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Autore: HamletRedDiablo    08/02/2012    7 recensioni
[...] Suo padre l’avrebbe protetta? Anche da quella creatura?
Rovesciò all’indietro la testa, e le lampade al neon bagnarono di riflessi spettrali il suo viso preoccupato.
Esisteva ancora un posto sicuro per lei?
"Quando sarai cresciuta, Celia, tornerò a prenderti."
Genere: Dark, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ombra e Cipria

 

 

   Tra le pareti di stoffa del tendone del circo serpeggiava una strana tensione.

Himmel l’Arcimago si tamponò il volto con cautela, cercando di non rovinare il lavoro della truccatrice.

Non riusciva a dare una spiegazione logica a quell’ansia lieve che gli strisciava lungo la spina dorsale, facendolo rabbrividire: le prove del pomeriggio erano andate bene, tutti gli artisti erano in buona salute e il pubblico sedeva in trepidante attesa dell’inizio dello spettacolo.

I suoi colleghi stavano completando la loro vestizione con serena frettolosità. Nessun accessorio mancante, nessun trucco sparito, nessun bottone saltato: trucchi, bigiotteria e costumi erano in perfette condizioni, e mancavano ormai pochi tocchi perché la preparazione fosse ultimata.

Il motivo della sua inquietudine non si poteva quindi ricondurre ad un problema tecnico.

Passò una mano tra i capelli biondi, e pulì sul fazzoletto i residui di gel che rimasero incollati alle dita. La costumista aveva deciso di sfruttare le sue radici tedesche in un look da algido mago nordico, per cui gli aveva acconciato i capelli tirandoli all’indietro in una pettinatura seriosa, aveva accentuato la linea marcata degli zigomi con sapienti spennellate di fard e rimarcato l’azzurro gelido dei suoi occhi con un trucco freddo sulle palpebre. Il vestito scelto per lui, ovviamente, era uno smoking rigido ed elegante, che, a sentir lei, gli conferiva l’aria carismatica del prestigiatore consumato. Lui era convinto di dare l’impressione di un tizio inciampato per caso in un vestito che non gli si addiceva per nulla, ma preferiva non mettere in dubbio il duro lavoro della donna.

   «Sei nervoso, Himmel?»

   L’Arcimago dovette abbassare lo sguardo per individuare la fonte di quella domanda.

   «Oh, Celia. Non ti avevo sentita arrivare.»

   «Sei nervoso?»

   «Perché dovrei essere nervoso?» sviò lui con una risata gracidante.

   Celia sbirciò da uno spiraglio dietro le quinte la folla mormorante che ricopriva le gradinate. I riccioli scuri le ricaddero sul viso, così Himmel non vide quale espressione passò sul suo volto quando la bimba mormorò:

   «Non eseguire il numero della scatola magica, oggi.»

   Gli occhi dell’Arcimago si spalancarono per la sorpresa. La “scatola magica” era esattamente l’esibizione che aveva deciso di eseguire per quella sera: era il classico trucco in cui il mago veniva rinchiuso in una cassa bloccata da catene e lucchetti, dopodiché la sua assistente avrebbe cominciato a conficcarvi una serie di spade. Era un numero piuttosto vecchio, ma la gente ancora applaudiva meravigliata quando l’illusionista riemergeva indenne.

   «Non posso, Celia. Ma non devi preoccuparti» l’Arcimago la tranquillizzò con una carezza sulla testa, oltre che con le parole. «Abbiamo fatto le prove tante volte, andrà tutto bene.»

   Le spalle della bambina si irrigidirono per un istante, poi i suoi occhi scuri si puntarono su di lui.

   «Tu sei una brava persona, Himmel. Sei sempre gentile con tutti» Celia prese la mano dell’Arcimago che ancora stava sui suoi riccioli e se la portò al viso. «Sarebbe bello vederti fare il padre, un giorno.»

   «Celia, parli come se stessi andando a morire» cercò di sdrammatizzare Himmel. Il sorriso che gli uscì, tuttavia, fu estremamente artificioso, perché la preoccupazione di Celia era troppo simile alla sua per essere ignorata.

   «Non fare quel numero» lo pregò di nuovo lei.

   Himmel non ebbe il tempo di risponderle: uno degli acrobati sbucò apparentemente dal nulla e lo avvisò che era ora di salire in pista.

   «Aspettami qui. Vedrai che andrà tutto bene» fu il frettoloso saluto dell’Arcimago prima di sparire nelle pieghe del circo.

   La bimba rimase immobile un istante, a fissare contrita il punto in cui l’amico si era volatilizzato. Poi girò la testa verso destra per fissare un angolo di tenebre apparentemente vuoto.

L’ombra sembrò sogghignare quando Celia vi appuntò i suoi occhi scuri.

Il buio annidato tra le increspature delle quinte parve contorcersi su se stesso, dilatarsi e allungarsi fino a raggiungere una forma umanoide.

   «Riesci a vedermi, piccola?»

   La voce viscida dell’essere le scivolò lungo il collo come la carezza gelida di un serpente. Nonostante ciò, Celia non vacillò né nella postura né nella voce quando rispose:

   «So anche che non sei bene intenzionato.»

   Dall’oscurità provenne un verso strozzato: l’uomo, o qualunque cosa fosse, doveva aver trattenuto una risata.

   «Non è con il tuo metro che puoi giudicare le mie azioni, piccola» sibilò quella voce, incorporea come se non fosse la gola dell’individuo a produrla. Celia aveva la sensazione che le parole venissero formulate dalla nube cupa che lo avvolgeva e non dalle labbra esangui che apparivano a tratti, strappate alle tenebre da alcuni sprazzi della luce movimentata delle quinte.

   «Farai del male a Himmel» protestò Celia, ergendosi in tutta la sua irrisoria statura.

   «Per evitare che lui stesso faccia del male» si difese la creatura. Il ghigno satanico si dipinse in un bagliore di luce, per essere avviluppato dall’oscurità un secondo dopo.

   «Himmel è buono e gentile con tutti» obiettò la bimba. «Non potrebbe mai fare del male.»

   «Alle persone come lui, forse. Ma, per quelli come me, è peggio di un cancro.» La voce dell’uomo non veniva esalata solo dalla caligine umbratile che lo circondava: protendeva i suoi tentacoli lugubri verso l’esile figura che gli stava davanti, fasciandola con un’aura agghiacciante.

   «E chi sarebbero quelli come te?» chiese Celia mentre sfregava le mani tra di loro per combattere la sensazione di gelo che si incuneava nelle fibre dei suoi vestiti.

   L’uomo fece un passo avanti verso di lei. Non lo sentì dal suono, poiché quell’essere si muoveva con la silenziosità di un fantasma, ma dall’aria intorno a lei che si fece più fredda e più nera.

   «Appartieni alla mia stessa specie» c’era un rallegramento perverso in quelle parole, una nota distorta che la punse al cuore. Qualcosa di appena più solido della nebbia impalpabile e soffocante le mosse i riccioli, e Celia realizzò di essere stata appena accarezzata da quell’individuo. «Per noi la magia non è un gioco di abilità.»

   Il vento di ombre le scompigliò i capelli quando l’essere si spostò alla sua sinistra.

   «Noi siamo i soli che possono farsi chiamare “maghi” a giusta ragione.»

   «Non esiste la magia» lo contraddisse lei.

   Un alito freddo le fece rabbrividire la guancia al sospiro dell’uomo.

   «Questo mondo banale ti sta contaminando, povera piccola…» mormorò affranto. «Osserva. Forse capirai.»

   Dalla massa mutevole di fumo cinereo si delineò una mano scheletrica, le cui giunture scricchiolarono come foglie in autunno quando le dita si distesero. Le falangi ossute ebbero un guizzo e, in risposta al loro ordine muto, dal nulla giunse un crepitio. Trascorse qualche secondo e quello scoppiettio si tramutò in una lingua di fuoco guizzante, che prese a turbinare su se stessa come impazzita, ruggendo e rombando con la potenza di una tempesta.

Le dita si inabissarono di nuovo nella caligine tenebrosa e, nell’esatto momento in cui l’ultima di esse venne fagocitata dall’ombra, la fiamma si arrestò, perse di vigore ed infine si dissolse in una misera voluta di fumo grigio.

   «Non penso che i prestigiatori presenti in questo circo saprebbero evocare il fuoco senza aver studiato un trucco» si compiacque l’essere.

   «Saprebbero fare cose molto più impressionanti, dopo aver studiato un trucco» confutò la bambina.

   «Ma sarebbe comunque un trucco

   L’ombra ruggì, e Celia sentì il cuore esplodere: quell’urlo improvviso e impazzito non rombò nelle sue orecchie ma al centro del suo petto, frantumando tutto ciò che ostacolava il suo cammino.

   «Noi siamo i veri maghi» latrò l’individuo, colpendola con un’altra ondata di furore: le gambe della bimba quasi cedettero, e Celia si aggrappò alla parete di tessuto per non cadere. «Sono le persone come Himmel l’Arcimago che umiliano tutta la nostra specie! Per colpa loro, il mondo pensa che la magia non esista, e che gli unici incanti di questo mondo siano le cialtronerie di quegli insetti

   All’improvviso, l’ombra smise di aggredirla: le unghie invisibili che la laceravano si ritrassero e l’aria si fece meno soffocante quando l’uomo ritirò la sua offesa.

   «Devono sparire» terminò la creatura, ritraendosi da lei.

   «Sparire?»

   «Non con uno dei loro trucchetti» spiegò l’essere. «In maniera definitiva

   Un boato deflagrò dalla pista: urla, schiamazzi e rumore di gente in preda al panico si accavallarono l’uno sull’altro, mentre l’isteria imperversava nella platea.

   «Oh» si deliziò l’individuo. «L’Arcimago deve aver scoperto che il suo doppiofondo non funziona. E la sua assistente deve averlo appena trafitto con la prima delle spade.»

   «Sei un mostro!» inorridì la piccola, tappandosi le orecchie con le mani per non dover sentire la sinfonia folle che accompagnava la morte del suo amico.

   Due occhi di pece la fissarono. Celia era sicura che quell’abominio la stesse guardando, e che le sue iridi fossero scure come un pozzo infernale.

   «E’ giusto così, piccola» la indottrinò lui, lezioso. «Quando anche l’ultimo di questi saltimbanchi sarà sparito, finalmente la gente comincerà a capire che la magia vera esiste. Hai idea di quanto sia mortificante sentirsi chiamare “prestigiatore” quando in realtà sei uno dei maghi più valenti della categoria?»

   «Non sei un mago!» strillò la piccola, piangendo. «Sei un assassino!»

   Uno stralcio d’ombra si allungò verso di lei e le sfiorò una gota: le lacrime che la rigavano si congelarono all’istante sull’epidermide, e si dissolsero in una brina polverosa.

   «Tu sei ancora piccola e non puoi capire» bisbigliò l’uomo con la sua voce disanimata. «Però anche tu sei una maga a pieno titolo.»

   La nebbia di carbone intorno a lei si fece più densa e più fredda, e la voce dell’individuo echeggiò su tutto il suo corpo quando lui le lasciò il suo ultimo ammonimento:

   «Quando sarai cresciuta, Celia, tornerò a prenderti. Se avrai conservato i tuoi poteri, ti porterò con me. Se invece questo mondo banale te li avrà strappati…»

   Non terminò la frase poiché la sua conclusione era scontata. Himmel aveva provato cosa quell’essere fosse in grado di fare a chi infangava il nome della vera magia.

    «Celia!»

   Il richiamo accorato della domatrice di cavalli la riscosse dal torpore artico in cui era caduta.

   «Oh, povera bambina, meno male che non hai visto nulla!» singhiozzò la donna, stringendola all’abbondante petto.

   La bimba lasciò che il calore di quell’abbraccio scacciasse il gelo della stretta dell’essere. L’affetto della domatrice era sincero, tiepido… la creatura le aveva trasmesso solo una crudele determinazione.

   «Questo posto non è più sicuro per te» si preoccupò la donna. Le accarezzò benevola i capelli prima di decidere: «Devi tornare da tuo padre. Lui ti proteggerà.»

La piccola annuì contro il suo seno e obbedì docilmente alla domatrice quando la portò nel proprio camerino.

Tutti pensarono che il suo mutismo fosse dovuto allo shock per la perdita improvvisa dell’amico. Per buona parte avevano ragione.

Ma il silenzio le serviva anche per riflettere su quanto era avvenuto tra lei e quell’essere.

   Quando sarai cresciuta, Celia, tornerò a prenderti.

Celia. L’aveva chiamata per nome. Ma lei non gli aveva mai detto come si chiamava.

Aveva fatto delle ricerche su di lei per impressionarla di più? Lo aveva sentito dire da uno dei tanti artisti del circo?

Oppure… lo aveva letto nella sua mente?

   Un uomo che evocava il fuoco con un semplice gesto non doveva trovare molte difficoltà nello sfogliare i pensieri altrui; un uomo che uccideva per onorare il suo orgoglio di mago non doveva avere molti rimorsi nel carpire i segreti altrui.

   Questo posto non è più sicuro per te. Devi tornare da tuo padre. Lui ti proteggerà.

Suo padre l’avrebbe protetta? Anche da quella creatura?

Rovesciò all’indietro la testa, e le lampade al neon bagnarono di riflessi spettrali il suo viso preoccupato.

Esisteva ancora un posto sicuro per lei?

 

   Quando sarai cresciuta, Celia, tornerò a prenderti.

   
 
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