Chewing gum
Non mi chiamo Miranda.
Non avrebbe mai smesso di ripeterlo, mai. Non era
Miranda, lei. Non lo sarebbe mai stata.
Lei era Celia. Celia. Celia… era così
difficile da capire? Così difficile da accettare?
Corse fuori dalla stanza, le braccia avvinghiate
al petto. Non aveva una meta, semplicemente voleva andarsene: allontanarsi il
più possibile da lui, da quella situazione che non riusciva più a tollerare.
Lo sguardo basso, il piccolo cuore che batteva seguendo un ritmo
forsennato: era un suono forte, che sembrava rimbombare ovunque, potente. Forse
lo sentivano tutti, per quanto distanti fossero.
E poi inciampò, rovinando sul pavimento. E il cuore sembrò perdere un
battito.
Non vedeva, Celia. Era certa di avere gli occhi
aperti, spalancati probabilmente, eppure non riusciva a vedere.
Carponi, scrutava avidamente ciò che la circondava, o almeno tentava di
farlo.
Lentamente si mise a sedere, stringendo le gambe al petto e avvolgendole
con le braccia. Vi poggiò sopra il mento, cercando di rallentare il
respiro… sperando di riuscire a calmarsi. Aveva come l’impressione
di star poco a poco scomparendo, dissolvendosi nel buio, e la cosa non le
piaceva affatto.
Serrò gli occhi, nascondendo il viso. Non era una bambina paurosa,
Celia. Eppure non le era mai successo di doversi confrontare con
un’oscurità così intensa, così opprimente, così devastante. Non era buio,
quello.
Era qualcosa di peggio.
Celia si tormentava il labbro, imponendosi di non cedere al terrore.
Frenava le lacrime, ignorando il bruciore al ginocchio: presto sarebbe passato,
si ripeteva. Presto sarebbe tornato tutto a posto.
Come diceva la mamma, proprio così.
Prese a dondolarsi, piano, cedendo inevitabilmente al ricordo.
Lasciandosi cullare da quella voce che così tanto le mancava, dolce,
avvolgente. E si sentì chiamare Celia, con un tono talmente affettuoso
che era certa nessun altro sarebbe riuscito ad imitare, mai.
- Ma sei tutta scema? -
Sussultò, spalancando istintivamente gli occhi. E, come prima, non vide
alcunché.
La voce, però, l’aveva sentita. Acuta, squillante… maschile.
- Perché fai così? – chiese ancora la voce, sinceramente curiosa.
Celia non rispose, stringendo maggiormente il labbro con i denti: aveva
sentito del divertimento in quella voce. Chiunque fosse la stava prendendo in
giro, ne era sicura, e lei odiava essere presa in giro.
Chiuse gli occhi, forzandosi a non aprirli più. Non doveva. Non poteva.
- Io sono Marco, comunque – fece la voce, lievemente più gentile.
E Celia sentì un piccolo spostamento d’aria proprio di fronte a
sé: anche senza aprire gli occhi capì che lui le si era seduto davanti. Ciò che
non riusciva a spiegarsi era solo il perché.
- Perché ti agitavi a quel modo? –
- Non mi agitavo – le sfuggì, la voce
tremante.
- Ti stavi dondolando – ribatté Marco – E piagnucolavi
–
Celia si sentì avvampare di collera, incredula e ferita:
- Io non piagnucolo! – sillabò, scandendo lentamente. Dura.
- Come vuoi tu – si strinse nelle spalle lui – A me sembrava che avessi paura –
- E di cosa dovrei aver paura? –
- Del buio, no? – fece Marco, il tono traboccante ovvietà.
- Se tu non hai paura io non ho paura – rispose Celia, una logica
intaccabile.
Marco inclinò il capo, squadrando la bambina sovrappensiero. Sospirando,
infine, aggiunse:
- Io non ho paura -
- Io nemmeno – mentì Celia, riprendendo a dondolarsi
impercettibilmente.
Ci fu qualche attimo di silenzio in cui uno strano rumore rimbombò fra i
due, non ben identificato. Ritmico.
- Come fai a vedere? – chiese d’improvviso la bambina,
pregando di non essere rimasta sola.
- Non lo so – rispose dopo poco Marco – Ci vedo –
- Vorrei riuscire a farlo anche io – sussurrò lei, accorata
– Me lo puoi imparare? –
- Insegnare – la corresse Marco.
- Come? –
- Si dice insegnare – mormorò lui – Me lo puoi insegnare?
– le fece il verso.
- Lo farai? –
- No –
Marco si alzò, spolverandosi i calzoni. Guardò la bambina e diede
finalmente voce alla domanda che lo stava tormentando da quando l’aveva
vista:
- Come ti chiami? -
- Celia – rispose lei dopo una lunga pausa, la voce carica di
risentimento.
Marco annuì, facendo per andarsene. Fu all’ultimo istante che ruotò
su se stesso, inginocchiandosi davanti a lei con un movimento fluido:
- Posso svelarti un trucco, però – bisbigliò – Per non avere
più paura -
- Io non ho paura –
- Okay – ridacchiò lui – Se mai dovesse accadere, però, puoi
fare come me –
- E sarebbe? –
- Masticare un chewing gum – rispose Marco, portando due dita alle
labbra e afferrando la gomma che fino a poco prima stava masticando. Ecco
spiegato il rumore.
Strinse la gomma fra le dita e le avvicinò a Celia:
- Vuoi provare? -
La bambina arretrò di scatto, intuendo le azioni di lui; il volto
contratto in una smorfia, scosse più volte il capo:
- Che schifo! – esclamò – Non ci penso proprio! -
- Come preferisci – sorrise lui, rimettendola in bocca e alzandosi
in piedi.
Mosse qualche passo, cominciando ad allontanarsi.
Senza girarsi sollevò una mano a mo’ di saluto e sussurrò, come
una promessa:
- Sarà per la prossima volta -
Celia corse fuori dalla stanza, le braccia avvinghiate al petto.
Non aveva una meta, semplicemente voleva andarsene: allontanarsi il più
possibile da lui, da quella situazione che non riusciva più a tollerare. Ora la
chiamavano tutti Miranda. Ora lei era Miranda.
Come aveva potuto lasciarlo accadere?
Come aveva potuto far sì che il Circo le rubasse tutto, persino se stessa?
Si coprì il volto con le mani, cercando inutilmente di frenare le
lacrime che bollenti intraprendevano la loro rapida discesa. Smise di correre,
lasciandosi scivolare per terra.
Piegò le gambe contro il petto e le avvolse con le braccia, vi poggiò sopra
il mento e cercò con tutta le forze di rallentare il respiro. Voleva calmarsi.
Doveva.
Sentì una goccia di sangue bagnarle la lingua e si accorse di star
mordendo troppo il labbro.
Allentò la presa, chiudendo gli occhi. Lasciò che la cascata di ricci le
cadesse davanti, nascondendo il viso.
Non voleva più vedere, sentire, provare alcunché.
E poi sentì quella voce. La voce che aveva imparato a riconoscere.
Sussultò, pateticamente, come era successo tanti anni prima. Sentì lo
spostamento d’aria dinanzi a sé ma non sollevò lo sguardo, decisa ad ignorarlo. Non aveva la forza di combattere anche
con lui, non in quel momento.
- Va via, Marco, te ne prego – sussurrò, reprimendo un singhiozzo.
- No –
E il singhiozzo le sfuggì, impossibile da trattenere:
- Perché fai così? – scattò, sollevando il viso e fissando
l’espressione impertinente del ragazzo – Che cosa ti ho fatto, eh?
Perché non mi lasci in pace? –
Si coprì la bocca con una mano, deviando lo sguardo:
- Perché non capisci che sono al limite? – mormorò – Non
riesco a sopportare altro, okay? -
- Non ti sto chiedendo di sopportare alcunché –
Celia sorrise, un sorriso amaro. Si voltò lentamente, pronta a
fronteggiare la solita, immancabile, espressione di lui: espressione che non
trovò. Inarcò un sopracciglio, inclinando leggermente il capo:
- E’ un sorriso, il tuo? – chiese, il tono bassissimo, quasi
inudibile.
- Dovrebbe, sì –
- Tu non sorridi –
- Non puoi negare l’evidenza –
Lei allargò le braccia, come per includere lo spazio circostante:
- Hai presente dove siamo, vero? – chiese retorica – Qui
tutto si può negare. Niente è evidente -
- Io mi sento evidente – ponderò lentamente Marco, masticando
apertamente.
- Va via, per favore –
- Non voglio litigare – mormorò lui.
- Va via –
- No –
Lei chiuse gli occhi, rimpiangendo quel buio totale che aveva conosciuto
solo una volta.
Quell’oscurità assoluta e avvolgente che non aveva più avuto modo
di sentire.
- Guardami -
Lo ignorò, dondolandosi impercettibilmente.
- Celia, guardami -
Smise di muoversi, sorpresa dal suono del suo
stesso nome. Celia.
Quanto tempo era che non lo sentiva pronunciare?
- Celia -
E… e c’era dell’affetto in quella voce, avrebbe potuto
giurarlo. Come diavolo era possibile?
Continuò a non aprire gli occhi, per quanto difficile fosse. Lo sentì
avvicinarsi, piano, con cautela.
Quando avvertì le sue labbra sulle proprie non si mosse, lasciandolo
fare. Scossa da come sembrassero perfette le une per le altre, quasi fossero
state create per essere unite. Sempre. Lo assaggiò, in silenzio.
Sorrise, su quelle labbra che non lo facevano mai. Su quelle labbra che
lo avevano fatto per lei, poco prima.
Lo sentì allontanarsi appena, il necessario per mormorare qualche parola:
- Di cosa hai paura, Celia? -
- Io non ho paura – rispose lei dopo un attimo, poggiata a lui.
- Celia… - la pregò, mordicchiandole giocosamente il labbro
inferiore.
- Di tutto – biascicò la ragazza, il battito impazzito –
Vorrei andare via, scappare lontano –
Marco sospirò, baciandola dolcemente:
- Non si può, lo sai – sussurrò – Non si lascia il Circo,
Celia -
- Lo so – fremé lei – Infatti ho usato il condizionale
–
- Non sei sola, Celia –
- Lo sono stata fino ad ora – ribatté – E nessuno mi
assicura che non lo sarò ancora –
- Non lo sei mai stata – soffiò Marco – Non era evidente?
–
Celia ondeggiò all’indietro, spinta dalla forza del bacio di lui.
Impetuoso.
E come era iniziato, finì. Di colpo. Inaspettatamente.
Uno spostamento d’aria e poi il vuoto.
Fu con timore che Celia schiuse gli occhi, prefigurandosi ciò che
avrebbe visto e che in effetti vide: niente.
Il nulla. Il buio.
Si leccò le labbra, inumidendole appena.
Lì dove avrebbe dovuto essere Marco… rabbrividì, maledicendo se
stessa e quel dannato Circo.
Il Circo della Notte. Il Circo dei Sogni.
Il Circo dove nulla è reale. Il Circo dove tutto lo è.
Sospirò, la punta fredda della paura che tornava a solleticarle lo
stomaco.
E fu senza accorgersene che lo fece: masticò. Masticò una gomma. Una
gomma che prima non aveva.
Posso svelarti un trucco, però.
Per non avere più paura.
Masticare un chewing gum.
Continuò a masticare, la punta fredda della
paura che si allontanava.
Masticò la gomma non sua e si guardò attorno con occhi diversi.
Gli occhi di chi, per qualche inspiegabile ragione, vede in modo
differente le cose.
E l’oscurità del Circo le sembrò quasi rassicurante.
Sorrise, pensando che, in fondo, quell’alone fiabesco non era così
male.
La notte, i sogni, i misteri e il buio.
Sia mai che sarebbe arrivata a chiamarli casa.
Certo, sempre masticando un chewing gum.
§