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Autore: RobTwili    12/02/2012    20 recensioni
Alexis sta scappando, non sa nemmeno lei da cosa. A due esami dalla Laurea in Medicina alla Stanford-Brown, decide di mollare tutto e tutti e fuggire lontano.
Attraversa l’America e approda nel Bronx.
Il sobborgo della Grande Mela non le offre un caldo benvenuto e subito si rende conto che non tutta l’America è come l’assolata Los Angeles.
Ryan ha sempre vissuto nel Bronx, sul corpo e sul cuore i segni di una vita vissuta all’insegna delle lotte tra bande e dell’assenza di una famiglia su cui poter contare.
Alexis comincia a cadere in quel vortice che Ryan crea attorno a lei. Vuole a tutti i costi salvarlo, portarlo sulla retta via; non c’è infatti qualche legge che costringe una ragazza ad aiutare chi è senza speranze?
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eagles don't gain honestly'
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YSM
 
 
Stupidamente mi ero illusa di riuscire ad addormentarmi dopo tutto quello che mi era successo; ogni volta che cercavo di dormire rivivevo la scena della mia aggressione che mi spaventava e costringeva a rimanere sveglia. Mi rigiravo continuamente tra le coperte.
In ventuno anni non avevo mai dormito con la luce accesa ma, per la prima volta, ci ero riuscita. Mi sembrava di sentire dei passi attorno a me, mormorii e risatine che mi mettevano i brividi; così alla fine avevo ceduto: luce accesa e stereo a basso volume sembravano il modo migliore per scacciare i fantasmi che mi avevano accolta nella mia nuova casa.
Riuscii ad addormentarmi solamente alle prime luci dell’alba, cadendo in un incubo senza fine che si interruppe due ore dopo, al suono della sveglia che mi fece sobbalzare. Mi alzai a sedere di scatto e sospirai sollevata non vedendo nessuno attorno a me.
Avevo bisogno di una doccia, perché a causa di quell’incubo mi ero svegliata in un bagno di sudore; così, correndo verso il bagno per non prendere un raffreddore, aprii subito l’acqua, sperando che la stanza si riscaldasse al più presto.
Indossai un paio di jeans e una maglietta e, dopo essermi legata i capelli, presi la cartina di New York che avevo comprato in aeroporto e uscii per andare a fare colazione, ma soprattutto per cercare un lavoro.
«Guarda chi c’è» sbottò qualcuno dietro di me, mentre chiudevo la porta del mio appartamento con un doppio giro di chiave. Mi voltai, spaventata, rilassandomi però subito dopo: erano Ryan, Dollar e gli altri ragazzi.
«Buongiorno» esordii, lasciando che il mio sorriso svanisse non appena notai i loro volti ricoperti di tagli. «Che cosa vi è successo?» chiesi preoccupata, avvicinandomi a loro per guardare meglio.
Dollar aveva un taglio sul sopracciglio sinistro che continuava a sanguinare; Ryan invece aveva il labbro gonfio e lo zigomo rosso. Erano loro due quelli conciati peggio: sul volto di Brandon c’era solo una lieve sfumatura più scura. I gemelli, fortunatamente, sembravano non avere segni evidenti di lotta nel volto; avevano però le loro maglie intrise di sangue. A quella visione rabbrividii.
«Siamo caduti dalle scale» ghignò Ryan, tastandosi le tasche per cercare una sigaretta che si portò immediatamente alle labbra. Fece un gesto a Brandon, chiedendogli l’accendino.
«Tutti?» ribattei, sicura di me stessa. Non mi avrebbe più presa in giro. Avevo capito che era un tipo ironico, che dovevo soppesare tutto quello che diceva per riuscire a capire quando scherzava o quando invece era serio.
«Sì, stavamo giocando a tiro alla fune e poi, all'improvviso, siamo caduti tutti. è divertente, dovresti provare» sogghignò, restituendo l’accendino a Brandon e aspirando poi una boccata di fumo.
«Non ci credo». Questa volta non mi avrebbe imbrogliata, no. Ero più lucida della sera prima e sarei senza dubbio riuscita a fargli dire la verità.
«Cosa? Che è divertente?». Il sorriso che comparve sul suo viso mi innervosì: mi stava prendendo in giro davanti a tutti gli altri, che continuavano a ridere, godendosi la scenetta.

«No, non ci credo che stavate giocando sulle scale» sbottai risoluta, avanzando di un passo verso di loro e stringendo con più forza i pugni.
«Non me ne frega poi molto se ci credi o no». Fece spallucce, portandosi di nuovo la sigaretta alle labbra.
«Scusatemi, vado a disinfettarmi questa cosa, ciao Alexis». Dollar fece un passo in avanti, sorridendo mentre imitava un inchino.
«Posso vedere?» chiesi, prima ancora di rendermene conto. Il sangue, la ferita… mi riportò a una delle poche cose che sapevo fare meglio.
«Cosa vorresti vedere, di preciso? Dollar è minorenne» sogghignò Ryan, facendoli ridere tutti. Non riuscii a non arrossire a quella battuta di pessimo gusto.
«Idiota, voglio vedere il taglio». Non mi scomposi nemmeno, avanzai verso Dollar senza guardare Ryan. Sentivo la sua risatina riecheggiare nel pianerottolo, ma la ignorai, alzandomi in punta di piedi per avvicinarmi al viso di Dollar.
Posai le dita poco distante dal taglio, premendo leggermente: «non è profondo, ma dovresti disinfettarlo» suggerii, tornando ad appoggiare completamente i piedi per terra.
«Certo, ci butto sopra un po’ di vodka e poi tutto è sistemato» bofonchiò Dollar, girando la chiave nella toppa per entrare nel loro appartamento.
«Vodka? No, ti serve disinfettante».
Aprii la borsa, cercando le chiavi di casa, che avevo appena gettato dento, perché volevo prendere la bottiglietta: ne avevo portato uno o due flaconi da casa, sicura che potessero servire, sempre.
«Disinfettante? È roba per donne. Hai mai provato la vodka?» mi provocò Ryan, mentre aprivo la porta di casa per andare in bagno. Ricordai infatti di aver sistemato il disinfettante proprio quella mattina, dopo la doccia.
«Alexis, davvero, non importa» strillò Dollar. La sua voce sembrava vicina, probabilmente era entrato nel mio appartamento senza però seguirmi.
Certo che importava, era il mio lavoro curare le ferite delle persone. Quelle visibili, almeno.
«Siediti» borbottai, spostando una sedia e appoggiando quello che avevo preso sopra al tavolo.
Sentii dei borbottii provenire dalle mie spalle e istintivamente mi voltai per controllare chi fosse.
Ryan, Brandon e i due gemelli erano fermi sull’uscio; stavano guardando la scena con una strana espressione sui loro volti.
«Dovresti medicarti anche tu». Con un gesto del capo indicai la ferita sul labbro di Ryan che si stava gonfiando sempre di più, «poi fai come vuoi, grande uomo» aggiunsi, tornando a guardare Dollar che mi sorrise appoggiando il gomito sinistro sul tavolo e scostandosi i capelli perché non mi impedissero di medicarlo.
Con dei gesti meccanici inzuppai il cotone di disinfettante e cominciai a tamponare la ferita, attenta a non premere troppo per non fargli male.
Dollar mi guardava senza però parlare; quel comportamento mi fece arrossire perché sentirmi osservata in quel modo mi dava fastidio.
«Come ti sei fatto questo taglio?» chiesi, sperando che mi potesse rispondere senza raccontare di nuovo una bugia. Forse, senza Ryan attorno, Dollar si sarebbe lasciato sfuggire la verità, appagando la mia curiosità.
«Dovresti chiederlo a Ryan» ribatté, mentre lo guardavo stupita. Era stato Ryan a picchiarlo? Avevano lottato tra di loro? «No, non è stato Ryan, ma io non posso dirtelo» ridacchiò, intuendo quello che stavo pensando.
«Siete strani» mormorai, togliendo il sangue raffermo che c’era sulla sua guancia. I tagli sul viso sanguinavano sempre tanto, facendo sembrare la situazione peggiore di quello che in verità era.
«Per ringraziarti di questo posso palparti il culo?» ironizzò, alzando lo sguardo, probabilmente per godersi la mia reazione. Premetti più forte il batuffolo di cotone contro il taglio sul suo sopracciglio, provocandogli un lamento.
«Era un modo per dirmi di sì e che posso farlo violentemente?» tentò, di nuovo, senza smettere di sorridere.
«Era un modo per dirti sta zitto o ti ritrovi con l'altro sopracciglio rotto» specificai, assumendo un’aria minacciosa. Non ci riuscii, visto che Dollar cominciò a ridere, costringendomi a rimanere con il cerotto a mezz’aria perché non riusciva a rimanere fermo, dondolandosi avanti e indietro sulla sedia.

«Che succede? Ha detto qualcosa di divertente?» domandò Ryan, la voce molto più vicina di quando mi aspettassi.
Mi girai, trovandolo a pochi passi da me con uno sguardo divertito e il sopracciglio alzato; stava aspettando una risposta che io non avevo intenzione di dare.
«No, semplicemente mi ha zittito» sogghignò Dollar, causando una mezza risata di Ryan, che però riuscì a contenersi, smorzandola sul nascere.
«Dovresti tenere il taglio pulito» spiegai, sistemando il cerotto sul suo sopracciglio, facendo attenzione a non premere troppo e quindi fargli male.
«Ci proverò. Grazie Doc» ammiccò Dollar, alzandosi dalla sedia e scompigliandomi i capelli. Uscì dando una pacca sulla spalla di Brandon, che lo seguì verso il loro appartamento.
Sospirai prendendo il cotone sporco e la carta del cerotto per gettarli quando Ryan si schiarì la voce, attirando la mia attenzione su di lui. Alzai lo sguardo, fermandomi in mezzo alla sala, cercando di capire che cosa volesse. «Che c’è? Devo controllare il tuo viso?» sbottai, con un tono di voce molto più duro di quanto avessi immaginato.
Ryan non riuscì a trattenere una risata, appoggiandosi alla cucina con la schiena e incrociando le braccia al petto. «Solo per controllare che il mio labbro sia apposto. Sai, non vorrei che il mio bel faccino ci rimettesse» si vantò, con un sorriso storto dovuto proprio alla sua nuova ferita.
«Dovresti sederti, altrimenti non ci vedo» suggerii, arrossendo. Era davvero frustrante essere così bassa rispetto a loro.
«Giusto» mormorò raggiungendo la sedia in pochi passi e accomodandosi. Nessuna battutina di scherno, niente che potesse offendermi o deridermi.
Mi stupii, rimanendo per qualche secondo ferma; quando però lo sguardo di Ryan si posò su di me per cercare di capire perché non facessi nulla, mi riscossi, piegandomi leggermente in avanti per guardare il labbro.
Non era rotto, c’era solo un piccolo taglio: era quella la causa del rigonfiamento.
«Aspettami qui». Camminai fino al bagno, gettando tutto quello che avevo utilizzato con Dollar nel cestino e lavandomi subito dopo le mani con il sapone. Presi un po’ di cotone pulito e tornai in cucina.
Ryan era ancora seduto sulla sedia, esattamente come pochi minuti prima. Che cosa stupida, dove sarebbe potuto andare?
Lasciai che il batuffolo di cotone si imbevesse di disinfettante mentre continuavo a mordermi il labbro perché non sapevo che cosa dire: c’era un silenzio innaturale che mi metteva a disagio. Ryan non parlava, continuava a seguire i miei movimenti, respirando lentamente.
«Allora? Cosa è successo?». Mi sembrava il momento giusto per sapere la verità, visto che non c’era nessun sorriso ironico sul labbro che stavo tamponando con il cotone.
«Era bello grosso» articolò a stento, cercando di non muoversi. I suoi occhi fissi sul mio viso, mentre cercavo di concentrarmi per non causargli ulteriore dolore.
Per un attimo il mio sguardo si incrociò con il suo, spaventandomi al punto che lasciai leggermente la presa sul cotone. «Cosa?». Il respiro si fermò quando, a causa del mio sussulto, sfiorai le sue labbra con le dita. «Scusa» mi giustificai, ritraendo la mano, come se mi fossi scottata.
«Il bambino che non voleva attraversare la strada. Mi ha picchiato e lo stesso ha fatto con Dollar. Brandon ha cercato di tenerlo fermo, per questo non ha ematomi sul viso. I bambini odiano la scuola al giorno d’oggi, sai?» scherzò, quando smisi di medicarlo.
«Non sono così idiota da non capire che mi stai prendendo in giro» sbottai, stizzita. Possibile che riuscisse a rimanere serio anche quando raccontava bugie?
«Cazzo, ma c’è qualcosa di vero nei film? Ero convinto che in California fossero tutte senza cervello. Ah, ma forse quella è una cosa direttamente proporzionale alle tette; questo farebbe di te… una cervellona, vedo». Il suo sguardo si posò sulla mia scollatura e reagii d’istinto: prima ancora di rendermene conto il mio braccio si mosse e la mia mano arrivò alla sua guancia, producendo un forte rumore che mi fece capire che cosa avevo appena fatto.
«Oddio, scusa» sussurrai, portandomi entrambe le mani davanti alle labbra mentre Ryan muoveva la mandibola per controllare che tutto fosse apposto.
Rimaneva lì, fermo, con gli occhi sbarrati per la sorpresa e con le mani appoggiate alle ginocchia; d’un tratto cominciò a ridere, abbandonando il capo all’indietro e non curandosi nemmeno di me.
«Cazzo, se la racconto a qualcuno nemmeno mi crede» sghignazzò, smettendo di ridere subito dopo.
«Io… mi dispiace. Anzi, no, non mi dispiace. Tu non mi conosci e queste cose non le devi dire, ok? Come ti permetti di offendermi?». Portai le mani sui fianchi, stizzita, aspettando una sua risposta.
Si stava trattenendo, per non ridermi in faccia.
«Sai, lentiggini, io ho solo detto la verità. Ma ti capisco, la verità fa male. Grazie per il labbro, ti considero ripagate le birre e le patatine di ieri sera». Si alzò dalla sedia, senza aggiungere altro, e camminò verso la porta.
Ero talmente stupita da quello che aveva detto che non risposi alla sua provocazione.
Mi aveva chiamata lentiggini, si era permesso di rinfacciarmi, per la seconda volta, che non avevo seno e poi se ne era andato, dicendomi che medicandoli li avevo ripagati per le birre e le patatine.
Non mi sforzai nemmeno di dare un senso al suo comportamento decisamente fuori luogo e inopportuno.
Ryan, nella mia mente, era classificato sotto la voce “pazzo scortese” ed ero sicura che niente mi avrebbe convinta a cambiare l’idea iniziale che mi ero fatta. Non di certo dopo le sue frecciatine sul mio corpo non propriamente californiano.
Dopo aver gettato anche l’occorrente che mi era servito per medicare Ryan nel cestino, presi la mia borsa, pronta a uscire, ma un colpo alla porta di casa mi fece sussultare.
«Apri, lentiggini».
Riuscii a riconoscere la voce di Ryan e mi avvicinai alla porta, arrabbiata.
«Possibile che tu non riesca a bussare?» proruppi, aprendo la porta di colpo e trovandomelo davanti, molto più vicino di quanto mi aspettassi.
«Ho appena bussato» commentò, indicando la porta.
Bussare? Quello secondo lui era bussare? «Tu non bussi, tu rischi di scardinare una porta. Quando una persona normale bussa, lo fa in questo modo». Feci un passo indietro, accostandomi alla porta e bussando. Spostai poi il mio sguardo su di lui, sperando che avesse capito.
«Sì, certo. Così bussano le checche» ribatté, appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta e incrociando le braccia al petto.
«Veramente così bussano le persone normali» lo fronteggiai, raddrizzando le spalle per cercare di sembrare più alta. L’ultima cosa che volevo era sentire qualche sua battutina anche sulla mia non-altezza, dopo quelle  sul mio non-seno.
«Sì, sì, certo. Dove stai andando?» domandò, indicando con un gesto del capo la mia borsa.
«A cercarmi un lavoro e magari un supermercato per fare la spesa» confessai esasperata, sorpassandolo e chiudendo la porta del mio appartamento.
«Sfidi ancora il Bronx?» mi provocò, avvicinandosi alla porta del 3B e “bussando”.
«Che c’è Cal?» bofonchiò Brandon, sbadigliando rumorosamente. Sbarrai gli occhi, stupita, quando mi accorsi che era a petto nudo.
Il suo torace muscoloso era segnato da numerose cicatrici che si confondevano con i tatuaggi. Tanti tatuaggi.
«Gradisci, Alexis?» domandò Brandon, facendo un passo sul pianerottolo per avvicinarsi a me e girando poi su se stesso.
Imbarazzata per essere stata vista mentre lo guardavo, distolsi lo sguardo, non riuscendo a evitare il rossore sulle mie guance.
«Vestiti. Porta Dollar, Sick e Shake con noi» ordinò Ryan lanciandomi un’occhiataccia.
«Noi?» bisbigliai, stupita. Loro volevano accompagnarmi?
«Vorrei evitare di doverti salvare la vita di nuovo mentre stanno per picchiarti o stuprarti. Sarebbe meglio insegnarti quali percorsi puoi fare. Non sei a Los Angeles qui» sbottò, prendendo una sigaretta dalla tasca dei jeans. Possibile che fumasse così tanto?
«I tuoi polmoni chiederanno pietà. Potresti smettere di fumare» azzardai, rimanendo in mezzo al pianerottolo mentre, dentro al loro appartamento, Brandon cercava di indossare una maglia e Dollar e Sick scherzavano tra di loro, spintonandosi.
«Shake sta dormendo» spiegò Brandon, prendendo la sigaretta dalla mano di Ryan e cominciando a fumarla.
Sbuffai abbassando lo sguardo: non mi andava nemmeno di ripetere quello che avevo detto a Ryan a proposito del fumo. In fin dei conti non li conoscevo e loro potevano fare quello che volevano della loro vita.
«Ha detto che non viene?» sibilò Ryan, usando quel tono duro che mi aveva spaventata anche la sera prima.
«No, sai che quando Shake dorme non riusciamo a svegliarlo. Non ci ho nemmeno provato» si giustificò Brandon, spegnendo la sigaretta nel posacenere che c’era di fianco alla porta d’entrata del loro appartamento.
«Allora? Andiamo in città?» rise Dollar, portando un braccio attorno alle mie spalle e ammiccando.
«Ehm… Dollar» mormorai imbarazzata, guardando la sua mano tranquillamente appoggiata a me. Quando spostai il mio sguardo sul suo viso, rimasi stupita dal sorriso felice che c’era.
«Dimmi tutto» disse, allargando il sorriso a dismisura tanto da farmi temere una paralisi facciale.
«Coglione, smettila». La frase di Brandon fu seguita da una sonora pacca sulla nuca di Dollar, che si lamentò con un’imprecazione. «Lasciala stare, sei troppo piccolo per lei, Doll» continuò poi Brandon, facendo ridere Sick e Ryan.
«Doll, sei un bambino, lei una donna, non è che se ti si rizza lei si bagna». Alle parole di Sick sgranai gli occhi arrossendo, imbarazzata da una frase tanto volgare.
«Sick, dacci un taglio, è una signora» ordinò Ryan, causando un mugugno da parte dell’amico con i capelli castani.
«Ho solo detto la verità, cazzo. Non ho fatto riferimenti a fighe o cose volgari» si lamentò, guardandosi attorno, come se temesse di essere seguito.
Il suo guardo mi faceva paura, sembrava quello di un pazzo. Che fosse quello il motivo di quel suo strano soprannome? Perché una persona non poteva di certo chiamarsi Sick.
«Credo che quella frase fosse abbastanza volgare per lei, a giudicare dal suo sguardo» ghignò Ryan. Improvvisamente sentii tutti gli occhi puntati su di me e mi costrinsi a tenere lo sguardo basso, senza aggiungere nulla.
«Cazzo, è vero. È anche arrossita. E se non è perché ha qualcosa infila…». Sick non completò la frase, perché Ryan gli tirò un ceffone sulla nuca, ammonendolo con lo sguardo.
«Dacci un taglio Sick, cominci a fare schifo» sbottò Brandon, affiancandosi a me. «Scusalo, non ha tutte le rotelle apposto ma è un bravo ragazzo. È solo un po’ fissato con il sesso, ma per il resto è innocuo». Per cercare di rassicurarmi di più sorrise, cercando con la mano qualcosa nella tasca dei jeans.
«Si chiama Sick davvero? O è un soprannome?». Domanda idiota, la mia. Eppure volevo sapere di più su di loro, perché mi incuriosivano.
Erano… strani, sì.
«Si chiama Sick perché di solito…» cominciò a dire Brandon, prima che qualcosa attirasse la sua attenzione e gli facesse smettere di parlare con me. «…scusami, non dovrei dirle io queste cose, scusami» si giustificò, allungando il passo e raggiungendo Ryan e Sick, qualche metro più avanti di noi.
«Perché siete tutti così devoti a Ryan? Fate tutto quello che dice lui, come mai?». Speravo che Dollar mi potesse dare una risposta, sembrava quello più disposto a parlare.
«Io… Alexis non posso, davvero. Dovresti chiederlo a Ryan. Ne abbiamo parlato ieri sera, ma è meglio se chiedi a Ryan di queste cose, mi dispiace». Teneva lo sguardo basso, sul marciapiede, senza guardarmi in volto. Sembrava veramente dispiaciuto.
«Quanti anni hai, Dollar?» domandai, accennando un sorriso. Magari a quella domanda avrebbe potuto rispondere senza chiedere a Ryan il permesso. Mi sembrava di aver capito che Ryan era interpellato solo quando si parlava del loro legame, non di qualcosa di personale.
«Sedici. Sedici compiuti il mese scorso» esultò, fiero di quel numero. Quel suo essere così felice mi fece ridere: ricordavo perfettamente il mio sedicesimo compleanno, la festa con i miei amici in spiaggia fino all’alba.
«Sei così giovane» mormorai, involontariamente. Quella stessa notte ci eravamo fermati per fare surf e la mattina dopo ero tornata a casa con la febbre: il miglior compleanno di sempre.
«Sì, ma… voglio dire, non sono inesperto. So come si fa, sai? E sono bravo, me l’hanno detto in molte» si vantò, continuando a sorridere. Era tranquillo, per lui parlare di… esperienza sessuale sembrava essere all’ordine del giorno. Quel suo comportamento mi stava mettendo a disagio, talmente tanto che abbassai di nuovo lo sguardo, arrossendo. «Se vuoi provare sono disponibile, sai?» tentò, dandomi una leggera pacca sul fianco con il suo gomito.
«Io… ehm, ne sono lusingata, Dollar, ma credo che sia meglio evitare, ecco». Non volevo sembrare cattiva, era un bel ragazzo e sicuramente era il più simpatico di tutti, ma non mi sembrava proprio il caso.
«Certo, capisco. Mi hai appena conosciuto e vuoi aspettare, non c’è problema, quando vuoi bussi al 3B e io sono lì» ammiccò, guardando poi verso Ryan e gli altri. «Ryan, flag?».
Flag? Cosa voleva dire con Flag?
«No, lasciate stare. Qui non lo facciamo» rispose Ryan, naturalmente ottenendo il consenso di tutti.
«Cosa vuol dire?» domandai a Dollar, che era ancora di fianco a me.
«Ehm… chiedilo a Ryan, ok? E adesso andiamo, che qui vicino c’è un bar, potresti provare a chiedere se hanno bisogno di lavoro lì». Appoggiò la sua mano sul mio gomito, costringendomi ad accelerare il passo per rimanere di fianco a lui.
Mi stava letteralmente trascinando, disinteressato al fatto che un suo passo fosse tre dei miei.
«Tu sta zitta e lasciami parlare, ok?» mi ammonì Ryan davanti alla vetrata di un bar, una volta che Dollar mi ebbe trascinata a forza fino a lì.
«Io… cioè…» cominciai a dire, senza che nessuno mi desse veramente retta. Ryan aprì la porta del locale, entrando seguito dagli altri. Mi ritrovai da sola, fuori dal bar, senza che nessuno potesse anche solo preoccuparsi di quello che volevo dire.
Ok, mi stavano aiutando a trovare un lavoro, erano gentili e probabilmente non li avrei mai ringraziati abbastanza, ma volevo almeno decidere qualcosa io, giusto per avere voce in capitolo sulla mia vita.
Entrai nel bar con uno sbuffo, guardando Ryan parlare con una donna; sembrava impaurita e continuava a stringere, quasi in modo convulso, uno straccio tra le mani.
«…lei» riuscii a sentire solo la fine del discorso di Ryan. La sua mano mi indicò e la signora posò il suo sguardo su di me. Era combattuta, riuscivo a vederlo, nonostante tutto cercò di sorridermi per salutare.
Ricambiai il saluto con un timido sorriso perché non sapevo che cosa fare.
«Io… ecco, vedi, io lo farei volentieri, ma non posso permettermi un’altra cameriera. Spero… spero che questo non cambi le cose tra… tra di noi» bofonchiò a voce talmente bassa che faticavo a capire le sue parole.
Tutti gli sguardi erano puntati su Ryan, i ragazzi sembravano in attesa di un suo ordine. Sembrava che fossero disposti a tutto, solo con un suo cenno.
Qualche secondo dopo, Ryan sospirò «capisco» e senza aggiungere altro uscì dal bar, seguito dai ragazzi.
«Mi dispiace, davvero, ma non posso permettermi un’altra ragazza. Ti prego, se è possibile, fa che non cambi nulla, ok?». Non sapevo di che cosa stesse parlando, ma era davvero preoccupata; spaventata, quasi.
«Non importa. Troverò qualche altro bar, non deve preoccuparsi» cercai di tranquillizzarla, appoggiandole una mano sul braccio. Quel gesto la spaventò ancora di più, perché sussultò, indietreggiando di qualche passo fino a sbattere con la schiena contro il bancone, dietro di lei. «Grazie, davvero» ripetei, uscendo.
L’avevo spaventata, ma perché?
«Che cazzo c’è nel tuo cervello di così sbagliato, eh?» sibilò Ryan, stringendo la sua mano attorno al mio polso non appena uscii dal bar.
«Mi fai male» mi lamentai, spaventata dalla scintilla di pazzia che potevo leggere nel suo sguardo. Che cosa gli prendeva?
«Quale parte di ‘parlo io e non tu’ non ti è chiara? Perché te la rispiego» continuò, avvicinando il suo viso al mio così tanto che mi costrinse a indietreggiare.
«Lasciami» mi lamentai, strattonando il polso perché la sua stretta si faceva sempre più forte. Gli occhi di Ryan saettarono sulla sua mano, che lasciò subito la presa su di me. «Non ho detto niente, l’ho ringraziata» mi giustificai, guardandomi attorno. Dollar, Brandon e Sick si erano allontanati e stavano guardando la vetrina di un negozio. Perché non erano intervenuti?
«La prossima volta vedi di chiudere la tua fottuta bocca, ok?». Il suo sguardo, il suo tono di voce… mi spaventarono tanto che annuii solamente, senza ribattere nulla. «Adesso andiamo a vedere in un altro bar, e sta zitta, non ringraziare nessuno». Con un fischio richiamò l’attenzione dei ragazzi che ci raggiunsero.
Camminavo dietro di loro in silenzio, senza fare domande o disturbare. Dopo lo sfogo di Ryan non mi sarei mai permessa di interferire di nuovo.
«Come stai?» chiese timido Dollar, affiancandosi a me. Non risposi, continuai a camminare, facendo spallucce.
In verità continuavo a trovare un pretesto per non ricordare quello che era appena successo; sentivo qualcosa pungermi gli occhi e non era il caso di fare la melodrammatica. Però quello che aveva detto, il modo e il tono che aveva usato… mi avevano spaventata.
«Quando Ryan dice qualcosa devi ascoltarlo, non arrabbiarti» spiegò, probabilmente non capendo che non era rabbia il sentimento che stavo provando. Annuii solamente, mordicchiandomi il labbro per concentrarmi a trattenere le lacrime. «Adesso andiamo in un altro bar, rimani zitta e parla solo se te lo dice, ok?» continuò, mentre Brandon teneva la porta del locale aperta perché io e Dollar potessimo entrare.
«» bisbigliai, entrando nel secondo bar a testa bassa e rimanendo vicino all’uscita.
La scena era uguale a quella accaduta pochi minuti prima: il proprietario, spaventato, si scusava ma non aveva bisogno di un’altra ragazza. Era a corto di cameriere solo di sera e Ryan spiegò che avevo bisogno di lavorare di giorno. Non provai nemmeno a parlare, impaurita di una sua reazione esagerata.
Uscimmo dal locale in silenzio, fermandoci pochi metri più avanti.
Di nuovo, Brandon, Dollar e Sick si allontanarono, lasciandomi sola con Ryan. «Visto? Non è poi tanto difficile non dare aria al cervello» ghignò facendomi stringere i pugni per la rabbia.
Era ritornato lo stronzo ironico di sempre e non mi faceva più paura; aprii le labbra per rispondergli a tono, quando il suo sguardo si puntò dietro di me. Sbarrò gli occhi, sorpreso e, appoggiando la sua mano sul mio polso sibilò: «cazzo». Cercai di guardarmi attorno, ma Ryan non me lo permise: con il suo corpo a ripararmi da quello che c’era dietro di me si avvicinò ai ragazzi. «Brandon, Sick, Dollar, qui. Tu, nasconditi» sbottò infine, spostando lo sguardo su di me.
Nascondermi? «Dove?» domandai, guardandomi attorno, in cerca di un posto che potesse ripararmi.
«Da qualche parte, anche dietro al cestino, tanto siete alti uguali» ironizzò Ryan, dandomi le spalle e affiancando Brandon.
Volevo ribattere che no, non ero proprio alta come il cestino, ma mi gelai sul posto, quando sentii una voce parlare.
«Guarda, guarda. Cal e i suoi scagnozzi».
La riconobbi subito, era quella del ragazzo moro che mi aveva aggredita al mio arrivo nel Bronx.
«Dead» salutò Ryan, aggiungendo un gesto del capo. Riuscivo a vedere lui, Brandon, Dollar e Sick di spalle, fortunatamente però coprivano la visuale sull’altro ragazzo.
«Allora, la tua puttanella ha riferito il messaggio? Era abbastanza chiaro?».
Sempre la sua voce, quella di ‘Dead’, come l’aveva chiamato Ryan.
«A questo proposito… non è nessuna puttana. È solo la nuova vicina» spiegò Ryan, causando una risata di più persone.
«E fai il buon samaritano portandola a spasso per farle conoscere il quartiere? Credi che non ci siamo accorti che è dietro di voi?».
A quell’affermazione chiusi gli occhi, raggomitolandomi su me stessa per cercare di farmi più piccola.
No, non di nuovo.
Non poteva picchiarmi una seconda volta. C’era Ryan con gli altri ragazzi pronto a difendermi.
«Cerca un lavoro» intervenne Brandon avvicinandosi a Ryan, come se avesse voluto formare un muro.
«Perché? Fare la puttana con voi non è abbastanza? Tesoro, ti pagheremo meglio, vieni con noi» disse con un tono di voce più alto Dead, facendomi rabbrividire.
Non riuscivo a non pensare alla mia aggressione e al suo ghigno appena prima di tirarmi il pugno.
«Dacci un taglio, Dead. E vi consiglio di andarvene. Non me ne frega un cazzo di dove siamo, ok? E non me ne frega nemmeno di vedere che credete di essere talmente cazzuti da avere il flag anche qui. Perché se mi girano le palle ti spacco il muso una volta per tutte».
La voce di Ryan era completamente cambiata. Bassa e roca assomigliava al sibilo di un serpente prima dell’attacco.
«Non vi interessa della puttanella, ma siete pronti a difenderla? Deve cavalcare bene, se in quattro siete disposti a farvi il culo per lei».
C’era sempre una nota di superiorità nella sua voce, simile a quella di Ryan quando faceva battute su di me.
«Andatevene» ringhiò Brandon, avanzando di un passo verso di loro.
«Uuuh! Che paura» scherzò qualcuno degli altri, prendendolo in giro. «Dead, vuoi vedere che adesso chiama la polizia?».
«Stai tirando troppo la corda, Dead. Se continuate così comincio seriamente a perdere la pazienza, e non è un bene, visti i risultati dell’ultima volta, no?». Anche se non potevo vederlo, ero sicura che Ryan stesse ghignando, si sentiva dal tono della sua voce.
«Andiamocene, stiamo dando troppo spettacolo» ordinò Dead. Sentii subito dei passi allontanarsi e sospirai, sollevata.
«Alexis, tutto bene?».
Riuscii a non urlare solo perché avevo riconosciuto la voce di Dollar.
Mi alzai goffamente, sotto gli occhi di Ryan e Brandon che stavano discutendo di qualcosa; a grandi passi mi avvicinai a loro e, dopo aver posato le mani suoi miei fianchi per non far vedere quanto stessi tremando, cercai di attirare la loro attenzione schiarendomi la gola. «Voglio sapere cosa succede».
Non mi sarei spostata fino a quando non ci fosse stata una risposta esauriente. E no, non mi accontentavo di qualcosa come le scuse idiote che aveva utilizzato nelle ore precedenti, volevo sapere la verità; chi erano e perché avevano minacciato gli altri ragazzi.
Ryan guardò a uno a uno i “suoi”, soffermandosi più a lungo su di Brandon. Sembrava che, mutamente, avesse chiesto qualcosa e la risposta l’avesse stupito. Infine, dopo essersi soffermato per qualche secondo sul volto di Dollar, mi guardò, sospirando subito dopo:
«andiamo a casa». Sembrava essersi arreso.
 
 
 
 
Buongiorno! :)
Allora, prima di tutto mi scuso per il linguaggio volgare di questo capitolo, sapete che di solito non è così, ma sappiamo tutti che in questi ambienti non guardano la forma della frase, ecco.
Poi poi poi… la storia del FLAG sarà spiegata nel prossimo capitolo, posso garantire che non me la sono inventata, ma nelle gang del Bronx esiste. Ho lasciato un  paio di indizi per farvi capire che cosa sia, ma non temete, nel prossimo capitolo quel simpaticone di Ryan vi spiegherà tutto bene (a proposito, siete pronte per sorbirvi una spiegazione dettagliata di quello che sono Ryan e i suoi? Fatemi sapere, che è meglio).
Inutile dire che ringrazio ogni singola persona che ha aggiunto la storia ai preferiti/seguiti/da ricordare e a chi ha anche trovato il coraggio di recensire perché siete TANTE e non mi sarei mai aspettata una risposta del genere per una storia così… particolare.
Come sempre, NERDS’ CORNER è il gruppo spoiler, dove sono pubblicati i volti dei personaggi. ROBERTA ROBTWILI è il mio profilo, ma se mi chiedete l’amicizia per favore specificate che siete lettori (non mi interessa il nick, mi basta sapere che leggete)…
Spero di riuscire a scrivere un altro capitolo per poter pubblicare domenica prossima, portate pazienza se non arriverà puntualissimo, io ce la metto tutta!
Grazie a tutti e un bacione!

 

   
 
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