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Autore: ryuzaki eru    08/02/2012    5 recensioni
Le favole della nonna e la sua voce calda riecheggiano nel tempo...
«...Ci fu una volta, nella notte, solitaria nel mezzo delle nostre campagne, una luce.
E dico ci fu, perché veramente fu così. Una volta soltanto. Avvenne una volta soltanto. Tienilo bene a mente questo, piccola Ebe… (...) Quella luce era il Circo della Notte…» fece una pausa «…Solo una volta nella vita di una persona è possibile vederlo. Forse. Perché ad alcuni capita di non riuscire a vederlo mai… (...) »

E dopo anni, il Circo arrivò, per quell'unica volta... ed Ebe ci andò.
Ebe si aggrappò con le mani alle sbarre gelate e vi accostò il volto. Si trattava di scavalcare…
Poi però sentì un fruscio…Ed intravide un movimento dietro la tela…
E da lì, dove un istante prima sembrava non ci fosse nulla, uscì un ragazzo alto, con i capelli neri e sufficientemente corti per apparire comunque disordinati nelle ciocche lisce e morbide.
E la vide.
Rimase un istante a fissarla e poi la sua bocca si aprì in un sorriso scaltro e vagamente pungente «Volevi scavalcare?»

(Il racconto può essere letto senza bisogno di conoscere il libro "Il Circo della Notte")
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto è nato per il concorso. L'ho scritto in un pomeriggio con l'acqua alla gola e l'ho pubblicato al volo.
Sappiate che non ho letto il libro integralmente, ma solo le pagine scaricabili dal sito, e che i personaggi che vi compaiono sono di mia invenzione. Ciò che mi ha colpito di più di quei due primi brevi capitoli è stata l'atmosfera "magica" da circo misterioso e da quella sono partita.
A chi non ha letto le pagine messe a disposizione su EFP, basti sapere che in esse il Circo della Notte è raccontato come un circo speciale che vive solo di notte, come un'attrazione vivente probabilmente dalla fine del 1800 e collegata a Celia, una bambina vissuta in quell'epoca e portatrice del potere telecinetico di spostare gli oggetti col pensiero.
Detto questo, potete leggere il racconto senza considerarlo una fanfiction ^_^
Ma lo volete ancora leggere?!!!!

Grazie comunque di essere qui!





Ci fu una volta, nella notte, una luce...

 
 
«C’era una volta, nella notte, solitaria nel mezzo delle nostre campagne, una luce.
Anzi… Ci fu una volta, nella notte, solitaria nel mezzo delle nostre campagne, una luce.
E dico ci fu, perché veramente fu così. Una volta soltanto. Avvenne una volta soltanto. Tienilo bene a mente questo…»
Gli occhi caldi dell’anziana donna osservarono accuratamente quelli della bimba accoccolata sotto le coperte, debolmente illuminata da una piccola lampada sul comodino.
E attesero, nel silenzio, continuando a guardarla, lasciandole il tempo di definire ciò che lei stava raccontando.
Poi, adagio, la donna riprese «…Faceva freddo. Faceva molto freddo. Faceva così freddo che non riusciva neppure a nevicare. Ma quella luce illuminò la vallata e la si potè vedere dalle colline e dai paesi circostanti. Ma in pochi ebbero il coraggio di uscire, di affrontare quel gelo, di scoprire cosa fosse quella luce. Perché in pochi erano liberi dalle paure, dalle superstizioni e dai mostri della loro mente.»
«Cosa sono i mostri della mente, nonna?» le chiese la bimba curiosa e per nulla impaurita, tirandosi gongolante le coperte sotto il mento con gli occhi attenti e vispi. Era stregata dalle favole della nonna… favole…
L’anziana donna si umettò le labbra «Sono le brutte fantasie che alcune persone covano dentro di sé. Fantasie nate col tempo e radicate in loro. Sono come i brutti sogni, Ebe, quelli le cui immagini rimangono incastonate nella tua testa per la vita. E che le persone non riescono a far scomparire, perché non sanno capire che sono solo sogni e che le cose possono cambiare.»
Ebe ascoltava quella voce tremula e calda e se la guardava la sua nonna, la adorava, perché lei le spiegava sempre tutto, perché non le diceva mai che certe cose le avrebbe capite solo “da grande”.
«Quindi è questo il motivo per cui papà non capiva che Mia voleva stare col suo ragazzo per tutta la vita e non la lasciava andare. Per questo è tanto arrabbiato con lei ancora adesso, dopo tanto tempo che ormai se n’ è andata con lui… Lo fa perché c’è un mostro nella sue testa, perché non riesce a sconfiggerlo, non sa cambiare…» provò la piccola a commentare titubante.
«Credo di sì, tesoro. Ma questo è un segreto tra me e te… In pochi, come ti ho già detto, riescono a cambiare. È molto difficile farlo…» sorrise teneramente la nonna.
«Povero papà…» sussurrò Ebe abbassando lo sguardo. Poi lo rialzò «…Raccontami di quella luce…»
«Quella luce era il Circo della Notte…» fece una pausa «…Solo una volta nella vita di una persona è possibile vederlo. Forse. Perché ad alcuni capita di non riuscire a vederlo mai… Perché il Circo della Notte fa il giro del mondo e tocca ogni luogo, ma lo fa per una notte soltanto. E quando  arriva si deve andare, perché lui non aspetterà… Se riuscirà a giungere la notizia che è venuto, si deve andare…
Ma allora le comunicazioni non erano così semplici e poi in molti lo temevano… Immaginavano che fosse un luogo maledetto, perché ciò che vive di notte spesso può esserlo, o perlomeno così molti credevano…» si fermò per un'altra pausa.
«Era questo il loro mostro allora… E tu lo hai visto il Circo della Notte, nonna?» le chiese Ebe, spalancando gli occhi scuri e stringendosi sotto le coperte…
«Sì…»
 
Ebe scese dal pullman. Poggiò il piede sull’asfalto scuro. Ed il vento gelido le graffiò il volto come fossero stati mille aghi.
Le porte le si richiusero dietro ed in un istante si ritrovò sola, sul ciglio della strada, sotto la luce di un pallido lampione, nel silenzio della notte.
La sua figura dinoccolata confondeva, avvolta in un morbido giubbotto ed incappucciata, la faceva ancora sembrare una bambina. Ma era apparenza. 
Sospirò e guardò verso la collina immersa nella campagna alberata, davanti a sé…
Era lì.
Sotto il cielo blu pieno di stelle si stagliava quella luce.
Quella luce che aveva immaginato per anni.
Si coprì la bocca con la sciarpa, fin sotto al naso.
E allora infilò le mani nelle ampie tasche della sua giacca imbottita e iniziò a camminare oltre il ciglio, avventurandosi nell’erba rada.
Aveva disubbidito.
All’età di diciassette anni aveva disubbidito a suo padre che non era ancora riuscito a cancellare i suoi mostri…
Era notte fonda. E lo era perché Ebe non avrebbe mai potuto uscire di casa prima che lui fosse andato a dormire, perché non avrebbe mai potuto aspettare il pullman alla fermata del suo paese in un’ora accessibile a tutti. Perché tutti l’avrebbero vista ed avrebbero parlato. Perché molti avrebbero fatto quel tragitto in quella serata. Perché molti sarebbero andati a vedere il Circo della Notte. Perché i tempi erano cambiati, perché i mostri adesso erano altri ed in pochi ancora credevano che nella notte si nascondesse il male…
E così Ebe camminava, affondando le scarpe di gomma nell’erba fredda e nell’oscurità, diretta verso quella luce, sperando che il Circo della Notte fosse veramente il circo di “tutta” la notte.
Da lontano vide che anche altri in quel momento, come lei, si stavano ancora avvicinando alle  innumerevoli tende a strisce bianche e nere, vide le tante macchine parcheggiate nella vallata, davanti al cancello aperto.
Tutti. Ci erano andati tutti.
Anche lei.
Anche se non aveva avuto il permesso ed era una clandestina.
Quando fu ormai molto vicina riconobbe un gruppo di ragazzi più grandi del suo stesso paese, fermi davanti alla biglietteria.
A questo non aveva pensato. L’avrebbero riconosciuta anche lì.
Così deviò la traiettoria e costeggiò da lontano la cancellata di ferro che delimitava il grande circo e raggiunse il retro.
Non c’era nessuno, solo i teli delle tende, tesi e privi di aperture.
E solo allora si avvicinò.
Bianco e nero. Basta. Non esisteva terra, non esisteva erba, non esistevano altri colori dietro quella recinzione. Sembrava tutto finto, di plastica. Anche il sentiero che girava tutto attorno alle strutture tendonate, subito dietro la cancellate. Sembrava una di quelle caramelle gommose al gusto di liquirizia e menta. Sì, finto. Scenico. Surreale.
Si aggrappò con le mani alle sbarre gelate e vi accostò il volto.
Si trattava di scavalcare…
Poi però sentì un fruscio…
E intravide un movimento dietro una delle tele spesse e tenute in tensione…
Il rumore di una zip e si aprì uno squarcio in una delle larghe strisce nere del tendone, dove un istante prima sembrava non ci fosse nulla…
Ebe indietreggiò un poco e rimase fissa a guardare.
Uscì un ragazzo alto, con i capelli neri e sufficientemente corti per apparire comunque disordinati nelle ciocche lisce e morbide.  
Indossava i pantaloni di una larga tuta ed un’ampia casacca di lana grossa, spessa e nera.
Appena fu fuori rovistò nelle tasche dei pantaloni e tirò fuori un fiammifero, un pezzetto di carta scura ed una sigaretta stropicciata.
La portò sulle labbra, strusciò la punta di zolfo sul brandello di cartoncino ed avvicinò la fiamma al volto, sollevando il mento.
E la vide.
Rimase un istante fermo a fissarla e poi la sua bocca si aprì in un sorriso sottile, scaltro e vagamente pungente…
Aspirò la prima boccata, continuando a mantenere quell’espressione divertita in modo singolare «Volevi scavalcare?» le chiese limpidamente.
Ebe non si muoveva, rimaneva scostata dalle sbarre, ma non riusciva a scollargli gli occhi di dosso. E non rispose, imbarazzata e incapace di uscire da quella condizione che ora diveniva ancora più “clandestina” di quanto già non lo fosse. Perché se la clandestinità è scoperta diventa tutto più difficile.
Il ragazzo si avvicinò alle sbarre «…Allora è proprio così!» le disse e poi gli uscì una breve risata disinvolta ed ironica.
Ebe si sentiva accusata ed in colpa. Già si sentiva così per la sua “fuga” notturna, per la sua prima “fuga”, per aver disobbedito al padre, ed ora quella sensazione era precipitata ancora di più… Probabilmente era esagerata, ma in quel momento le emozioni la colpirono come capita sempre a chi non ha mai fatto nulla di male e si trova per la prima volta ad essere accusato di una scorrettezza che effettivamente ha compiuto, per la prima volta per l’appunto…
Nonostante questo rispose tentennante «Sì… Ma io non ne avevo intenzione all’inizio, sono stata costretta… Mi dispiace…non volevo fare nulla di male…»
Lui, sempre con fare divertito, scosse il capo e poi scartò il volto di tre quarti e le disse «Ma ancora non hai scavalcato. Quindi non dovresti scusarti di nulla. In fondo ti sei auto-accusata quando avresti potuto benissimo negare, raccontando che stavi facendo un giro. Io non ti ho colto sul fatto. Non sei dentro. Nessuno può fare un processo alle intenzioni.» sorrideva ancora.
Ebe si sentì una stupida improvvisamente. Non era per niente scaltra in effetti… si era subito scoperta «Be’… però non è comunque una cosa bella avere intenzione di entrare così…senza pagare… Mi imbarazza allo stesso modo…»
«Ma tu non sai chi sono io. Potrei non avere alcun ruolo qui dentro. Potrei essere addirittura uno spettatore…» la provocò ancora.
«Io non credo che tu lo sia, uno spettatore.» disse finalmente risoluta Ebe.
Di questo era certa.
Quel ragazzo sprigionava qualcosa. Lui era “del Circo della Notte”.
«No, infatti non lo sono.» le confermò lui mentre il fumo gli usciva dalle labbra socchiuse.
Poi poggiò la fronte sulle sbarre guardandola sempre fissa negli occhi «Guarda che a me non interessa se volevi scavalcare. E non mi interessa neppure se lo farai.»
La spiazzò.
«Come? Ma… Mi faresti scavalcare? Se me lo facessi fare io potrei pagare a te il biglietto! Io voglio solo evitare l’entrata principale, ma i soldi li ho!» esclamò lei in modo concitato.
«A me non interessa neppure dei soldi del biglietto.» continuò lui rimanendo con la fronte appoggiata alle sbarre «Perché non vuoi entrare dalla biglietteria?» le chiese poi curioso.
«Perché nessuno sa che sono qui. Sono uscita di casa di nascosto disubbidendo a mio padre che mi aveva impedito di venire. E qui è pieno di persone che conosco… Nelle tende potrei trovarmi un cantuccio isolato per non essere notata, ma all’ingresso non potrei passare inosservata… Praticamente tutto il mio paese è qui…» e si liberò. Chissà perché raccontare a quello strano ed intrigante ragazzo la sua storia la fece sentire meglio.
E con questa rinnovata sicurezza si avvicinò finalmente di nuovo alle sbarre anche lei e gli poté osservare gli occhi che prima apparivano nell’ombra…
Erano grandi, con un taglio ampio e lievemente da gatto… ed avevano un colore indecifrabile… era acqua cristallina di mare, sì… ma acqua di mare ghiacciata… chiarissimi e trasparenti, come se il cielo terso e luminoso della mattina potesse essere visto attraverso una lastra ghiaccio. E vivi.
Non aveva mai visto occhi così…
«Avanti, scavalca.» la incitò lui, allontanandosi dalla cancellata.
Ed Ebe si lasciò incitare, perché quegli occhi erano ipnotici e meravigliosi e non potevano essere malvagi…
Si aggrappò con le mani alle sbarre, poggiò il piede sul ferro trasversale che correva tutto attorno alla recinzione e scavalcò.
«Ora sei colpevole.» le disse lui sempre sorridendo.
«…Ma… avevi detto che…» farfugliò Ebe, guardandolo ora dal basso in alto, mentre erano in piedi uno di fronte all’altra.
Lui si portò il cappuccio della casacca sul capo e le ciocche di capelli gli andarono a coprire la fronte senza velargli gli occhi «Sì. E lo ribadisco. Non mi interessa che tu sia entrata come una clandestina. Ma ora non è più un’intenzione, ora sei senza dubbio colpevole, sei dentro senza biglietto.» si fermò un istante «E come ti senti ad esserlo?» le chiese all’improvviso.
«Credo… Meno peggio di come immaginavo prima… ma penso che dipenda dal fatto che ci sei tu qui… è come se mi avessi dato il permesso di farlo…» rispose lei pensierosa e sincera.
«Sì. Credo anch’io che sia proprio così.» e le sorrise, questa volta senza quella punta di ironia e poi proseguì con tono interessato «Ci tenevi proprio tanto a venire qui. Hai raddoppiato le tue scorrettezze per farlo, hai disubbidito ed hai scavalcato senza pagare. E non sembri per niente avvezza a farne, di scorrettezze.» la scrutò assottigliando lo sguardo.
«Sì, ci tenevo moltissimo… Se avessi perso questa occasione non avrei mai potuto vedere il Circo della Notte… sì, il Circo della Notte “che arriva all’improvviso, senza avvisi, nei posti più disparati, rimane una notte soltanto e poi riprende il suo viaggio, diretto per chissà dove, impossibile da seguire, da raggiungere, da scoprire”… Queste erano le parole di mia nonna anni fa…» gli confessò Ebe.
«Tua nonna ha visto il Circo della Notte?» le domandò lui serio.
«Sì… qui, tanti anni fa, quando era ragazza…»
«E tu lo hai visto nei suoi ricordi… Sei fortunata…» disse lui spostando lo sguardo «Quello era ancora il Circo della Notte.» aggiunse con un tono impenetrabile, che non aveva più nulla dell’atteggiamento divertito e pungente di prima.
Ebe rimase stupita e confusa «Perché… questo non è il Circo della Notte? Cosa intendi? Ma chi sei tu?» gli domandò a raffica all’improvviso.
Era un ragazzo strano. Era diverso… Era certa che quello fosse il Circo della Notte proprio perché lui era diverso…
Lui riportò quegli occhi trasparenti su di lei e di nuovo gli uscì quel sorriso «Io sono Ael. E questo non è più il Circo dei ricordi di tua nonna. Quel circo è morto tanti anni fa. Spiacente.» gettò la sigaretta a terra e la spense.
Ebe non si mosse, rimase impalata davanti a lui.
«Cos’è, ti senti una sciocca perché hai violato le regole per niente?» le chiese lui tranquillo e ancora provocatorio.
«Io invece sono Ebe. E non capisco perché tu ti stia prendendo gioco di me in questo modo, fin dal primo momento.» gli rispose lei seria.
«Ah, finalmente. Non sei così spaurita allora, Ebe. Io mi diverto semplicemente a giocare con i “mostri” che sono nella mente delle persone.» commentò lui.
Mostri. Ebe rimase senza parole. Lui aveva usato proprio quel termine… mostri. «… Io vorrei, anzi, io sto cercando di farli sparire quei “mostri”… non sarei qui altrimenti…»
Lui sembrò scuotersi a quel punto.
Sembrò che quella semplice considerazione avesse potuto sciogliere qualcosa…
Ebe aveva capito benissimo. Ebe conosceva il significato di quella parola così come lui aveva voluto intenderlo…
«Tutti dovrebbero farlo.» disse poi Ael con tono quasi rassegnato, ma sincero, vero e triste…
«Qualcuno però non lo farà mai… qualcuno non si renderà mai nemmeno conto che sono “mostri” quelli che cova dentro…» continuò Ebe con un tono molto simile a quello del ragazzo alto che aveva ancora davanti e che la guardava ora con occhi diversi… E poi pensò di nuovo quello che aveva pensato tanti anni prima… “Povero papà…”.
«E sono loro che ci rimetteranno.» aggiunse lui «Qual è il tuo mostro da distruggere, Ebe?»
Tutta quell’atmosfera era surreale. Lui era surreale. Quella conversazione era surreale… Ed Ebe gli rispose per questo, perchè in quel momento si sentì di nuovo libera come lo era stata con sua nonna, tanti anni prima…
«Credo sia la mia paura di non essere accettata per quello che sono. Credo sia la mia voglia di uscire ed essere libera che combatte con il terrore di non essere accettata se lo farò. Credo sia la paura che non essere accettata sia peggio che non essere libera…»
«Ma ora sei qui. Forse hai già deciso che è meglio essere libera…» le disse lui.
«Forse. Ma mio padre non lo sa… E non lo saprà mai spero… Quindi… Non si troverà mai nella condizione di dovermi accettare ugualmente, anche se avrò fatto una cosa che lui mi ha proibito…» tentennava, ma continuava a dirgli tutto…
«E allora diglielo.» Ael si espresse con una naturalezza ed una semplicità sorprendenti, senza enfasi.
Ebe sgranò gli occhi, terrorizzata all’idea «Cosa significa il nome Ael?» cambiò discorso.
Lui si mise a ridere «Non ne ho la più pallida idea! So soltanto che è un nome bretone, perché mio padre lo era e mia madre decise che il nome doveva essere l’unica cosa che poteva rimanermi di quella sua unica “notte meravigliosa” con lui. Io non l’ho mai conosciuto e suppongo anche che nemmeno lei lo conoscesse poi così bene.» aggiunse alla fine sghignazzando in modo un po’cinico. «“Ebe” significa qualcosa invece?» le chiese.
«Significa “giovinezza”. Mia nonna era una accanita sostenitrice del fatto che tutti dovessero conoscere il significato del proprio nome.» e sorrise anche lei.
Poi si fermò qualche istante, mentre il vento cominciava a soffiare ancora una volta raggelandole il volto.
E allora lui si spostò e si avvicinò alla tenda, entrò dall’ingresso che aveva lasciato aperto e si sedette all’interno a gambe incrociate, per terra, sull’uscio, e rivolse i suoi occhi cristallini verso Ebe, senza dire nulla.
Lei allora lo raggiunse e gli sedette affianco. Dall’interno del tendone buio arrivava un piacevole tepore che iniziò a scaldarle la schiena.
«Ael, perché questo non è più il Circo della Notte dei ricordi di mia nonna?» gli chiese guardandolo in quegli occhi di ghiaccio eppure pieni di vita e ardore.
«Perché Celia era il Circo della Notte. E Celia non c’è più.»  fu lapidario e tagliente.
Celia… La nonna di Ebe l’aveva vista Celia. Lei ancora l’aveva vista in vita quella donna straordinaria…
Ebe non parlò ed attese in silenzio.
«Ma questo è ovvio» sorrise lui guardando verso l’oscurità dell’esterno «Lei non era eterna, era un essere umano come tutti noi… Io non l’ho mai conosciuta naturalmente, la vedo anche io come te nella memoria di chi la ricorda ancora o di chi la ricordava. Però dopo la sua morte nessuno ha preso il suo posto e nessuno potrà mai farlo. Nessuno ha i poteri che aveva lei… E se anche qualcuno li avesse, quel qualcuno non avrebbe la forza di sconfiggere i suoi “mostri” così come aveva fatto lei, dando forza e coraggio a tutti.»
«E quali erano i “mostri” di Celia…?» chiese timidamente Ebe, mentre faceva scivolare il cappuccio del suo giubbotto dietro la schiena e i capelli scuri e liberi le ricadevano sulla fronte ed intorno alle guance rosate dal freddo.
«La paura di apparire diversa, la paura di essere temuta per questo, la paura di non vivere una vita normale, di essere osannata e ammirata per il suo potere, applaudita, ma allo stesso tempo di essere allontanata per questo, di non essere come tutti gli altri… non è facile essere diversi, Ebe. E Celia riusciva ad esserlo, ma ha dovuto lottare… Ci sarà sempre qualcuno che ti additerà e che sarà guardingo nei tuoi confronti. Ovunque. In ogni luogo del mondo in cui ti troverai dovrai faticare, combattere e scagliarti contro chi non è come te. E nessuno è come te…»
Parlava come se la cosa lo toccasse nel profondo, come se stesse parlando di se stesso…
«No. Nessuno è come te. Nessuno lo è mai. E nessuno potrà mai esserlo. Ogni individuo è unico… io sono unica, Celia era unica, mia nonna era unica, mio padre è unico, tu… tu sei unico…» disse Ebe, quasi sussurrando alla fine.
Lui era unico. Era così libero, così strano, così enigmatico eppure così sincero. Ael. Ael che girava il mondo da sempre, che trascorreva ogni notte in un posto diverso, che vedeva ogni notte persone diverse, che non si fermava mai, che non aveva una vera casa. Che non aveva radici, che viveva circondato di una famiglia enorme, perché tutto il Circo era la sua famiglia. Ael che, nonostante questo, sembrava così solo…
«Io sono unico… già…» ripeté lui quasi angosciato, continuando a guardarla.
E poi iniziò a fissarla  più intensamente con i suoi occhi magnetici… la trafisse lentamente… molto lentamente…
Ed una ciocca dei capelli di Ebe morbidamente si scostò dalla sua pelle, dalla sua fronte, dalla sua guancia, come se qualcuno gliela stesse teneramente spostando per vederle meglio il volto… sentì come un fremito quando se la sentì adagiare con cautela dietro l’orecchio, senza che nessuno la stesse toccando…
«Celia era la mia bisnonna.» le disse Ael continuando a guardarla.
Ebe portò la sua mano ad accarezzare appena i capelli che lui le aveva dolcemente sistemato dietro l’orecchio senza sfiorarla con un dito.
Era stato lui…
Lui aveva lo stesso potere di Celia…
Ebe rimase attonita, emozionata, come stordita da quello sguardo di lui che continuava a stregarla…
«…E tu non dirai a nessuno che io ho fatto questo… che io posso fare questo…» le sussurrò Ael.
«…No… ma nessuno chi…? …O forse…Tu lo hai tenuto nascosto anche a tutti gli altri… qui…» tentennò Ebe «… ma perché…?»
«Perché io non sono come Celia. Perché i miei mostri sono i suoi stessi mostri. Ma io non li ho saputi ancora combattere.» le rispose lui serio, senza tentennare.
«…Ma se tu lo volessi il Circo potrebbe tornare quello di un tempo…»
«Forse…»
Si sporse in avanti con il busto, si avvicinò lentamente al suo viso, le carezzò delicatamente col dorso della mano la pelle della tempia ormai libera dalla ciocca di capelli che lui stesso le aveva scostato…
E poi le sue labbra si posarono su quelle di Ebe e la baciò… la baciò a lungo e teneramente…
«… Io non ti allontanerei mai perché sei così…» gli disse Ebe, guardandolo negli occhi, mentre le punte dei loro nasi si sfioravano.
«Ma io domani non sarò più qui… E dove sarò tu non ci sarai… Sono poche le persone che conoscono il significato della parola “mostri”, così come la intendeva Celia, e sono ancora di meno quelle che li affrontano…» le sussurrò Ael.
«Io affronterò i miei… Se tu affronterai i tuoi…» gli disse lei osservandogli le labbra.
 
Alle sette del mattino Ebe era alla fermata del pullman, circondata dai ragazzi che dovevano ritornare dalla nottata fuori, dalla nottata al Circo della Notte...
Infreddolita sfilò il cellulare dalla tasca del suo giubbotto, fece un sospiro e chiamò suo padre.
«Papà. Sono alla vallata e sto aspettando il pullman. Sarò a casa tra poco. Sono andata al Circo della Notte.»
Deglutì ascoltando l’ira di suo padre e poi riagganciò salutandolo, pronta ad affrontarlo di persona.
L’autobus arrivò, Ebe salì, si sedette e appoggiò la fronte al vetro del finestrino e diede l’ultimo sguardo al tendone a strisce bianche nere…
Il Circo della Notte sarebbe tornato quello di un tempo.
E poi scoppiò a piangere, mentre gli occhi trasparenti di Ael diventavano lentamente solo un ricordo…
 
«Nonna, mi racconti di nuovo la storia del Circo della Notte e di Celia?» chiese la piccola Ebe raggomitolata sotto le coperte.
La nonna sorrise, le scostò una ciocca di capelli dalla fronte ed iniziò.
«Ci fu una volta, nella notte, solitaria nel mezzo delle nostre campagne, una luce. E ci fu un tempo Celia. Ricorda Ebe, il potere di Celia era grande, era umano e per molti incomprensibile e temibile. Fu Celia a farmi capire che bisognava combattere i propri “mostri”. Non dimenticarlo mai. Io l’ho vista una volta sola, ma il suo ricordo vive ancora dentro di me. Se mai il Circo della Notte tornerà qui, un giorno, tu dovrai andarci, perché lui ti aiuterà. Non so come, ma lo farà…»
   
 
 
 
   

Grazie infinite di aver letto fin qui!

Eru

   
 
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