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Autore: M e g a m i    13/02/2012    7 recensioni
[Kobato.]
Anche se in quel momento non si ricordava, le avrebbe fatto ricordare. E se non ci fosse riuscito, avrebbe fatto in modo di costruire nuovi ricordi insieme a lei.
Qualsiasi cosa. Avrebbe fatto qualsiasi cosa. Tutto... ma non avrebbe permesso più a niente e a nessuno di portargliela via.
Mai più.
[Fujimoto x Kobato]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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NDA: Niente, ho deciso di darmi per un po’ alle one-shot. Mi sa che le long non fanno per me, sono troppo pigra per continuarle. Però chi lo sa, magari prima o poi le riprenderò, le idee che mi ronzano in testa ce le ho...
Comuuunque! Questa è una breve shot dal POV di Fujimoto, scritta di getto, senza pretese particolari. E’ ambientata dopo la fine dell’anime, quindi dopo che tutti i personaggi si sono scordati di Kobato... a parte il nostro Kiyokazu. =v=
Allora, so che alla fine sembra che a Kobato torni la memoria. Però, non essendoci un seguito, chi mi dice che non sia stato per un breve intervallo, e che dopo i ricordi della sua vita precedente non siano svaniti? Sì, vabbè, ci ho fantasticato un po’ su e cambiato un po’ la storia, LOL. Tenete conto quindi che qui Kobato non si ricorda della sua vita sulla terra, né nessun’altro si ricorda di lei.

E’ come se... ricominciasse tutto da capo.
Beh, buona lettura! E spero di aver reso bene Kyokazu, che sinceramente adoro con tutta me stessa. ;V;
 
~
 
Non si ricordava niente.
Niente.
Né l’asilo Yomogi, né il suo appartamento, né Sayaka, né la signora Mihara e le sue figlie, né... lui.
Eppure gli era corsa incontro, l’aveva abbracciato, aveva... pronunciato il suo nome.
Ecco, quello era l’unica cosa che sembrava ricordare, ricordare veramente. Tutto il resto erano ricordi falsi.
Da quello che aveva capito, era convinta di essere la nipote del signor Hanagawa, di avere diciannove anni, e di essersi appena trasferita da chissà dove per svolgere le pratiche relative alla vendita della villa che aveva appena ereditato dal suo fantomatico defunto nonno. Sì, fantomatico. Kiyokazu aveva controllato tra i documenti dell’ufficio legale presso cui stava facendo l’apprendistato, e da nessuna parte risultava il nome di questo signor Hanagawa. Il proprietario dello studio aveva replicato accusando la precedente segretaria di incompetenza, quanto gliel’aveva fatto presente. Ma lui non ne era così convinto.
Le cose non quadravano.
Quella non poteva essere un’altra Kobato, con un altro passato, che aveva vissuto un’altra vita. La somiglianza con la sua Kobato era troppo grande per accettare una spiegazione del genere e lasciar correre.
Un momento... la sua Kobato?
Kiyokazu scosse la testa, contrariato dai suoi stessi pensieri. Era colpa della stanchezza, tutto qui. Era ormai da due settimane che non si riposava come si deve, perché le sue notti erano occupate da sogni, o forse incubi, che la mattina non si ricordava neanche, ma che lo lasciavano spossato per tutta la giornata.
Da due settimane... Da quando era ricomparsa la... beh, la sua Kobato. Per forza di cose doveva dire così. Per distinguerle. Sì, per quello.
Sfregandosi un occhio, si lasciò andare a uno sbadiglio. Aveva sul serio un gran sonno. Però... non poteva permettersi di dormire.
Perché quella Kobato aveva pensato bene di addormentarsi nel suo buco di appartamento.
Non sapeva neanche come ci fosse finita, lì dentro. L’aveva aiutata a riaffittare – o affittare per la prima volta, secondo lei e la signora Mihara che sembrava altrettanto affetta da quella amnesia collettiva e non si ricordava di nessuna Kobato – il suo vecchio appartamento, quello della porta a fianco.
Forse era venuta per chiedergli del detersivo per il bucato, non ricordava. Ormai erano talmente tante le volte che quella Kobato lo aveva importunato bussando alla sua porta per chiedergli qualcosa, e poi finendo per passare lì la serata, che non la stava neanche più a sentire.
Quella volta, però, si era addormentata lì.
Per un attimo aveva pensato scuoterla per svegliarla e cacciarla fuori. Quando si era trovato sul punto di farlo, però, si era bloccato e aveva lasciato cadere la mano.
Forse non voleva che se ne andasse.
Distolse lo sguardo da lei, sempre più seccato da se stesso. Eppure non passò molto tempo prima che i suoi occhi tornarono a posarsi su di lei. Era... più forte di lui.
Aggrottò le sopracciglia e chinandosi su di lei le soffiò sul viso, spostandole leggermente la frangia che le ricadeva in ciuffi ribelli davanti agli occhi chiusi. Kobato fece una piccola smorfia, arricciando il naso, poi si rilassò nuovamente.
Era buffa, quella Kobato. Come la sua
Avrebbe potuto passare la vita a guardarla dormire e fare facce ridicole, senza annoiarsi un solo istante.
   « Fu-... Fujimoto-san... », mormorò all’improvviso nel sonno, allungando la mano come per cercare la sua.
... Doveva essere lei. Aveva bisogno che fosse lei. Lei che rideva e piangeva come una bambina, che si offendeva a morte quanto la prendeva in giro, ma che era sempre disposta a perdonarlo e a ricominciare da capo, come niente fosse. Lei fastidiosamente ingenua, fin troppo spensierata, assurdamente sincera, dolce in modo nauseante, altruista come pochi, lei che ogni volta che cantava riusciva a toccare il suo cuore barricato con la quella voce che sembrava appartenere a un angelo.
La sua Kobato. Quella che aveva imparato ad amare sotto ogni aspetto, anche il più irritante, con tutto se stesso.
   « Sono qui... », le rispose, anche se probabilmente la sua voce non l’avrebbe raggiunta nel suo mondo dei sogni pieno di arcobaleni e unicorni. Così le sfiorò la mano.
E gli angoli della sua bocca si piegarono in un piccolo sorriso.
Anche se in quel momento non si ricordava, le avrebbe fatto ricordare. E se non ci fosse riuscito, avrebbe fatto in modo di costruire nuovi ricordi insieme a lei.
Qualsiasi cosa. Avrebbe fatto qualsiasi cosa. Tutto... ma non avrebbe permesso più a niente e a nessuno di portargliela via.
Mai più.
  
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