IL SENTIERO DELLA GUARIGIONE
se giusto, se sbagliato,
se la vita di poi…..
Tu ed io amandoci ci guardiamo
[Akiko Yosano (1878-1942)]
Ero tornato a Kyoto. Non credevo che l'avrei fatto. Dopotutto
quella città era un concentrato di brutti ricordi.
Lì mi avevano battuto e, a poca distanza Shishio-sama se
n'era andato per sempre.
Sinceramente non sapevo cosa mi avesse guidato di nuovo nel Kansai.
Non era la mia zona natale e lì non avevo nulla da fare.
In fin dei conti Kyoshi Honjo, detto Kamatari la grande falce
non aveva famiglia né amici.
Allora, era il 1884, avevo appena finito la mia missione all'estero.
Il dipartimento spionistico giapponese, si era congratulato per
l'ottimo esito della mia missione e mi aveva accordato la piena
assoluzione per i miei crimini. Ero libero adesso.
Così, senza saper che fare, presi la prima nave per la
mia terra e tornai in Giappone.
Appena sceso, rimasi indeciso. Che avrei potuto fare?
Non ne avevo idea, ma intanto cominciai a camminare.
Nonostante mi evocasse solo un triste passato, dovevo ammettere
che Kyoto era davvero una bella città. Elegante, colorata,
ma un po' triste. A guardarla superficialmente, tutte le brutture
accadute anni addietro sembravano dimenticate, ma per chi conosceva
i fatti lontani, tutto ciò si mostrava ancora, seppur nascosto
dai maneggi del nuovo governo Meiji.
Forse mi somigliava. Anche io ero il risultato di un simile esperimento
dopo tutto.
Cos'ero, del resto? Non un uomo, col mio viso dai lineamenti troppo
delicati. Non una donna, come il mio corpo maschile continuava
a ricordarmi.
Ero un essere ambiguo, androgino, senza alcun'identità
precisa.
Non avevo una casa, dei parenti, neanche uno scopo.
Solo una grande ed inesprimibile solitudine radicata nell'animo.
Quando c'era Shishio-sama, vivevo per il mio sogno di essergli
utile. Facevo parte delle 10 spade e avevo, se non amici, almeno
dei compagni.
Tutto questo era finito con la morte dell'uomo che avevo, invano,
amato.
Il desiderio di seguirlo fu forte, ma Cho riuscì a farmi
cambiare idea, con una scusa che, mi resi ben presto conto, era
solo una bugia.
Così mi dedicai alla mia missione che se non altro mi aveva
tenuto occupato per tutti quegli anni.
Poi si era conclusa…ed ora mi trovavo ad osservare il bel
cielo di Kyoto con accanto una valigia che conteneva tutti i miei
effetti personali, ed una sacca nella quale avevo nascosto i pezzi
della mia falce.
"Coraggio…andiamo" mi dissi, prendendo la via dinanzi
a me.
CAPITOLO 1:
Camminai di buon passo per almeno un'ora, alla ricerca di una
locanda non troppo costosa, con il naso per aria, guardando in
alto, verso le insegne.
Così non feci attenzione ai miei piedi e finii per scontrarmi
con un passante, cadendo poco gloriosamente per terra.
"Ahio!" imprecò una ragazza nelle mie stesse
condizioni.
Mi alzai per aiutarla e, quasi mi venne un colpo.
La conoscevo.
Quella era una delle due che mi avevano sconfitto all'Aoiya. Era
sicuramente lei, la mocciosa che usava le lame tobikunai.
Sperai che non mi avesse riconosciuto. Dopotutto ero cambiato
anche io. Erano trascorsi degli anni ed in più mi ero fatto
crescere i capelli molto lunghi, per accentuare l'aspetto femminile.
Velocemente le presi un braccio e la rimisi in piedi, scusandomi.
Quindi afferrai i miei bagagli e provai ad allontanarmi, sperando
di essere passato inosservato.
Avevo fatto poco più di due metri, quando sentii una voce
"io ti conosco!".
Non ce l'avevo fatta.
Mi voltai e tornai indietro, indispettito.
Perché una delle pochissime persone che conoscevo a Kyoto
doveva essere proprio il nemico della mia ultima battaglia?
Stranamente però, non fu un incontro spiacevole.
Misao (ricordavo che fosse questo il suo nome) fu molto gentile.
Mi chiese come stessi, se la ferita mi desse ancora problemi e
se avessi concluso il mio incarico.
Io ricambiai chiedendole delle tre costole che le avevo rotto,
e notizie sull'altra ragazza, quella che mi aveva spezzato il
ginocchio. Scoprii che aveva sposato Battosai Himura e che avevano
persino un bambino.
Insomma, senza sapere bene come, mi ritrovai ospite all'Aoiya.
Non avevo molta voglia di andare proprio nel luogo dov'ero stato
battuto, ma era pur sempre una sistemazione vantaggiosa, giacché
era gratuita.
Le stanze erano tutte occupate, ma Misao mi sistemò nella
zona degli alloggi degli Oniwabanshu, nella sua vecchia camera,
che lei non usava più da quando si era trasferita in quella
di Aoshi Shinomori.
Se devo essere sincero, non ho mai capito se quei due fossero
sposati, fidanzati, o qualcosa di simile ma sicuramente erano
una coppia, molto ben affiatata, nonostante la differenza d'età.
Nei giorni che abitai li, osservandoli sentii un po' d'invidia.
Quei due, sebbene non facessero sfoggio dei loro sentimenti, esprimevano
lo stesso l'amore che provavano l'un per l'altra.
E mi ricordavano, un po' dolorosamente, Yumi e Shishio-sama.
CAPITOLO 2:
Trascorsi all'Aoiya quasi una settimana.
Fu un periodo piacevole. Lì si stava bene, si sentiva come
una dolce aria familiare, sebbene, come avevo capito, tra gli
abitanti non ci fosse alcun rapporto di parentela biologica.
Sapevo però che non potevo rimanerci a lungo. Non era casa
mia. Ed io avevo il dovere cercare la mia nuova strada.
Solo che non sapevo da che parte cominciare.
Cosa sapevo fare? Combattere e spiare. Non avevo mai fatto altro
in 29 anni.
Quindi dovevo cercare in quella direzione.
Misao mi suggerì di ricontattare il ministero degli interni.
Forse avrebbero trovato qualcosa per me.
Per il momento mi sarei accontentato anche solo di un piccolo
incarico.
Così, per iniziare, andai al comando di polizia.
Misao mi fece compagnia e venne con me sino a li. Non era certo
un gesto disinteressato. Suppongo che la proposta di accompagnarmi
provenisse da un altro motivo.
Al momento Aoshi Shinomori lavorava li….anche lui, come me,
stava cercando di ricominciare, utilizzando le proprie abilità
come risorse per sopravvivere nella nuova epoca.
Quando entrammo, il poliziotto di guardia ci squadrò annoiato.
"Che posso fare per voi, signorine?"
"Vorremmo vedere Sait…ehm, il brigadiere Fujita".
"Ora non c'è"
"E quando torna?" chiese Misao.
"Non ne ho idea" rispose maleducato l'uomo.
"Come sarebbe?"
"Senti ragazzina, non ho tempo da perdere con te. Tornatene
a casa, questo non è posto per donne".
A quella risposta Misao scattò e fece per saltargli addosso.
Il poliziotto si alzò e tentò di cacciarla con uno
spintone.
Non ci riuscì, perché una voce lo fermò prima.
"Ehi Mizutani! Non ti conviene attaccare briga con questa
ragazzina".
"E perché mai? Mi ha provocato lei!"
"Non ti conviene, ti ripeto. E per due ragioni. La prima
è che è l'attuale capo di un gruppo di spie piuttosto
bellicose. E la seconda…beh, è la donna di Shinomori,
e non so se sia il caso…"
"Ok ok, lasciamo stare" esclamò l'uomo, poco
propenso ad una lite con la compagna del funereo collega Shinomori.
A parte questo piccolo incidente, evidentemente la fortuna era
dalla mia parte, perché proprio quel giorno incontrai una
vecchia conoscenza, il proprietario della voce che aveva impedito
al poliziotto di assaggiare le kunai di Misao.
In effetti, non era strano che lui fosse li. Dopotutto ci lavorava.
Cho, giacché proprio di lui si trattava, non era cambiato
per nulla.
La stessa espressione un po' annoiata, l'occhio destro sempre
socchiuso e le sue amate spade strette al fianco.
Si avvicinò, con la sua andatura lenta e mi salutò
calorosamente.
Anzi, sembrò piuttosto contento di vedermi.
Anche se era un nuovo ricordo del passato che riaffiorava, Cho
era pur sempre, tra i miei vecchi compagni, quello cui ero più
legato.
Era solo grazie a lui se avevo scelto di continuare a vivere.
Ovvio, sapevo benissimo che quella di tramandare le gesta di Shishio-sama
era menzogna, ma gli ero grata per averla detta, perché
mi aveva dato la forza per continuare a tirare avanti.
Fui felice di rivederlo. Forse troppo, anche se parlare con lui
mi provocava una strana fitta al cuore.
Un dolore, sordo ed insistente, a cui purtroppo riuscii a dare
un nome.
Nostalgia.
Del tempo lontano, quando c'era ancora Shishio-sama e noi c'incontravamo
al monte Hiei e bevevamo insieme il sakè parlando per ore.
Di quel periodo rimpiangevo persino i miei futili litigi con Yumi,
quando i nostri battibecchi facevano ridere tutti quanti, e Cho
mi batteva la spalla dicendo
"dai, andrà meglio la prossima volta!" se ero
depresso.
CAPITOLO 3:
Cho fu molto disponibile. Si offrì subito di aiutarmi nella
mia ricerca e, trascorso un mese, trovò per me un nuovo
incarico non difficile, ma di grande responsabilità.
In pratica, dovevo tornare al mio vecchio mestiere di spia, ponendomi
nuovamente al servizio del dipartimento di polizia segreta.
Stavolta però il mio compito si limitava alla sola città
di Kyoto.
Avrei dovuto nuovamente sfruttare il mio aspetto per conto del
governo.
Beh, poco male. Avevo già svolto quel genere di lavoro,
e fingermi donna non era certo difficile per me, abituato da anni
a vestire solo abiti femminili.
Ora mi sentivo sollevato. Avere di nuovo qualcosa che mi tenesse
occupato era ciò che desideravo. Inoltre, avevo trovato
delle persone su cui sapevo di poter contare.
E soprattutto ero contento che con me ci fosse Cho, probabilmente
l'unico amico che mai avessi avuto in passato.
Da quel periodo in poi, passammo molto tempo insieme, sia perché
il lavoro lo prevedeva, sia perché, in effetti, andavamo
molto d'accordo.
Lui non era un tipo particolarmente socievole, anzi, non lo era
per nulla, ma bastava prenderlo per il verso giusto…cosa
che, evidentemente, a me riusciva benissimo.
Come sarebbe stato bello se anche ai tempi di Shishio-sama ci
fossimo visti tanto spesso…in quel periodo mi capitava di
incontrare molto più spesso Henyasai, quel brutto corvaccio
nero che si divertiva tanto a deridermi per la mia scarsa virilità.
Cho invece non si era mai neppure sognato di fare ironia sul mio
aspetto. Mi accettava per quel che ero, senza badare ad altro.
In un certo senso si può affermare che lui fosse un po'
come un fratello maggiore. Era molto l'affetto che provavo nei
suoi confronti, e forse, nel mio cuore, aveva iniziato a sostituire
la mia famiglia.
A quel tempo ero convinto che per me non esistessero possibilità
d'amare qualcuno. Potevo solo voler bene, o affezionarmi, nulla
di più…. A Kamatari, bellissima donna dal corpo di
uomo, era vietato nutrire qualsiasi sentimento d'amore. E poi
avevo vissuto troppe esperienze negative per potermi innamorare
di nuovo.
Fu per quello che mi convinsi a pensare a Cho come ad un fratello,
persuaso che anche lui provasse per me i medesimi sentimenti.
Forse, se fossi stato meno pessimista, avrei capito molto prima
che il nostro rapporto si era evoluto in maniera diversa….