Bolle
d'aria, l'ultima che gli
restava nei polmoni, turbinavano veloci attorno al suo viso e verso la
superficie, per poi infrangervisi contro ed evaporare.
Schiuse la labbra in un ultimo anelito, la vita che si perdeva
nell'acqua e la
vista sempre più annebbiata, poi il bruciore ai polmoni.
Intenso e improvviso, l'istinto di continuare a vivere premeva
dolorosamente
contro la sua cassa toracica, infischiandosene della sua disperazione.
Oz riemerse in una fontana di schizzi, riempiendosi di nuovo il petto
agitato
d'aria fresca e stringendo i bordi della vasca sino a farsi sbiancare
le nocche
tremanti.
Quante volte ci aveva già provato ormai?
Aveva perso il conto di tutti i tentativi di suicidarsi andati a vuoto
negli
ultimi mesi, si limitava a collezionare fallimenti e riprovarci appena
si
sentiva sprofondare troppo nella depressione, sua fedele compagna da
troppo
tempo.
Purtroppo era e sarebbe sempre rimasto un codardo, troppo spaventato
dalle lame
per tagliarsi le vene ai polsi, troppo soggetto alle vertigini per
gettarsi da
un tetto e ora persino troppo spaventato dalla morte per lasciarsi
annegare
nella propria vasca da bagno.
Percorse con iridi verdi e distaccate il suo corpo pallido imperlato di
gocce
d'acqua che gli grondavano dalla frangia bagnata e rotolavano verso il
basso,
riempiendogli le orecchie del loro tintinnio e increspando lo specchio
liquido
oltre il quale proseguivano le sue gambe.
Si rese conto solo in quel momento di stare tremando come una foglia e
si alzò,
afferrando distrattamente un asciugamano e strofinandosi quella stoffa
ruvida e
porosa addosso sino a graffiarsi.
Sospirò pesantemente e tossicchiò per qualche
secondo, poi si annodò
l'asciugamano attorno alla vita e accese il fon al massimo, la zaffata
d'aria
calda che gli scompigliava i capelli e asciugava lacrime che non si era
accorto
di aver pianto.
-Siamo ancora io e te-, mormorò con le labbra bagnate
premute contro il polso
dove pulsava ancora il suo sangue, imperterrito.
Se avesse chiuso gli occhi probabilmente gli sarebbe tornato in mente
il suo
viso, quelle iridi di ghiaccio inflessibili e traboccanti di disprezzo
l'avrebbero trafitto nuovamente senza pietà, quindi il
ragazzo si alzò e infilò
il primi vestiti che trovò e uscì di casa.
La brezza gentile della primavera gli solleticava le braccia lasciate
scoperte
dalla maglietta sdrucita e il collo mentre la fendeva con ampie falcate
e il
solito sorriso radioso che riusciva a esibire in ogni circostanza, per
quanto
dentro si sentisse morire, come la maschera di una tragedia greca
inenarrabile
e perfettamente recitata.
Non si scompose neanche quando li vide, seduti all'ombra di un faggio
nel
parchetto del quartiere che leggevano e scherzavano come sempre, ma
rimase
impassibile e si avvicinò trotterellando, consapevole che si
sarebbe fatto solo
altro male ma come ipnotizzato dalla scena.
-Buongiorno~!-, cinguettò a voce alta, agitando una mano
nella loro direzione.
Elliot Nightray alzò lo sguardo verso di lui e il sorriso
appena accennato che
gli incurvava le labbra si sgretolò, lasciando posto alla
solita smorfia
contrariata con cui affrontava il mondo e, in particolare, quel piccolo
seccatore del giovane Bezarius.
-... Shorty-, esalò scostante nella sua direzione.
-Ciao Oz~!-, rispose invece allegramente Leo Baskerville da dietro gli
enormi
occhiali, chiudendo il libro nel quale era immerso e rivolgendogli uno
sguardo
allegro e smaliziato almeno quanto il suo -Come va?-.
Era sempre così, arrivava e si univa a loro, scambiando i
soliti convenevoli e
chiacchierando di nulla, magari a volte riusciva a esasperare Elliot
più del
solito o intrattenere una conversazione intelligente ed esistenziale
con Leo su
qualche libro letto da entrambi, ma non si andava mai oltre.
Per quanto si sforzasse, finiva sempre con lo sbattere il naso contro
la cupola
invisibile che si ergeva attorno a loro due, intessuta di sguardi
carichi di
tenerezza e sottintesi della durata di un istante, colpetti leggeri,
carezze
casuali e risate allegre, rimanendo a osservare da lontano la loro
chimica così
perfetta quanto irraggiungibile.
A volte si chiedeva se il suo vero problema non fosse il masochismo,
qualche
pulsione interna che lo spingeva a farsi del male,
come per esempio
l'aveva spinto ad innamorarsi perdutamente e senza via d'uscita della
persona
più irraggiungibile che conoscesse, nonché
acerrima nemica della sua famiglia,
Elliot Nightray, e che ora lo stava manovrando come un burattino
impotente,
facendolo sedere accanto a lui.
-Che state leggendo?-, chiese in tono innocente, il busto sporto in
avanti e le
iridi brillanti di curiosità.
Prima che l'oggetto dei suoi desideri avesse il tempo di berciargli
contro che
non erano affari suoi, Leo gli posò una mano sulla spalla e
cinguettò con lo
stesso timbro di voce -Più che una lettura di piacere,
studiamo Shakespeare.
Elliot è un somaro quando si parla di interpretare qualcosa,
quindi lo sto
aiutando a tirar fuori il suo lato romantico inesistente-.
-Non è affatto vero!-, protestò indignato il
compagno di studi, facendo
sollevare in volo alcuni passeri dalle fronde del faggio e scatenando
le
risatine ironiche degli altri due.
-Letteratura è la materia in cui vado meglio, posso dare una
mano?-, si offrì
Oz, il sorriso più umile e conciliante che riuscisse a fare
dipinto sulle labbra.
-Se proprio ci tieni...-.
-Ne saremmo onorati~, Ofelia e le sue fantasticherie suicide ci stanno
dando
parecchio filo da torcere-.
Il giovane Bezarius rischiò di strozzarsi con la sua stessa
saliva nell'udire
quelle parole pronunciate con tanta noncuranza, maledicendo se stesso,
William
Shakespeare, Amleto e chiunque gli capitasse in mente al momento.
-D-davvero? Ma dai, leggi un po'-, biascicò una volta
riprese le funzioni
respiratorie di base.
Leo gli lanciò un'occhiata preoccupata, poi si strinse nelle
spalle sottili e
iniziò a decantare ad alta voce i meravigliosi versi della
tragedia di una
donna che scivolava inesorabilmente nell'abisso della follia.
Le
sue vesti, gonfiandosi sull'acqua,
l'han sostenuta per un poco a galla,
nel mentre ch'ella, come una sirena,
cantava spunti d'antiche canzoni,
come incosciente della sua sciagura
o come una creatura d'altro regno
e familiare con quell'elemento.
Ma non per molto, perché le sue vesti
appesantite dall'acqua assorbita,
trascinaron la misera dal letto
del suo canto a una fangosa morte.
Finita
la lettura, Elliot e Leo
scrutarono Oz impazienti, in trepida attesa delle parole del preferito
della
professoressa di lettere, famosa per la sua discendenza da un'arpia e
per
l'abitudine di fare i gargarismi con l'acido muriatico.
Il ragazzo si schiarì la gola resa arida da quello sguardo
azzurro fisso su di
lui e quelle parole scritte quattro secoli prima ma che rispecchiavano
la sua
situazione come lo specchio d'acqua dov'era annegata Ofelia, poi
gonfiò il
petto e lasciò che dalle sue labbra fluisse il fiume di
parole che si celavano
dietro la pazzia della ragazza e le sue canzonette senza senso,
mischiandovi i
propri sentimenti a poco a poco, macchiandole e rimodellandole senza
sosta nel
disperato tentativo di dare un senso a come si sentiva, all'annegamento
continuo.
Appena la sua voce si fermò l'aria si riempì di
un silenzio quasi spiazzante,
colto di sorpresa da qualche rivelazione e rotto solo dallo
scribacchiare della
penna di Elliot sulla carta e da un tenue ma sentito applauso da parte
di Leo.
Sentì le guance avvampare e le lacrime pizzicargli a
tradimento gli angoli
degli occhi, che coprì prontamente col braccio fingendo di
asciugarsi del
sudore immaginario e approfittandone per alzarsi in tutta fretta, la
vista che
esplodeva in un buio punteggiato di accecanti luci colorate per colpa
dello
sforzo improvviso.
-Beh, se non avete più bisogno di me io andrei!-,
esclamò con voce camuffata e
il viso rivolto altrove.
-Di già?-, si lamentò Leo arricciando le labbra
-Sei stato un ottimo
insegnate!-.
Oz gli rivolse un sorriso tirato, poi gli occhi gli ricaddero su Elliot
come
due magneti, per quanto facesse male.
-Forse nella tua testa c'è qualcosa
oltre alla segatura-, borbottò lui
-... Grazie-.
Temette seriamente di collassare sotto il peso di quelle iridi
così azzurre e
improvvisamente sincere, mentre il cuore sembrava determinato a
risalirgli fino
alla gola, lo stomaco a torcersi su se stesso e le labbra a schiudersi
in
un'espressione quasi estatica. Meglio andare, probabilmente sembrava
solo
un'idiota.
Rivolse ai due un cenno di saluto col capo e iniziò a
correre nella direzione
opposta, il battito cardiaco che gli rombava sempre più
forte nelle orecchie e
le mani strette a pugno sino a conficcarsi le unghie nella carne.
Un misero ringraziamento non avrebbe di certo cambiato le cose, l'aveva
illuminato per un attimo ma Oz era destinato a ripiombare
nell'oscurità,
l'anonimato e il disprezzo che lo avvolgevano sempre davanti a Elliot,
era solo
questione di tempo.
Era come se la lucerna del faro che avrebbe dovuto guidarlo attraverso
il mare
in tempesta della sua mente fosse perennemente fulminata e il guardiano
si
ricordasse di cambiarla solo poche volte, troppo poche per tenerlo a
galla.
La porta di casa gli si parò davanti all'improvviso, non si
era accorto di aver
corso così tanto.
Infilò le chiavi nella serratura con mani tremanti per la
fatica e si richiuse
la porta alle spalle, accasciandosi sul pavimento del salotto con gambe
tremanti e il fiato corto.
In quel momento notò un piccolo post-it giallo canarino
attaccato sullo stipite
all'altezza dei suoi occhi, come se chiunque ce l'avesse messo sapesse
perfettamente dove si sarebbe rannicchiato una volta tornato. Sopra la
carta
erano vergate in una grafia tonda e ariosa parole che ormai conosceva
sin
troppo bene.
"Fratellino, spero che tu stia bene e non stia mangiando solo
pizza e
cibi precotti. Sono passata a rimetterti un po' in ordine casa, sembra
la tana
di un troll come sempre! Il bucato pulito è sopra il tuo
letto, ora devo andare
o papà si insospettirà. Sai com'è
fatto.
Ti
voglio bene, Ada"
Era sempre così: da
quando, appena un anno prima, aveva
confessato a suo padre di essere innamorato di un ragazzo nella vana
ricerca di
suggerimenti, era stato ripudiato seduta stante dalla famiglia e
spedito a
vivere da solo come un apolide, un reietto.
Sua madre era morta dandolo alla luce e l'unica persona che gli fosse
rimasta
vicina e che andasse a fargli visita di straforo era sua sorella.
Non poteva andare peggio, davvero.
Incassò la testa tra le spalle, il respiro che si faceva
sempre più lento,
quasi inesistente, mentre le parole di Ada si mischiavano ai versi di
Shakespeare letti poco prima in una tempesta d'inchiostro che gli
offuscava la
vista e lo trascinava nell'oblio.
Si risvegliò dalle braccia di Morfeo che il sole era
già tramontato e con la
schiena che gridava pietà a ogni movimento che provava a
fare.
Dopo qualche tentativo andato a vuoto, riuscì finalmente ad
alzarsi e trascinarsi
sino alla camera da letto; il bucato era stato accuratamente stirato e
piegato
dalla sorella e troneggiava sulle lenzuola perfettamente rifatte
sprigionando
nell'aria un piacevole odore di pulito e detersivo.
Sulla pila ordinata troneggiava persino un mazzetto di fiori di campo
miracolosamente ancora intatti e rigogliosi.
Improvvisamente un'idea, probabilmente la più malsana e
sbagliata che avesse
mai avuto, si impossessò della sua mente e Oz si
svestì con una fretta quasi
febbrile, per poi scostare con cura i fiori dai vestiti e indossare una
maglietta e dei pantaloni, completamente bianchi. Riprese in mano il
mazzo e si
avvicinò allo specchio appeso alla parete, sistemandosi fra
i capelli e le
punte delle orecchie le infiorescenze colorate, una pioggia di colori a
imperlargli il capo in gocce profumate.
-Sembro proprio Ofelia-, ridacchiò tra sé e
sé in un tono troppo smorto e tetro
per il sorriso che l'aveva pronunciato.
Fece una piroetta su se stesso e uscì nuovamente di casa,
avviandosi verso il
parco e beandosi delle carezze dell'erba sulle piante dei piedi scalzi
e
pallidi.
Il laghetto riluceva lì vicino come un'enorme chiazza scura
dotata di vita
propria e pronta a risucchiare gli incauti che si fossero avvicinati
alle sue
rive sotto la tremula luce della luna e le stelle che punteggiavano un
cielo
blu di Prussia, fitto e impenetrabile.
Oz affondò fino alle caviglie nella rena fredda e scura
della sponda, l'acqua
schiumosa che iniziava a lambirgli le gambe e a gonfiare la stoffa
bianca
attorno a loro, e chiuse gli occhi, procedendo passo dopo passo e
cercando di
ignorare i brividi che gli percorrevano la spina dorsale.
Ormai era immerso sino al petto, i vestiti ondeggiavano come alghe
spettrali,
fantasmi che si affollavano attorno a lui come avvoltoi, e il fondo del
lago
continuava a degradare dolcemente sotto di lui.
Si ritrovò presto con l'acqua alla gola, ma neanche in quel
momento si fermò.
Era Ofelia e andava incontro alla morte con un sorriso spensierato
rigato di
lacrime che nessuno avrebbe mai visto né sospettato e che
ora si perdevano nel
laghetto mentre le labbra e il volto scivolavano sotto la superficie e
l'ossigeno nei suoi polmoni lasciava spazio senza remore al liquido
gelido che
l'aveva inglobato.
Le ultime bolle d'aria gli turbinarono davanti al viso come ogni volta,
ma non
le avrebbe più seguite verso la vita, no, sarebbe
semplicemente caduto in un
torpore ovattato e libero dalla sofferenza che si trascinava addosso da
troppo
tempo.
Sorrise un'ultima volta, prima di perdere conoscenza del tutto e per
sempre.
O almeno finché non sentì un tonfo sordo in
lontananza e una corrente
improvvisa sferzargli il viso e il corpo, improvvisamente
più leggero e caldo.
Avvertì qualcosa di ruvido graffiargli la nuca e le braccia,
mentre il petto
sobbalzava sotto il peso di colpi violenti e ripetuti e tutta l'acqua
che aveva
ingerito gli risaliva bruciante la gola e prorompeva dalle labbra
livide.
Sgranò gli occhi e tossì con violenza, le mani
protese verso l'alto di riflesso
e il corpo scosso da convulsioni.
Sbatté le palpebre più volte prima di riuscire a
mettere a fuoco con gli occhi
che pizzicavano ancora e si lasciò sfuggire un basso lamento
strozzato quando
quel volto così inconfondibile gli si delineò
davanti.
-Ugh, credevo che il Paradiso fosse un po' più
piacevole...-, riuscì a
biascicare con voce impastata e raschiante.
-Ma che cazzo stai dicendo!? Anzi, che cazzo stavi facendo!-,
berciò Elliot
fuori di sé scuotendolo per le spalle -Sapevo della tua
stupidità congenita
ma... Cercare di annegarsi nel laghetto va ben oltre!-.
-Per essere una visione angelica sei abbastanza rude, lasciatelo dire-.
-Non sono un angelo!-.
Oz non rispose e socchiuse le palpebre lasciandosi invadere dal freddo
che gli
intorpidiva le membra, già appesantite dai vestiti zuppi, ma
la sua quiete fu
interrotta da nuovi scossoni da parte del suo salvatore.
-Senti, non so cosa i frulli per quella testa contorta, ma non ti ho
salvato
dall'annegamento solo per lasciarti assiderare-, decretò lui
in tono
militaresco -Quindi adesso vieni a casa mia e poche storie, capito?-.
Anche se avesse voluto, di storie non avrebbe potuto farne comunque in
quello
stato, quindi si lasciò tirare su a peso morto da Elliot e
si appoggiò a lui
per provare qualche passo incerto e smarrito.
-Sei fortunato Shorty, abito proprio qua davanti-, lo sentì
borbottare nel suo
orecchio coi denti che battevano per il vento freddo che li sferzava -E
collabora un minimo, maledizione!-.
Finalmente si trascinarono sino all'ingresso di casa del Nightray, una
piccola villetta
dipinta di un azzurro tenue e incuneata in tante simili disposte a
schiera,
dove si intrufolarono più velocemente possibile.
Oz si ritrovò raggomitolato sul letto dell'altro a osservare
come in trance le
sue dita affusolate e decise che gli sfilavano di dosso la stoffa
impregnata di
morte, acqua e gelo e lo avvolgevano stretto in un plaid,
strofinandogli poi
con un asciugamano di spugna i capelli bagnati e il petto ancora scosso
da
tremiti spezzati.
Mentre sentiva il sangue tornare a scorrere e formicolargli sotto la
pelle e
teneva lo sguardo fisso su Elliot che si liberava come lui dei vestiti
fradici
e si gettava un altra coperta sulle spalle nivee, realizzò
di non trovarsi in
nessuno strano Paradiso ma ancora tra i vivi.
Fu come ricevere un pugno dritto all'altezza della bocca dello stomaco.
Non aveva funzionato.
Non c'era riuscito neanche quella volta.
E a impedirgli di morire era stata la causa primaria del suo desiderio
di farla
finita.
Dalle labbra ancora violacee proruppe una risata dapprima sommessa, poi
sempre
più forte e violenta mentre Oz gettava la testa all'indietro
e si lasciava
cadere sul materasso con un tonfo leggero.
Sapeva che l'altro in quel momento gli stava lanciando un'occhiata
stralunata,
carica di sconcerto e rabbia per un gesto che aveva sempre disprezzato,
riusciva a vederlo con la coda dell'occhio assieme al suo corpo tanto
sognato e
libero di essere ammirato sotto la luce artificiale di una lampadina ma
inesorabilmente distante.
-E ora che ti prende?-, si sentì chiedere in tono aspro.
-Rido dell'ironia della vita-, riuscì a rispondere tra uno
scoppio di risa e
l'altro -Il nostro caro palcoscenico che si diverte a farci cadere e
inciampare-.
La voce gli si incrinò in maniera innaturale, forzata,
mentre alle risate si
mischiavano singulti disperati e le lacrime tornavano a rigargli le
guance.
Notò in quel momento qualcosa brillare sul comodino accanto
al letto, la lama
affilata di un tagliacarte d'argento riluceva maliziosa promettendogli
la fine
di tutto quanto, di nuovo.
Lo afferrò con impeto e se lo portò al petto
senza esitazione, deciso a
trafiggersi il ventre e dissanguarsi davanti all'uomo che amava, ma
ancora una
volta Elliot glielo impedì, balzandogli addosso in una
frazione di secondo e
bloccandogli i polsi in una morsa ferrea.
Il tagliacarte cadde con un tintinnio sul pavimento mentre le dita di
Oz si
schiudevano per la sorpresa e il dolore e la testa gli sbatteva contro
la
testiera del letto.
-Non. Ci. Provare-.
La voce del Nightray era un ringhio basso, furioso, nel suo orecchio
destro, il
suo corpo fremeva contro di lui dalla voglia di prenderlo a pugni fino
a
frantumargli il setto nasale e fargli sputare a sangue quella vita
salvata due
volte e distrutta infinite.
Suo malgrado, si sentì attraversare da un fremito
elettrizzato e schiuse le
labbra in un sospiro vibrante di tensione, intrecciando le dita con
quelle
affusolate e forti che lo stavano bloccando e strusciando appena i
piedi sulla
coperta.
Elliot se ne accorse e si scostò di qualche centimetro da
lui per potergli
piantare in viso le iridi ghiacciate e venate di sconcerto.
Era troppo, sostenere uno sguardo così senza vacillare era
davvero troppo,
riuscì a pensare Oz prima che gli occhi gli si appannassero
nuovamente di
pianto.
-Si può sapere perché l'hai fatto?-, gli
gridò esasperato tra i singhiozzi -Ero
felice finalmente, ma no! Hai dovuto rovinare tutto e sbattermi nuovo
in questa
vita schifosa, tu!-.
Non gli diede neanche il tempo di replicare, sporgendosi verso di lui e
chiudendogli la bocca con un bacio affamato e disperato che sapeva di
sale.
L'aveva sognato infinite volte, aveva fantasticato su come sarebbe
potuto
essere assaporare quelle labbra, morderle, leccarle, ma non aveva mai
osato
raggiungerle davvero, limitandosi a seguirne le forme morbide con gli
occhi.
Sentì Elliot irrigidirsi ancora di più a quel
contatto e si staccò a malincuore
da lui, lo sguardo ferito e ancora assetato.
-Sai, fa male quando la persona che ami neanche ti chiama per nome-,
sussurrò
con voce spezzata, mentre nella mente gli si affollavano tutti i
momenti in cui
era stato apostrofato, trattato con indifferenza o disprezzo, tutti gli
"Shorty" o "Bezarius" che gli erano stati rivolti.
Non si rese neanche conto di essersi dichiarato finché
l'altro non balzò
all'indietro sul letto come se si fosse bruciato e lo scrutò
in tralice, le
dita premute contro le labbra e il fiato corto.
Avvamparono entrambi e Oz interruppe il contatto visivo reclinando la
testa
all'indietro e poggiando la fronte contro la testiera senza sapere se
sentirsi
esausto, imbarazzato o sollevato.
-Sei libero di odiarmi ancora di più ades...-, si interruppe
bruscamente
nell'avvertire il lieve solletico del fiato del Nightray sul collo
scoperto e
rimase immobile, senza quasi osare respirare o chinare il capo.
-Lo stavi davvero facendo per colpa mia?-, lo sentì
bisbigliare in tono che
sembrava incredibilmente contrito, spaventato.
Deglutì a fatica e si limitò ad annuire
impercettibilmente mentre Elliot
risaliva sino al suo volto e lo prendeva delicatamente tra le mani,
come
qualcosa che si potesse rompere in mille pezzi da un momento all'altro,
costringendolo a guardarlo in faccia.
-La tua vita vale molto di più-, asserì -E
lasciarsi calpestare così non ha
senso, capito? Non puoi basarti solo su una persona!-.
Un pesante silenzio calò tra di loro e nessuno dava segno di
volerlo spezzare,
l'uno troppo shockato e l'altro troppo inadeguato.
Passarono diversi secondi, pesanti e lenti, in cui nessuno si
arrischiò a dire
niente, poi il padrone di casa sbuffò contrariato e
contrasse le labbra in una
smorfia inacidita, aprendole e richiudendole alla ricerca della forza
per dire
ciò che gli premeva in gola.
-... Oz-.
Era quasi un sussurro inudibile ma il suo sguardo non lasciava spazio a
dubbi,
l'aveva appena chiamato per nome.
-Posso chiamarti per nome quante volte vuoi, perciò ti
prego-, continuò mentre
si chinava ad asciugare con la punta delle dita le lacrime che ancora
imperlavano le gote dell'altro -Continua a vivere-.
-Ripetilo-.
Le sue corde vocali si erano mosse da sole, vibrando di un impulso
rimasto
segregato tra di loro per troppo tempo.
La schiena si sollevò verso l'alto e le braccia si
intrecciarono dietro la nuca
di Elliot alla ricerca di equilibrio, di contatto, le dita che si
aggrappavano
a lui come a uno scoglio.
-Ti prego-.
L'altro sembrava indugiare in bilico sull'orlo del verde dei suoi
occhi, ma vi
si lasciò precipitare in silenzio con un bacio, le labbra
schiuse contro quelle
di Oz a mormorare di nuovo il suo nome, più e più
volte.
Disseminò quella pelle così candida e scoperta,
ancora umida dell'acqua che
aveva provato a inghiottirla, di tocchi lievi, sfiorandola, baciandola,
carezzandola, mordendola, imprimendole addosso sempre le stesse due
lettere,
mentre lei si lasciava esplorare fremente sotto di lui.
Le loro gambe si intrecciarono, i bacini strusciarono l'uno contro
l'altro, i
corpi si urtarono e si diedero l'uno all'altro con fretta assetata e
disperata
nella notte che non apparteneva a nessuno e dove tutto era consentito,
almeno
per una volta.
E finalmente, mentre il pianto si dissolveva sulle sue guance arrossate
e le
palpebre si chiudevano stanche nell'abbraccio di Elliot,
così più caldo e
rassicurante di quello di Morfeo, Oz si sentì per la prima
volta dopo troppo
tempo vivo.
Yu's corner.
Sono una persona cattiva~!
Sono pessima, sfogo il mio malumore su uno dei miei personaggi
preferiti e
oltretutto pubblicare qualcosa su Oz dopo gli spoiler sull'ultima
retrace è
terribilmente crudele.
Whatevah, a mia difesa posso dire di aver iniziato questa cosa
terribilmente
depressiva e (forse) OOC settimane fa.
Spero di non aver indotto nessuna povera anima al suicidio o al mio
linciaggio,
sono sempre persa per la elliot/leo, ma a volte questi momenti
elliot/oz molto
angst e oneside che hanno bisogno di sfogo.
Grazie comunque a chi leggerà o recensirà, bye
bye!
Yu.