da nessun viaggiatore.
<< Avrò meno possibilità di essere catturata >> Pensa.
 
Il fiume è vicino ad un albero di melo, dalle fronde secche e dai frutti marci. Col passare delle stagioni, il fusto era divenuto più fragile e poco resistente. Lo ricordava bellissimo, imponente, dalle radici possenti sulle quali soleva addormentarsi, cullata da un sottofondo naturale. Era rimasto ben poco di quella visione celestiale: la magia era andata disperdendosi, diradandosi quasi, sostituita da una dolorosa apatia.
Le memorie passate si sostituiscono a quelle presenti per un attimo infinito ma i tuoni la ridestano dall’illusione.
“Siete venuta, quindi.”
La voce profonda e roca la fa voltare verso un interlocutore rimasto celato dall’oscurità della notte, sino a quel momento. Syria arrossisce un poco, cercando di contenere il tremito improvviso delle membra.
Il cuore sussulta, tra la gola e lo stomaco.
“Sembrate sorpreso eppure siete stato voi ad invitarmi.”
“Mi ero corretto, subito dopo. Vi avevo implorato di non farlo.”
“Non eseguo gli ordini di nessuno, tantomeno i Vostri, messere.”
Egli ride. Lei freme, nuovamente.
“Con quale coraggio osate rivolgervi a me con tale sfacciataggine, eh?”
“Non ho paura di Voi, lo ripeto.”
“Lo so.”
Syria si allontana all’avanzare del ragazzo, rivelando il leggero timore che ha tentato ostinatamente di negare.
Gli occhi si sgranano contro il suo volere quando intercettano il petto nudo e muscoloso del moro, avvolto da bende macchiate di rosso e ferite scoperte non del tutto rimarginate.
“Cosa vi è successo, Sir?”
“Niente di cui vi dovete preoccupare. Pensate a tornare nei vostri alloggi: come vi ho già ripetuto più volte, farete una brutta fine se continuerete a venire qua.” Dice, proseguendo con tono più duro “Voi e la casata che proteggete, siete nemici. Miei nemici.”
Syria vede l’apprensione correre sul volto del giovane cavaliere.
La verità, nel mentre, si radica maggiormente nel terreno. Forse era quello il motivo che aveva indotto il melo ad appassire. Le parole intrise di veleno avevano danneggiato i suoi rami, durante tutti quegli anni fatti di menzogne. E Syria aveva appena colto un suo frutto.
“Non vi libererete di me, Sir Thomas. Le Armate Nere non hanno alcuna importanza, in tale frangente. Continuate a ripetere cose cui io non presterò mai attenzione. Desistete, dunque.”
Thomas scruta il bel viso dell’amata, imprimendosi nella memoria ogni piccolo dettaglio.
Presto, ne avrà bisogno.
“La sicurezza di una Lady come vossignoria è di gran lunga più importante di questa guerra.”
“Allora pensate a me, non ai soldati.”
Syria era diventata schietta col tempo. Da bambina non era affatto così diretta, anzi si nascondeva dietro le ampie gonne della madre in cerca di protezione. Alla morte di costei, la giovane si era perduta definitivamente negli allenamenti con la spada. Aveva smarrito se stessa, il suo carattere, colma d’ideali che stentava a rammentare. L’ombra del Padre sulla spalla.
“Penso sempre a Voi, dovreste saperlo.”
Quelle parole le bloccano il respiro in gola. Un gelido sudore le bagna le mani ancora tremanti. Gli occhi si sgranano ancora un poco mentre la ragione fatica ad interpretare le parole, i secondi.
“Dite così ma non lo pensate veramente. Nei vostri occhi non c’è posto per il sentimento.”
“C’è posto per Voi e Voi soltanto, Syria.”
Il suo nome pronunciato da quelle labbra aveva un’altra cadenza, una differente sfumatura (di lussuria, forse, d’Amore).
Eppure il cuore si stringe.
Thomas le sfiora le labbra rosse con le dita della mano destra. Le osserva bene, ne delinea i contorni per poi baciarle. Si sofferma qualche attimo, scostandosi poco dopo.
Syria abbassa lo sguardo. Vorrebbe essere abbastanza forte da lasciare la presa, liberarlo dalla sua presenza, eppure rimane immobile (le mani a stringere la cintola dei suoi pantaloni, dove tiene la spada).
La parola “sbagliato” aleggia nell’aria attorno a loro.
La luce del sole li investe, illuminandoli. Dietro ai loro corpi, le poche foglie rimaste attaccate tenacemente ai rami del melo risplendono di rugiada.
Il freddo le penetra l’anima.
“Il tempo scorre velocemente quando sono in Vostra compagnia. Vorrei non fosse così.”
“Neppure io.”
Le urla dei soldati la fanno ritornare alla crudele realtà.
Il mattino è sorto, probabilmente per l’ultima volta.
“Andate e non fate più ritorno, Syria. La prossima volta non sarò solo, qui. La battaglia è giunta al termine, Milady.”
 
 
Syria trema nel buio. Il fuoco spento si perde in sbuffi di fumo inafferrabili, lasciando la stanza nel freddo totalizzante. Non ha la forza di alzarsi per ravvivarlo. Sente la volontà abbandonarla, minuto dopo minuto.
Il corpo scosso dai tremiti giace nell’angolo più remoto della camera, scompostamente afflosciato sul pavimento gelido. Le gambe sono strette al petto, vicino al cuore, mentre le braccia sorreggono il capo della giovane. Le lacrime scendono veloci, percorrendo vie astratte che portano al collo diafano. Le mani tappano le orecchie. Le palpebre serrate.
Non vuole sentire, non vuole vedere. La mente è altrove, avvolta da immagini illusorie di un’esistenza felice che non le appartiene né mai potrà avere.
È notte ma la battaglia si scatena in tutta la sua potenza, fuori dalle rassicuranti mura del castello. Le urla e lo stridere delle armi le mettono i brividi, benché stia tentando di non prestarvi attenzione.
È la fine, lo sente.
È giunto il momento.
La realtà è alle porte, troppo vicina per poterla fermare. Forte e sconvolgente come non l’ha mai vista. Tutto torna lì, inizia e finisce nella verità.
Perché si è innamorata del nemico e sa perfettamente che Dio non avrà pietà di lei. Il volto di Thomas le si para davanti, come la più fulgida ed abbagliante tra le visioni. Gli occhi di lui le penetrano l’anima, facendola sospirare di nostalgia, mentre gli attimi trascorsi insieme perdono d’intensità: sono così lontani, così distanti e sfocati. Così brevi. Non può fare a meno di ripercorrerli in continuazione.
Il cuore di Syria muore a poco a poco ed il sangue si cristallizza nelle vene. Il vento leggero che entra dal balcone non la scalfisce.
Il dolore è una cosa sconvolgente.
Ma ora lei non sente niente.
Non sente più niente.
 
 
La vittoria ha un sapore amaro. Le impasta la lingua, il palato, la mandibola, le mani. Il conato di vomito che le parte dallo stomaco risale fino alle labbra scarlatte.
L’alba è sorta ma, fortunatamente, è velata da una fitta coltre di nubi nerastre.
Il campo di battaglia è colmo di corpi abbandonati, sangue e bandiere squarciate. Lo sguardo vaga alla ricerca di superstiti senza riuscire nell’intento. Il cuore sussulta e ricade nell’oblio di tenebre. Muove passi incerti, impauriti, verso una meta che non riconosce come propria. Tenta di rimanere lucida, cosciente sino alla fine eppure le sembra di camminare nella nebbia: se si volta indietro non intravede le forme sicure del passato, se guarda avanti rischia di cadere nell’eccessiva esitazione.
Non ci sono luci, non c’è equilibrio, non c’è vita come non esiste morte. Lì governano unicamente la disperazione e la nostalgia.
Non può evitare di ascoltare gli archi, i violoncelli e il clavicembalo in una delle migliori composizioni suonate dal vento. Un requiem freddo e violento, scostante ed alienante.
Rievoca memorie remote, distruggendo il silenzio.
Il caos che le balla attorno è pieno di un’allegria frenetica, destinata a scemare nell’illusione per poi ricadere definitivamente nel terrore della perdita. Nel terrore della morte.
Non dovrebbe percorrere quelle deserte vallate, non da sola. La fragilità dell’anima si tocca con mano, annullando il resto. Il rischio aumenta quando varca i cancelli dei boschi che contornano il castello con rinnovata illusione.
La scarsa luminescenza derivante dalle nuvole non penetra la cappa di arbusti che la sovrasta. Lì, in quell’anfratto di mondo, la notte non muore mai.
Il giorno non nasce, il tempo non muta, il fato non esiste.
Le sembra impossibile che in un luogo come quello vi sia unicamente silenzio (neppure i suoi passi echeggiano tra gli abeti alti e spinosi). Più procede verso il centro, proprio dentro al cuore della verdeggiante foresta, più i sensi perdono di intensità.
Come fosse fuoco, le lingue di quell’oscurità iridescente incominciano ad avvolgerla tra le sue spire, trascinandola verso la perdizione.
Ben presto giunge al fiume, dove l’acqua scorre placida e rossa: può sentirla allargarsi verso i margini erbosi che formano le sponde del piccolo torrente, insinuarsi nel terreno e raggiungere le radici dell’albero di melo.
Sembra essersi rinvigorito, rafforzato. Il sangue macchia i fiori, le edere e gli arbusti circostanti.
 L’unica cosa che può fare è sedersi in mezzo allo scempio e pregare Dio di lasciarla andare: il dolore è troppo da sopportare, benché giusto.
 
Thomas è morto, lo sente.
Da guerriero.
Da eroe.
Ma è caduto, lasciandola sola ed in balia di un futuro che non vuole affrontare.
L’odore del cavaliere è ancora nell’aria (assomiglia così tanto al sangue che, adesso, le sporca la veste bianca).
Si sdraia sulle radici possenti dell’albero, afferrando una mela rossa e gustandone l’aroma sulle labbra: ferroso e stucchevole, confortante (proprio come l’immagine di lui).
Sorride tra le lacrime.
 
No.
Non avrebbe dovuto cogliere quel temibile frutto.
Il frutto del peccato strappato da un albero indegno e privo di foglie.
Marcio dentro, sino alle radici.
Solo.

 
 

Genesi 2:16-17
Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».

 
Fine
 


 
  
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