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Autore: Fed    31/01/2012    5 recensioni
"E ad ogni fottuto inchino chiudeva gli occhi, negandosi la visione del parquet e della sua anima legata alle caviglie, negandosi le velleità della coscienza e del pene, negandosi i passi ad uno ad uno, come se ogni inchino fosse un pensiero sfiorito, cogliendo nella calma apparente del plauso degli spettatori il loro più ardito disgusto."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’UMORE NON VALE

 
 
 

I

Col suo qualunquismo qualunque, qualunquisticamente parlando di qualsiasi altra cosa quell’uomo qualunque viveva.
Nel suo mondo qualunque, nei suoi occhi pregni qualche volta di qualsiasi cosa, quandanche tal’altra fossero pieni di nulla, si adagiava con grazia sull’esterrefatto sguardo del suo attonito pubblico contorto e sorrideva, quell’uomo qualunque, sorrideva in qualunque momento, attento però  chiudere gli occhi – a chiudere sempre gli occhi –
ad
ogni
fottuto
inchino.
  

II

E ad ogni fottuto inchino chiudeva gli occhi, negandosi la visione del parquet e della sua anima legata alle caviglie, negandosi le velleità della coscienza e del pene, negandosi i passi ad uno ad uno, come se ogni inchino fosse un pensiero sfiorito, cogliendo nella calma apparente del plauso degli spettatori il loro più ardito disgusto.
Succedeva allora che, con calma, giungesse il pensiero di lei, lei sola, ad artigliargli il cervello come un pianto sguagliato e allora lei, lei sola in mezzo al devastato pubblico
con
rabbia
rideva.
 

III

E lei con rabbia continuava a ridere e ridere, digrignando i denti e battendo i piedi, sputando vocali nere assieme a saliva e denti, maledicendo il mondo senza parola alcuna e ridendo di gusto, fino a ridere di sfida anche al millesimo inchino quando, sprezzante, si alzò per distribuire allo sconcertato pubblico il suo riso assassino e, nell’affanno, rise via il suo più bieco disprezzo, prima di correre, di correre via da quell’uomo qualunque appoggiato ai suoi inchini ciechi, correre via da quel palco qualsiasi ridendo
dopo
il
millesimo
inchino.
 

IV

E fu dopo il millesimo inchino, non un inchino qualunque di quel giorno qualunque, non a qualsiasi altro inchino qualunque, che l’uomo qualunque aprì gli occhi dal suo qualunquismo e gridò. La vergogna allora gli lampeggiò sul volto disfatto, la colpa gli piombò nello stomaco tonda e pesante, la paura lo colse nelle ossa e non lo abbandonò finché non ebbe contato ad un ad uno il capo agli spettatori.
C’erano tutti, gli assenti in fondo; un vecchio ingegnere sbatteva la testa di un camaleonte sullo schienale della sedia di fronte imbrattando il pavimento di sangue.
 

V

E tutti seppero che non era accaduto nulla, che avevamo scherzato come sempre e riso solo per dispetto, che lo spettacolo era stato banale ma perfetto e che, nonostante le voci dei soliti buffoni di corte, in quel giorno qualunque non era morto nessuno,
tranne
un
bugiardo.
 
  
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