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Autore: LonelyBoy    30/01/2012    4 recensioni
«Ha provato a rendere felici gli altri, adesso cerca solo di fare lo stesso per sé. Ne ha tutte le ragioni.»
Storia a capitoli di cui Dan è il fulcro, ambientata nell'"improbabile" seguito del matrimonio reale e frutto della mia innocua fantasia.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dan Humphrey, Quasi tutti | Coppie: Dan Humphrey/Serena Van Der Woodsen
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo | Contesto: Quinta stagione
Capitoli:
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The rebellious curl and a plaid shirt: a real prince charming.


Capitolo I

Quella mattina la grande mela si rilevò inaspettatamente tetra. Nel freddo autunno che la investiva i meteorologi avevano già previsto la venuta di una fitta pioggia mattiniera che, tuttavia, si rivelò più insistente e duratura del previsto. Le grandi nubi presero ad addensarsi e a manifestarsi in una forma più cospicua di quanto già non fossero, rivelando alla singolare popolazione newyorkese il bisogno quasi primario di scorgere della luce.
Due, tre, quattro lunghi passi per slanciarsi e balzare oltre la sudicia pozzanghera, nella cui oscurità si rifletteva il grigio palazzo di cemento e mattoni che la sovrastava. Compiuto il gesto di straordinaria abilità atletica, acquisita con i costanti allenamenti al fianco del più esperto Nathaniel Archibald, il quasi ventitreenne Daniel tornò nella sua posizione di quiete, almeno fino a quando sbucò, dall’angolo adiacente al marciapiede, l’auto gialla e sfrenata del classico tassista newyorkese - pronto a sfruttare ogni singolo istante dei momenti di pacatezza della metropoli - che gli scaraventò un’ondata di miscuglio fangoso in pieno petto. L’auto sferragliò a velocità siderale, vomitando dall’arrugginita marmitta nuvole di fumi tossici che finirono poi inalati accidentalmente dallo stesso Dan, in un miscuglio ineffabile con l’incolore aria fredda dell’inverno. In quel preciso momento, dunque, il quadro della nuova vita del ragazzo era completo. Il caban di Burberry regalatogli da Lily con straordinario affetto materno, i guanti in pelle scelti meticolosamente dal padre perché non gli si arrossassero le mani al freddo, il ciuffo riccio e prepotentemente scomposto che gli conferiva l’aria di uno che al mondo poteva ancora dar molto, ma che in quella circostanza non contava più nulla; tutto quanto macchiato della melma e della poltiglia balzatagli dall’asfalto della terra ma condensatasi oltre i limiti del cielo, in quello strato di nubi invisibile all’occhio umano e pronto a generare una nuova travolgente ondata della sua follia.
A Dan servirono non meno di due minuti prima di raggiungere l’Harry Bolands Pub di Brooklyn. La pioggia si riversava irruente sulla vetrata della vetusta porta lignea che il ragazzo si affrettò ad aprire; all’interno di quello che a confronto dei punti ristoro dell’Upper East e West Side sembrava un buco nel muro, la luce esterna pareva assumere i motivi di qualcosa di completamente ostile, dalla quale era necessario mantenere le giuste distanze. Dan gettò lo sguardo oltre il bancone, il barista era intento a guardare una partita di baseball, comodamente stravaccato su una seggiola oltre una lunga serie di mensole colme di alcolici; c’erano anche due individui, dalle cui caratteristiche fisiche si deduceva potessero essere operai, braccianti, salariati della peggior specie, intenti a buttar giù - con una facilità disarmante – bicchieri su bicchieri di scotch. Infine Dan l’aveva notato; c’era un posto a sedere, oltre l’unico lume poggiante sul robusto bancone, aventi le caratteristiche che più rispecchiavano le sue esigenze del momento. Lo raggiunse e si sedette, scomparve così nelle tenebre confortanti di quel momentaneo e silenzioso paradiso che tanto vanamente aveva cercato in precedenza. Da lì poteva guardare tutti, ma nessuno poteva guardare lui. Dunque sospirò, chiudendo gli occhi e facendo scivolare le braccia sul ruvido tavolo rotondo che aveva di fronte. Ordinò una Flying Horn Dog, la classica birra americana che di straordinario ha solo la gradazione alcolica, ma che nella sostanza rende di “vino d’orzo dal gusto di malto”.
«“Vino d’orzo dal gusto di malto”, si, è così che c’è scritto qui. Non me lo sono mica inventato» farneticò in un sussurro Dan con voce roca e accentuatamente stridula. La testa gli pesava come un macigno, fino a quando non sbatté con gran fracasso sulla parete posteriore; il proprietario si girò, fissandolo per un attimo, poi tornò a ingurgitare saliva d’avanti alla tivù.
Per due lunghi secondi la pioggia tornò a fremere più insistentemente contro la porta, fino a quando la medesima fu spalancata da un nuovo cliente. Un tipo strano, si poteva dire, che si asciugò i mocassini facendoli strisciare sullo zerbino dell’ingresso e che camminò fino all’estremità del locale per guardare quella creatura che, alla realtà dei fatti, era di gran lunga più strana di lui. Dan si contorceva sul tavolo traballante che reggeva il suo pesante corpo privo di controllo, poi si stropicciò gli occhi, nel tentativo di mettere a fuoco lo spettatore silenzioso che gli copriva il campo visivo.
«Chuck Bass, ahia!» gemette Dan tastandosi il punto in cui aveva urtato la testa.
«Sono le sei del pomeriggio, Humphrey. Direi che è un po’ presto per una sbronza, non credi?» domandò Chuck con sorriso malizioso, sedendosi al fianco del suo interlocutore.
«Dipende dai punti di vista. Si, proprio così. Ne vuoi un po’?» Dan alzò l’instabile braccio che reggeva la bottiglia dal contenuto dorato, trangugiando per altri due sorsi prima di porla bene in vista al sorpreso erede dei Bass.
«Sono a posto così. Al contrario, non direi lo stesso di te» notò Chuck inarcando le sopracciglia verso l’alto. Dan si grattò la nuca, non riusciva a vederci chiaro. Tutto era sbagliato, persino lo stesso Chuck che si ritrovava inspiegabilmente dalla parte della ragione. “Eppure non ha detto niente di rilevante finora”.
«Costruire implicazioni su implicazioni nella propria mente e vedere quale riscontro possano queste avere nella realtà. Tipico delle contorte menti degli scrittori.»
«Oh, in realtà io.. Come hai fatto?»
«Lascia stare, Humphrey» concluse Chuck con un sorriso a fior di labbra. Dan lo fissava interdetto: era l’effetto della sbornia o davvero Chuck Bass era in grado di leggere il pensiero come un tale Charles Xavier, il noto Professor X? Colto da un non comune senso di interesse, l’ubriaco Dan fece per avvicinare il suo viso a quello del suo interlocutore, esaminò meticolosamente i suoi virili lineamenti stringendo gli occhi in due piccole fessure, quindi sospirò gettando il capo nuovamente sul tavolo. Nel mentre, Chuck era rimasto in silenzio, seguendo ogni singolo gesto di Dan.
«Adesso capisco. Blair si è innamorata di te per il tuo mirabolante fascino, per non parlare del fatto che hai un carisma decisamente sorprendente» borbottò Dan flebilmente.
«Cosa cerchi di dirmi, in modo indiretto s’intende, con tutti questi inutili sinonimi?» domandò Chuck corrugando la fronte.
«Oh andiamo, Chuck. Usa i tuoi poteri!»
«Sei forse diventato gay?»
Dan batté i pugni sul tavolo, il barista si girò nuovamente, quindi tornò a sbavare davanti alla tivù. «Credo che per quello dovrai ancora aspettare. Ti farò sapere, ad ogni modo» concluse tossendo il ragazzo.
«E allora cosa? Ti trovi in uno stato simile a causa di Blair e dei sentimenti che provi per lei?»
«Questa potrebbe essere una delle motivazioni. Sai, al momento non riesco a metabolizzare e a rielaborare i miei stessi pensieri.» Dan aveva portato lo sguardo verso i dipinti posti sulle ruvide pareti coriacee, nel mentre Chuck si affrettava a depositare il denaro sul bancone da bar.
«Ti porto via di qui. Probabilmente non ricordi, ma fra non più di tre ore hai un appuntamento.» Chuck coprì il collo di Dan con la sua sciarpa color cobalto, poi tentò di sollevarlo per un braccio. Questi si liberò e fece per respirare.
«Lei aspetterà, e comunque-» Dan afferrò il denaro di Chuck e glielo appoggiò sul petto, continuando «-non ho bisogno dei tuoi quattrini. Credo di aver raggiunto anch’io un discreto successo da queste parti.» Il ragazzo poggiò sul medesimo bancone due banconote da cinque dollari, con il celeberrimo viso del presidente Abraham Lincoln stampatoci sopra, rivolgendo un sorriso a Chuck.
«“Da queste parti” sembra essere un tantino riduttivo. “In tutto il mondo”, al contrario, ha un altro fascino. Decisamente.»
 
*
 
Nel silenzio vigente nel loft degli Humphrey, risuonò il crack di un guscio di noce fracassatosi nella forte stretta delle calde mani di Chuck. Antistante alla poltrona sulla quale sedeva il ragazzo c’era Dan che, disteso sul divano color turchese, si apprestava a schiudere lentamente gli occhi evitando istintivamente la fonte di luce proveniente dal lume a lui più vicino.
«Non stropicciarti gli occhi, rischi di peggiorare la situazione» proferì Chuck dopo aver gettato sul pavimento i frammenti dell’ennesima noce da lui rotta. In prossimità di quella giunse la sua bestiola, Monkey, che non indugiò e divorò la stessa noce in un sol boccone.
«Monkey, quand’è arrivato?»
«Lo ha portato il tuo grande amico Nathaniel.» A tali parole Dan rispose con un sospiro, cercò poi di rialzarsi in piedi ritrovando quell’equilibrio fisico che la sbronza aveva portato via con sé. Voltò lo sguardo prima verso Chuck, poi verso un intenso aroma di caffè proveniente dal bancone della cucina, che tentò di raggiungere a passi irregolari e non del tutto stabili. Dan afferrò la calda tazza e ne bevve in un unico sorso il contenuto di pregevole fattura, persino capace di rigenerare le percezioni e la coscienza del ragazzo.
«E’ opera tua?» chiese allora questi con tono sorpreso.
«Sai, Dan, ci sono tante altre cose che mi riescono bene oltre agli affari e, ovviamente, al saper rimorchiare ragazze; una di queste è proprio il caffè» proferì Chuck dopo aver ingerito un’altra noce della personale scorta di Rufus. Il ragazzo oltre il bancone accennò ad un sorriso quando, adocchiato l’orologio elettronico posto di fianco al microonde, ebbe un sussulto al cuore che lo riportò alla realtà dei fatti.
«Chuck, l’appuntamento! Mi restano meno di dieci minuti, perché diavolo non mi hai avvisato?» sbottò Dan. Quando era in preda al panico era solito scompigliarsi i ricci e folti capelli, quasi potesse in questo modo riorganizzare razionalmente i pensieri nella sua complessa mente nevrotica.
«Non disperare, ho già avvisato Serena dicendole che non ci sarà nessun appuntamento» arguì Chuck con fiero compiacimento per le sue gesta, mentre si infilava il lungo caban di lana beige.
«E adesso dove vai?» lo interrogò ancora Dan allargando freneticamente le braccia.
«Devo risolvere alcune questioni burocratiche che… beh, non appartengono al tuo ambito di competenza» sentenziò Chuck meno fermamente del solito, avendo notato chi in quel momento aveva fatto vibrare il telefono nella tasca del suo pantalone. Dunque Chuck estrasse quel complicato aggeggio elettronico e ne fissò il lucente monitor che in quel momento sembrava riflettere nei suoi occhi un unico nome, Blair. Approfondì con più attenzione la situazione, chiuse la chiamata e si diresse verso la porta d’ingresso, rivolgendo un cenno del capo all’amico Daniel.
«Ah, ho dimenticato di dirti che Serena ha deciso di passare da qui. Buona fortuna» concluse Chuck, sparendo dietro la vetusta porta d’ingresso.
Ininterrotte serie di implicazioni e stupidi accorgimenti della fantasia, per quanto povera in quel frangente, si accavallavano nella mente quanto mai frustrata di Dan, incapaci tuttavia di tracciare le prime linee di una via di svincolo quanto meno percorribile. Così Dan si lasciò cadere sulla poltrona, socchiudendo gli occhi e deciso quanto mai in quell’istante a non far nulla. Tutto era lasciato al caso e lui, per quel che ne sapeva, si sarebbe semplicemente lasciato trasportare.




Eccomi, dopo tanto tempo, con un'altra storia. Certo, lo so che ho un progetto in sospeso (Thoughts of a Humphrey), ma non ho intenzione di mollarlo per qualcosa che è si è generato nella mia mente tipo... una settimana fa!
Comunque sia spero che quanto da me scritto possa piacervi.
Un saluto a tutti!

  
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