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Autore: Kai_Harn    10/04/2004    0 recensioni
Dedicata ad una delle 10 spade di Shishio. Si può tornare a vivere anche se il proprio unico amore è morto?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La tanka d'introduzione è tratta dal volume "Il muschio e la rugiada" (ed. Fabbri), un'antologia di poesia giapponese.

IL SENTIERO DELLA GUARIGIONE

Senza domandarci
se giusto, se sbagliato,
se la vita di poi…..
Tu ed io amandoci ci guardiamo
[Akiko Yosano (1878-1942)]


Ero tornato a Kyoto. Non credevo che l'avrei fatto. Dopotutto quella città era un concentrato di brutti ricordi.
Lì mi avevano battuto e, a poca distanza Shishio-sama se n'era andato per sempre.
Sinceramente non sapevo cosa mi avesse guidato di nuovo nel Kansai. Non era la mia zona natale e lì non avevo nulla da fare.
In fin dei conti Kyoshi Honjo, detto Kamatari la grande falce non aveva famiglia né amici.
Allora, era il 1884, avevo appena finito la mia missione all'estero.
Il dipartimento spionistico giapponese, si era congratulato per l'ottimo esito della mia missione e mi aveva accordato la piena assoluzione per i miei crimini. Ero libero adesso.
Così, senza saper che fare, presi la prima nave per la mia terra e tornai in Giappone.
Appena sceso, rimasi indeciso. Che avrei potuto fare?
Non ne avevo idea, ma intanto cominciai a camminare.
Nonostante mi evocasse solo un triste passato, dovevo ammettere che Kyoto era davvero una bella città. Elegante, colorata, ma un po' triste. A guardarla superficialmente, tutte le brutture accadute anni addietro sembravano dimenticate, ma per chi conosceva i fatti lontani, tutto ciò si mostrava ancora, seppur nascosto dai maneggi del nuovo governo Meiji.
Forse mi somigliava. Anche io ero il risultato di un simile esperimento dopo tutto.
Cos'ero, del resto? Non un uomo, col mio viso dai lineamenti troppo delicati. Non una donna, come il mio corpo maschile continuava a ricordarmi.
Ero un essere ambiguo, androgino, senza alcun'identità precisa.
Non avevo una casa, dei parenti, neanche uno scopo.
Solo una grande ed inesprimibile solitudine radicata nell'animo.
Quando c'era Shishio-sama, vivevo per il mio sogno di essergli utile. Facevo parte delle 10 spade e avevo, se non amici, almeno dei compagni.
Tutto questo era finito con la morte dell'uomo che avevo, invano, amato.
Il desiderio di seguirlo fu forte, ma Cho riuscì a farmi cambiare idea, con una scusa che, mi resi ben presto conto, era solo una bugia.
Così mi dedicai alla mia missione che se non altro mi aveva tenuto occupato per tutti quegli anni.
Poi si era conclusa…ed ora mi trovavo ad osservare il bel cielo di Kyoto con accanto una valigia che conteneva tutti i miei effetti personali, ed una sacca nella quale avevo nascosto i pezzi della mia falce.
"Coraggio…andiamo" mi dissi, prendendo la via dinanzi a me.

CAPITOLO 1:
Camminai di buon passo per almeno un'ora, alla ricerca di una locanda non troppo costosa, con il naso per aria, guardando in alto, verso le insegne.
Così non feci attenzione ai miei piedi e finii per scontrarmi con un passante, cadendo poco gloriosamente per terra.
"Ahio!" imprecò una ragazza nelle mie stesse condizioni.
Mi alzai per aiutarla e, quasi mi venne un colpo.
La conoscevo.
Quella era una delle due che mi avevano sconfitto all'Aoiya. Era sicuramente lei, la mocciosa che usava le lame tobikunai.
Sperai che non mi avesse riconosciuto. Dopotutto ero cambiato anche io. Erano trascorsi degli anni ed in più mi ero fatto crescere i capelli molto lunghi, per accentuare l'aspetto femminile.
Velocemente le presi un braccio e la rimisi in piedi, scusandomi.
Quindi afferrai i miei bagagli e provai ad allontanarmi, sperando di essere passato inosservato.
Avevo fatto poco più di due metri, quando sentii una voce
"io ti conosco!".
Non ce l'avevo fatta.
Mi voltai e tornai indietro, indispettito.
Perché una delle pochissime persone che conoscevo a Kyoto doveva essere proprio il nemico della mia ultima battaglia?
Stranamente però, non fu un incontro spiacevole.
Misao (ricordavo che fosse questo il suo nome) fu molto gentile. Mi chiese come stessi, se la ferita mi desse ancora problemi e se avessi concluso il mio incarico.
Io ricambiai chiedendole delle tre costole che le avevo rotto, e notizie sull'altra ragazza, quella che mi aveva spezzato il ginocchio. Scoprii che aveva sposato Battosai Himura e che avevano persino un bambino.
Insomma, senza sapere bene come, mi ritrovai ospite all'Aoiya.
Non avevo molta voglia di andare proprio nel luogo dov'ero stato battuto, ma era pur sempre una sistemazione vantaggiosa, giacché era gratuita.
Le stanze erano tutte occupate, ma Misao mi sistemò nella zona degli alloggi degli Oniwabanshu, nella sua vecchia camera, che lei non usava più da quando si era trasferita in quella di Aoshi Shinomori.
Se devo essere sincero, non ho mai capito se quei due fossero sposati, fidanzati, o qualcosa di simile ma sicuramente erano una coppia, molto ben affiatata, nonostante la differenza d'età.
Nei giorni che abitai li, osservandoli sentii un po' d'invidia. Quei due, sebbene non facessero sfoggio dei loro sentimenti, esprimevano lo stesso l'amore che provavano l'un per l'altra.
E mi ricordavano, un po' dolorosamente, Yumi e Shishio-sama.
CAPITOLO 2:
Trascorsi all'Aoiya quasi una settimana.
Fu un periodo piacevole. Lì si stava bene, si sentiva come una dolce aria familiare, sebbene, come avevo capito, tra gli abitanti non ci fosse alcun rapporto di parentela biologica.
Sapevo però che non potevo rimanerci a lungo. Non era casa mia. Ed io avevo il dovere cercare la mia nuova strada.
Solo che non sapevo da che parte cominciare.
Cosa sapevo fare? Combattere e spiare. Non avevo mai fatto altro in 29 anni.
Quindi dovevo cercare in quella direzione.
Misao mi suggerì di ricontattare il ministero degli interni. Forse avrebbero trovato qualcosa per me.
Per il momento mi sarei accontentato anche solo di un piccolo incarico.
Così, per iniziare, andai al comando di polizia.
Misao mi fece compagnia e venne con me sino a li. Non era certo un gesto disinteressato. Suppongo che la proposta di accompagnarmi provenisse da un altro motivo.
Al momento Aoshi Shinomori lavorava li….anche lui, come me, stava cercando di ricominciare, utilizzando le proprie abilità come risorse per sopravvivere nella nuova epoca.
Quando entrammo, il poliziotto di guardia ci squadrò annoiato.
"Che posso fare per voi, signorine?"
"Vorremmo vedere Sait…ehm, il brigadiere Fujita".
"Ora non c'è"
"E quando torna?" chiese Misao.
"Non ne ho idea" rispose maleducato l'uomo.
"Come sarebbe?"
"Senti ragazzina, non ho tempo da perdere con te. Tornatene a casa, questo non è posto per donne".
A quella risposta Misao scattò e fece per saltargli addosso.
Il poliziotto si alzò e tentò di cacciarla con uno spintone.
Non ci riuscì, perché una voce lo fermò prima.
"Ehi Mizutani! Non ti conviene attaccare briga con questa ragazzina".
"E perché mai? Mi ha provocato lei!"
"Non ti conviene, ti ripeto. E per due ragioni. La prima è che è l'attuale capo di un gruppo di spie piuttosto bellicose. E la seconda…beh, è la donna di Shinomori, e non so se sia il caso…"
"Ok ok, lasciamo stare" esclamò l'uomo, poco propenso ad una lite con la compagna del funereo collega Shinomori.
A parte questo piccolo incidente, evidentemente la fortuna era dalla mia parte, perché proprio quel giorno incontrai una vecchia conoscenza, il proprietario della voce che aveva impedito al poliziotto di assaggiare le kunai di Misao.
In effetti, non era strano che lui fosse li. Dopotutto ci lavorava.
Cho, giacché proprio di lui si trattava, non era cambiato per nulla.
La stessa espressione un po' annoiata, l'occhio destro sempre socchiuso e le sue amate spade strette al fianco.
Si avvicinò, con la sua andatura lenta e mi salutò calorosamente.
Anzi, sembrò piuttosto contento di vedermi.
Anche se era un nuovo ricordo del passato che riaffiorava, Cho era pur sempre, tra i miei vecchi compagni, quello cui ero più legato.
Era solo grazie a lui se avevo scelto di continuare a vivere.
Ovvio, sapevo benissimo che quella di tramandare le gesta di Shishio-sama era menzogna, ma gli ero grata per averla detta, perché mi aveva dato la forza per continuare a tirare avanti.
Fui felice di rivederlo. Forse troppo, anche se parlare con lui mi provocava una strana fitta al cuore.
Un dolore, sordo ed insistente, a cui purtroppo riuscii a dare un nome.
Nostalgia.
Del tempo lontano, quando c'era ancora Shishio-sama e noi c'incontravamo al monte Hiei e bevevamo insieme il sakè parlando per ore.
Di quel periodo rimpiangevo persino i miei futili litigi con Yumi, quando i nostri battibecchi facevano ridere tutti quanti, e Cho mi batteva la spalla dicendo
"dai, andrà meglio la prossima volta!" se ero depresso.

CAPITOLO 3:
Cho fu molto disponibile. Si offrì subito di aiutarmi nella mia ricerca e, trascorso un mese, trovò per me un nuovo incarico non difficile, ma di grande responsabilità.
In pratica, dovevo tornare al mio vecchio mestiere di spia, ponendomi nuovamente al servizio del dipartimento di polizia segreta.
Stavolta però il mio compito si limitava alla sola città di Kyoto.
Avrei dovuto nuovamente sfruttare il mio aspetto per conto del governo.
Beh, poco male. Avevo già svolto quel genere di lavoro, e fingermi donna non era certo difficile per me, abituato da anni a vestire solo abiti femminili.
Ora mi sentivo sollevato. Avere di nuovo qualcosa che mi tenesse occupato era ciò che desideravo. Inoltre, avevo trovato delle persone su cui sapevo di poter contare.
E soprattutto ero contento che con me ci fosse Cho, probabilmente l'unico amico che mai avessi avuto in passato.
Da quel periodo in poi, passammo molto tempo insieme, sia perché il lavoro lo prevedeva, sia perché, in effetti, andavamo molto d'accordo.
Lui non era un tipo particolarmente socievole, anzi, non lo era per nulla, ma bastava prenderlo per il verso giusto…cosa che, evidentemente, a me riusciva benissimo.
Come sarebbe stato bello se anche ai tempi di Shishio-sama ci fossimo visti tanto spesso…in quel periodo mi capitava di incontrare molto più spesso Henyasai, quel brutto corvaccio nero che si divertiva tanto a deridermi per la mia scarsa virilità.
Cho invece non si era mai neppure sognato di fare ironia sul mio aspetto. Mi accettava per quel che ero, senza badare ad altro.
In un certo senso si può affermare che lui fosse un po' come un fratello maggiore. Era molto l'affetto che provavo nei suoi confronti, e forse, nel mio cuore, aveva iniziato a sostituire la mia famiglia.
A quel tempo ero convinto che per me non esistessero possibilità d'amare qualcuno. Potevo solo voler bene, o affezionarmi, nulla di più…. A Kamatari, bellissima donna dal corpo di uomo, era vietato nutrire qualsiasi sentimento d'amore. E poi avevo vissuto troppe esperienze negative per potermi innamorare di nuovo.
Fu per quello che mi convinsi a pensare a Cho come ad un fratello, persuaso che anche lui provasse per me i medesimi sentimenti.
Forse, se fossi stato meno pessimista, avrei capito molto prima che il nostro rapporto si era evoluto in maniera diversa….

  
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