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Autore: SmokingRum    01/02/2012    3 recensioni
L'ultima e diretta discendente di Sherlock Holmes, il suo assistente, uno studente di medicina, e i loro casi.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In memory of Sir. Arthur Conan Doyle

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Elementare, Watson.” __Sherlock Holmes








Chapter I
As I remember her

 
 
 
Era il 2035 quando mi iscrissi all’ università Memorial, mille e mille volte rinomata per il suo corso di medicina che, si diceva, fosse il migliore di tutta la Gran Bretagna.
Per uno come me, uscito da un liceo di media notorietà, l’essere riuscito a superare gli esami di ammissione (con un ottimo punteggio, aggiungerei) era di per se un grande traguardo. In principio l’università alla quale puntavo era un’ altra, sempre prestigiosa anche se meno della mia scelta finale.
A spingermi verso quest’ultima scelta credo sia stata la curiosità che il cognome del preside mi suscitava ogni qualvolta questo veniva pronunciato: Alexander Holmes. Ero sempre stato un lettore incallito dei romanzi del famosissimo Arthur Conan Doyle e il sapere che il preside di una tale prestigiosa università fosse Holmes mi faceva sempre sorridere. Ovviamente non credevo che ci fosse un qualche legame di parentela, sia chiaro, però erano rari gli Holmes nel mondo.
Quella mattina di settembre mi ero recato per richiedere una camera nel campus dell’ università. L’ idea, se devo essere sincero, non mi entusiasmava granchè: non amavo il trambusto e inoltre detestavo stare da solo. Mi sarebbe piaciuto riuscire ad affittare un monolocale ma, come ho già detto, detestavo stare da solo e inoltre tutti i monolocali ad un prezzo ragionevole si trovavano su strade terribilmente trafficate e, di nuovo, c’era il problema del mio disgusto verso i rumori. Pensai allora di affittare un piccolo appartamento e poi dividerlo con un coinquilino, ma costavano davvero troppo e, al giorno d’ oggi, trovare un coabitante che rispettasse le abitudini e la privacy altrui era pressocchè impossibile. Mi arresi dunque all’ idea di avere una camera nel campus. Sapevo già che erano tutte singole ma almeno non ci sarebbe stato rumore, mi affidavo all’intelligenza e al rispetto degli altri studenti.
Mentre mi dirigevo verso l’università e camminavo per le affollatissime vie di Londra, mi resi conto che dall’hotel nel quale avevo alloggiato negli ultimi giorni, e che non potevo più permettermi, la distanza era davvero lunga.
Fermai un taxi appena ne vidi uno ma era occupato da qualcun’ altro. Scoraggiato mi incoraggiai alla camminata ma lo sportello del taxi si spalancò e ne fece capolino la testa di un ragazzo più o meno della mia età.
-Micheal! –esclamò questo –Sei tu, vero? Micheal Muddy!
Guardai più attentamente il viso del ragazzo e all’ improvviso mi ricordai chi fosse.
-Carl! Carl Johnson! –esclamai io, rispondendo al suo saluto –Ne è passato di tempo! Saranno almeno tre anni!
-Eh già! Dovevi prendere il taxi? –mi chiese.
-Si, ma non preoccuaparti, è tutto tuo! –risposi.
-Ma no, sali! Ci dividiamo la corsa!
-Va bene, va bene.
In realtà accettai piuttosto felicemente perché il mio budget, come avrete capito, era piuttosto limitato.
Salii sul taxi e sedetti con il mio compagno.
-Dove la porto, signore? –mi chiese il tassista.
-Ah, all’ università Memorial, per favore!
-Ma dai! –disse stupefatto Carl –Anche io sono diretto lì! Ti sei iscritto alla Memorial?!
-Sì! Anche tu?
-Esatto!
-Ma che coincidenza assurda!
-Che facoltà? Ah, no! Lasciami indovinare: medicina!
-Eh già! E tu presumo giurisprudenza.
-Esattamente, sono riuscito a passare gli esami. Per un pelo, ma comunque superati.
Risi. Cominciammo a a parlare delle solite cose che due vecchi amici che si ritrovano si dicono in queste circostanze.
Gli chiesi come andavano le cose e lui mi rispose che, in fin dei conti, tutto andava bene: la salute era perfetta ed era anche riuscito a trovarsi una ragazza.
Carl era un ragazzo alto e muscoloso, con un viso dai lineamenti forti e sicuri. Vestiva sempre in maniera dismessa, e aveva occhi furbi e scaltri.
Di furbo e scaltro, però, aveva solamente gli occhi. Non era mai stato molto sveglio nella realtà e non poche volte era stato raggirato da truffatori che lo fermavano per strada. Inoltre era di un ingenuità inquietante… E inoltre, non riusciva a pensare male di nessuno: riusciva a vedere solo il bello delle persone anche quando non c’era.
Facemmo i primi tre anni di liceo insieme ma poi ci dividemmo quando lui si traferì ad Atlantic City. Mi trovavo molto bene con lui, nonostante fosse un tipo, alle volte, terribilmente chiassoso.
Quando chiese io come me la passavo fui molto evasivo, visto che non mi andava di mettere in mezzo faccende personali.
Una volta arrivati all’ università ci dividemmo la corsa, come pattuito, e entrammo nella struttura.
L’università era moderna, costruita nemmeno vent’anni fa, per cui vantava delle più moderne tecnologie. Le pareti erano tutte dipinte di un bianco panna molto rilassate ma ogni classe aveva le mura di colore diverso.
Vi era, inoltre, un bellissimo cortile nel campus che offriva punti di ristoro e varie caffetterie.
-Devi farti assegnare una camera? –mi chiese Carl.
-Esatto.
-Io l’ ho già avuta qualche settimana fa, sono venuto per trasferirmici completamente. Però…
-Però?
-No, niente, non preoccuparti.
Decisi di non indagare e gli chiesi allora come erano le persone che frequentavano la scuola.
-Perlopiù dei ricconi snob che prendono la laurea in qualcosa non per interesse ma solamente per non sfigurare nelle loro famiglie. Altri, invece, sono semplici studenti che hanno faticato per superare gli esami. E per faticato non intendo chiedere al papà ricco e famoso di scrivere una lettera di raccomandazione. –disse tutto d’ un fiato.
Guardai stupito Carl.
-Da quando sei così oggettivo sulle persone? Non lo sei mai stato, non parlavi mai male di nessuno, nemmeno del peggior stronzo che potesse esistere.
Lui ridacchiò e mi rispose che, col tempo, le persone cambiano.
Fra una chiacchierata e l’ altra arrivammo alla reception dell’ università. Presentai alla signora Dorothy (così era scritto sulla targhetta che portava attaccata alla camicietta) il mio modulo d’ iscirizione, firmai qualche foglio, e poi le chiesi se potevo avere una camera. Quella, una donnona con i capelli rosso fuoco e con una ricrescita di almeno quattro mesi, mi lanciò un occhiata annoiata e stupita allo stesso tempo.
-Mi dispiace, ragazzo, ma tutte le camere sono già state assegnate. – mi disse.
Mi sentii il mondo crollare sulle spalle.
-Tutte?!
-Tutte.
-Non ne è rimasta nemmeno una?! Mi accontento anche di un ripostiglio, sa!
-Nemmeno lo sgabuzzino.
Mi allontanai dal banco della reception e imprecai mettendomi le mani fra i capelli.
-E ora che faccio?! –chiesi io, più che a Carl a me stesso –Non ho un solo fottuto centesimo!
-Non so come aiutarti, amico!
Rimasi qualche minuto a pensare ad una soluzione ma non venni a capo di nulla. Niente, lo zero assoluto regnava nei miei pensieri. Come avrei fatto?
-Se solo le camere di questo posto non fossero singole! –borbottai.
Carl mi lanciò uno sguardo eloquente.
-Che c’è? –gli chiesi.
-No, nulla.
-Carl, ora saprai anche sparlare delle persone ma le bugie non ti riescono comunque!
-No è che… mi hai fatto venire in mente qualcuno che… che potrebbe aiutarti.
-Davvero?! E chi?
-Ecco… non so se lo sai ma oltre alle camere singole ci sono anche gli appartamenti.
-No, lo so, ma sono riservati a chi se li può pagare!
-Beh, ci sarebbe qualcuno disposto a convivere con un’ altro studente e senza fargli pagare.
-Davvero?! –chiesi felice, intravedendo una luce.
-Sì, ma io preferirei dormire per strada…
-Addirittura?! Chi diamine può essere tanto insopportabile?
-La proprietaria.
-Ah, è una ragazza? Che c’è, è cozza?
-No, no! Anzi, è davvero bella… però….
-Altezzosa?
-Non è tanto quello, oddio anche, il problema è un altro.
-E quale?
-Ha delle abitudini un pochino… morbose.
-Morbose?
-Hai presente l’obitorio della scuola? Quello che ha sia i cadaveri umani che quelli animali?
-Sì, riservato agli studenti di medicina e scienze. Non vedo l’ ora di metterci piede!
-Ecco, lei ha la… “passione”, per così dire, di andare lì e… -si passò una mano sul viso.
-E…?
-E frustare i cadaveri degli animali.
Feci per aprire bocca ma mi bloccai. Cadaveri di… animali? Okay, era morboso, davvero morboso.
 -E per quale motivo? –chiesi, tentando di darmi un contegno.
-Vuole testare una cosa: la pelliccia degli animali si indurisce o meno dopo la morte? E se sì, a quante ore dal decesso?
-Beh, allora deve essere anche lei o una studentessa di scineze o di medicina, la cosa non è poi così folle!
-Studentessa? –Carl mi sembrò sul punto di scoppiare a ridere a quelle parole.
Alla fine mi lanciò uno sguardo divertito.
-La vuoi incontrare comunque? Magari scopri che siete anime gemelle!
-Beh, preferisco vivere con una scienziata un po’… inusuale che vivere in uno squallido motel.
-Allora andiamo, ti ci accompagno. A quest’ ora in genere è nell’ aula di arte.
 
 
Arrivammo all’ aula di arte e Carl si girò verso di me.
-Io te lo dico, non lasciarti ingannare! Può sembrare carina e tutto il resto, ma è una vera stronza.
-Okay, ti credo. –e gli credevo in realtà: se addirittura Carl parlava così male di lei doveva essere davvero insopportabile. Ma le mie opzioni erano piuttosto limitate.
Entrammo nell’ aula. Era deserta, a prima vista, ma in fondo alla classe, alla luce dell’ ultima finestra, c’era una ragazza. Stava seduta dietro un cavalletto e riuscivo a scorgere solo le gambe. Gambe lunghe e magre, fasciate da calze a striscie viola e bianche. Ai piedi portava degli strani stivali di pelle nera, che avevano come un rialzo alla punta, un platò molto alto ma nessuno tacco. Un uncio platò, praticamente, e mi chiesi come faceva a camminarci!
Carl si schiarì la voce e, se non fosse stato impossibile, avrei giurato di vederlo sistemarsi il colletto della camicia.
-Cheyenne? –chiamò.
Al richiamo la ragazza non si mosse ma non era possibile che non lo avesse sentito. Dopo qualche secondo di silenzio lei rispose, sempre senza smuoversi dallo sgabello sul quale stava seduta e senza smettere di dipingere.
-Sto cercando di dipingere a memoria il cadavere di un furetto che ho sottoposto oggi ai miei esperimenti. Ed è incredibile quanti dettagli tralasciamo, sai? In genere, un umano medio, ha una capacità di immagazzinare correttamente nozioni o immagini parì solamente al 54%. Ci sono alcuni che arrivano al 60% e io… io credo proprio di essere arrivata addirittura al 73%!Ogni giorno rimango stupefatta dalla mia intelligenza senza pari! Ah! Inoltre ho scoperto che, se aggiungiamo del semplice olio da cucina alla pelliccia dell’ animale quella si indurisce di molto! Ma solamente dopo 15 minuti ci si accorge del mutamento! E’ incredibile, incredibile!  -terminò il suo monologo con una risata. Io invece ero senza parole. La ragazza aveva parlato in un inglese così elegante e raffinato e corretto che mi chiedevo se avesse davvero avuto solo la mia età. E in che modo, poi! Ad una velocità sorprendente! Eppure la sua dizione non ne risentiva, anzi! Le parole erano scandite con precisione. E poi la sua voce…. oh, quella voce era divina. Soave, oserei dire.
-Quindi, Carl, credo proprio di essere arrivata al culmine dei mei ersperimenti! –esclamò ad un certo punto –Per cui temo proprio che fra poco mi abbandonerò di nuovo alla mia solita noia. Spero fermamente che quel momento sia ancora lontano, non vorrei ammorbarti di nuovo con le mie crisi isteriche. Piuttosto, perché non vi avvicinate tu e il tuo amico?
-Sì, Cheyenne. –disse quasi rassegnato Carl.
Nella mia mente vigeva una sola domanda: quando si era accorta di me? Non ci aveva visti entrare, ne ero sicuro! Era troppo intenta a disegnare il suo… cadavere di furetto.
“Alla faccia nella natura morta”, pensai lasciandomi scappare un ghigno.
Ci avvicinammo a lei e finalmente la vidi. Superato il cavalletto e seduta su uno sgabello, vi era la ragazza più bella che io avessi mai visto.
Lunghi riccioli neri, che sembravano morbidi come seta, le ricadeva sulle spalle, coprendole interamente. Il corpo era lungo e magro (forse anche troppo, mi chiesi se mangiava con regolarità), e le gambe, che già avevo scorto prima, da vicino erano ancora più belle. Le mani, con dita lunghe ed affusolate, maneggiavano con sapienza una matita che disegnava il… cadavere di furetto più realistico e ben fatto mai disegnato prima. Gli occhi, di un colore azzurro quasi turchese, guizzavano da una parta all’altra del foglio senza mai posarsi su di noi. Le labbra erano morbide e a forma di bocciolo e ricoperte da un rossetto rosso acceso. La carnagione era chiarissima, di un rosa appena accentuato. Ed era proprio quel viso che, sin dal dal primo momento in cui la vidi, mi catturava. Lineamenti così dolci e delicati che facevano pensare ad una venere, piuttosto che ad una normale ragazza.
-Cheyenne, ti dispiacerebbe prestarci un po’ della tua attenzione? –chiese Carl, interrompendo la mia descrizione mentale.
-Non posso dispensare attenzione a buffo, Carl. Vi ascolto. Che cosa volete?
-Ecco, lui è Micheal. Micheal Muddy. Era un mio compagno di liceo e …
-Muddy? –chiese lei interrompendo Carl e smettendo per un secondo di disegnare, anche se ricominciò subito dopo.
-Sì. –risposi io.
-Hai uno dei cognomi più interessanti che io abbia mai sentito.
Abbozzai un sorriso, leggermente a disagio. Nonostante questo suo… interesse nei miei confronti, continuò a non degnarmi di uno sguardo.
-Comunque… -continuò Carl –Micheal vorrebbe sapere se può…
-Aloggiare da me? –chiese lei di nuovo interrompendolo –Dipende.
-Come fai a saperlo?! –chiesi io, stupito –Carl, glielo avevi già detto?
Lui scosse leggermente la testa e mi guardò come se volesse dirmi: “era di questo che ti parlavo”.
Lei, finalmente, smise di disegnare.
-Finito. –disse.
Si alzò e finalmente posò i suoi meravigliosi occhi turchesi su di me. Mi squadrò in un secondo, dalla testa ai piedi, infine mi sorrise. Sentii il mio cuore accelerare di un battito. Mi porse la mano e gliela strinsi. Era liscia e morbida e sul dorso sporgevano in modo vistoso le vene violacee.
-Hai portato ad aggiustare il motorino da un buon meccanico, spero. –mi disse.
-Oh, sì. Me lo hanno consigliato degli amici e… -mi bloccai. Il motorino? Come faceva a sapere del mio motorino?!
-E sei stato da un buon medico? Quella spalla ti causerà non pochi problemi se non la fai curare come si deve.
Tacqui. Ero letteralmente terrorizzato.
-Inoltre rischi di non poter continuare a giocare a tennis, quindi posso consigliarti io un ottimo dottore.
La mia bocca si stava lentamente aprendo in una tonda “o”. Lei sorrise alla mia reazione.
-Cheyenne, piantala, lo spaventerai! –disse Carl, sorridendo.
-Se non lo hai spaventato tu e quella tua terribile camicia a scacchi non vedo come potrei farlo io! –rispose lei, senza staccare gli occhi dal mio viso.
Carl sbuffò.
-Come…? –biascicai io –Come hai fatto?!
-Te lo spiego dopo, ora non mi va. Dunque, vuoi venire a stare nel mio condominio? Per me non c’è nessun problema, ma dovrai abituarti alle mie abitudini. Mi sveglio molto tardi in genere, alcune volte anche alle undici di mattina, ma altre volte all’ alba: dipende da che tipo di sogno ho fatto. Inoltre detesto il tè. Lo so, una londinese che odia il tè… ma che ci posso fare? Mi fa schifo! Ma adoro il caffè e in modo particolare il cappuccino. Se chiaro ancora meglio. Ma lo devono saper fare, altrimenti lo risputo nella tazza. Inoltre…
-Aspetta! –riuscii ad interromperla –Tu… ti prego, spiegami come hai… come hai fatto a capire che Carl non era da solo e come facevi a sapere che volevo venire a stare da te e… e come diavolo hai fatto a sapere che ho avuto un incidente e… che la spalla mi fa ancora male e… e che gioco a tennis!
-E’ inutile, non te lo spiegherà! –disse Carl, con una certa aria di superiorità.
-Perché non dovrei? –chiese lei.
-Perché con me non lo fai mai. –rispose Carl.
-Si, perché tu sei brutto. Invece il qui presente Muddy… lui èparticolarmente bello!
Arrossii violentemente e credo anche che lei se ne fosse accorta, ma non me lo fece pesare.
-Allora. –iniziò lei, sedendosi di nuovo sullo sgabello –Non ho sentito la porta che si apriva perché ero troppo impegnata nel mio lavoro, ma ho sentito benissimo l’odore di quella ridicola acqua di colonia che Carl si ostina a comprare nonostante faccia davvero schifo. Considerando poi il tanfo del sudore creato dal materiale acrilico della nuova camicia che gli è stata regalata dalla probabile nuova fidanzata che si mischia a quello della colonia è impossibile non riconoscerlo. Poi però ho sentito un altro odore: quello di tabacco. E un buon tabacco aggiungerei: pueblo, se non vado errando. Ho dedotto quindi che eravate in due. Domande?
Io la guardavo come un pavone guarda il cielo, con un misto di adorazione e paura. Vidi che Carl, imbarazzato come pochi, alzava una mano per chiedere il permesso di una domanda. Lei subito si allarmò.
-Per carità! –urlò lei –Non alzare tutto il braccio o sterminerai un’ intera popolazione!
Carl subito abbassò il braccio e, ancora più in imbarazzo di prima, fece la sua domanda.
-Come… come fai a sapere… che ho una ragazza? No, perché non ce l’ho! Io non… non ce l’ho e … e questa camicia me la sono comprata io e… -mentre Carl biascicava parole io ripensai che in taxi mi aveva detto che invece una ragazza ce l’ aveva. Perché mentiva?
-Senti, non dire cretinate. –disse lei, spostandosi i capelli dagli occhi –Vedo benissimo un succhioto fuoriuscire dal colletto della camicia. E la camicia ti è stata regalata dalla tua fidanzata visto che ci sono tracce di un lucidalabbra rosa sulla spalla destra, quindi deduco che stamattina, quando ti sei svegliato con lei al tuo fianco nel tuo letto ti sia messo quello sgorbio addosso per farla contenta e che lei ti abbia dato un bacio sul collo. Hai ripulito con un fazzoletto il segno del bacio ma sono rimasti attaccati alla tua pelle dei glitter. E non ti sei accorto che ne era rimasto un po’ anche sulla spalla. E inoltre ti ho sentito parlare con dei tuoi amici ieri e hai detto, se la memoria non mi inganna che non eri tipo da camicia perché poco pratica. Ho quindi dedotto che ti era stata regalata. Da chi non lo sapevo fino a quando non ho visto lucidalabbra e succhiotti vari.
-Colpito e affondato. –disse infine Carl.
Io, intanto, continuavo a guardare la ragazza come ipnotizzato.
-Quanto a te. –disse, concentrandosi di nuovo sul mio viso –Ho saputo proprio ieri che le camere erano finite e mentre lavoravo ti ho visto sgusciare fuori dalla reception piuttosto demoralizzato. Mi è bastato un secondo per capire che avevi scoperto della mancanza di camere. Sono tornata subito al lavoro e poi sei arrivato qui con Carl. Ho dedotto dunque, che Carl si era ricordato della nostra chiacchierata dell’ altro ieri nel quale lo mettevo al corrente del mio desiderio di avere un coinquilino. Ho collegato le cose ed ecco svelato il mistero. Fino a qui ci siamo?
Feci di sì con la testa.
-Okay, allora continuiamo. Riguardo all’ incidente: appena ti ho visto ho notato sul braccio destro una cicatrice che spuntava dalla manica e ho capito che dovevi aver avuto una sorta di incidente. Stradale perché, a quell’ altezza del braccio, te la saresti potuta procurare solamente strusciando sull’ asfalto cadendo di peso. Non sapevo se eri stato investito e se fossi stato su un mezzo fino a quando non ho notato dei calli sul palmo della mano che si formano quando qualcuno guida ogni giorno un mezzo a due ruote: un motorino, per l’appunto. Data la gravità della tua ferita ho capito che il motorino deve essere ridotto piuttosto male, quindi il meccanico. Per quanto riguarda il dottore, quello l’ho semplicemente chiesto per cortesia. Mi sono resa conto, però, che la spalla era più grave di quanto pensassi quando mi hai stretto la mano con la sinistra nonostante tu sia destro: tieni il cellulare nella tasca sinistra ma ho notato che hai sull’ indice della mano destra dell’ inchiostro probabilmente causato dalla pessima penna che Dorothy si ostina a comperare. Quindi sei destro ma il problema alla spalla è piuttosto grave quindi preferisci non sforzarla per premere tasti o stringere la mano: un problema ai legamenti, dunque. Inoltre la muscolatura del tuo braccio destro, che è maggiore rispetto a quella del sinistro, mi ha suggerito che pratichi uno sport che sforza particolarmente quel braccio e il tennis… mi sembrava la scelta più accurata. Ed ecco svelati i misteri. –terminò quel ragionamento con un sorriso angelico.
Io rimasi in silenzio ancora molto a lungo e stavo cercando di riassemblare tutti i pezzi del puzzle. Alla fine la guardai.
-Sei straordinaria… -riuscii a dire.
Lei, incredibilmente, sembrò arrossire e irrigidirsi.
-Beh… grazie! –disse –E’ la prima volta che qualcuno non mi manda a quel paese. Andremo d’ accordo, io e te. Piuttosto, Carl, smettila immediatamente.
-Di fare cosa?! –Carl, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, si irritò notevolmente.
-Di pensare, ovvio! Rischi di far venire un collasso a quel piccolo criceto che fa girare la rotella del tuo cervello che, tra parentesi, è rumorosa e mi infastidisce incredibilmente.
Scoppiai a ridere attirando su di me la simpatia di Cheyenne e l’ ira di Carl. In quel momento mi resi conto di una cosa. Scostò i capelli lunghi dalle spalle e notai quanto queste, a differenza delle altri parti del corpo, fossero muscolose. Immaginai che anche le braccia fossero forti ma non me ne potei accertare poiché Cheyenne indossava una maglietta oversize che le copriva un quarto di coscia. Mi chiesi se per caso facesse un qualche tipo di sport ma non glielo domandai per paura di sembrare indiscreto.
-Bene!- disse lei ad un certo punto –Se ti va andiamo pure a vedere il condominio, tanto non ho più niente da fare qui.
-Sì, certo!
-Beh, non mi sono ancora presentata come si deve. –disse lei –Mi chiamo Cheyenne. Cheyenne Holmes e sono la figlia del preside di questo posto.
 
 
  
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