Il suo corpo stanco e ammaccato affondava pigramente nel sedile la cui imbottitura aveva di certo visto giorni migliori. Erano tutti vivi, avevano recuperato l’Innocence, stavano tornando a casa. Solo un po’ di tempo prima Lavi sarebbe stato euforico. Si sarebbe messo a chiacchierare fino ad andare avanti tutta la notte. Solo un po’ di tempo prima (ma quanto?) avrebbero riso e fatto battute di dubbio gusto e si sarebbero sentiti degli eroi. Perché non era più così? Perché nella sua testa le vittorie e le sconfitte si fondevano in un’unica sensazione di disgusto? Era questo che faceva la guerra? Era per questo che i vecchi generali avevano sempre quell’aria così tetra?
Kanda si agitò all’ennesimo scossone e si rigirò un poco. Lavi aveva una voglia matta di passargli le dita fra i capelli scomposti, o di toccargli la fronte per sentire se aveva la febbre, o di mettergli una mano sul petto per sentire se il battito era regolare… Non fece niente. Si limitò a starsene fermo, i pugni stretti sui fianchi, a guardare il buio di fuori.
Fu solo verso il mattino, quando dai finestrini cominciarono ad entrare dei lampi di luce dell’alba, che un Kanda piuttosto dolorante, ma sveglio, si accorse di aver passato la notte usando come cuscino il giovane Bookman che ora dormiva scomposto, appoggiato all’angolo del vagone, con la chioma rossiccia più arruffata del solito e un lieve sorriso sulle labbra. Sul sedile di fronte anche Lenalee e la mammoletta si stavano stiracchiando.
- Dove siamo? – mormorò un assonnatissimo Allen.
Kanda non rispose. Era impegnato a mettere addosso a Lavi la propria giacca a mo’ di coperta perché non gli desse fastidio il freddo del mattino. Fu Lenalee a guardare fuori e a dire al suo posto.
- Siamo a casa… quasi.
Generale, queste cinque stelle
queste cinque lacrime sulla mia pelle
che senso hanno dentro al rumore di questo treno
che è mezzo vuoto e mezzo pieno
e va veloce verso il ritorno,
fra due minuti è quasi giorno, è quasi casa,
è quasi amore.
FRANCESCO DE GREGORI - GENERALE