Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: OperationFailed    06/02/2012    10 recensioni
Lo aveva pensato l’istante stesso in cui lo aveva tirato fuori dal Tamigi.
Quest’uomo ha l’infinito negli occhi.
Se solo qualcuno lo avesse avvertito…
Davanti a loro adesso scorre il fiume, e John sa.
Aveva intuito qualcosa già in taxi, perché Sherlock era un pezzo di marmo e le sue dita scivolavano veloci sui palmi.
Adesso il mondo non respira e se non fosse per l’acqua che gorgoglia sonora, sembrerebbe una bella opera romantica.
[Pre-slash]
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nickname: OperationFailed
Titolo: E’ in certi sguardi che s’intravede l’infinito

Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Rating: Pg13
Avvertimenti: What if?, Pre-slash
Conteggio parole: 1553 (fiumidiparole)
Note: Partecipa alla prima giornata della Sherlock Week @
sherlockfest_it
Disclaimer: I personaggi di John Watson e Sherlock Holmes non mi appartengono, per loro fortuna, in quanto sono stati ideati da Sir. Arthur Conan Doyle, senza il quale noi non saremmo qui a consumarci cuore e cervello. Questa fanfiction non è a scopo di lucro (anche perché ci guadagnerei ben poco) e non intende offendere la sensibilità di nessuno. La fanart appartiene a me.




E’
in certi sguardi che s’intravede l’infinito
[Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino e non lo vedi più. Fran.]





















Lo aveva pensato l’istante stesso in cui lo aveva tirato fuori dal Tamigi.

Quest’uomo ha l’infinito negli occhi.
Se solo qualcuno lo avesse avvertito…
Davanti a loro adesso scorre il fiume, e John sa. Aveva intuito qualcosa già in taxi, perché Sherlock era un pezzo di marmo e le sue dita scivolavano veloci sui palmi.
Adesso il mondo non respira e se non fosse per l’acqua che gorgoglia sonora, sembrerebbe una bella opera romantica. Magari una tela di Turner, perché c’è il tramonto che gocciola sangue sull’orizzonte muto, oppure di Constable, per le fronde cariche di colori e le impronte d’uccello sulla fanghiglia. Invece è solo un’assenza apparecchiata per cena.
Sherlock dà le spalle al dottore. L’acqua gli lambisce la punta delle scarpe, lo sguardo è naufrago nella corrente. Pochi passi dietro di lui, John espira piano, con le mani artigliate alla trama grezza dei jeans. E’ il paio più brutto e scomodo che ha, ma era il primo a portata di mano e non ha avuto il tempo di cercare i vestiti giusti per un addio.
Sherlock invece è impeccabile nel suo cappotto scuro. La sciarpa ha intrappolato qualche ricciolo contro il collo e il bavero è abbassato, perché adesso non c’è bisogno che faccia quella cosa, il misterioso con gli zigomi affilati e tutto il resto, perché sono loro due soli. John vorrebbe sistemare quelle ciocche, allungare un braccio e stringerle forte.
«Non sei abbastanza coperto» Holmes si volta, togliendo con cura il guanto destro. Sotto, il candore della mano è violenza per lo sguardo. Un passo e Sherlock toglie l’altro, tirando dito per dito la pelle scura del guanto, lentamente. Li accoppia, facendoli combaciare, poi li lascia cadere a terra.
Rialzato lo sguardo su John, senza interrompere il contatto visivo neppure un istante, Sherlock toglie la sciarpa e libera i ricci intrappolati, che sembrano gli scarabocchi di un bambino. La stringe in una mano e con l’altra sbottona il cappotto lentamente, con l’infinito agganciato agli occhi del dottore. Terrestri. Sconcertati.
«Ti avevo detto che avrebbe fatto freddo» due passi avanti e sfila il cappotto volteggiante, che appoggia sulle spalle di John. Sotto, una camicia leggera riluce nel tramonto. Con la sciarpa lo cinge, lo trae a sé. La fronte di John è calda, il contatto è un brivido su cui le ciglia si sfiorano. Sherlock sfrega forte le mani sulle spalle del dottore e stringe la sciarpa con le dita affusolate, per poi appoggiare le labbra su quelle morbide dell’altro. Egoismo, una violenza gratuita, un marchio di possessione. Un posto assicurato in cima ai pensieri di John, ora e per sempre – indolore è la bocca mai stata assaggiata.
«Ti ho scelto per un motivo, John Watson». La sciarpa scivola a terra, come cielo usa e getta accartocciato e buttato via. Le mani tornano lungo i fianchi, pallide, bellissime. La destra ha un fremito, come di farfalla bianca che vorrebbe volare e non può, perché John contrae il viso in una smorfia di dolore e quel cappotto sulle spalle lo fa sembrare un bimbo smarrito. E’ il grido di una carezza nata e morta schiacciata nel palmo.
«Sapevo che supererai tutto questo» Sherlock si avvicina al fiume e si piega, slaccia le scarpe con la minuzia di un chirurgo.
«Non puoi deludermi ora» guarda indietro, verso John. Si raddrizza e i suoi occhi sono sempre lì, con tutto quell’infinito. Lui è sempre lì, impassibile, sfrontato, con le iridi macchiate di crepuscolo.
Immobili.
Affollate.
Imbavagliate.
John lo vede togliersi le scarpe eleganti e preferirebbe non averlo mai guardato, perché quello che ignori non può strapparti il cuore.
Chinatosi ancora, Sherlock continua a svestirsi con i gesti morbidi di un felino. Come un gatto che arrotola la coda, ripiega con cura i calzini vinaccia sulle scarpe e ci sistema sopra la cintura, come fossero preziosi riposti nel portagioie a fine giornata.
Si risolleva e John ha una mano sugli occhi. Il capo pende appena, le dita della sinistra sono artigliate al cappotto che Sherlock gli ha lasciato sulle spalle. La mascella è costretta in un morso rigido, la vena sul collo è gonfia di silenzio.
«Guardami, John»
Il fruscio dei pantaloni che scivolano spezza il silenzio, gli occhi sempre fissi sul dottore.
«Ti ho detto guardami»
John scopre il viso e le labbra si colorano di stupore.
Sherlock lo fronteggia.
Le cosce madreperla sono sottili e lunghe nell’aria, lo sguardo arde sul suo volto algido.
«Non puoi. Non puoi andartene, Sherlock. C’è bisogno di te, il mondo–»
Sherlock si accarezza i palmi con le dita affusolate, mentre un sorriso mesto gli piega le labbra.
«Come puoi dire che la tua verità sia migliore della mia?»
Attende ancora un istante, poi i suoi slip sono a terra e John ha il fuoco nel cervello. Sposta lo sguardo sui piedi scalzi tra la ghiaia, sulle caviglie sottili, di nuovo sui piedi.
«Devi guardare, John. Guardami» Il tono autoritario è appena infastidito, gli occhi sono nuvole in tumulto. Il dottore solleva il mento, come quando stava sull’attenti durante l’alzabandiera. Gli occhi però sfuggono, si appoggiano sul rossore sempre più cupo dell’orizzonte, sui rami spogli che sfiorano l’acqua, sui calzini ripiegati come foglie rosse d’autunno.
«John» lo richiama impaziente Holmes, facendo un passo avanti. Watson blocca infine lo sguardo sui suoi zigomi pronunciati, con i denti affondati nella guancia e i pugni stretti forte. Sul suo volto e lì solo, dove Holmes lo pretende.
«Ti voglio vigile» lo ammonisce, iniziando a slacciare i bottoni della camicia bianca con estenuante lentezza. John lo guarda con resistenza titanica, ma si distrae e lo sguardo scivola giù, alle dita sinuose che si fanno strada sulla stoffa. Sotto ad essa, il petto sembra rilucere e catturare a gocce quell’ultimo giorno stanco, mentre i bottoni si aprono sulla pelle.
«Mi stai guardando, John?»
I brividi sulla schiena sono di freddo e forse di vuoto incombente, la nebbia sale piano dal fiume e si aggrappa ai loro vestiti, alle vene chiare sui polsi di Sherlock, un reticolo di strade che John non ha ancora percorso.
«Eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità. Ricordi John?»
Il dottore ricorda. Ha in mente le folli corse per i quartieri di Londra, tutti i casi risolti e archiviati, ogni segno della noia sul muro.
«Non sono l’impossibile. Non sono un sogno, John. Da qualche parte, esisterò sempre»
John stringe i pugni e i palmi non sanguinano solo per la buona abitudine di tenere le unghie corte. La vista di Sherlock è un tormento di cui non si priverebbe mai, ma questi si volge al fiume e la visione sfuma lenta. La camicia aperta ondeggia sul fondoschiena, le natiche sode sono un disegno da colorare, le gambe affusolate svaniscono nella nebbia. John trattiene il respiro mentre Holmes mette i piedi nell’acqua, uno dopo l’altro, subito divorati dal fiume gelido e famelico. Le gambe affondano sempre più nella corrente, le caviglie svaniscono, le ginocchia scompaiono. L’acqua gli abbraccia le cosce, la vita, smussa gli angoli e li fa rilucere. John ha i denti stretti, ma a tradimento una parola sfugge al controllo, un gemito condensa nel freddo.
«Sherlock… » le ginocchia cedono appena sotto il peso di un tale abbandono, gli occhi salgono al cielo e si serrano in rifiuto, richiamati subito dopo alla stessa figura soave.
Scomparsa.
«Sherlock!» il grido echeggia sulle foglie e sopra ai sassi, il cappotto cade a terra mentre il dottore si lancia in avanti. L’acqua è gelida, il respiro mozzato in gola è uno spasmo, gli abiti s’incollano alla pelle e lo trascinano in basso, sulle ginocchia. Gli occhi vedono quello che il cervello sapeva e che sempre si è rifiutato di elaborare.
Un cigno reale scivola dolce sull’acqua, vestito di una camicia leggera che gli cinge il dorso e gli ondeggia intorno. Con una virata l’animale torna a John, il collo superbo allungato verso di lui. L’uomo allunga una mano esitante, sfiora il becco, trepida verso le ali. Il cigno si avvicina ancora e, chinato il collo in un cenno d’assenso, si lascia togliere la camicia incastrata alle ali, che si apre nella corrente come un bocciolo di gardenia fiorito.
E’ una creatura maestosa, dal piumaggio folto e candido. Il corpo è vigoroso, il collo sottile ed elegante. Intorno e sotto alle vivide pupille, le piume nere sembrano lacrime inconsolabili. Niente della sua figura esula dall’apparire umano. Dall’essere umano.
Con un’ultima spinta in avanti, l’animale fronteggia il dottore. Lo guarda, sembra ammonirlo bonariamente con quel baluginio degli occhi che gli era proprio. Poi, china il collo e piano sfrega il becco contro la guancia di John, ad occhi chiusi. Si fermano un istante così, circondati dal gelo di un inverno rigido e di un addio definitivo, nel calore breve di un contatto nuovo. Ancora un secondo e il cigno si volta, allontanandosi lieve sul pelo dell’acqua.
«Sherl–Oh Cristo, Sherlock!» incerto muove due passi avanti, barcolla in acqua e trema nel freddo. La nebbia sembra solidificarsi e il cigno sfuma in lontananza, avvolto dalla bruma.
Un cappotto crocifisso al suolo, scarpe e calzetti come frutti mai colti, pantaloni e slip che sono memorie in bianco e nero. Una cintura che non cingerà che un vecchio appendiabiti. E l’orizzonte scuro, e un crepuscolo divorato ancora prima di fiorire.
Accanto a John una camicia, sacchetto ferito che fluttua soave.






~

1. Il titolo è la citazione di un verso di “Tutto l’universo obbedisce all’amore”, ma con la canzone di Battiato non ha nulla a che fare. Io l’ho presa estraniandola completamente dal contesto in cui era per rendere chiaro, sin dall’inizio, un concetto che in questa storia è importantissimo: l’infinito. Proprio questo viene reiterato più volte nel corso della fic, per segnare il distacco tra Sherlock e John. Qui non è una banale differenza tra esseri umani, che hanno caratteristiche fisiche e comportamentali diverse. Qui è un abisso tra un uomo e un essere soprannaturale – se così si può chiamare (è personalmente una definizione che non mi piace). Sherlock è infinito proprio perché immortale, perché viene da un luogo che non ci è dato sapere e se ne è andato dalla Terra dopo aver portato a termine la sua missione. (Quale missione? Non vi è dato saperlo, se mai ne avrò la voglia lo scriverò in un prequel che ho già in mente). Il sottotitolo è invece un piccolo omaggio a “Novecento” di Baricco.

2.
Eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità. Così scriveva Doyle nel capitolo sesto de “Il segno dei quattro”, e io mi sono permessa di stravolgere un po’ il significato della frase a mio uso e consumo. Sherlock vuole fare riflettere John e chiude in un pugno di parole un concetto smisurato, cioè quello del soprannaturale – ancora, definizione che non mi soddisfa. Non ci sono mezzi che escludano al 100% l’esistenza di fenomeni paranormali. Se vi fossero, Sherlock sarebbe “impossibile”, non potrebbe esistere. Ma esiste, per quanto la sua esistenza sia improbabile, e quindi John deve crederci. Capito? No? Tenterò di spiegarlo meglio in separata sede, a coloro i quali interesserà.

3.
Uso del presente. Difficile quanto soddisfacente, era l’unico tempo che mi avrebbe permesso di rendere vivide le immagini che avevo in mente. Perché sì, questa storia era essenzialmente una sola, incredibile visione, e cioè Sherlock che si spoglia e si dilegua nell’acqua.

4.
Sherlock e John non hanno mai avuto rapporti fisici prima di quel che avete letto. Non un bacio, non una sveltina, niente. Per questo John è così incredulo. Sherlock invece è perfettamente impassibile, come suo solito. In realtà è un’apparenza, ma non ho indagato le emozioni dei personaggi, perciò quello che c’è in profondità non ci interessa. Non ancora.

5.
Il paesaggio ha una funzione introspettiva, perché per quanto io non abbia voluto indagare nel profondo, la natura che li circonda è in realtà lo specchio dell’anima di John. Tramonta il sole così come il tempo a loro disposizione, e la nebbia non è altro che la mente offuscata di John, che – forse per protezione – si lascia confondere e trasportare dalla situazione, senza rifletterci troppo. Senza agire, perché sa che tutto è deciso e nulla si può contro forze più grandi di sé. Quando infine Sherlock scompare, arriva l’assenza di luce.

6.
Se non ci sono mai stati rapporti fisici tra i due, perché iniziare proprio ora? Perché Sherlock pretende di essere ricordato, vuole un posto d’onore tra i ricordi di John. Senza rendersi conto, forse, del mucchio di macerie che così facendo si lascia alle spalle. L’inciso che segue quella scena è la semplice constatazione che non si rimpiange quel che non si è mai avuto. Ma vogliamo risparmiare a John qualche sofferenza, noi? Quando mai!

7.
Il consulting detective non è così gelido come sembra. Non lo è affatto, anzi. Le sue iridi, il suo infinito, sono affollate di sentimenti, di pensieri, di cose che vorrebbe dire e che deve tacere – per questo imbavagliate – e di azioni che vorrebbe fare – come la carezza che gli muore in mano – e che deve trattenere. Più la situazione lo sconvolge, più lui si fa distante e imperscrutabile.

8.
John deve guardare e Sherlock lo pretende vigile, attento. La motivazione è un po’ quella che c’è effettivamente nella Reichenbach della BBC, oltre al solito desiderio – pretesa, per meglio dire – di non essere dimenticato mai da John. Qualcuno gli vada a dire che il povero dottore non lo avrebbe dimenticato comunque!

9.
«Come puoi dire che la tua verità sia migliore della mia?» Citazione rivisitata di una canzone dei Mumford and sons (I gave you all, per la precisione). Cos’è la verità? Con che criterio riteniamo una migliore dell’altra? E poi, esiste la verità? Sì, sono in modalità pirandelliana, perdonatemi XD

10.
Alla fine, gli abiti. Il cappotto, sacrificio di un’amicizia che poteva durare una vita. Le scarpe e i calzetti, frutti maturi lasciati marcire sull’albero e mai gustati davvero. Pantaloni neri e slip bianchi, ricordi di corse e casi incredibili. Perché il cigno aveva trovato un’applicazione effettiva alla sua intelligenza, ed anzi l’aveva usata per portare a termine la missione (non ve lo dico quale, no!). E la cintura, inutile, perché costretta a cingere il vuoto. Insomma, questi abiti sono un’immagine di desolazione, nella vita di John e un po’ di tutto il mondo. Ma Sherlock ci ha avvisati, lui non è un sogno. Lui è reale e da qualche parte esisterà sempre. Perché è uno spirito, che sulla Terra ha dovuto annientare il suo gemello (che o lo indovinate o vi arrangiate).

11.
A conti fatti, questa è una Reichenbach bella e buona!


PS
La figura del cigno ha molteplici significati. Per i greci cantavano in punto di morte e di notte trainavano il carro di Apollo. Nella mitologia, un giovane di nome Cigno si trasformò in questo animale a seguito della troppa sofferenza, metamorfosi accordatagli da Poseidone. Nel medioevo è considerata l’incarnazione dello spirito e dell’animo umano. In alchimia è colui che insegna ad accettare il cambiamento con grazia – come avviene nel passaggio dall’anatroccolo al cigno vero e proprio. E’ un simbolo androgino, che indica lo spirito e non ha sesso. E’ infatti la realizzazione dell’Unico maschile e femminile. E’ considerato Uovo del mondo, con in sé i due poli opposti. Indica il punto di inizio, la ciclicità del cosmo, la fertilità.

#Elencorandomicoefrettoloso
   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: OperationFailed