Celia,
ecco l’unico nome con il quale era possibile attirare a sé gli occhietti della
piccola dai capelli ricci, simili alle onde tumultuose del mare.
Prospero
aveva tentato invano di convincerla a cambiare e lasciarsi alle spalle il passato,
iniziare a tal modo la loro nuova vita insieme, ma ogni tentativo era risultato
un totale fallimento. In cuor suo, l’incantatore sapeva che quell’innocente
bambina era la pura e candida Miranda che aveva sempre cercato.
Per
anni erano rimasti lontani e separati senza essere mai riusciti a specchiarsi
uno negli occhi dell’altra o abbracciarsi come padre e figlia.
A
loro tutto ciò era stato negato, e ora uno spiraglio di luce si stagliava al
loro orizzonte.
Celia
non era una bambina qualunque, una di quelle che piagnucola ad ogni più piccola
difficoltà, infatti Bowen non l’aveva mai sentita lamentarsi o piangere. Pareva
che ella possedesse un potere insito che, anche lontano da quel padre magico,
non l’aveva abbandonata.
Prospero,
in veste di divinatore però, aveva preso la decisione di aiutare quella bambina
visto che in fin dei conti era lo stesso sangue del suo sangue.
Lui avrebbe fatto rivivere quella leggenda, o
meglio, quel romanzo così remoto ma rimasto sempre vivo nel suo cuore.
“Io sono Prospero. Sono colui che
dovrebbe dirigere il Circo dei sogni. Però sono anche un uomo dal cuore puro che non viene roso dalla rabbia e
dal rancore. Troverò la mia bambina, Miranda. La pura e sacra.” Aveva sussurrato
al lieve e fresco vento che di solito si innalza al crepuscolo; il momento in
cui il sole muore nelle sue bellissime ceneri, lasciando posto alla sorella
luna, creata a sua immagine e somiglianza ma dalla fioca e debole luce. Erano
molto simili ma anche tanto differenti. Erano stati creati come monito per
l’uomo.
L’uomo è stato plasmato con le
sembianze di Dio, si narra. Però egli è come la luna che ogni notte cerca di
risplendere come meglio può senza mai riuscire a competere con i raggi
infuocati del fratello, e non è nemmeno consapevole che quel fievole barlume
che emana è proprio merito suo. La luna non lo odia; anzi, lo rispetta, anche
se ogni notte tenta di carpire il suo segreto. Quella sera il circo dei sogni
era stato fondato dal suo sommo direttore, nonché il mago più potente di tutti.
Si trattava di Eric Bowen. In arte, Cambio.
Prospero non aveva mai accettato
quell’uomo come suo capo, ma era stato costretto ad accogliere la cosa in
silenzio. Quella notte se ne stava lontano da tutti e contemplava i viandanti
desiderosi di perdersi in quel mondo di sogni. Solo la luna era capace di
aprire agli uomini un piccolo varco. Il varco che separa la vita reale, piena
di problemi e ansie, da quella dei sogni, ricca di avventure magiche e
sorprese.
Aveva
deciso che Celia sarebbe divenuta la degna figlia di un mago. L’avrebbe aiutata
a gestire il suo alto potenziale e lo avrebbe fatto solo ed esclusivamente per
la piccola, futura Miranda.
Col
passare del tempo Celia divenne una ragazza bellissima.
Erano
trascorsi tredici anni dal giorno in cui padre e figlia si erano incontrati.
Celia
ora era alta e dagli occhi vispi color smeraldo che cambia tonalità a seconda
della luce che lo colpisce. I capelli erano sempre rimasti ribelli e selvaggi.
Nel
crescere, la somiglianza col padre si era molto più accentuata, tanto che,
chiunque li vedesse esibirsi, rimaneva meravigliato e stregato dal loro
affiatamento e, in primis, dai loro capelli ed occhi, ribelli e furbi,
identici.
Tutti
i padri che guardavano Prospero e Miranda sognavano ad occhi aperti e
desideravano un rapporto simile con la propria figlia.
Celia era divenuta un’abile incantatrice
proprio come il genitore che in tredici anni l’aveva cresciuta con tanto amore
e affetto e le aveva dato tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare.
La
riccia era felice ed entusiasta della sua vita al Circo dei Sogni, secondo lei
quel nome era davvero azzeccato per quel posto.
Anche
lei la notte vagheggiava e il sogno che viveva era differente da paese a paese.
Aveva imparato a vivere pienamente dai cinque anni in poi, quelli vissuti
assieme al padre, il quale le aveva insegnato ad evadere dalla vita di tutti i
giorni semplicemente indossando un mantello.
Conservava
come un tesoro preziosissimo il mantello che le aveva regalato per i suoi dieci
anni. Era un mantello bellissimo, tutto color viola e decorato da lucenti
piccole stelle e su un lato da una mezzaluna brillante; se n’era innamorata
immediatamente.
Per
la giovane e bella Celia il padre era un eroe. Un modello da imitare, insomma.
Miranda,
alla morte del padre Prospero, sarebbe diventata la nuova direttrice del circo;
così era stato deciso, vista l’età del mago.
Bowen
le aveva sempre raccontato tante belle favole quando era ancora piccola, una di
queste riguardava la storia del loro circo.
In
passato, una storia segnata dalle grandi gesta del padre che aveva sudato e
dovuto affrontare le dodici fatiche pur di mettere su il suo grande sogno: il
circo, il luogo dove tutti possono esprimersi senza essere giudicati o derisi.
Le
aveva rivelato che era stato lui a decidere che fosse aperto solo di notte,
senza mai svelarle un importante particolare.
Inoltre,
le aveva raccontato una bellissima favola sulla luna e il sole, dicendole che
gli uomini sono come la prima, e solo grazie ad essa possono esprimersi senza
sentirsi inferiori a nessuno. La notte è il simbolo dei sogni, quelli che il
giorno sono così irraggiungibili.
Celia
era rimasta così estasiata da quei racconti incantati che mai avrebbe potuto immaginare
quale fosse la verità che celavano nel profondo.
“Tuo padre ha ucciso per diventare il
direttore. Questo lo sai vero?” Proferì un ragazzo dai capelli lunghi e neri
nascosto dietro un cespuglio, mentre attendeva l’affascinante Celia. Quest’ultima
adorava ammirare il tramonto e ogni giorno vedere quella fenice standosene
seduta ai piedi del suo albero preferito.
“Che
stai farneticando? So che vuoi allontanarmi da mio padre, per cui stai certo
che non mi farò abbindolare.” Affermò la riccia più decisa che mai, tuttavia
anche molto sconvolta.
“Vieni
con me. Ti mostrerò ciò che per anni è rimasto occulto a tutti.” La stava
palesemente invitando a scoprire una verità. Il dubbio iniziò a insinuarsi nel
cuore della ragazza e lentamente si diffuse fino a roderla del tutto.
“Va
bene. Dove andiamo?” Chiese Celia, ormai in balìa del ragazzo.
“Lo
scoprirai a breve. Seguimi.” La esortò con dolcezza e al contempo severità.
“Ok
Glenn, arrivo.”
Glenn
la scortò per un tortuoso e buio vialetto fino a condurla ad un auto.
“E’
mia, adesso saliamo e finalmente scoprirai la verità. Una realtà che per anni
ti è stata tenuta abilmente nascosta.” A quelle parole, a Celia raggelò il
sangue. Suo padre era un assassino?
Mentre
viaggiavano nessuno dei due fu molto loquace ma, prima di giungere a
destinazione, Glenn si decise a discorrere.
“Sai
chi sono vero?” Domandò molto velatamente. Celia sussultò e aspettò un paio di
minuti prima di parlare.
“Si
che lo so. Mio padre ti ha adottato anni fa, dopo il mio arrivo. Cosa c’entra
questo?” Chiese titubante e volse lo sguardo al finestrino. Il sole era già
calato e le prime stelle illuminavano la notte. C’era la luna nuova e quindi
non sarebbe stata lì a consolarla.
“Esatto.
Sai il mio vero nome?” Le chiese senza nemmeno degnarla di una risposta.
“Ovvio.
Hai preso il cognome di papà visto che non si sa chi siano i tuoi genitori. Il
tuo nome è Glenn Bowen.” Rispose un po’ più sicura. Su quel nome non aveva
nessun dubbio.
“Esatto.
Ma sai, Bowen è un cognome che mi spetta di diritto.” Sul suo volto si dipinse
un sorriso amaro che la giovane non riuscì a cogliere.
“Come??
Ma tu non sei figlio naturale di papà. Questo non è possibile!” esclamò
riacquistando molta della sua fermezza perduta.
“Ti
sbagli. Mi chiedo ora, conosci Eric Bowen?” Non appena ebbe finito di formulare
la domanda, a Celia crollò il mondo addosso.
“No.
Chi è?” Chiese con un fil di voce mentre una scossa le percorreva tutto il
sinuoso corpo.
“E’
mio padre. Eccoci, siamo arrivati.” E, detto ciò, più non parlò e andò ad
aprire la portiera ad una sconcertata Celia. Nella sua mente tanti pensieri si
affollavano e si perdevano gli uni negli altri. Un mare in tempesta, ecco cosa
c’era nella sua testa.
Mentre
uscì dall’auto, rimase stupita nel vedere il luogo dove Glenn l’aveva portata.
“Una
chiesa?” Domandò senza ricevere risposta alcuna.
Glenn
era già lontano e si adoperava per entrare dalla porta di ingresso adornata in
stile romanico. A New York erano poche, anzi quasi nessuna ad essere stata
costruita così. Quella chiesa era stata edificata col più bello dei tre ordini
romanici, quello corinzio; simbolo di purezza. Però all’interno era molto
particolare e rievocava lo stile con il quale fu edificato il Campidoglio,
l’opera più maestosa realizzata da un grande membro della massoneria.
Celia
entrò e seguì Glenn che si addentrava nella chiesa e pareva si muovesse quasi
conoscesse quel posto come le sue tasche.
“Dove
mi stai portando?” Chiese titubante e speranzosa di ricevere una risposta. La
sua melodiosa voce rimbombò e produsse un’eco assordante.
“Stai
zitta un secondo. La riconosci questa chiesa, vero?” Le domandò proseguendo
verso l’abside.
“Ehm
… Credo di si. Se non ricordo male, questa chiesa si chiamava -Santa Maria- in
onore della Madonna. Però venne abbandonata diversi anni fa, viste alcune
vicende rimaste tutt’ora molto poco chiare. Purtroppo io non l’ho mai potuta
vedere.”
“Wow,
sei davvero informata. Hai ragione su ogni fronte, dolcezza.”
Non
appena si sentì chiamare a quel modo, Celia sentì l’impulso di prenderlo a male
parole. Si frenò data la singolare situazione.
“Però!”
Continuò, guadagnandosi l’ascolto della giovane che, nel frattempo, si era
persa in tante insignificanti riflessioni.
“Il
nome è -Santa Maria -, hai ragione. E come reagiresti se sapessi che prima
questo era un tempio e che il suo nome era “Il tempietto della Luna”?”
Celia
trasalì. “Come? Hai detto “Tempietto della Luna”?” Domandò, accorgendosi troppo
tardi di aver fatto una domanda retorica davvero stupida.
“Vuoi
che te lo scriva?” Ridacchiò sadico.
“Spiegati
meglio, intendevo dire. Io non ci sto capendo più nulla. E poi, che ci facciamo
qui nell’abside?” chiese mentre osservava quella bellissima abside avvolta
nella penombra.
“Ti
facevo molto più intelligente, sai?” la stuzzicò senza sortire nessun effetto.
“Comunque, questo tempio fu fondato circa dieci anni fa dai nostri genitori.”
“Dai
nostri genitori?” Ripeté attonita.
“Credo
che tu abbia qualche problema all’udito, sai?”
Glenn
si avvicinò a Celia con fare per niente assicurante. Le accarezzò con una mano
la rosea guancia e lentamente iniziò ad avvicinare le sue avide labbra a quelle
candide di lei. Celia, non appena capì le sue meschine intenzioni, gli diede un
forte schiaffo.
“Ma
guardati. Stai tremando. So che tu mi vuoi.” Si leccò le labbra con la propria
lingua, suscitando in Celia un immenso disgusto. “Ma questo sarà un problema
che risolveremo solo in seguito. Adesso vieni.” Mentre Celia si stava toccando la
guancia, lì dove Glenn l’aveva sfiorata, quest’ultimo aprì un varco in quella
magnifica abside.
“No.
Non voglio.” Celia fece come per andarsene ma si sentì subito afferrata per il
polso con forza.
“Non
vuoi sapere la verità? Inoltre, ormai sei nel gioco e non puoi più scappare.”
Si avvicinò di nuovo molto pericolosamente e Celia riuscì a scorgere in quel
barlume di luce un ghigno che non prometteva nulla di buono.
“Hai
ragione.”
Scesero
per un tempo che a Celia parve non terminare mai. Il posto si faceva sempre più
polveroso, e per una che, come lei, era allergica non era affatto un toccasana.
“Etciù!
Ma quand’è che arriviamo? Io ho paura …” Disse con un fil di voce.
“Ma
guarda! La bella e avvenente Miranda ha paura. E’ così che ti ha educata tuo padre?”
Sentì
il sangue pulsare nelle vene più forte. Quell’insolente poteva dire qualsiasi
cosa su chiunque, ma non su suo padre.
“Stai
zitto.” Fece decisa e con gli occhi sbarrati.
“Scusami
tanto.” E prese a ridere forte, infischiandosene dell’ospite.
“Ma
… Qui si può vivere! Guarda! E’ pieno di quadri, poltrone … E’ tutto ben
arredato!” Esclamò esterrefatta indicando vari oggetti.
“Vuoi
venirci a vivere? Magari un giorno ci torneremo, sposati!”
“Smettila
di prendermi in giro.” Celia stava iniziando a perdere la pazienza e, di certo,
non avrebbe tollerato gli affronti di quel ragazzo ancora per molto.
“Tuo
padre ha ucciso Eric Bowen.” A questa frase, la povera Celia sussultò e si fece
forte, non doveva credere a quelle parole.
Glenn
mentiva spudoratamente, nondimeno era dubbiosa nel profondo del suo animo.
“Ma chi è questo Eric di cui stai
farneticando??” Chiese evidentemente irritata e innervosita.
“Sei
solo una stupida! Eric era mio padre, nonché tuo zio!”
Quelle
parole la ferirono come se fosse stata trafitta da mille lame.
“Sei
solo un bugiardo! Io me ne vado!” Urlò in preda alla disperazione e con le
lacrime che le solcavano il viso niveo.
“Non
piangere. So che non te ne andrai.” Disse accarezzandola e portando via con un dito
una piccola lacrima. “Eric Bowen fu il primo e vero fondatore del circo al
quale siamo tanto affezionati. Questa è una lettera, credo. Non ne sono sicuro,
ma qui ci sono le ultime volontà di mio padre. Non l’ho mai letta. Ho atteso
questo momento da tanto. La leggeremo assieme.” Continuò imperterrito
guardandola dritto negli occhi.
“Com’è
stato ucciso?” Domandò come se Glenn non avesse detto nulla circa quella
lettera che teneva stretta fra le mani.
“E’
stato tenuto prigioniero qui per anni. Bella fine vero?” Chiese sarcastico per
poi prenderla per un braccio. La fece accomodare su un vecchio divano situato
lì vicino e poco dopo si accostò, impugnando quel foglio.
“Tu
sei pazzo.”
“E’
proprio per questo che mi ami. Ora stai zitta e ascolta.” Aprì il foglio,
evidentemente stropicciato, e iniziò la lettura.
Il tempo stringe. Sono Eric Bowen. Mi
rivolgo proprio a te, figlio mio, affinché, se mai questa lettera giunga nelle
tue mani, tu venga a conoscenza della verità. Sei solo un bambino, ma già
scorgo quanto tu mi somigli circa l’avidità di sapere, la stessa che, però, mi
sta portando alla morte.
Sono rinchiuso nell’abside del tempio
che anni addietro ho edificato assieme al mio amato fratello, il Tempietto
della Luna.
“Quel
fratello che tanto amavi, proprio lui, ti ha fatto ciò.” Commentò stringendo
con le mani fredde quel piccolo foglio sgualcito. Sentendo quelle parole Celia
si agitò per poi calmarsi all’istante fulminata da un occhiataccia da parte del
moro. Glenn proseguì.
Sono sicuro che crescendo, Glenn, tu
vorrai sapere il più possibile circa tuo padre. Ecco, ora io chiarirò ogni tua
perplessità.
Tutto mi fa pensare che, maturato,
cercherai di scoprire di più circa il tuo passato, e sono certo che tutti gli
indizi ti porteranno a mio fratello. Ti prego Glenn, non accusarlo inutilmente
di colpe di cui non si è macchiato. Venni rinchiuso da coloro a cui stavo
scomodo. Come certamente saprai il primo direttore del circo fui io, ma devi
sapere che egli è soggetto ad un’altra figura di maggior rilievo,
l’amministratore.
Egli è colui che finanzia il circo. Io
non gli andavo più a genio. Avevo scoperto una cosa che, persino a me, era
risultata devastante e assurda. Zachary Galloway aveva …
Glenn
si interruppe di colpo e, nel sentirlo tremare e balbettare, Celia si avvicinò
per prendergli il foglio, però il ragazzo la fermò con forza.
“Che
hai? Perché non continui ora?” chiese spazientita e non più preoccupata. Aveva
scoperto l’innocenza del padre e questo le rasserenava l’animo e le bastava
appieno.
“Non
si legge più nulla. Il foglio sembra quasi che sia stato strappato. Non sto
capendo.” Affermò in balìa del più totale sconforto. Lui doveva sapere la
verità, a tutti i costi. “Dev’essere qui da qualche parte. Il pezzo mancante è
qui. Non ho dubbi!” Continuò e, dopo essere balzato in piedi, iniziò una
frenetica perlustrazione del luogo sotto gli occhi sbigottiti di Celia.
Trascorsero
delle ore così e Glenn non riuscì a trovare nulla.
Celia,
dispiaciuta, si alzò in piedi per andare a dargli il suo appoggio; avvenne
l’incredibile.
“Glenn!!
Vieni! Guarda!” Esclamò battendo i piedi a terra e indicando un libro che si
trovava proprio ai suoi piedi.
“Che
dici! Ho controllato tutti …” Si interruppe di colpo e sgranò gli occhi nel
constatare di che libro si trattasse. “Quel libro. E’ –The Tempest- di
Shakespeare!” Esclamò prendendo fra le mani quel volume molto antico e
polveroso. Ci soffiò sopra liberandolo della ruggine che per anni lo aveva
coperto e notò che il libro era rilegato come si era soliti cucirli tanti
secoli addietro. Osservò la copertina color caffè decorata elegantemente che
portava la scritta –The Tempest-, per
alcuni minuti rimase in silenzio quasi fosse stato stregato. Quando si decise ad aprirlo, Celia si
fece più vicina che mai, curiosa anch’ella di conoscere la verità.
Sfogliandolo con la massima delicatezza
giunsero a pagina ottantanove.
“Atto
IV, scena I” commentò Celia con lo sguardo bramante di sapere.
“Siamo fatti
della stessa materia con cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è
avvolta nel sonno …”
“Davvero bellissimo. Ricordo che papà mi leggeva passi tratti
da questo meraviglioso romanzo. Sin da piccola sono stata molto affascinata
dalle figure di Prospero e Miranda.” Sussurrò nell’orecchio del ragazzo che nel
frattempo pareva essersi paralizzato. Sul volto della ragazza si dipinse il
primo sorriso da quando era lì.
Glenn,
senza neanche risponderle, ripose il libro su un tavolo stante lì vicino e si
voltò di scatto in direzione della riccia. Giunto a sufficiente distanza, le
prese con delicatezza i polsi e, accortasi di ciò, Celia non oppose alcuna
resistenza; anzi, tenne lo sguardo fisso negli occhi di lui. I suoi occhi,
limpidi e luminosi, parevano così avidi e cupidi.
Lentamente, si avvicinarono l’uno all’altra e
si strinsero in un forte e caldo abbraccio.
Entrambi
sentirono una scossa travolger loro i corpi e dopo un po’ le labbra si
trovarono ad una distanza prossima allo zero.
Ambedue
agognavano quel contatto da tempo, anche se, in precedenza, nessuno dei due era
riuscito a concludere nulla. Ora che il segreto era svelato nulla si frapponeva
al loro amore, tenuto nascosto per anni, non solo al mondo, ma anche a loro
stessi. Le umide labbra rosee si sfiorarono delicatamente e, a quel minimo
contatto, entrambi sussultarono e si staccarono guardandosi negli occhi, senza
proferire parola.
Per
interminabili minuti rimasero specchiati l’uno negli occhi dell’altra.
Non
parlarono con parole bensì con solo lo sguardo.
Quando
si furono detti tutto, scaricarono quell’emozione che li aveva travolti con un
profondo ed intenso bacio.
Non
avevano trovato il pezzo mancante della lettera, ma entrambi avevano capito la
cosa più importante. L’uomo è fatto come i sogni, può svanire da un momento
all’altro; per cui bisogna far sì che questo sogno non venga sprecato, visto
che è uno solo. Non avrebbero passato la vita a cercare ossessivamente un
qualcosa che, molto probabilmente, nemmeno apparteneva loro; avrebbero passato
la vita a vivere. Vivere come due maghi, e amanti nel loro amato Circo dei
Sogni.