Giochi di Ruolo > Secret Whispers GDR
Ricorda la storia  |      
Autore: Secret Whispers    04/02/2012    0 recensioni
Questa fanfiction è la prima classificata del contest Ti presento i miei/Mi presenti i tuoi organizzato dal Secret Whispers GDR Forum.
"Gita scolastica, l’America ha i suoi buoni frutti e la scuola, i suoi buoni propositi. Kuroi non è proprio di quest’opinione..."
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La fiction che segue si è classificata prima al contest "Ti presento i miei/Mi presenti i tuoi" indetto dal Secret Whispers nel mese di Gennaio 2012.
L'autrice, Xasar, ha acconsentito che la sua opera fosse esposta su questa pagina.



Titolo: Yellow Submarine
Autore: Xasar
Fandom: Koichi x Kuroi
Personaggi: Koichi, Kuroi, padre di Kuroi
Avvertimenti: I seguenti discorsi potrebbero farvi mettere le mani nei capelli.
Scrittura in terza persona.
Linguaggio scurrile e volgare.
Breve introduzione: Gita scolastica, l’America ha i suoi buoni frutti e la scuola, i suoi buoni propositi. Kuroi non è proprio di quest’opinione…
N.d.A(facoltativo): Premettendo che il tema è abbastanza limitavo, ho cercato in ogni modo di trovare una Role su cui basarmi che non fosse questa. Semplicemente non l’ho trovata, perché le condizioni dei miei pg e degli altri o della role stessa, non permetteva che io potessi costruire una Fan Fiction su questo incontro. Spiego anche perché, visto che potrebbero esserci polemiche riguardo la mia scelta :asd:
Molti dei miei pg non hanno proprio i genitori e i partner pure. Altri invece sono in una role appena iniziata e non me la sento d’inventarmi il rapporto tra il partner e i suoi genitori (oltretutto contando che molti dei miei non possono presentare i propri). In altre invece si sono già incontrati, sarebbe quindi inutile riscriverlo.
Ed eccomi che mi ritrovo qui, ad aver scritto ancora una volta sulla Koichi x Kuroi, perché è una role dove i protagonisti hanno una vita più o meno normale e hanno almeno uno dei due genitori.
A parte questo, metto in chiaro che le azioni sconsiderate di Kuroi sono palesemente nel suo personaggio ed eventuali cavolate. Scriverò ad episodi, i momenti salienti fino al momento dell’incontro, perché tutto sarebbe lungo e palloso, ma capirete solo leggendo (Sì, ho uno stile colloquiale, ma non è grammaticalmente errato xD).

  
 

Yellow Submarine

 
Albeggiava.
I teneri raggi di sole oltrepassarono l’oblò, riscaldando il volto di Kuroi come se fosse un candido giglio.
«Nh…»borbottò voltandosi dall’altro lato. Ruzzolò un po’ su quel sedile eccessivamente scomodo, fino a stiracchiare le sue membra stanche. Rischiò anche di intrigarsi con i suoi stessi codini neri, estremamente lunghi e curati. Alla fine aveva assunto una posa così strana che poteva sembrare l’uomo di Leonardo Da Vinci.
Tks…se c’era una cosa che non sopportava, erano proprio i viaggi lunghi, soprattutto se fatti con le persone sbagliate. Fu proprio nell’aprire quei grandissimi occhi azzurri, di due tonalità distinte, che pensò ancor più vera quella sua convinzione.
Balzò all’indietro, notando quanto Koichi fosse vicino a lei, per lo meno così pensava. Il povero ragazzo era tranquillamente sdraiato al proprio posto, con la testa lievemente piegata alla spalla più vicina di Kuroi. Dormiva della grossa il bambinone.
Capelli neri e completamente spettinati. Occhi blu, nascosti dietro le palpebre sognanti. Una corporatura media per la sua età e muscoli definiti… oh, sì… tutto il suo contrario che era piatta come un muro in marmo.

Lo fissò per un istante, dopo essere sbalzata indietro per lo spavento. Come diavolo c’erano finiti lì? Oh, sì… ricordava qualcosa vagamente riguardo ad una gita scolastica, ma non le sovveniva in alcun modo la meta.
Crollò nuovamente a dormire in un sonoro tonfo. Probabilmente era solo un sogno e quello era l’unico modo per svegliarsi. Non era ironia, né tanto mento un evento calcolato; erano veramente in gita scolastica. La ragazza avrebbe solo impiegato un po’ per ricordarlo.
 
«Ancora non ho capito perché diavolo tu debba essere il mio compagno di gruppo.» grugnì rude nello sbarcare dall’aereo, oltrepassando Koichi. Insomma, più che oltrepassato l’aveva tolto di mezzo con un brusco spintone, tanto che lui si era sentito in dovere di risponderle quantomeno che era una grossa maleducata.
Assolutamente non le piaceva. Poteva mettergliela in tutti i modi che voleva, ma non le sarebbe mai andato a genio il fatto che il professore di matematica avesse scelto proprio il damerino per tenere a bada la testa calda della classe. Il suo arcinemico, la nemesi per eccellenza, la persona più odiata sulla faccia della terra. Egli era il classico esempio di qualcuno che non comprendeva il significato di “farsi gli affari propri” e, questo, Kuroi non riusciva a digerirlo.
Prese il suo bagaglio con altrettanta foga, lamentandosi di quanto quella gita si sarebbe rivelata un fiasco totale. Che senso aveva andare in America a visitare il 1st SFOD-D (Delta Force) con sede nel North Carolina, senza potersi portare il proprio mitragliatore pesante e sparare come una dannata nei campi di prova?
Se almeno fossero andati a New York avrebbe tranquillamente potuto rivedere anche suo padre.
Per un momento smise di seguire il resto del gruppo, fermandosi a guardare il panorama fuori dall’aeroporto. Una moltitudine di velivoli stava atterrando in quel preciso istante, uno dopo l’altro, regalando alla ragazza una strana tristezza interiore.
Sospirò, pensando ai giorni felici che aveva vissuto assieme alla sua famiglia, come in un attimo era stata sgretolata senza che lei potesse fare assolutamente niente. Magari avesse potuto… Avrei voluto… e anche stavolta la possibilità di rivedere una faccia conosciuta e indispensabile, le era stata preclusa ancor prima di provarci.
«Mato! Muotivi o rimarrai indietro!»fu la voce del compagno a risvegliarla, con quella sua solita tonalità sbrigativa e quasi irritata. Era un odio - il loro - pienamente reciproco, anche se non sapeva fin dove potesse spingersi. Però le era ben noto l’appellativo con cui adorava definirla.
«Fanculo! Sto arrivando!» gli rispose di rimando, rimettendosi sulle spalle il suo borsone nero ed affrettandosi ad andare verso il resto della classe.
«Chiassosa…»ecco a cosa si riferiva lei. Era proprio questa e non aveva certo mancato a farglielo presente non appena l’aveva superato con la sua solita aria di boria.
In molti altri momenti gli avrebbe risposto per le rime, magari sfottendolo per qualche suo grossolano errore che quella mascherina sulla sua faccia non gli permetteva di fare. Perché di maschera ne portava una e pure bella grande; talmente grande che a momenti poteva perderla.
Forse lei era l’ultima a dover parlare, poiché lei stessa era così scontrosa e carica di veleno solo perché le tornava più comodo.
AVROS…solo in quel maledetto gioco online, nei panni di Kainé, poteva essere quello che era realmente, senza paura che ciò le potesse pesare. Vivere una vita là dentro, assieme a Nier, sarebbe stato il sogno di tutta una vita.
Tuttavia, sapeva bene che ciò era impossibile. Poteva soltanto sperare che egli fosse un utente e di poterlo incontrare un giorno.
 
Raggiungere l’hotel in autobus non era stato difficile, così come posare ogni cosa, riposarsi una mezza giornata, e riprenderlo per andare a questo stupido campo d’addestramento. Delta Force dei suoi stivali: se magari fosse stato un altro periodo e un’altra compagnia, avrebbe anche potuto apprezzarne la visita. Eppure così, con quel colloso rincitrullito di Shiroi che le ronzava intorno, il prof di matematica che ce l’aveva palesemente con lei – causa forse il dormire durante le sue lezioni -, e lo stronzo damerino che non gliel’avrebbe mai data vinta, si ritrovava veramente a chiedersi per quale ragione aveva versato la quota per partire.
Perché sono un’idiota…
«Finalmente te lo dici da sola»Koichi, ancora lui entrò nei suoi pensieri come un fulmine a ciel sereno.
Erano seduti l’uno accanto all’altra, sui sedili di un autobus giallo in direzione sede militare. L’espressione che si dipinse sul volto di lei fu di un totale smarrimento, dovuto a quella risposta che in altri momenti l’avrebbe resa furiosa. Come diavolo…
«Dovresti smetterla di pensare a voce alta, Mato, se non vuoi che gli altri sentano.» continuò, rispondendo al suo sguardo e a tutte le sue domande, andando a sollevare nuovamente una rivista sul kendo e immergendosi nella totale lettura.
«Tsk…» non vi era altro modo per esprimere il suo disappunto se non quello. Il professore di matematica aveva pensato proprio a tutto: non solo renderle la gita un inferno, ma anche mettersi a fare stupidi coretti da elementari dentro l’autobus – infastidendo lei e l’autista – per ovviare al troppo silenzio che era calato dalla partenza.
 
In the town where I was born, lived a man who sailed to sea
And he told us of his life, in the land of submarine
So we sailed up to the sun ‘til we found the sea of green
And we lived beneath the waves in on yellow submarine.

 
We all live in a yellow submarine
Yellow submarine, yellow submarine
We all live in a yellow submarine
Yellow submarine, yellow submarine

 
Certo, alla fine la canzone non era male, ma a disturbarla era proprio che fosse un coro di persone che stonavano e starnazzavano come oche giulive. Perché non si era portata dietro il suo iPod?! Maledizione, non doveva scordarselo a casa… non vi era modo per coprire quelle ovazioni e quei “marine” e ancora “marine” che facevano da eco ai ritardatari che non andavano neanche a tempo.
Sciolse i propri lunghi codini neri e scivolò sul sedile, confortata dal fatto che almeno il suo arcinemico non stesse cantando. Se solo ci avesse provato sarebbe stato il suo ultimo giorno di vita, poco ma sicuro.
Chiuse gli occhi, cercando di immaginarsi AVROS, Rys, Nier e tutte le cose che l’aspettavano una volta tornata a casa, ma nulla. Non riuscì neanche a prendere sonno per il troppo casino.
Capì di essere nel posto giusto, quando aveva visto la vegetazione diradarsi a qualche strana palude e i campi rasasti a semplici distese di fango e terra smossa.
Una volta scesi dall’autobus vennero accolti calorosamente da un saluto militare di tanti giovani cadetti e controllati dalla testa ai piedi per evitare brutti scherzi da parte di qualunque individuo (come se una gita scolastica fosse pericolosa). A loro si poteva perdonare tutto: erano i Delta Force, un’unità speciale di elite nei campi delle operazioni speciali, Black Ops ed antiterrorismo. Era un onore e un privilegio poter visitare il loro quartier generale, soprattutto dal momento che era invalicabile ai comuni civili. Veniva dunque da domandarsi per quale assurdo motivo era stato permesso ad un gruppo di ragazzini di poter entrare lì.
La risposta era semplice quanto curiosa. In poche parole sembrava che qualcuno, a capo delle operazioni, avesse in qualche modo dato il via libera a questa iniziativa come occasione unica, rara e irripetibile. Sarebbe stata la prima e l’ultima volta, dunque vi era anche la presenza di qualche giornalista a documentare l’intero operato.
Se tutti si erano vestiti un po’ più a modo per non sembrare i classici ragazzetti di città, Kuroi non si era data la benché minima importanza. Molte sue compagne si erano addirittura truccate per sperare di far colpo su qualche recluta americana. Lei non ci avrebbe neanche provato.
Era già tanto che si fosse completamente sciolta i capelli e li avesse lasciati a quel modo per non sembrare una ragazzina in tutto e per tutto. Le interessava solo sembrare una tipa tosta oltre che esserla per davvero.
Proprio non vi è limite al peggio…pensò mettendosi una mano sulla fronte, volendo in qualche modo sostenerla per evitare chele scivolasse di mano e cadesse, rotolando a terra.
Un normalissimo paio di jeans, scarpe da ginnastica ed una canottiera mimetica. L’unico equipaggiamento che avrebbe mai messo anche in guerra.
Attese con malavoglia che finissero di perquisire Koichi per farsi perquisire a sua volta. Non fu scontenta almeno di quello, seppur il contatto fisico le desse fastidio. A praticare quelle azioni su di lei era stato un cadetto abbastanza carino che era addirittura arrossito quando era passato un po’ troppo vicino al suo petto, scusandosi un istante dopo.
Kuroi aveva ghignato e si era allontanata senza dire nulla, con quel sorrisetto diabolico dipinto in volto al quale il damerino aveva avuto subito da ridire «Mato, qualunque cosa tu stia tramando, scordatelo!» affiancandosi a lei in modo circospetto e a tono basso.
«A parte il fatto che non sto tramando nulla, …» gli rispose a sua volta, digrignando i denti nervosamente come un animale poco prima dell’attacco «non hai alcun diritto di dirmi quello che devo fare. Non sei il mio tutore.»
«Sono il tuo capoclasse!» era stizzito, come se con le parole precedenti Kuroi avesse ferito il suo orgoglio da damerino «E poi, in realtà, il professore mi ha chiesto di tenerti d’occhio. Come biasimarlo? Sembra che tu debba far esplodere questo posto da un momento all’altro.»
E tu hai eseguito da bravo cagnolino? pensò senza effettivamente rendere palese il suo pensiero con le sue parole «Buona fortuna allora.»
Le sarebbe uscita una fragorosa risata, ma vide di trattenerla limitandosi ad un altro ghigno, stavolta di soddisfazione pura. Se avesse avuto veramente in testa di combinare qualcosa, non sarebbe bastato né Koichi, né il professore, né tutto il reggimento dei Delta Force a fermarla. Era un ragionamento adatto a chi amava sopravvalutare se stessa e sottovalutare gli altri, proprio come lei.
 
«Bene, giovani del sol levante, vi do il benvenuto…»un uomo alto, distinto con una divisa da colonnello aveva preso a parlare a tutti quanti loro, equamente messi in riga come i migliori soldati. Kuroi sperava non si aspettasse che si mettessero sull’attenti e che rispondessero con un “Signor sì, signore!”.
Aveva capelli bianchi e barba grigia, incolta ma non troppo lunga. Aveva un che di nostalgico ma non lo ascoltò più da quel momento. Mentre tutti erano interessati al suo discorso, lei guardava dritta avanti a sé, con lo sguardo perso nel vuoto ed una noia particolarmente evidente.
No, proprio non le piacevano i discorsi e i giri di parole. Non vedeva l’ora di andare per tutto il reggimento e vedere i veicoli, le armi, gli uomini allenarsi… che ci faceva qui ad ascoltare un uomo che aveva la metà dei gradi di suo padre?
Le poche parole che era riuscita a sentire si riferivano all’onore, all’antiterrorismo e all’alleanza tra i popoli. Nulla di nuovo insomma, le solite paternali che un uomo di potere sente di dover fare alle persone più giovani e indifese.
Il bello era che tutti sembravano tremendamente presi, anche Koichi si era dedicato all’ascolto di quello stupido monologo. Che diavolo ci trovavano ancora doveva capirlo. Tirò un bel sospiro di sollievo non appena finì tutto con un «E adesso venite, vi mostrerò i nostri gioiellini.»
Finalmente.
Non fu male dopo. Anzi, poté dire di divertirsi e di aver fatto anche un sacco di domande relative ai vari elicotteri, carri armati ed armi. Era riuscita pure a vedere dal vivo un M1 Abrams, il carro armato principale della U.S. Army.
Quale gioia immensa! Kuroi aveva addirittura sorpreso il suo compagno per l’entusiasmo che non era mai riuscita a tirar fuori durante le lezioni. Anche il professore di matematica aveva sgranato gli occhi a tutta quella voglia d’imparare.
«Magari fosse sempre così…»aveva borbottato al colonnello che si era fatto una grossa risata.
Era forse quella la felicità che aveva sempre cercato? Si sentiva come una bambina in un negozio di dolci, solo che lei anche da piccola aveva sempre preferito queste chincaglierie allo zucchero.
Probabilmente quella giornata si sarebbe conclusa nel migliore dei modi. L’aveva creduto. Ci aveva seriamente sperato, ma non fu così.
Nel cortile, dove erano radunati per l’occasione tutti i mezzi da trasporto militari, incrociò uno sguardo terso che brillò quasi alla luce del sole.
Il suo respiro si fermò per un istante e, non appena lo vide sparire dietro ad un carro armato, si precipitò con una velocità inaudita in sua direzione.
Koichi, soltanto lui si era accorto della sua fuga e senza urlare niente, si mise a rincorrerla. Forse non avrebbe dovuto, magari se fosse rimasto al suo posto non avrebbe intravisto Kuroi agire come una disperata e guardarsi intorno nel tentativo di individuare l’uomo che aveva perso.
«Era qui! L’ho visto!» ringhiò con la voce tremante. In realtà stava tremando tutta, dalla testa i piedi, come se un improvviso colpo di freddo l’avesse raggiunta.
«Ma che cosa stai dicendo?! Su, dobbiamo restare col gruppo!» egli non capiva… ma d’altronde come avrebbe potuto? Aveva cercato di raggiungere un braccio della ragazza per costringerla a tornare indietro, magari era intenzionato a dirle che andava tutto bene, chissà quale parola di conforto. Chissà cosa avrebbe potuto dire se solo Kuroi non fosse scattata indietro con gli occhi sbarrati, come se avesse visto un fantasma.
«Io lo devo trovare!» ultime parole prima di voltare le proprie spalle al ragazzo e correre. Si diresse verso il lungo corridoio che avevano attraversato per arrivare in cortile. Incrociò diversi cadetti e qualche caporale, ma non reagì affatto ai loro tentativi intimidatori di fermarsi. Li evitò tutti come fossero semplici ostacoli, convinta per chissà quale motivo che la persona che stesse cercando si fosse diretta proprio da quella parte.
Era lui… l’ho visto!Era più una speranza che una reale certezza. Era probabile che avesse avuto un’allucinazione o un miraggio… sperava semplicemente di non doversi ricredere, di averci visto giusto.
Stava ancora correndo, quando una mano l’afferrò per lo stesso braccio su cui voleva approdare la mano di Koichi. Eppure, voltandosi, vide con estrema certezza che non era lui. Come poteva esserlo d’altronde?
Le dita erano grandi, il palmo caldo e delicato. L’unico occhio non coperto dalla benda era blu. Aveva una corta barbetta di circa due settimane e capelli a spazzola, castani. Sulle sue labbra non vi era né un sorriso né una smorfia truce.
«Kuroi…» un sospiro lungo, di soddisfazione, come se da sempre avesse cercato, aspettato, «P-papà?» sua figlia.
Era destino? Kuroi non vi aveva mai creduto, né vi aveva mai fatto affidamento. Tuttavia, le era quanto mai facile domandarsi come tutta quella serie d’avvenimenti apparentemente normali si fosse trasformata in un incontro dettato unicamente dall’unica cosa a cui non avrebbe mai venuto l’anima?
«Sei cresciuta, eh?»il suo tono non era cambiato. Dopo tutti questi anni continuava a rivolgersi a lei con la solita dolcezza. Era strano, incredibile… come avrebbe mai potuto immaginarlo?
Sulla spalla di lui, cucita a regola d’arte sulla mimetica che indossava, vi era una fascetta con cinque stelle messe in cerchio.
Generale dell’esercito…era stato promosso di grado dunque? Cosa diavolo ci faceva lì tra i Delta Force?
«Cosa ci fai qui?!»cercò di mantenere il controllo di sé per quanto poteva. Voleva prima di tutto vederci chiaro su quella storia e capire perché egli non si trovasse all’ambasciata Giapponese a New York. Era lì che doveva stare. Era lì che - le aveva sempre detto - avrebbe stazionato.
«Volevo semplicemente vedere come andava la gita che ho organizzato…»la sua risposta le fece sgranare gli occhi ancora di più « e vedere mia figlia.» questo continuo invece le fece spalancare la bocca in un modo ben più evidente e pieno di sconcerto.
Lui aveva organizzato la gita? Significava che era lui la persona misteriosa che aveva dato il via libera alla visita guidata?! Credeva anche di immaginare il perché: probabilmente solo perché in quella classe c’era lei… ma non gliel’avrebbe mai chiesta quella conferma.
«Cosa cazzo dici?! Se volevi vedermi potevi benissimo tornare a casa invece di lasciarmi da sola a dovermi occupare di tutto!» sbraitò senza controllo, con gli occhi che le si riempivano di lacrime. Evase dalla sua presa con estrema veemenza, ricordando l’ultima volta che era tornato a casa, anni e anni fa. Era stato proprio per il suo incidente, quello dove si era provocato quelle orrende cicatrici - che segnavano in modo indelebile la sua sconfitta – che l’aveva rivisto e perso in una sola volta.
«Non sei mai stato un uomo presente, neanche quando è morta la mamma!!!» fu soltanto dopo che gli ebbe sfogato a dosso tutta la sua rabbia, la sua frustrazione, che quelle lacrime decisero di scendere. Rappresentavano in qualche modo la sua nostalgia, il suo dolore ancora presente e la voglia di avere una vita normale. A soli 14 anni si era ritrovata completamente da sola, senza più nessuno su cui poter contare e a dover vivere di quel che le veniva spedito dal padre, sotto una giurisdizione che prometteva il suo affido ad un’altra famiglia nel caso le fosse successo qualcosa.
Inutile affermare che quando era andata all’ospedale, aveva veramente rischiato grosso di essere spedita dagli assistenti sociali. Tutto per colpa di una persona che metteva davanti il lavoro prima di ogni altra cosa… prima ancora della sua famiglia.
«Mi dispiace, piccola…» la sua voce, la nota di dispiacere in essa, quando ancora una volta cercò il contatto con lei. Abbracciarla e stringerla a sé come avrebbe dovuto fare un vero padre, ma Kuroi si tirò indietro ancora una volta.
«Non potevo tornare... avrei voluto, ma non potevo assolutamente.»
Già, parole che si era pienamente aspettata di sentire. Scuse blande e inutili che erano destinate ad arrecarle più dolore di quanto non avesse fatto - in realtà - un suo silenzio.
«Cosa ti tratteneva?! Dimmelo!» esigere con voce tremante la risposta che si aspettava da una vita, forse era un modo non proprio da lei. Tuttavia, quello era suo padre e, per quanto lo avesse detestato, sapeva che non l’avrebbe mai fatto fin in fondo.
Ma egli scosse il capo, prendendola ora e stringendola a sé anche contro la sua stessa volontà. Non importava quanto Kuroi si stesse dibattendo e gli stesse chiedendo di lasciarla andare. Le uniche parole che sentì da suo padre furono scuse. Parole che invocavano il suo perdono con voce altrettanto tremante.
Aveva perso una moglie, una vita intera… doveva essere dura non riuscire a rispondere alla propria figlia. Era un segreto, Kuroi l’aveva appena capito e si era immobilizzata nel medesimo istante in cui aveva sentito il quarto “Scusami”. Dunque per questo il suo grado era così alto…
Servizi segreti…se avesse spifferato qualcosa, qualunque cosa, non ci avrebbe rimesso soltanto lui.
Le braccia della ragazza avvolsero dolcemente il collo del padre, ora inginocchiato alla sua altezza, e lo strinse forte. Fermò le sue lacrime… in qualche modo piangere non aveva più senso. Doveva essere felice per quello che aveva fatto per tutti questi anni? No, non era per nulla contenta. Eppure, sapeva che non si sarebbe risolto niente sfogandosi a quel modo.
«Ti perdono… papà…» dopo un lungo istante di silenzio, quel sibilo sottile che uscì dalle sue labbra sancì l’intero momento. Un sorriso invisibile vi si dipinse sopra, come se avesse accarezzato il paradiso. Sarebbe potuta morire adesso e non rendersene conto.
Avrebbe voluto dirgli che gli voleva bene, magari sentirselo dire… ma arrivò in quel momento qualcuno che, con il fiato corto la chiamò «Mato!» con altrettanto stupore in voce.
Una singola parola che li fece voltare entrambi e liberare dalla stretta affettuosa.
«Arrivo subito!» rispose con tono irritato, il solito di sempre, al quale il padre sorrise estremamente divertito, rendendo confuso il povero Koichi che ancora ansimava per la fatica.
Chissà quanti cadetti e colonnelli aveva schivato lungo il percorso e chissà da quanti altri si era fatto fermare. L’avrebbe raccontato a Kuroi soltanto in seguito, lamentandosi con lei per il comportamento sconsiderato. Magari avrebbero entrambi ricevuto una punizione dal professore di Matematica, ma chi poteva dirlo?
Non servì né un saluto né quel fatidico “ti voglio bene”. Solo uno sguardo ed un sorriso, un cenno con la testa e Kuroi poté finalmente lasciarsi alle spalle il padre. La guardò anch’egli allontanarsi - continuando a sorriderle come se potesse vederla – nascondendo in sé quella malinconia che prova ogni genitore nello stare lontano dalle proprie creature.
Non ne dubiterò più…
 
I cinque giorni di gita si erano conclusi - alla fine - nel migliore dei modi da lei sperati. Kuroi alla fine era stata più solare di quanto tutti si fossero aspettati e, con grande sorpresa del suo compagno ed arcinemico, si era anche messa a fare il karaoke all’hotel.
Autobus, direzione aeroporto. In quartultima fila sulla sinistra vi sono lei al finestrino e l’altro sul corridoio. Ancora quella canzone autenticamente scelta dal professore per ravvivare la gita. Come se la sua esplosione di gloria dopo aver bevuto 5 litri di birra non fosse stata abbastanza.
«Mato, scusa se te lo domando… ma chi era quel tipo che stavi abbracciando alla Delta Force?» domandò infine Koichi quello che non era stato capace di chiederle due giorni prima.
Lei sorrise, guardando fuori il paesaggio che scorreva in prossimità di un tramonto giallo come il sottomarino della canzone. Rispose con estrema tranquillità e non curanza «Mio padre» provocando un moto di reazione nell’arcinemico che era parti allo stupore di quello stesso giorno.
Eheh, piccolo damerino, è difficile da credere che io sia figlia di un generale dell’esercito?
Era così, anche se non gli aveva rivolto parola, Koichi aveva visto suo padre regalare un abbraccio alla figlia e, quello forse… era anche un modo per conoscerlo.
Ma non ci furono altri commenti da parte sua ed ella poté finalmente tornare a dedicarsi a quella canzone.
Yellow Submarine ora non le sembrava più così strana e stonata. Una cantilena quasi dolce…
Piacevole.
 
And our friends are all on board
Many more of them live next door
And the band begins to play


We all live in a yellow submarine
Yellow submarine, yellow submarine
We all live in a yellow submarine
Yellow submarine, yellow submarine


As we live a life of easy
Every one of us has all we need
Sky of blue and sea of green
In our yellow submarine
We all live in a yellow submarine
Yellow submarine, yellow submarine

 

 
End.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Secret Whispers GDR / Vai alla pagina dell'autore: Secret Whispers