Dunque,
prima di iniziare a
leggere questa storia, è bene che sappiate che è
possibile considerarla uno
spin off delle mie FF sui Looney Tunes. Difatti, è previsto
un seguito di My oasis in the desert
(seguito a sua
volta di Put the fucking R in a place of
the fucking L) in cui potrebbero essere presenti i personaggi
ed i
riferimenti appartenenti a questa storia.
Questo era a titolo informativo.
Per una maggior comprensione
della storia in sé, invece, è bene che sappiate
cos'è la Legge di Murphy.
Si tratta di un insieme di detti
popolari a carattere ironico. Il primo assioma è quello che
riassume meglio la
natura di tutti i detti: Se qualcosa
può
andare male, lo farà.
In fondo alla pagina troverete
una serie di note, poiché ogni tanto cito tali detti
mescolandoli alla trama.
A questo punto, voglio
semplicemente dedicare questa FF a tutti coloro che supportano il
fandom dei
Looney Tunes, ed in particolare a Setsuka,
che me lo ha fatto conoscere. Grazie per il supporto.
Buona lettura.
Accelleratii
incredibus et Carnivorous vulgaris
Osava
spesso
definirsi il più grande aderente alla Legge di Murphy.
Inizialmente
non aveva effettivamente aderito; era
stato quel che potrebbe essere definito un membro inconsapevole e senza
libera
scelta.
Dalla tenera
età di otto anni, in cui aveva iniziato a passare ogni
mattina a raccogliere
toast imburrati dal tappeto, faceva parte di quel club che dalla gente
comune
era chiamato in modo abbastanza grottesco.
Club degli sfigati.
Parole
che
Wile non avrebbe mai usato.
Lui
preferiva definirsi, appunto, un concreto aderente e osservatore della
Legge di
Murphy.
Conviveva
con l’illusione di aver scelto tutto questo, ma in fondo
sapeva benissimo che
il fato agiva a discapito del volere altrui, e che gli aveva donato
l’aderenza
a questo club assieme ad una mente in grado di comprenderla appieno per
puro
caso.
Oh, certo,
da una parte questa sua caratteristica gli aveva fornito
notorietà sul posto di
lavoro; difatti era riconosciuto come il collaudatore ufficiale di
tutti i prodotti
in fase di brevetto.
Ma… lui era
un tecnico. Lui era un
dannatissimo,
preparatissimo, laureatissimo tecnico!
Non una
nastro trasportatore sulla quale passare (indifferentemente) sveglie,
oggetti
di scena, microfoni, ferri da stiro, cellulari, calamite, fionde,
fuochi
d’artificio, e molte altre cose, in attesa di verifica.
Ammetteva a
se stesso che, visti i suoi precedenti, non sarebbe mai dovuto andare a
lavorare ai Laboratori ACME.
*
Anni addietro,
si era dedicato con passione alla costruzione di macchine a moto
perpetuo (che
lo avevano da sempre affascinato) e aveva dunque fatto spesso ricorso
ai
cataloghi della ACME per trovare sempre nuovi oggetti. Il fatto era che
nulla aveva mai
funzionato.
Fionde che
non rimanevano mai attaccate alla loro base, sveglie che iniziavano a
saltellare e a sputare molle ovunque, palle da bowling che, invece di
scivolare
dolcemente sul pavimento, tornavano indietro per schiacciargli il piede
e gli
immancabili petardi a effetto a volte precoce, a volte ritardato, che
gli
avevano affumicato i capelli più di una volta.
Pur essendo
consapevole del proprio “magnetismo murphologico”,
aveva ritenuto impossibile
che la colpa di tutti quegli incidenti gli si potesse attribuire per
intero.
Aveva avuto la certezza che i prodotti ACME fossero per la maggior
parte
pericolosi e difettosi, e aveva immediatamente provveduto inviando
cortesi
lettere di protesta. Si era stupito di quanto fosse stato difficile
reperire il
loro indirizzo. Aveva pensato che ricevere lettere non doveva essere
una
consuetudine per quell’azienda; a maggior ragione, quindi, si
era convinto che
avrebbe ricevuto prontamente una risposta.
Quando,
però, tali lettere erano state ignorate, Wile aveva perso la
pazienza.
Si era
armato di cartelli con scritte in sfavore dei laboratori (nulla di
troppo
volgare, voleva essere preso sul serio) e si era appostato sotto le
loro
finestre, presentandosi anche con qualche fasciatura dovuta alle
bruciature.
Durante la
sua permanenza lì, aveva visto alcune persone lanciargli
occhiate curiose e poi
entrare nei Laboratori. Immancabilmente, alcuni dipendenti si erano
anche
affacciati alle finestre per guardarlo. Wile, però, non si
era sentito
esattamente trattato come un dimostrante.
Nessuno si
era lamentato della sua presenza lì, dei suoi occasionali e
brevi discorsi al megafono
(che mandava scintille; era ACME) o
degli insulti scritti suoi cartelli.
Si era
sentito osservato, studiato, come un ospite inatteso; e proprio quando
stava
per rinnovare il proprio disappunto, dal portone principale era uscito
un
ometto basso e totalmente calvo, con un gran sorriso stampato in volto.
Wile aveva
alzato un sopracciglio ed era rimasto imbambolato, vedendo
quell’ometto
dirigersi verso di lui con le braccia spalancate. Elmer
J. Fudd, aveva letto sulla targhetta applicata alla giacca in
velluto nero dell’uomo, quando questi gli aveva messo
entrambe le mani sulla
spalle.
Alla fine
dei conti, Wile gli aveva fatto pubblicità. Poca, certo, ma
pur sempre
pubblicità.
«Il nome di un’azienda rimane impresso nella mente delle persone per due motivi» aveva detto Elmer « perché è incredibilmente di successo, o perché è stata attaccata.»
E
quel
povero genio incompreso di Wile E. Coyote, non aveva saputo cosa dire.
Si era
sentito preso in giro, ma Fudd non stava affatto scherzando. Difatti
gli aveva
offerto del denaro per venire a protestare anche nei giorni successivi,
magari
portando con sé qualche amico.
E così era
iniziato il breve periodo da “dimostrante assunto”
di Wile, alla quale aveva
partecipato occasionalmente anche quello che poteva definire il suo
unico
amico. Bugs Bunny; e la faccia da schiaffi di quell’attore
così amato dal
pubblico che sostava di fronte alla ACME aveva prodotto una mole di
pubblicità
che persino la Ford avrebbe
invidiato.
Non ci era
voluto molto prima che Elmer venisse a sapere della preparazione
tecnica di
Wile e gli offrisse un posto fisso. In fondo glielo doveva, o almeno
così aveva
detto.
A Wile non
importava granché di questo particolare. Era stato felice di
essere stato
assunto in un posto che avrebbe messo alla prova le sue
capacità intellettive,
e che sicuramente gli avrebbe fatto guadagnare una posizione di
rispetto ( che
meritava, essendo un genio).
Non avrebbe
mai pensato che sarebbe diventato una sorta di manichino da crash test,
e che
avrebbe rinvenuto sulla propria scrivania dei biglietti da visita con
recante
la scritta:
Wile E. Coyote, super scemo.
*
Non era un
cacciatore, un sadico o cose simili. Difatti il suo intento era
semplicemente
quello di catturarli per poi liberarli.
I suoi avi.
Loro sì che erano cacciatori veri e propri, ma lui si
definiva di una razza
decisamente più evoluta. Anche perché la caccia
(sia come sport che come stile
di vita) non faceva davvero per lui.
Ricordava
con dispiacere i giorni in cui a soli undici anni era stato spinto, da
un’insana voglia di dimostrare la propria abilità
ai parenti, ad inoltrarsi
nella natura per poter sparare anche ad un solo, unico, pennuto.
E lo aveva
trovato.
Un Geococcyx californianus.
Un esemplare
piuttosto giovane, dal petto grigio chiaro e vaporoso, ed il becco
bluastro
abbastanza corto.
Si erano
guardati per un attimo negli occhi, e poi il volatile era corso via,
senza
nemmeno dare a Wile la possibilità di imbracciare goffamente
il fucile.
Qualcosa era
scattato nella sua testa, qualcosa che gli aveva impedito di prendere
di mira
qualunque altro esemplare. Per giorni era tornato su quel suolo
roccioso,
cercando quel roadrunner, ed ogni
volta che lo trovava doveva corrergli dietro perché per lui
sarebbe stato
impossibile sparargli da una lunga distanza.
Pareva quasi
che quel pennuto aspettasse solo lui, che lo prendesse in giro. Per
circa un
mese, prendere il volatile era stato l’unico scopo della vita
di Wile.
Si era
procurato graffi, aveva strisciato nella polvere, si era fatto persino
un
occhio nero per riuscire a prenderlo. E ce l’aveva fatta.
Aveva
sparato al roadrunner quando questi
stava tranquillamente beccando del mangime, messo lì proprio
da Wile. Dopo lo
sparo era stato catapultato nella polvere e qualche piuma si era
separata dal
vaporoso petto grigiastro.
Wile si era
diretto verso la vittima pieno d’entusiasmo, stringendo il
fucile tra le mani
tremanti. Ma poi, vedendolo, si era come svuotato. Il becco bluastro
era
rimasto semi aperto, gli occhietti neri si erano appannati, privi di
una
qualsiasi vivacità, quel bellissimo esemplare pareva non
essere mai stato vivo.
E adesso?
Aveva pensato, per poi trattenersi dal piangere.
Dopo
quell’episodio, Wile aveva appreso di non essere fatto per
uccidere, ma dentro
di lui si era instaurato uno scopo. Quello di catturarli senza fargli
alcun
male, osservali, e poi liberarli. Perché aveva appreso che a
l’unica parte
veramente soddisfacente di quell’episodio non era stato il
sparare il roadrunner, ma il
corrergli dietro per
in fine raggiungerlo.
I suoi
colleghi lo avevano definito uno strambo, ma lui aveva ribadito il
fatto di
essere semplicemente più intelligente ed interessato di loro.
Parlando
onestamente, avrebbe preferito passare la giornata circondato da delle
galline
piuttosto che da quei bifolchi dei suoi colleghi. Dio, quanto odiava
quel
branco di…
Era
una fortuna che la sua sedia fosse provvista di rotelle. Se fosse stata
un
modello comune, Wile si sarebbe probabilmente ribaltato per lo spavento.
In compenso,
il videoregistratore che stava assemblando per puro diletto si era come
smontato.
Vedendo due
granchi occhi neri che lo fissavano, capì cos’era
successo.
Wile fissò
Road, poggiando il mento sulla mano e battendo le dita sulla scrivania.
L’altro
lo guardò per qualche secondo senza sbattere le palpebre,
poi iniziò ad
osservare lo spazio attorno a sé, compiendo veloci e decisi
scatti con la
testa.
Wile si
sentiva alquanto irritato da Road e dal suo comportamento.
Quando gli
era stato presentato dal suo capo reparto, quest’ultimo era
parso molto
entusiasta di Runner. Il ragazzo non aveva detto una parola, e il suo
capo lo
aveva come affidato a Wile.
Dagli dei compiti, fatti ascoltare da lui,
insegnali il mestiere… sì, insomma, come se fosse
un tuo allievo.
Ed
era stata
quella parola ad impedire a Wile di ribattere.
Nella sua
mente era apparsa la sua immagine in vesti di professore universitario
con
tanto di blazer marrone con le toppe sui gomiti, con Road davanti che
prendeva
appunti ed prestava
attenzione. E Wile
adorava quando gli si prestava attenzione, anche se la cosa non
capitava di
sovente.
Ma già il
giorno stesso in cui gli era stato affidato questo compito, le sue
aspettative
erano crollate.
Si mise a
scrivere al computer, e parlò senza rivolgersi direttamente
a Road, ma
nascondendo la faccia dietro lo schermo, come a fargli intendere che
era
infastidito.
Osservò il
blocco di fogli con sguardo confuso.
Dopo qualche
secondo, Wile udì un veloce rumore di passi nel corridoio
che si faceva più
intenso e poi scemava, si
intensificava
e scemava ancora
Effetto Doppler; elementare. Pensò.
Quando udì anche un frusciare di fogli, però, decise di alzare un attimo la testa per osservare (dalla propria porta ancora aperta) il corridoio. Ciò che vide fu Road Runner che correva avanti e indietro, talmente veloce da lasciarsi scappare alcuni fogli dalle braccia, che, dopo un breve soggiorno in aria, finivano disordinatamente per terra.
L’uomo
iniziò ad inseguire il ragazzino nel tentativo di
acchiapparlo per poter
mettere la parola fine a tutto quel baccano, ma Road sembrava non farci
nemmeno
caso.
E così, come
ogni giorno da quando conosceva Road, Wile fu costretto a corrergli
dietro per
minuti interi senza riuscire a prenderlo e, come al solito, la cosa
finì
solamente perché Road si rintanò
nell’ufficio del capo reparto a fare
fotocopie, lasciando a Wile il compito di raccogliere e schedare i
documenti
sparsi per terra.
*
Aggiungevano,
inoltre, che svolgeva il proprio lavoro ad una velocità
sorprendente.
Su
quest’ultimo punto, Wile non aveva dubbi.
Tuttavia gli
sembrava che quel ragazzino si stesse prendendo gioco di lui. Ma forse
era
semplicemente uno sciocco a cui si doveva parlare usando dei cartelli
per farsi
capire, e Wile non intendeva abbassarsi al livello di uno stupido
semplicemente
per farsi ascoltare.
Anche il suo
coinquilino, Daffy Duck, lo sapeva, ma era l’unico a non
accettarlo.
Bugs guardò
l’orologio. Probabilmente a quest’ora Daffy era sul
set a cercarlo, sbraitando
contro tutta la troupe e urlando cose del tipo “Non sono
stato mai così
mortificato in tutta la mia carriera!”.
Sorrise e
tornò a guardare Wile.
L’uomo aveva
tra le mani un piccolo petardo (molto piccolo,
per fortuna) e se lo rigirava tra le mani osservandolo. Per
l’occasione
indossava dei guanti e degli occhiali protettivi, ma era come se
sapesse che
non sarebbero serviti a nulla.
Infatti,
senza che Wile schiacciasse il petardo o lo facesse cadere sulla
superficie
legnosa della scrivania, il piccolo involucro di cartapesta ed
esplosivo lanciò
un paio di scintille e scoppiò.
Bugs fece un
piccolo salto; Wile, invece, alzò gli occhi al cielo e
spense una piccola
fiammella che era nata sulla punta di una ciocca dei suoi capelli
castani. Lo
fece con un gesto che mise in evidenza la sua abitudine a certe
situazioni. Si
tolse un guanto, si leccò l’indice ed il pollice e
chiuse le due dita attorno
alla fiammella, come se stesse semplicemente spegnendo una candela.
Wile si bloccò e alzò un sopracciglio, fissando Bugs.
Disse tutto ciò con leggerezza e un sorriso dolce stampato in volto, come se stesse parlando di qualcosa di piacevolmente ovvio.
L’adoratore
di conigli iniziò a dondolarsi sui talloni.
Non come
lui. Modesto, pacato e con molteplici interessi che lo tenevano lontano
dal
manicomio.
Fece per
uscire ma si bloccò, come se si fosse dimenticato qualcosa.
Si diresse di nuovo
vero la scrivania di Wile e si sporse verso di lui.
*
Bugs, con i
suoi discorsi privi di senso costellati di piccoli e disgustosi
spezzoni di
vita quotidiana, intaccava semplicemente la sua calma. Forse riusciva a
farlo
perché tra loro c’era stata una sorta di relazione
fatta di occasionali
incontri a sfondo sessuale.
D’altronde,
Wile era sempre stato chiaro. Non era interessato alle relazioni
sentimentali o
alle convenzioni sociali; non aveva mai affermato di non essere
interessato al
sesso.
Bugs era
sempre riuscito, in un certo senso, a comprendere questo suo bisogno
senza
ricamarci sopra un discorso generale sulla moralità o sul
sesso come forma
d’amore.
Quel tipo
con i denti da coniglio non giudicava mai nessuno. Lui stesso aveva
avuto
innumerevoli relazioni fisiche con donne e uomini di cui sapeva a mala
pena il
nome. Non che fosse un poco di buono, semplicemente amava cambiare e
sperimentare.
Anche se, da
ciò che aveva potuto intuire, Bugs ora si dedicava
interamente alla “relazione”
con il suo migliore amico. E per quanto Daffy cercasse di nasconderlo,
alcune
cose erano trapelate da quella sua boccaccia anche in diretta
televisiva.
Femmine? Naaah. E’ più divertente uscire con
Bugs.
Ad ogni
modo,Wile era un po’ diverso da Bugs. Non andava pazzo per la
gente attorno a
sé, e non lo attirava l’idea di andare a letto con
un persona diversa ogni
settimana.
In fondo, la
cerchia delle persone che gli suscitavano attrazione non era
così estesa.
Oltre a
Bugs, aveva avuto qualche sporadico flirt di poca importanza, con
persone della
quale non rammentava nemmeno la faccia. Era sua piena convinzione che
(con
poche eccezioni) tutti attorno a lui fossero semplicemente degli
stupidi che
non comprendevano il suo brillante estro, per tanto tendeva a non
essere particolarmente
fisionomista.
Anche i suoi
colleghi erano per lui meno di niente. Non fosse stato per i cartellini
di
riconoscimento che usavano portare sul taschino della camicia,
probabilmente
avrebbe presto scordato i loro nomi.
Preferiva
riempire il suo cervello con qualche nozione interessante, piuttosto
che con
inutili volti e nomi insignificanti.
Forse era
l’irritazione.
No, non era
irritazione era qualcosa di simile…
all’insoddisfazione, alla frustrazione. Era
come se avesse qualcosa che gli sfuggiva continuamente dalle dita, un
bisogno
insoddisfatto che non sapeva spiegarsi e che non poteva saziare. Un
tormento,
un tormento privo di senso tra l’altro.
Quasi si
dimenticò di avere tra le mani un mini –televisore
che sarebbe potuto esplodere
da un momento all’altro, ma una lieve scintilla glielo
riportò alla mente.
Nello stesso
istante, Road fece il suo ingresso.
Teneva le
mani dietro la schiena, indossava una camicia azzurra a maniche corte e
dei
jeans. Non si adattavano molto alla sua capigliatura giovanile, ma
visto il
modo in cui li portava ( camicia abbottonata male e per metà
fuori dai pantaloni
) Wile immaginò che non
gli importasse più di tanto.
Evidentemente
non era stato mandato a fare una commissione o cose del genere, ma
aveva
semplicemente un momento libero.
E perché diamine quel moccioso veniva nel suo ufficio quando non aveva nulla da fare?
Quando
lo
vide poggiare le mani sulla sua scrivania ebbe come un fremito. Forse era
perché, a parte Bugs, nessuno gli
si avvicinava mai così tanto.
Non seppe
perché, ma prese a guardare le mani del ragazzino con
interesse, come se
avessero qualcosa di particolare.
Road iniziò
a fissare in modo insistente il mini –televisore che Wile
teneva tra le mani
(che sprizzava ancora qualche scintilla) e, prima che l’uomo
potesse
accorgersene, la prese lui.
Wile si
ritrovò spiazzato, mentre Road si rigirava tra le mani il
piccolo apparecchio
con entusiasmo.
Runner si
allontanò di un passo dalla scrivania, impedendo a Wile di
prendere l’oggetto,
e continuò tranquillamente ad osservalo con aria curiosa con
i grandi occhi
neri, senza sbattere le palpebre.
Non accadde
nulla.
Il mini –
televisore smise di sprizzare scintille, Road non prese nemmeno una
lieve
scossa, ne ci furono esplosioni di sorta.
Wile rimase
basito. Se lui avesse maneggiato a quel modo un oggetto tanto
pericoloso, come
minimo i suoi capelli sarebbero stati avvolti dalle fiamme. Ma anche
una
persona comune avrebbe preso come minimo una scossa elettrica
abbastanza forte
dal farlo desistere dal tenere in mano la fonte di essa.
Invece a
quel ragazzino non accadeva nulla, e lui non sembrava nemmeno rendersi
conto
della singolarità della cosa.
Wile non
seppe perché, ma il fatto, oltre che ad affascinarlo, lo
irritò terribilmente.
E ci riuscì.
Il piccolo schermo dell’oggetto esplose, facendo cadere a
terra pezzi di vetro
e sparando del fumo nero e delle scintille contro la faccia di Wile.
Gli
occhiali protettivi impedirono all’uomo di subire lesioni
permanenti al bulbo
oculare, ma non evitarono qualche piccola scottatura sul viso e una
ciocca di
capelli in fiamme (che fu tuttavia prontamente spenta).
Wile lasciò
cadere a terra il resto dell’apparecchio televisivo e non
disse nulla. Si
sentiva come… preso in giro.
Road lo
osservò con un po’ di preoccupazione negli occhi.
Era strano.
Sembrava un bambino che ha, per la prima volta in vita sua, assistito a
qualcosa di brutto.
Il ragazzino
allungò la mano verso il viso di Wile, ma questi gli
afferrò violentemente il
polso. Nel farlo, Wile avvertì come una sorta di scarica
elettrica, ma non di
quelle che era abituato a sentire di solito. Rimase muto, fissando quel
moccioso irriverente con occhi esterrefatti. Si sentì
stupito, spaventato ed
estasiato al tempo stesso, come se toccare la pelle di quel ragazzo
(anche se
con addosso dei guanti) fosse la cosa migliore che potesse capitargli,
l’unica
cosa bramata tutta una vita… una sorta di traguardo.
Si riprese
solo quando il giovane si liberò dalla sua presa ed
indietreggiò con aria adombrata.
Wile sbatté
un paio di volte le palpebre, come per tornare alla realtà.
Non gli era mai
capitato di sfuggire dalla propria dimensione a quel modo. Solitamente
vi era
come ancorato, e di questo ne faceva anche vanto; ma per la prima volta
in vita
sua si era ritrovato a sfruttare qualcosa che non sapeva di avere.
La fantasia.
Gli ci volle
qualche secondo per realizzare su cosa aveva fantasticato, e la
risposta si
trovava sulla soglia del suo ufficio, in procinto di andarsene.
Si voltò verso
di lui con aria offesa e… gli fece una la linguaccia, per
poi correre via. Wile
rimase in piedi, immobile e dopo pochi secondi udì
distintamente fruscii di
fogli e rumori di cose che cadevano provenire dal fondo del corridoio.
*
Wile
detestava quando Morfeo si rifiutava di accoglierlo fra le sue braccia,
perché
era cosciente del fatto che il cervello necessita di riposo costante, e
che se
questo gli viene negato i movimenti e le capacità cognitive
vengono gravemente
compromessi; e lui non poteva certo permettersi contrattempi del
genere, non
col suo lavoro, non con le nozioni che doveva ancora apprendere e
sviluppare; non
con tutti quei pensieri che vorticavano incessanti e che necessitavano
di
un’attenta analisi.
Scostò le
coperte e spense la sveglia. O meglio, consapevole del fatto che
probabilmente,
toccandola, sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole, la
colpì con il manico di
una scopa che teneva sempre accanto al letto.
Anche se era
abituato agli incidenti, voleva che casa sua subisse meno incendi
possibili.
Arrivato in
salotto, dovette fare attenzione a non pestare il trenino elettrico in
movimento, ed evitare le tessere di domino disposte verticalmente e che
formavano un percorso ben delineato.
Oltre a
quello, c’erano vari interruttori a cui bisognava prestare
attenzione. Alcuni
erano lì, in attesa, da talmente tanto tempo che Wile
faticava a ricordarsi
cosa avrebbero scatenato se fossero stati azionati.
Sul tavolo
da pranzo erano sparpagliati vari progetti, e con essi oggetti da
disegno, come
righelli e matite.
Una volta vi
lavorava anche nei momenti di pausa in ufficio, ma aveva presto capito
che non
poteva farlo.
Ogni qual
volta i suoi colleghi lo vedevano con tutto quel materiale da disegno,
osservavano con un sopracciglio alzato i progetti ed esclamavano:
Cos’è? Una specie di macchina
del tempo?
Che fai, Coyote? Costruisci le sorpresine
degli ovetti?
Solitamente,
ogni mattina beveva una tazza di caffè nero, sistemava delle
casette per
uccelli colme di mangime fuori dalla finestra, caricava correttamente
tutti gli
orologi presenti in casa ed, in fine, lavorava per qualche minuto ai
propri
progetti, per poi andare al lavoro.
Ma quella
mattina non riuscì affatto a ragionare sui suoi lavori. Un
certo suono, che
continuava a riecheggiargli nella
testa,
glielo impedì.
E quel suono
era:
Me! Me! Seguito da una sonora
linguaccia.
Il ragazzino
gli dava le spalle, ed era impegnato a mettere in ordine alcuni
raccoglitori.
Wile si era
come bloccato, ed era rimasto a fissarlo fuori dal portone in vetro.
Quando Road
si era allontanato, Wile aveva per un attimo potuto scorgere la propria
espressione riflessa nel vetro. Ed
era
un’espressione quasi animalesca, i suoi occhi castani erano
ancora impregnati
di… desiderio? Era
quello che aveva
visto nel proprio riflesso?
Era
trasalito ed era praticamente corso via.
Si sedette su una
panchina e si mise a fissare il cielo, disegnando e cancellando delle
disequazioni immaginarie. Iniziò anche a parlare da solo.
Vide Bugs
comodamente seduto sull’erba, che lo guardava sorridendo.
Smise di
guardarlo e ritornò a sedersi normalmente.
Acquistò una posa austera e parlò a
Bugs, tenendo però lo sguardo fisso davanti a sé.
Lui, che
solitamente si ritrovava a ragionare coscienziosamente e a mente fredda
su ogni
tipo di problema, in quel momento di sentiva in balia di qualcosa che
non
sapeva spiegare.
Lo odiò.
Bugs mise le
mani sui fianchi e lo guardò scuotendo la testa.
Certo che in
quanto orgoglio e vanità, Wile avrebbe potuto quasi
raggiungere Daffy. Bugs si
domandò se non fossero proprio quelle caratteristiche a
rendere un uomo
attraente ai suoi occhi, visto che aveva avuto una relazione con Wile e
quella
con Daffy era ancora in corso.
*
Come ogni
giorno, lo aveva salutato con un quasi impercettibile cenno della mano,
e si
era aspettato che, come ogni giorno, Road avrebbe mosso la testa con
uno scatto
in segno di risposta.
Invece,
nonostante lui avesse compiuto quello sforzo sovraumano che era
salutarlo
normalmente, Road si era voltato dall’altra parte con aria
offesa e si era
allontanato.
Wile aveva
dovuto trattenersi dal corrergli dietro; forse perché oramai
quella di
inseguirlo era diventata una sorta di abitudine, o forse
perché iniziava a non
poterne più fare a meno.
La medesima
cosa accadde il giorno dopo. E il giorno dopo ancora… e
anche quello
successivo.
Odiava che
ciò accadesse, perché gli sembrava di aver perso
tutto ciò che lo rendeva
migliore degli altri.
Ma non
incolpava se stesso, ovviamente. Incolpava quel dannato lobo del
cervello che
faceva sì che l’istinto prevalesse talvolta sulla
ragione, incolpava quella
macchina sforna – ormoni che era il corpo umano, incolpava
soprattutto quel
ragazzino che, con fare innocente, gli era stato attorno per
giorni… prima di
decidere di ignorarlo completamente!
Si trattava
pur sempre di un ragazzino, per di più con un aria non molto
sveglia, chissà
cosa poteva aver pensato.
*
La mensa era
l’unico posto in cui era certo di incontrarlo; ed era anche
sicuro che,
notandolo, Runner non avrebbe certo lasciato il proprio cibo nel piatto
semplicemente per allontanarsi da lui. Lo aveva già visto
mangiare. Era un vero
ingordo.
Si ritrovò
seduto ad un tavolo con altri due colleghi. I cartellini riportavano i
nomi di
“ Bryce” e “ Arnold”.
Wile non
avrebbe saputo dire se corrispondevano al vero, ma volle fidarsi di
quei
rettangoli plastificati.
Quando lo trovò,
non poté fare a meno di sentirsi un po’ agitato.
Era seduto
ad un tavolo da solo e teneva lo sguardo basso. Stava mangiando una
pannocchia,
mordendola in stile “Jerry Lewis alla macchina da
scrivere”. Qualche chicco gli
rimaneva attaccato alla faccia e lui, prontamente, lo staccava e se lo
mangiava.
Wile non
riuscì a capirne bene il motivo, ma gli venne voglia di
portargli un vassoio
ricolmo solo di chicchi di gran turco per vedere a quale
velocità li avrebbe
mangiati.
Alla fine
attribuì questo suo pensiero alla sua ossessione per le
casette per uccelli per
i volatili (il nome del ragazzino continuava a ricordargli lo studio
dell’ornitologia).
Sospirò e si
alzò. Certo, non gli andava di fare le sue
“scuse” (come se le virgolette
immaginarie cambiassero la parola) davanti a tutti, ma se davvero
voleva
(doveva) farlo non c’era scelta.
Il ragazzino
si voltò verso di luì. Gli ci vollero due secondi
per accigliarsi, per
trasformare quel viso giovanile un po’ assente, in quello di
un moccioso
indispettito.
Wile si
passò una mano sulla faccia, per poi fermarla sulla bocca.
Le sue parole
uscirono leggermente ovattate, ma del tutto comprensibili.
Si tolse la
mano dalla bocca e guardò Road dritto in faccia.
Li guardò
con circospezione e poi tornò a guardare Road. Con sua
grande sorpresa, il
moccioso aveva preso un tovagliolo, e ora ci stava scrivendo sopra
qualcosa.
Ti sei
voltato e non sono riuscito a leggerti le labbra, e comunque non sono
tanto
bravo.”
Road si
guardò attorno confuso e intimorito, Wile serrò i
pugni e uscì.
*
Sordo. Quel
ragazzino era sordo.
Ecco perché
non gli ubbidiva mai, ecco perché quella volta in cui gli
aveva detto “Corri!”
guardandolo in faccia, lui lo aveva fatto. Ecco perché
sembrava non capirlo,
perché lo guardava sempre con aria confusa.
E i suoi
colleghi… loro lo sapevano.
Glielo
avevano tenuto nascosto.
Fino
all’ultimo, avevano aspettato che lui si mettesse in
ridicolo, sfruttando la
sua inconsapevolezza.
Curioso.
Negli ultimi tempi la sua mente era stata occupata quasi totalmente
dalla sua
immagine e da quel suo Me!, ma non
una volta aveva pensato a cosa potesse realmente significare quella
strana
peculiarità.
Forse era
l’unica parola che Road era capace di pronunciare
correttamente… forse…
Sentì un
colpetto sulla spalla e trasalì.
Girandosi,
si ritrovò davanti ad un foglio di carta, con sopra scritte
delle parole in una
calligrafia piuttosto elegante e concisa. Svelta,
era la parola giusta.
Wile rimase
talmente attonito da non poter far altro che annuire. Il ragazzino si
sedette
accanto a lui. Tra le mani reggeva un blocchetto per gli appunti, con
annessa
una penna blu.
Prima che
Wile potesse fare una qualunque cosa, Road si mise a scrivere.
Non aveva
intuito di essere stato preso in giro quanto lui, e non temeva di fare
domande,
a costo di sembrare un po’ sciocco.
Wile indicò
il blocchetto, e Road glielo passò.
Con una
calligrafia rude, scomposta e totalmente diversa da quella del giovane,
Wile
scrisse la propria risposta.
Solo
dopo averlo
scritto e mostrato a Road, si rese conto che forse la parola problema
avrebbe potuto
urtare il ragazzo.
Quest’ultimo,
però, non sembrò affatto turbato.
Scrisse.
Road rimase
basito per qualche secondo, perché nell’urlare
quella parola Wile si era sporto
di scatto verso di lui, e ora il ragazzino poteva quasi specchiarsi nei
suoi
occhi marroni.
Road provò
un moto di simpatia per quell’uomo di circa diciassette anni
più grande di lui,
che prima lo guardava basito, col viso vicino al suo, e poi si ritraeva
velocemente mettendosi le mani nei capelli come se avesse appena fatto
qualcosa
di stupido o sbagliato.
Sembrava
come mezzo matto.
Lo trovò
divertente, specialmente quando lo vide scrivere in maniera tanto
frettolosa e
nervosa.
Inoltre, in
quel momento gli era così vicino, che temette di staccare di
nuovo i piedi
dalla realtà per ritrovarsi in chissà quale
fantasticheria.
Prese un
foglio.
Nel vedere
Road con quell’espressione che oscillava tra
l’indispettito e l’intimorito, che
stringeva al petto il blocco degli appunti, riuscì a pensare
solo:
Okay, sapeva
che se il ragazzino gliel’avesse stretta, probabilmente la
sua coscienza sarebbe
volata via per qualche tempo, facendogli assumere
quell’espressione famelica che
tanto odiava, ma d’altro canto era possibile che Road si
offendesse nuovamente
se lui non avesse…
Non riuscì a
finire di pensare. Con cosa avrebbe dovuto farlo? Col cervello? Troppo
tardi,
era andato in frantumi nel momento in cui il ragazzino lo aveva
abbracciato.
Sentì le
braccia del ragazzino che lo stringevano, la sua testa sul petto, il
torace del
più giovane che si alzava e si abbassava a ritmo con i suoi
respiri.
Si sentiva
come se fosse in procinto di esplodere per il troppo calore. Quasi
involontariamente
sollevò le proprie braccia tremanti e le lasciò a
mezz’aria.
Dentro di sé
disse una cosa un po’ stupida, ma che rappresentava appieno
ciò che gli stava
accadendo.
Wile notò
che stava scrivendo qualcosa, ma l’unico pensiero che
riuscì a partorire fu.
Gli
venne la
grande tentazione di alzarsi in piedi e circondare le spalle di Road
(non seppe
perché, gli venne in mente il termine catturare).
Tuttavia non ebbe tempo di mettere in atto queste sue intenzioni,
perché Road
si girò all’improvviso verso di lui e gli porse un
foglietto.
Lo guardava
fisso, con gli occhi spalancati, come se gli stesse dicendo: Prendilo! Prendilo!
Wile diede
retta a quelle tonde iridi nere, e mentre il ragazzino si allontanava,
l’uomo
notò che sul foglietto era recato un numero di cellulare.
*
Dling!
Wile non
avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe detto
una
cosa del genere a proposito di Road Runner ma…
Non avevo mai visto una sveglia esplodere
così, eppure quando l’avevo in mano io mi sembrava
a posto. Dovresti procurarti
un casco, i tuoi capelli prendono sempre fuoco.
Comunque, tutto bene?-
Inoltre,
sperava davvero che non gli rispondesse, poiché alla fine di
ogni messaggio
Road poneva una domanda, e Wile si trovava costretto a rispondere a sua
volta.
Le sue
speranze furono vane.
Casa tua invece non è un luogo per riposare,
vero? Qualche giorno fa mi hai detto che a casa tua ci sono i trenini
elettrici, devono fare tanto rumore (a dire il vero io non lo so con
certezza,
però i treni grandi producono tante vibrazioni, forse lo
fanno anche quelli
piccoli?), deve essere una casa buffa, come te. Lo è?-
Wile aveva
scoperto che andava spesso nel suo ufficio anche quando non era
richiesto
perché trovava interessante vederlo lavorare con tutti
quegli oggetti che, puntualmente,
si mettevano a saltare, esplodevano, emettevano rumori forti e via
dicendo, e
tutto questo provocava delle vibrazioni, cosa che Road adorava. Esatto,
adorava
avvertirle, poiché lo rendevano più partecipe di
ciò che gli accadeva intorno.
Wile aveva
anche scoperto che era quello il motivo per la quale Road diceva spesso
Me!
Oltre al
fatto che era l’unica parola che era riuscito ad imparare
prima di perdere
l’udito, adorava l’effetto che faceva sulle sue
corde vocali. Per questo si
metteva quasi sempre tre dita sulla gola ogni volta che la diceva, per
lui era
come giocare con un mixer.
Wile aveva
trovato la cosa piuttosto infantile, ma non era riuscito, tuttavia, a
sentirsi
infastidito.
Di norma,
qualunque tipo di comportamento stupido, infantile, illogico o anche
solo senza
uno scopo costruttivo preciso, lo urtava (anche se leggermente). Nel
caso di
Road, invece, era riuscito a vedere quella sorta di gioco semplicemente
come
qualcosa di innocente e… simpatico.
Sì, lo aveva
trovato simpatico e la cosa lo straniva molto.
Non era
cambiata la sua visione del mondo. Le cose irritanti rimanevano tali,
semplicemente Road riusciva a non farle sembrare più così irritanti.
Perché quel
ragazzino era… era come un sorta di filtro. Tutto
ciò che arrivava da lui, che
passava attraverso di lui pareva migliore.
Fu ridestato
dai propri pensieri da un colpetto sulla nuca. Corrugò le
sopracciglia e si
voltò.
Si ritrovò
davanti Road con un foglio in mano e gli occhi vivaci spalancati.
Wile si
trattenne dal ridere. Temeva che Road potesse offendersi.
Tirò fuori un foglio
spiegazzato dalla tasca e una penna dall’interno della
giacca. Oramai era
abituato a portarsi dietro qualcosa con cui scrivere, dal momento che
non
conosceva il linguaggio dei segni e quello era l’unico modo
per comunicare con
Road.
E Wile ci
teneva molto a comunicare con lui.
Wile era buffo anche se molto intelligente, e non lo annoiava mai, perché gli accadeva sempre qualcosa di nuovo. Road l’aveva visto una volta nel cortile sul retro che tentava di attirare dei passerotti con del mangime per poi potergli fare delle foto. Gli uccellini erano arrivati, avevano divorato il mangime e aveva svolazzato attorno alla testa di Wile per poi dileguarsi. Ovviamente l’uomo non era riuscito a fare mezza foto. Se per Wile quella non era stata esattamente un bella esperienza, Road l’aveva trovata una cosa curiosa, e lui per natura adorava le cose che suscitavano curiosità.
Era anche per questo che aveva imparato a leggere e a scrivere prima dei cinque anni, ed era per questo che aveva deciso di lavorare come stagista alla ACME. Esisteva un posto più vario e strano di quello?
Bè, forse. Da come gliel’aveva descritta Wile… la casa di quel buffo genio doveva essere un posto davvero interessante.
Dopo
trentasette giorni, Wile non gli aveva ancora restituito
l’abbraccio!
*
Gli
caddero
a terra cinque cose contemporaneamente. Solitamente non accadeva mai,
perché
aveva imparato a tenersi stretti gli oggetti come se fossero dei figli
(farli
cadere portava dolore e tanti soldi) ma questa volta fu colto
totalmente alla
sprovvista. E un frullatore, una trottola di metallo, una coperta
elettrica,
una pistola finta ( di quelle di scena, che sparano a salve) e una
fionda con sopra
la faccia di Bart Simpson finirono a terra. Straordinariamente nessuno
di
quegli oggetti gli cadde sul piedi o appiccò un incendio, ma
Wile non ci badò
nemmeno.
Dinnanzi a
lui c’era Road.
L’uomo coi
dread era rimasto basito di fronte a delle parole scritte su un foglio
che il
ragazzo teneva tra le mani.
Era la
richiesta a lasciarlo interdetto.
Wile prese
un blocchetto degli appunti e vi scrisse una risposta con un
calligrafia un
poco tremante.
“ Una casa è come il suo proprietario, dicono. Se ti somiglia, sono curioso di vederla.”
Si sistemò
la fascia che gli teneva indietro i dread con un gesto volutamente
elegante e
poi incrociò le braccia.
Si girò
verso di lui e, quasi senza pensare, fece un segno affermativo con le
dita,
unendo l’indice ed il pollice. Road sorrise di nuovo e,
frenetico, scrisse sul
foglio un orario che potesse andare bene per recarsi da lui e Wile gli
diede
una rapida occhiata e poi annuì, riuscendo solamente a
pensare al complimento
che gli era stato fatto, e continuando a gongolare.
Solo quando
Road corse via mandando in confusione i corridoi, Wile si rese conto
del fatto
che casa sua poteva anche essere considerata una trappola mortale, e
Road aveva
il vizio di toccare ogni cosa.
Passò il resto della giornata lavorativa a pensare a come rendere innocua casa sua.
*
Come avrebbe
potuto pensare lucidamente nella sua dimore, da quel momento in poi?
Avrebbe
potuto riflettere sulla teoria delle stringhe, sedendosi sul divano
dove si era
seduto anche Road? Oppure, avrebbe ancora potuto progettare i suoi
macchinari,
disegnando sul tavolo dove Road aveva poggiato le mani?
Avrebbe
formulato un’altra decina di questi pensieri, se non fosse
stato bruscamente
interrotto da quella che li per li gli era parsa una visione surreale.
Aveva
assistito ad uno spettacolo a suo dire patetico.
Senza
accorgersene aveva sostato davanti agli studi cinematografici. Se se ne
fosse
reso conto, di certo si sarebbe allontanato il più presto
possibile.
«Daffy! Si può sapere dove stai andando!?»
Era quello
di una ballerina di can can. Rosso fuoco, pieno di pizzi, e con un boa
di
struzzo che gli circondava le spalle e arrivava fino ai polsi,
ricadendo
dolcemente. Sulla testa aveva una piccola banda argentata, con in cima
una
piuma rossa e nera, e ai piedi delle scarpe col tacco rosso scuro.
Camminava
con passo svelto, creando una sorta di effetto svolazzante per via di
tutta la
roba che aveva addosso.
Daffy si
ricompose velocemente, annodandosi anche il farfallino e fece per
andarsene.
Passando accanto a Bugs fece un gesto di sufficienza con la mano verso
Wile.
Si avvolse
nel boa di struzzo e assunse un aria disinteressata.
Eppure il
principale pensiero dell’uomo non era quello di prendere Bugs
a pugni. Nella
sua mente si era annidato un tarlo fastidioso,
che Bugs nelle settimane precedenti aveva tentato
d’inculcargli solo per
divertimento; ma le parole di Daffy erano riuscite a farglielo sentire
molto
chiaramente, quel tarlo che ora sembrava mordergli la mente.
"Pedofilo!"
Era attratto
da Road (molto, molto attratto) e
dal
momento che quest’ultimo aveva diciotto anni compiuti, non
poteva assolutamente
definirsi un bambino, per tanto Wile non meritava di essere appellato
con quel
termine disgustoso!
Ma poi
perché dava credito alle parole di Daffy Duck? Mai in vita
sua gli era
importato del parere di qualcuno, men che meno di quello di
quell’attore
starnazzante.
E allora
perché non riusciva a smettere di pensarci?
Perché stava prendendo seriamente
quella parola?
*
Spense
tutti
gli interruttori che riuscì a scovare, tolse tutte le
tessere del domino che si
trovavano in testa alle altre (in modo da evitare
un’eventuale accensione) e
cercò anche di creare un percorso attraverso il salotto.
Quest’ultima azione
richiese parecchia concentrazione e molti tentativi.
Dopo essere
riuscito a rendere la casa sicura almeno in parte, Wile non era
riuscito a
distrarsi in altro modo.
Stava
cominciando a sentirsi… sbagliato.
Sentiva che ciò che Road gli aveva chiesto era sbagliato, il
fatto che lui
avesse accettato era sbagliato… sentirsi così
ansioso e (sì) euforico era
sbagliato.
Per la prima
volta da quando si era reso conto della propria attrazione per Road,
aveva
realizzato di essersi come umanizzato (cosa piuttosto fastidiosa) e
questo gli
aveva permesso di avvicinarsi al ragazzino in maniera abbastanza
naturale, ma
non gli aveva concesso di riflettere a mente lucida su ciò
che stava facendo.
Fino a quel
momento non aveva mai realmente dato importanza
all’età di Road.
Perché
avrebbe dovuto? Non aveva certo pianificato di avere a che fare con lui
in modo
tanto coinvolgente; per lui, inizialmente, quella era stata una
semplice
fantasia dovuta ad un’animalesca attrazione sessuale che
sarebbe rimasta, appunto,
una fantasticheria.
Questo era
quello che il suo cervello geniale aveva pianificato, ciò
che era accaduto in
seguito era stata colpa (merito) della parte primitiva del suo
encefalo, del
tutto fuori dal suo controllo.
E per
qualche momento, lo ammetteva, gli era piaciuto dare spazio a quella
sua parte
primitiva; a Coyote, per
così dire.
Solo ora si rendeva conto che quella parte di lui si era ridestata per
quello
che non era nulla di più di un ragazzino.
Il fatto che
legalmente fosse un adulto, non lo includeva necessariamente nella
categoria.
Era innocente, ingenuo, una persona che sorrideva anche guardando fuori
dalla
finestra, che non esitava ad essere felice e che adorava stare in mezzo
alle
persone.
Dentro di
sé, Road era come un bambino.
Tutto ciò,
Wile lo adorava. E per questo, si sentiva in colpa.
*
“Tutto bene?”
Ultimamente
lo faceva, perché Wile aveva insistito, dal momento che si
era ripromesso
d’impararlo. Non era facile, per niente. Conosceva solo i
termini più semplici,
e Road lo capiva. Perciò si limitava ad usare quelli di
tanto in tanto.
“ Certo che sì.”
Il ragazzo
doveva ammettere con se stesso di esserci rimasto molto male. Gli
piacevano le
attenzioni di Wile, erano momenti
di
allegria e divertimento che spezzavano la noiosa routine quotidiana, ma
quel
giorno gli erano state negate.
Non poteva
sapere che Wile si era trattenuto a stento, logorato da una specie di
senso di
colpa e da un certa, disgustosa parola; per cui Road si era
semplicemente
intimorito un po’. Era anche un po’ triste,
perché forse quel malumore di Wile
era causato dalla consapevolezza della sua imminente visita.
Forse l’uomo
aveva accettato senza pensarci, e ora si era reso conto di non volere
affatto
la sua compagnia.
Si chiuse un
poco in se stesso. Wile lo notò quando vide che Road non lo
stava più fissando
con i grandi occhi neri spalancati.
Osservò
rapito le piste di trenini (purtroppo spente) alcune anche appese al
soffitto.
Il pavimento
era decorato da tessere di domino in posizione verticale (eccetto
quella in
testa e in coda alla fila) e di piccole
macchine a moto perpetuo dalle forme più svariate. Alcune
erano fatte con una
sequenza di palline, altre erano a forma di delfino, altre di ruote. In
quella
stanza c’era un movimento costante, e a Road infondeva una
certa pace.
Difatti lui
era solito mostrarsi irrequieto e correre all’impazzata nei
posti meno
movimentati o che, secondo lui, necessitavano di una piccola scossa. In
ufficio
teneva sempre quel tipo di comportamento per questo. Se tutto era
immobile e
silenzioso sentiva il bisogno di ravvivarlo.
Una delle
ragioni che lo avevano spesso portato nell’ufficio di Wile,
erano i continui
rumori e scoppi, che facevano di quelle quattro muro una posto
totalmente
diverso dagli altri all’interno dell’edificio. Un
posto che gli piaceva molto.
Ovviamente
sostava spesso lì anche per le vibrazioni, e
constatò che ne riusciva a sentire
in quantità anche dentro quella casa. Le sentiva provenire
dallo sbattere
continuo di quelle palline a moto perpetuo. Probabilmente
ciò accadeva perché
quest’ultimo poggiava praticamente sulle piastrelle del
freddo pavimento. Road
si chiese se non fosse stato Wile a costruire quell’affare.
Il ragazzo
si girò verso Wile e fece il segno dell’OK con la
mano. Si accorse solo dopo
che l’altro aveva distolto lo sguardo.
A quel punto
Road si sentì un poco offeso, ma più di tutto si
sentiva triste. Ripensò con
ansia a quanti giorni erano passati da quando aveva abbracciato Wile.
Ne contò
quarantacinque.
E in quel
lasso di tempo Wile non solo non gli aveva restituito
l’abbraccio… ma forse si
era anche stancato di lui.
A quel
pensiero, Road ebbe una sorta di brivido. Sapeva di essere abbastanza
infantile
da quel punto di vista, ma non gli piaceva che venissero a mancargli
attenzione
e affetto, e odiava che qualcuno ce l’avesse con lui. Aveva
provato questa
sensazione quando i suoi colleghi gli avevano raccontato quelle bugie
su Wile,
e quando era accaduto quello strano episodio nel suo ufficio. Solo che
era
stato diverso all’ora. Era convinto che Wile fosse in torto
e, anche se gli era
dispiaciuto, si era imposto di mostrare il suo disappunto e non
rivolgergli più
la parola.
Ora, invece,
aveva la sensazione di aver fatto lui qualcosa di sbagliato.
Non aveva
idea di che cosa avesse fatto, però. E come poteva, se Wile
non gli diceva
nulla!? Quest’ultimo si era appena seduto sul divano. Pareva
pensieroso e
distaccato, si teneva la testa tra le mani e si mordeva le labbra.
Senza che
Wile se ne accorgesse, Road si ritirò in cucina con le
braccia rigide lungo i
fianchi.
L’altro
stava ancora riflettendo, ed iniziò anche a pronunciare le
parole ad alta voce
senza accorgersene (non che importasse, dal momento che Road non poteva
sentirlo).
Wile sbarrò
gli occhi e si issò in piedi.
Nello stesso
momento video Road sbucare dalla cucina e osservare i trenini con aria
estasiata.
Inoltre
aveva riposto un post – it vicino ad esse dove aveva scritto riattaccare! Non era un invito, ne un
promemoria. Era una sua abitudine anche quella. Su alcuna bottiglie
vuote c’era
la scritta riempire, sul cestino
della spazzatura buttare e sul
mobile
dello scolapiatti riporre.
Lui sapeva che quelli non erano
inviti,
Road no. Quindi il ragazzino aveva messo in moto quella specie di campo
minato.
Si fece
strada tra le tessere di domino, facendone inavvertitamente cadere un
fila, il
che fece venire i brividi a Wile. Road allungò una mano
verso la ferrovia
appesa al soffitta, che sprizzava alcune leggere scintille.
Il ragazzino
non pareva preoccupato, infatti non gli accadde nulla.
L’uomo passò
attraverso le piste e le altre tessere, andando vicino a Road.
Dopo accadde
tutto piuttosto in fretta. Il percorso della pista di biglie si
incrociò con
quello di uno dei trenini (quello che sprizzava scintille) e la biglia
cambiò
il percorso della ferrovia, che si diresse non più verso la
rotonda che lo
avrebbe riportato indietro, ma verso una reticella ricolma di fuochi
d’artificio.
Mise
entrambe la mani sulla testa di Road, costringendolo ad abbassarsi, e
poi se le
portò alla faccia, come per ripararsi
dall’esplosione… che non avvenne.
Dopo qualche
secondo aprì gli occhi e guardò in alto. Le micce
erano ancora fumanti, ma
spente del tutto. Road era chinato vicino a lui, e lo guardava con
curiosità.
Wile rimase
basito. Da sempre, anche le azioni più semplici avevano
avuto su di lui
ripercussioni non indifferenti, che a volte lo avevano costretto alla
convalescenza.
Ora, invece, aveva praticamente sfidato apertamente la sorte, e non gli
era
accaduto nulla.
A quel
ragazzo non era capitato mai nulla quando aveva maneggiato gli oggetti
pericolosi che Wile stava esaminando. Questo perché (dedusse
Wile) a Road non poteva capitare
nulla!
L’uomo
ricordò quando Road gli aveva chiesto di vedere casa sua.
Gli erano caduti
contemporaneamente cinque oggetti pericolosi, e nessuno di essi lo
aveva
ferito. Quando ciò era accaduto, Road era molto vicino a
lui. Probabilmente non
era successo niente perché altrimenti sarebbe stato
coinvolto anche il ragazzo,
e questo non poteva verificarsi.
Quel
ragazzino era… l’anti –Murphy,
sì. E ciò spiegava perché era riuscito
ad agire
anche su di lui.
Il simbolo
negativo batteva quello positivo. Wile attirava a se la legge di
Murphy, ma
Road la respingeva; e quando gli era vicino faceva sì di tenere al
sicuro anche
Wile.
L’uomo
guardò negli occhi il ragazzo, specchiandosi al loro
interno. Si sentiva
tremare da capo a piedi, sia per il pericolo appena scampato, sia per
il fatto
che Road gli era vicinissimo, rannicchiato accanto a lui, appoggiato
alla sua
spalla.
La mente di
Wile si svuotò.
Dentro di
lui rimase unicamente una profonda gratitudine per quel ragazzo. Si
sentiva
come se gli avesse appena salvato la vita. Per questo lo
abbracciò, circondandogli
le spalle con le braccia e attirandolo a sé.
Sentì una
strana sensazione. Come su il suo cuore (non in senso emotivo,
intendeva
proprio il suo muscolo cardiaco) si colmasse di una sostanza calda
quasi
bruciante, che lo rese più reale. Lo sentì
battere nel petto, nelle vene del
collo e anche nelle proprie orecchie.
Era qualcosa
che aveva già sperimentato in passato, ma non riusciva a
fare collegamenti.
L’odore del
gel per capelli di Road gli impregnò le narici.
Abbinò quell’odore alla
vittoria, come a dirsi: Perché ci
ho
messo così tanto?
Un sorriso
soddisfatto gli affiorò sulle labbra.
Road, invece
sorrise aprendo la bocca. Wile poté sentire il rumore
dell’aria che gli riempiva
i polmoni.
Al contrario
di Wile, il ragazzo non fece pensieri complicati, non
analizzò le proprie
sensazioni o emozioni. Pensò solamente: Che
bello! Non è arrabbiato con me!
E si sentì
felice.
Ricambiò l’abbraccio.
Erano dovuto passare quarantacinque giorni prima che lo potesse fare,
ma in
quel momento non gl’importò.
Certo, l’abbraccio
stava durando un po’ più a lungo di quanto non si
fosse aspettato, ma gli
andava più che bene!
Quel
contatto fisico fu una manna dal cielo per Wile. Abbracciandolo, si
rese conto
di quanto Road non fosse per nulla piccolo o gracile.
Constatò la larghezza
delle sue spalle, notò la linea dei muscoli delle braccia,
persino un sottile
velo di barba ai lati del viso; e la decisione con cui Road lo
stringeva a sua
volta.
Si rese
conto di non avere tra le braccia un bambino, ne un ragazzino, ma un
uomo (un giovane uomo).
Nella sua
mente ci fu l’idillio totale ( e mandò anche a
quel paese Daffy Duck ).
Con
riluttanza sciolse lentamente l’abbraccio. Era come se
temesse che Road gli
sgusciasse via dalle mani, come aveva fatto fino a quel momento.
Lo allontanò
da sé, ma gli mise entrambe le mani sulle spalle. Road
sorrideva ancora.
Si
guardarono negli occhi. Non assorti o emozionati, semplicemente
incantati, come
se qualcuno avesse premuto il tasto pausa.
Wile lo
fissò come se stesse decidendo sul da farsi. Ed era
esattamente questo che
stava facendo.
Dopo giorni
che gli erano sembrati anni, era lì con Road vicino, e lui
gli sorrideva, come
se fosse appena accaduta una cosa tanto attesa quanto inaspettata,
tanto bella
quanto semplice.
L’uomo
pensò:
Osservandolo
meglio, Wile vide che Road stava come tremando. Ma non erano brividi di
freddo o
paura, era come se fosse carico di energia.
*
Si stupiva del fatto che Wile lo facesse ancora entrare in casa sua, che la sua rabbia per ciò che aveva raccontato a Daffy fosse sbollita così presto. Dovette dedurre che l’uomo era semplicemente troppo felice per rimanere arrabbiato.
Per la prima
volta in vita sua fu contento di appartenere al club Murphy.
Perché Road
apparteneva a quello anti
– Murphy, e le stanze in cui avvenivano i loro
raduni
erano state sistemate l’una accanto all’altra.
Questo perché in questa ff Wile e
Road si erano appena conosciuti, e questo ha posto dei limiti ferrei
(questi
limiti esistono anche per gli altri? Non ne ho idea, non
m’interessa saperlo),
molto più facile è stato sviluppare quel genere
di scene nelle altre mie FF,
dove i personaggi si conoscono da anni.
Queste Note dell’autrice
sono abbastanza deliranti. Non fatemene una
colpa. Mi sembra di stare scrivendo questa storia da un secolo, e mi
piace
anche se avrei voluto fare di più. Ho cercato di alternare
lo scrivere allo
studio, e non è stato facilissimo, poiché la cui
presente quest’anno ha deciso
di impegnarsi seriamente a costo di studiare anche nella vasca da
bagno. Altro
delirio, devo smetterla.
Vi ringrazio per essere
arrivati/e alla fine di questa storia, e i miei
“grazie” aumentano nel caso in
cui l’abbiate apprezzata e decidiate di farmelo sapere. Credo
sia la FF che mi
ha spremuto di più le meningi in assoluto, nonostante dal
punto di vista del
plot narrativo non accada poi questo granché.
p.s.
FINE non è una parola così definitiva. E' assai
probabile che farò un continuo di questa FF, o che
immetterò i dettagli della loro relazione nella Silvestro x
Tweety.
Note:
Dai fumetti dei
Looney Tunes, emerge che
è lui il proprietario della ACME. Elmer, infatti,
è milionario.
Daffy
che taglia i capelli a Bugs:
In un episodio del Looney Tunes Show si vede Daffy intento a vestire e
pettinare Bugs come una donna. Siccome con i capelli mi sembrava
particolarmente a suo agio, ho voluto inserire questo particolare nella
FF.
Baci Mattie.