La seguente storia è stata inventata da me, basandomi su un film che ho visto qualche anno fa.
La seconda metà del primo capitolo somiglia ad una mia precedente fanfic, gomen ne!
Quella sera Saito uscì molto tardi dal comando di polizia.
Era quasi mezzanotte quando s'incamminò lungo la strada
che da li, conduceva alla sua dimora.
La notte era scura, buio pesto ovunque, e non una sola voce nell'aria.
Saito si affrettò verso casa, era stanchissimo, e non vedeva
l'ora di potersi riposare.
Camminò ancora per un'ora fino al fiume, sino a che, poco
distante da lui, sulla riva, vide una figura femminile, ferma.
Sembrava contemplare l'acqua, così Saito non si preoccupò
più di tanto e continuò a camminare.
Pochi secondi dopo, invece, udì un tonfo improvviso.
Si voltò e si accorse che la donna non c'era più.
Istintivamente corse indietro e si tuffò in acqua.
CAPITOLO 1: una sconosciuta
Strano.
Avevo compiuto quel folle tuffo nell'acqua gelida perché
non avevo alcun motivo per vivere ed ero certa di essere morta.
Mentre ero ancora cosciente, sentivo chiaramente il respiro mancare.
I polmoni senza più aria, i muscoli deboli. Poi, più
nulla….
Quando riaprii gli occhi, non vidi altro che il cielo notturno
ed un viso chino sul mio.
Capii che ero ancora viva, sebbene ricordassi chiaramente di essermi
lanciata giù dal ponte.
Le lacrime iniziarono ad uscire dai miei occhi.
Non c' l'avevo fatta.
Ancora una volta non ero riuscita ad eliminare quel fardello insopportabile
che per me era vivere.
Il gesto che avevo compiuto, era stato fatto in maniera lucida
ed ora, sentire che non ero riuscita nel mio intento era deprimente.
Soffocando il pianto, mi misi a sedere e guardai l'uomo che mi
aveva salvata.
Doveva avere circa 30 anni, ed era molto alto e magro. Indossava
una divisa, e probabilmente era un poliziotto.
"Stupida!" sibilò, mentre sentivo il suono di
uno schiaffo sul mio volto.
"Se proprio volevi fare qualcosa di tanto idiota potevi evitare
l'ora in cui passo io. Mi hai fatto fare un bagno gelato!".
"Mi…mi…scusi………..". Invece
di ringraziarlo, o di dire qualsiasi cosa, scoppiai in lacrime.
"va bene, non piangere. Dimmi dove abiti piuttosto"
disse l'uomo, senza scomporsi.
Che dovevo rispondere? Io non avevo un posto dove tornare………
"Io….non si preoccupi, posso andare da sola…"
mormorai.
A fatica mi rialzai, e mi rassettai le vesti bagnate.
"Sicura?"
"Si, credo….ci riesco….".
Era poco convinto delle mie parole. Ed aveva ragione, perché
non appena si fosse allontanato avrei nuovamente cercato la morte.
Forse non mi sarei più lanciata nel fiume, magari avrei
raggiunto il porto, o mi sarei impiccata, ma in qualsiasi modo
non avrei visto l'alba di quel giorno.
Non volevo, ne potevo, quella era la realtà.
Silenziosamente sfiorai il mio ventre, ed avvertii un leggero
sussulto.
Il motivo della disgrazia. Ciò che m'impediva di tornare
a casa. Chissà perché, però, sentii quasi
sollievo, nell'avvertire che il mio piccolo c'era ancora.
Era strano, poiché dovevo odiarlo….anche se non ci
riuscivo. Lo sentivo parte di me. E con me sarebbe passato a miglior
vita.
Il poliziotto si tolse la giacca, inzuppata d'acqua e afferrò
il mio braccio destro.
"Ti accompagno io signorina, non è sicuro camminare
da sola a quest'ora".
"Non…non occorre, vado da sola….".
"Non essere stupida. Sono un poliziotto, non un bandito".
Che potevo fare? Lo sconforto s'impadronì di me, così
feci l'unica cosa possibile. Mi divincolai e cominciai a correre.
O, per meglio dire, ci provai.
Pochi metri dopo, caddi in ginocchio.
L'uomo arrivò subito.
"Vuoi star ferma?" disse, sollevandomi tra le braccia.
"Ecco….".
Non completai la frase, perché, al contatto con quella
stretta calda, la stanchezza, il freddo, la paura, svanirono.
Chiusi gli occhi e svenni.
Non aprii gli occhi per parecchio, perché l'incoscienza
era stata sostituita da un sonno profondo. A metà notte
mi svegliai, e mi trovai in una casa sconosciuta. Guardandomi
attorno vidi il poliziotto fumare accanto al mio letto e capii
che mi aveva portata a casa sua.
Nel dormiveglia, lo osservai. Era molto magro, con due penetranti
occhi scuri, e qualcosa, nelle movenze e nello sguardo, che ricordava
un animale selvaggio.
Mi vergognavo di simili pensieri ma, seppur incerta sul futuro,
continuai ad osservare l'uomo che mi aveva salvata. Purtroppo
ero troppo agitata, per riuscire a riprendere sonno.
Sapevo che il mio destino era segnato, se quello era davvero un
poliziotto, mi avrebbe riportata a casa senza indugi. Dovevo trovare
modo, qualsiasi esso fosse, di evitare di tornare in quell'inferno,
e potevo giocare solo un'unica carta.
CAPITOLO 2: Saito
Il destino a volte è proprio beffardo.
Avevo appena concluso una missione, e stavo per godermi il meritato
periodo di riposo concessomi, ed avevo di nuovo un problema, che
avrebbe ritardato di un giorno la mia partenza.
Seccato, mi proposi di condurla immediatamente al commissariato
e di lasciarla li, appena si fosse svegliata. Io ero una spia,
non potevo occuparmi di ragazzine scappate di casa. Se l'avevo
portata nella mia dimora, era solo perché mi scocciava
molto di più ritornare al posto di polizia in piena notte.
E per di più avevo dovuto metterla nel mio futon, perché
era reduce da un bagno nel fiume.
Chissà poi, perché aveva compiuto un gesto tanto
sciocco. Una ragazza tanto giovane, in genere non ha tali problemi
da giustificare un tentato suicidio.
Osservandola, mentre dormiva, le attribuii circa 17 anni. Indossava
abiti di pregio, e le sue mani erano bianche e curate. Non era
una serva, ma probabilmente apparteneva ad una famiglia benestante.