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Autore: minerva74    09/02/2012    5 recensioni
Due settimane sono trascorse dalla morte di Sherlock Holmes: non ci sono più sue foto sui giornali, non c'è più nessuno che ne parli.
Tuttavia, qualcuno si aggira sull'Embarkement, di notte...
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fantasmi

 
Londra non era mai silenziosa, nemmeno a quell’ora della notte: il suono distante del traffico nelle strade, il borbottio delle chiatte sul fiume, persino la musica di un gruppo hip hop che suonava da qualche parte. Lungo l’Embarkment, figure solitarie scivolavano attraverso la bruma mescolandosi alle ombre, fino a svanire del tutto.
Un uomo procedeva lentamente lungo l’argine del fiume, sfiorando con le falde del soprabito la ringhiera. Teneva la testa sul petto, il volto seminascosto dal bavero alzato. Passi lunghi, eleganti. Pian piano, i rumori scemarono sino a diventare un brusio di fondo: il respiro di una città immersa nel dormiveglia, coperta dal buio.
La figura si fermò sul molo dinanzi l’Oxo tower. La marea del Tamigi era bassa; sul bagnasciuga, un gruppo di ragazzi stava giocando con il fuoco. Letteralmente.
“Giocolieri” sillabò tra sé. Linee di fiamma disegnavano traiettorie nel buio, illuminando volti e corpi con lame di luce rossastra. Anche lui era un giocoliere. Un funambolo tra i pensieri, tra dettagli sospesi che nessuno riusciva a vedere. La sua mente riusciva a correre sul filo della realtà, a inseguirla, a cesellarla fino a raggiungere la perfezione.
Ora, tutto era perduto.
Increspò le labbra in una piega stizzita. Si voltò di scatto.
Una donna, poco più che una ragazza era alle sue spalle. “Ehi, amico, scusa. Non volevo spaventarti” si scusò quando scorse l’occhiata gelida che l’altro gli aveva scoccato. Arretrò di un passo, a disagio, ed esibì una sigaretta tra le dita. “Volevo solo chiederti se hai da accendere. Tutto qui.”
L’uomo, avvolto in un lungo cappotto, fece un cenno di diniego. “Ma tu hai qualcosa che io voglio.”
Lei, occhi chiari e volto allungato, corrugò la fronte seminascosta da un vecchio cappello di pile. Indietreggiò di nuovo, mentre la mano si tuffava la tasca del parka dove custodiva lo spray urticante. Troppi pazzi in giro che pensavano di poter fare chissà cosa a una ragazza come lei.
“Smetti di giocare con quella bomboletta: non ho alcuna intenzione di aggredirti, e in verità, mi domando come qualcuno possa provare il desiderio di farlo. Desidero solo conoscere il nome del vostro rifugio.”
La ragazza sbatté le palpebre. Due volte. Si voltò lentamente a guardare dietro di sé: tra gli alberi, nascosta dalla nebbia che si levava dal Tamigi, c’era la sua amica Lucinda.
Come faceva quel tizio a sapere che…
“Il rifugio. Adesso. ” Il tono dello sconosciuto era perentorio; la voce, un tocco di violoncello.
Mae, poiché questo era il suo nome, esalò un lungo, lentissimo sospiro. “San Trinians, a tre isolati da qui. Ma tu… come hai fatto a capire che…” Poi spalancò gli occhi. Le avevano raccontato di un uomo così, che riusciva a capire le persone dalle apparenze. I suoi amici ne parlavano in continuazione: con rispetto, quasi con deferenza. Scuotevano la testa e guardavano oltre il fiume, verso Westminster; altri andavano in giro ad appendere buffi manifesti. Lei ne sapeva nulla: era arrivata a Londra da Glasgow da poco, forse un paio di settimane. Non poteva rimanere un giorno di più sotto lo stesso tetto del suo patrigno.
L’uomo la ringraziò con un cenno, oltrepassandola senza aggiungere una parola.
Lo guardò svanire, inghiottito dalla bruma. “Ma tu… chi sei?” gridò.
Le rispose lo sciabordio del fiume contro il molo.
 
Il biglietto di carta rigida pesava nella tasca come una pietra. Le sue dita, lunghe ed eleganti, avevano accarezzato il cartoncino, lo avevano blandito, graffiato, schiacciato. Un paio di volte aveva rischiato di finire accartocciato, eppure era sopravvissuto.
Giunto sotto un lampione, lo trasse fuori dalla tasca della giacca. Lo studiò, un’ennesima volta.
Un numero di telefono.
Socchiuse gli occhi per un istante, guardandosi alle spalle. La sensazione di essere seguito, adesso, era divenuta una certezza.
I fantasmi riconoscono i propri simili.
Tornò a fissare il biglietto.
Riavere di nuovo un corpo, un luogo, un’esistenza. Fare ciò che più amava, l’unico vero scopo della sua esistenza. E, forse un giorno, poter tornare a usare il proprio nome.
Ma tutto aveva un prezzo, e nel suo caso, il prezzo era la libertà di scegliere. Aveva rinviato quella scelta per molti giorni, in attesa di capire… di accettare ciò che gli era accaduto.
Quel numero era un’opportunità – l’unica che avesse – e una maledizione.
Poteva pagare il suo debito e lottare per riprendersi ciò che gli era stato strappato con l’inganno, o tornare a galleggiare tra le ombre, come aveva fatto nelle due ultime settimane: uno spettro invisibile in una metropoli di milioni di persone, condannato a osservare ciò che nessun altro avrebbe potuto vedere mai.
Sfregò le dita le une contro le altre. Erano fredde, rigide: le callosità sotto i polpastrelli si stavano ammorbidendo. In quell’istante provò una sensazione spasmodica - che il suo vecchio amico John avrebbe qualificato come desiderio - di suonare il violino.
Gli mancava Bach. E Mozart. E Paganini. E Strauss. Lo stridio dell’archetto sulle corde metalliche, il battito del cuore che diveniva una cosa sola con il ritmo della musica. Chiuse gli occhi e per un istante, un solo istante, si concesse l’illusione di essere di nuovo a Baker street, di stringere tra le dita lo strumento mentre il fuoco scintillava nel camino e John si affaccendava ad aggiornare quel suo dannatissimo blog.
Deglutì a vuoto. Sui tabloid, la sua foto era stata rimpiazzata da quella di una starlette trovata morta nell’appartamento di un sottosegretario dello Scacchiere. Roba che lui avrebbe risolto in un giorno o due.
Rivoleva la sua vita. Non importava quanto ci sarebbe voluto: ci sarebbe riuscito.
 
Il rifugio di Saint Trinians era ospitato in un seminterrato poco distante dal Blackfriars bridge. Una lunga scala di metallo scendeva nel ventre di un edificio, arrivando a un corridoio dalle pareti verde chiaro, illuminato da neon pallidi. L’uomo fu accolto da un tepore soffocante, stantio, e dall’odore di abiti usati. Una volontaria di mezza età in cuffia e divisa verde scuro con una pin appuntata sul petto gli venne incontro. Il sorriso era largo, tipico della classica signora alto borghese che si dedica al volontariato per poterne parlare al circolo del bridge del martedì sera e che si è sottoposta a una rinoplastica di cui andava particolarmente fiera un paio di mesi prima.
“Caro, benvenuto” tubò. L’uomo non alzò la testa. “Su, su. Non c’è nulla di cui vergognarsi qui, tutti possono aver bisogno di una mano d’aiuto. Di là c’è una mensa per un pasto caldo e a destra, l’ambulatorio medico. La porta a destra, invece, è la sala da bagno.”
Divorziata e risposata. Il secondo matrimonio era stato di gran lunga più felice del primo, o per lo meno assai più soddisfacente dal punto di vista sociale ed economico. Ah, e di lì a poco avrebbe eseguito un trattamento facciale per cancellare le rughe.
Sempre senza parlare e tenendo il capo chino, l’uomo accennò un ringraziamento. Si diresse verso la sala mensa: c'erano poche persone che confabulavano tra loro, di cui una visibilmente ubriaca. Oltre il bancone di metallo, un’inserviente. Non faceva al caso suo.
Si voltò a osservare il corridoio alle sue spalle: c’era un’uscita di emergenza, quasi sicuramente verso la superficie. Ma soprattutto c’era lo studio medico. Qualcosa di simile a un brivido gli accarezzò la schiena.
Sollevò la testa verso il soffitto: una telecamera. Non era un modello recente e probabilmente aggiornava l’immagine ogni cinque secondi.
Gli sarebbe bastato. Doveva farseli bastare.
 
Quattro.
Il ferro scivolò all’interno del cilindro senza trovare alcuna resistenza.
Tre
Lo scatto. Unico, rapido.
Due.
Il pomello girò.
Uno.
Il corridoio era deserto.
 
L’uomo lasciò che gli occhi si abituassero alla penombra. Una lampada antisettica in un angolo illuminava a malapena la stanza con la sua luce blu, disegnando ombre sulle pareti, lungo le linee dei mobili.
Un angolo del viso dello sconosciuto si sollevò in un sorrisetto. Il telefono era sulla scrivania.
Sollevò la cornetta, pigiò lo zero. Linea libera.
Strinse tra le dita la cornetta, ancora per un istante. Assaporò la sensazione della libertà assoluta per l’ultima volta.
Avrebbe pagato il proprio debito.
Digitò il numero e attese. Gli squilli si susseguirono, l’uno dopo l’altro, sino a che non rispose una voce nasale dalla cadenza morbida. “Si?”
“Credo che tu possa richiamare il tuo cane da guardia, fratello.”
Un lungo, pesante sospiro fu la risposta.
Sul volto dell’uomo si allargò un ghigno amaro. “Pensavi che non lo avessi notato? Il governo britannico usa degli scolaretti come pedinatori. Dovresti chiedere un maggior rigore nella selezione del personale.”
Una pausa carica di insofferenza. “Sei sparito dal Bart senza dare più notizie di te. Avevamo un accordo e tu hai tentato di ingannarmi. Ho ritenuto giusto tutelare la mia posizione. Dove sei adesso?”
“Dove? Oh, non importa. E comunque, il segugio ha impiegato cinque giorni e non tre, come ha cercato di farti credere. Lo avevo messo su una falsa pista, giusto per il piacere di farlo. Adesso puoi mandare un’auto all’entrata del Globe tra quindici minuti.”
Dall’altra parte del telefono si udì il leggero cigolio di una sedia. Un bicchiere di cristallo fu appoggiato su un tavolo con un tonfo secco. Il contegno prima di tutto. Come sempre.
“Devo desumere che tu sia venuto a più miti consigli.”
“Bisogna saper scegliere il male minore, Mycroft. Tu sei un maestro in quest’arte.”
Dall’altra parte della cornetta, il viso pacato di Mycroft Holmes si irrigidì. “Non pensavi così due settimane fa.”
“Il tuo aiuto è un assegno che hai messo subito in riscossione.”
“Mi spiace che tu la pensi così. Il tuo… talento è prezioso per la nazione.” Nessun compiacimento in quella frase: era una pura constatazione.
“Talmente prezioso che non hai esitato a volgere la situazione a tuo favore e a scapito del mio nome.” Fece una pausa. “Hai lasciato che i miei… amici fossero minacciati di morte.”
Mycroft si agitò sulla sedia. Allentò il nodo della cravatta e cercò con lo sguardo la bottiglia di whiskey. Parlare con il suo geniale fratellino gli faceva venire - quasi sempre - una poco professionale voglia di sbronzarsi, desiderio particolarmente forte dopo due settimane di pedinamenti.
“Smetti di essere melodrammatico. Ti ho salvato la vita.”
“Punti di vista. Hai permesso che la devastassero, prima. Anzi: hai considerevolmente contribuito a far sì che ciò avvenisse.”
Estenuato, Mycroft si passò una mano sul viso. “Accetti?”
“Ho altra scelta?”
“Sì. Restare nel buio e lasciare che il tuo nome… il nome della nostra famiglia rimanga coperto di fango.”
“Lascio a te le questioni dinastiche, fratello caro. A me interessa soltanto una cosa.” L’uomo osservò il riflesso del proprio viso nello specchio dell’ambulatorio medico. Era grigio di stanchezza e rabbia. Gli occhi erano gelidi, due lame di rasoio. “Tra quindici minuti. Al Globe.”
Chiuse la conversazione e tornò a fissarsi nello specchio.
“Il mio gioco è iniziato”, sussurrò al riflesso.
 

   
 
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