Disclaimer: nessuno di questi personaggi mi appartiene. E anche la trama principale della storia non è mia, bensì di Kaneda Gonbei.
Le parti in corsivo indicano i pensieri di Asu.

 
Debole bambola.

Sotto il suo sguardo si biforcava il mare nero di onde, e la terra si gettava a precipizio in un baratro di morte.
 
La sua morte.
 
La carreggiata ancora recava impresse le scure tracce del passaggio del veicolo.
Portavano verso lo scoglio nudo. Poi sparivano cinte dall’abbraccio del vento.
Per un allucinante momento le parve di sognare, lo stomaco diede segno di non riuscire a reggere.
Arrancò pochi passi –troppo veloci per le sue condizioni- per caracollare a terra schiacciata dal peso della sua menomazione.
 
Asu si odiava in quel momento più di quanto non avesse mai fatto in vita sua.
Era soltanto una stupida bambola rotta ammantata di tenebre viscose e dagli occhi di speranza.
Speranza strappata dal ramato sapore del sangue e dei sassi che impastava la bocca.
Era debole e sempre lo sarebbe stata. Non aveva potuto far nulla per la morte di Ryo, e già questo peso le gravava sulla coscienza.
Ma non poter neppure rendere omaggio al suo cadavere… questo era troppo anche per lei.
Non aveva mai avuto un grande orgoglio da difendere, ma lasciarlo da solo nel viaggio verso lo Yomi era una prospettiva troppo truce anche solo per esser presa in considerazione.
 
La lama sottile della tanto rifulgeva di un sinistro bagliore e mai le era sembrata tanto appetibile e desiderabile.
 
Lascia che, sta volta, sia io la tua luce, Ryo.
 

 
Non condurre i mei occhi all’inganno.
Non lasciare che erri nel buio delle mie tenebre.
Il tuo cuore, lascia che esso batta per me.

 
Un’ombra, enorme e sconfinata, più ampia del cielo che si apriva solenne all’orizzonte, oscurò di tenebre la sua figura.
Volse gli occhi al cielo e lo sconcerto fece cadere la lama ancora monda che, tintinnando, risuonò cupa contro il terreno.
 
Paura e stupore la invasero, la delusione verso sé stessa era quasi scomparsa del tutto.
Eppure, in quella visione, qualcosa le diceva che non era il caso di tremare, lui non era lì per farle del male.
Poilo riconobbe, bastò un’occhiata, abituata alla rinnovata oscurità, per permetterle di distinguere quei tratti ben conosciuti.
 
Niente, neppure un suono varcò le mie  labbra.
Eppure avrei voluto urlare.
Volevo urlare a quel dio che tutti pregavano di far smettere quella sofferenza.
Lo strazio era troppo perché il mio cuore potesse ardire ancora di reggere lo sforzo sovraumano.
Se quella era solo un’illusione avrei voluto afferrare di nuovo la tanto e farla cessare di esistere.
Ma se quella era la realtà, allora il mondo era un luogo davvero perverso.
Eppure mai avevo amato di più quel luogo, che ancora mi ostinavo a chiamare “casa”, sebbene tanto dolore mi avesse arrecato.
Lo aveva riportato da me, tanto bastava.
 

 

Qui, dal palmo della tua mano
Anche io mi sento un gigante.
Saldo nel mio cuore rimbomba il ricordo di te.

Piccola Spiegazione: sono felicissima di poter essere qui a farti gli auguri e ringraziarti per avermi saputo sopportare anche quest’anno! Auguroni Eien-sama te li meriti tutti!! :)
Questo aborto di disegno qua sotto l’ho fatto io… fa schifo, lo so, ma vedila così: mi ci sono impegnata molto per farlo!! Anche se la katana si vede male...