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Autore: misslittlesun95    28/01/2012    2 recensioni
Breve, e neanche troppo bella, shot sugli Alele (cosa strana da parte mia xD).
Si riparte dal finale di distretto 8.
Dal testo: "- Noi soffriamo perché fingiamo di essere gamberi, Elena. Andiamo avanti guardando indietro.
Ma siamo uomini, non gamberi, e in questo modo prima o poi rischiamo di cadere in una buca troppo profonda per noi. - "
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premetto che non mi piace la coppia (ma si sapeva xD) nè tanto meno come ho scritto la storia, anche perché come al solito l'ho fatta rapida (-.-)
Spero però che a voi non dispiaccia ^^
Recensite per farmi sapere che ve ne pare :)
Un bacio a tutti!


Quel ramo del lago di Martignano che a mezzogiorno fa amare i due.

Il sole si era svegliato felice quella mattina, e a Roma lo avevano visto tutti.
Elena Argenti era stata ancora più fortunata, perché lo aveva visto sorgere mentre come al suo solito correva lungo il perimetro interno del parco degli Acquedotti.
Le belle giornate la mettevano di buon umore, anche se spesso il dolore che da alcune settimane a quella parte provava era più forte di tutto.
In pochi mesi aveva visto cadere tutte le sue certezze, e si era trovata a vivere da sola ma a convivere con un male enorme. Un male che non era fisico, non era una malattia, ma era morale e per questo anche più distruttivo.
In pochi mesi la sua migliore amica e suo fratello erano morti.
A morire era poi stato anche Valerio Flaviano, il loro assassino, ma Elena sapeva bene che la morte di un assassino non è altro che una rapida vendetta, perché poi chi è morto rimane tale.
Valerio era morto sul lago di Martignano, un luogo che prima di allora le portava alla mente ricordi diversi. Spesso tristi, ma diversi.
Forse per masochismo, forse perché era il suo giorno libero, quella mattina Elena decise di andare proprio a quel lago.
Era un paio di giorni che ci pensava, che era attratta dall'idea di far finire finalmente una volta per tutte quella storia e quello le pareva il modo migliore.

Dopo tutto arrivata a quel punto i conti doveva farli solo con se stessa.
Mentre andava non pensava, preferiva aspettare di arrivare prima di cominciare a farsi invadere dalla profonda tristezza che sapeva avrebbe rincontrato quella mattina.

Come sapeva di dover fare aveva lasciato la macchina appena finita la strada asfaltata e si era messa a scendere verso il lago a piedi.
Si ricordava bene quando ci era stata con suo fratello, parecchi anni prima, quando i genitori erano morti. Era stato lì che aveva giurato di proteggerlo, e poi anni dopo, quando appunto era morto Flaviano, era stato lì che aveva rischiato di pagare anche lei per i suoi errori.
Eppure non si sentiva turbata, non come aveva immaginato di essere.
Quando cominciò a intravedere l'acqua calma del lago una lacrima le scese sulla guancia, ma fingendosi al suo solito oltremodo forte, Elena l'asciugò e ricacciò in dentro quelle che volevano seguirla.
Lentamente si avvicinò alla riva e si sedette per terra, sull'erba. Il suo solito cappotto marrone lungo le faceva da coperta, in modo che non si sporcasse i pantaloni.
Aveva indossato un paio di jeans che non era solita mettere per andare a lavorare, e sopra una maglietta e un maglioncino, così, giusto per staccarsi dai suoi soliti indumenti e dalla sua solita vita.

Anche le scarpe, ci avrebbe scommesso, nessuno gliele aveva mai viste al Decimo.
I capelli erano come al solito sciolti e corti, sempre ben curati e invidiabili.
Non si era truccata, non aveva pensato a farsi bella, aveva preso il cellulare solo perché con il suo lavoro non si sapeva mai.

Voleva stare con se stessa, se stessa e basta.
Ma qualcuno, quella mattina piena di sole, aveva avuto la sua stessa idea.
- Di solito sono i criminali a tornare sul luogo del delitto, non ci insegna questo il nostro lavoro? - Elena si voltò, a pochi metri da lei c'era Alessandro Berti.
- Ale... e tu cosa ci fai qua? - Berti tacque e si avvicinò a lei per sedersi al suo fianco. Poi le rispose.
- Io qua ho ucciso, sono un criminale. -
- Credevo non la pensassi così... voglio dire... era un pluriomicida... e aveva ucciso Irene. -
- Anche io la pensavo come te, come dici tu. Pensavo che sarei stato meglio, che ucciderlo fosse una cosa corretta. Ma poi... poi mi sono trovato a fare i conti con la mia coscienza, e con il fatto che Irene non sarebbe tornata. - Elena prese la mano di Alessandro e cominciò ad accarezzarla.

- In un modo o nell'altro doveva pagare, solo che alla fine hai scelto quello per lui migliore. Dopo tutto siamo noi che restiamo a soffrire. - Gli disse abbassando lo sguardo.
- Noi soffriamo perché fingiamo di essere gamberi, Elena. Andiamo avanti guardando indietro.
Ma siamo uomini, non gamberi, e in questo modo prima o poi rischiamo di cadere in una buca troppo profonda per noi. -
- Andare avanti è complicato, lo sai quanto me. Ma dimmi, tutte queste cose le hai imparate in America? -
Alessandro fece segno di no con la testa. - Io non ci sono mai andato in America, Elena. - La Argenti lo guardò stranita. - Che stai dicendo, scusa? Ti hanno anche accompagnato all'aeroporto...-
- Si, quello è vero, mi hanno lasciato al check up. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare, ma mentre stavo aspettando di sentir chiamare il mio volo ho visto una ragazza identica a Irene. Non ce l'ho fatta. Sapevo che l'avrei seguita, che ci avrei provato ma che poi avrei sofferto ancor di più nel vedere che quella donna somigliava a Irene, ma non era lei. Sono tornato indietro e sono andato a vivere da una mia zia ad Albano, e oggi sono venuto qui. -
- Certo che devi aver avuto un bel coraggio, Ale. - Rispose Elena a quelle sue parole. - Mollare tutto per la paura di inseguire qualcosa di impossibile, io non so se ce l'avrei fatta. Anzi, probabilmente sarei salita su quell'aereo. Non posso farci nulla, sono masochista. -
- No, tu sguazzi bene nel dolore, è diverso. -

- Posso sguazzarci bene quanto vuoi, ma è un'acqua che uccide. - Rispose giocando con la catenina appartenuta al fratello. Era un modo per averlo vicino. In più quella collana le aveva salvato già una volta la vita, come se anche una volta morto Marco volesse il meglio per lei.
Alessandro la guardò. Era dimagrita, e si vedeva bene sul suo fisico già snello.
- Elena, sei... sei così magra... stai bene? - Tutto insieme si era spaventato, tutto insieme.
- No, Ale. O meglio, fisicamente si, sto benone, è moralmente che non sto bene. Mangio pochissimo, e ogni volta mi sento male. Non esco, non giro, passo da casa al decimo e dal decimo al cimitero. Non è un periodo facile. - Senza neanche farlo apposta la donna si buttò verso di lui che già stava per stringerla a se.
- No, non lo è e ti capisco. So cosa stai passando, ma devi reagire Elena.-
- Sai, è difficile. È difficile perché continuo a... non lo so, darmi la colpa forse. E poi mi sento terribilmente sola in questo periodo. Casa mia è troppo grande per un'unica persona, ma ci sono troppo legata per lasciarla. - Elena, finalmente, stava facendo uscire tutto ciò che aveva dentro, tutto il dolore che per troppo aveva racchiuso dentro se.
L'orologio di Ale segnava il mezzogiorno, un flebile rumore metallico lo annunciò ad entrambi.
La donna si appoggiò a lui ancora di più, mentre le lacrime ormai avevano preso pieno possesso del suo volto. Alessandro la strinse più forte, come al funerale di Marco, quando le aveva detto che suo fratello non era un assassino.
- Piangi Elena, piangi. Fa venire fuori quello che hai dentro, perché è l'unica maniera per stare meglio. -
- Sono rimpianti, rimorsi, frasi non dette, discussioni mai finite. È che credevo di avere tempo capisci, credevo che... non lo so... - Elena singhiozzò.
- Non scegliamo quanto tempo avere, scegliamo come usarlo però. E tu ora devi impegnarti e usarlo al meglio. - Alessandro mollò un poco la presa. Stava dicendo all'amica ciò che doveva dire a se stesso, ma sapeva quanto darsi consigli da soli fosse complicato.
Elena si liberò del tutto delle mani di Alessandro e gli sfiorò la guancia, come una sera di tempo prima, quando aveva bevuto e fatto a botte e si era precipitato da lei, perché sapeva di trovare un posto dove tornare.
E anche quella mattina, andando al lago, aveva sentito di star andando verso un posto speciale. Triste, disastroso, distruttivo, ma in qualche modo speciale.

Perché, Alessandro lo sapeva, sono le persone e non i luoghi ad essere speciali.
E in quel momento la persona più speciale che aveva da quando la sua Irene se ne era andata stava poggiando dolcemente le labbra sulle sue.

 

   
 
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