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Autore: Sylphs    19/02/2012    4 recensioni
Ehilà! Ho scritto questa favola un po' folle quando avevo 14 anni ed è in assoluto il primo romanzo che ho finito a quell'epoca, perciò ho deciso di tentare la sorte e pubblicarlo su efp, confido nella vostra pietà :) la storia si ispira alla mia fiaba preferita, "La bella e la bestia", salvo che la protagonista è un peperino ed è tutto fuorché una graziosa fanciulla. Spero che qualcuno leggerà!
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

 
 
 
 
 
 
I bambini stavano giocando tutti insieme con la palla nella piazza del paese. Correvano, veloci e sorridenti, sulle piastrelle bianche, circondati da una cerchia di casupole di paglia e di catrame, col tetto di paglia e la porta di legno marcio. Anche loro, magri e allampanati, facevano pendant con la semplicità del posto. Erano tutti a piedi nudi, bambini dai cinque agli undici anni, vestiti poveramente, con giubbe piene di toppe, pantaloni sudici rimboccati al ginocchio e berrettini malconci. Tuttavia, sui loro volti sporchi si vedeva una felicità malcelata.
Si passavano agilmente una grande palla costruita con dei giunchi secchi. La squadra che non era in possesso della palla doveva intercettarla ed impadronirsene, sottraendola agli avversari. Sedute su una panchina solitaria, delle bambine osservavano i maschi con annoiato interesse, intrecciando coroncine di fiori con cui adornavano le chiome e i vestitini rattoppati. Una di loro, una biondina con i capelli lunghi e il vestito rosa un po’ meno malandato di quello delle altre, portava un grande cappello di paglia in testa.
Un bambino con una zazzera di arruffati capelli rossi e un viso ricoperto di lentiggini schivò l’avversario che tentava di sottrargli la palla e si girò un po’ di qua un po’ di là alla ricerca di un compagno smarcato. Diversi suoi compagni di squadra si sbracciavano e strepitavano per attirare la sua attenzione. Il ragazzino lentigginoso ne individuò uno dall’aria sveglia che faceva ampi gesti da un angolo della piccola piazzetta e gli lanciò la palla con tutta la forza che aveva.
Quella volò oltre le otto teste levate all’insù. Il bambino a cui era stata lanciata saltò per afferrarla, ma la mancò di poco e la palla venne inghiottita dalle ombre del piccolo vicolo che sbucava sulla piazza. I bambini strepitarono, delusi:
“Josh! Era una palla facile! Stupido pasticcione!”
Il bambino chiamato Josh arrossì e chinò la testa. Si voltò per andare a recuperare la palla, ma dovette bloccarsi: dal buio del vicolo emerse, lentamente, con andatura quasi ieratica, un uomo che stringeva la loro palla tra le mani.
Già a vederlo risultò ai bambini uno strano individuo: non era molto alto ed era di corporatura rotonda. Portava addosso una palandrana marrone piena di buchi che terminava in un cappuccio calato a nascondergli completamente il viso. Camminava in modo strano, ondeggiando su se stesso come un pinguino, i piedi rivolti in fuori come quelli di una papera. Più di un bambino dovette soffocare una risatina.
“È vostra?” chiese l’uomo, sollevando la palla. Aveva una bellissima voce, piena di enfasi e di sfumature, profonda e musicale come un canto sommesso. Una voce senza età, che poteva appartenere tanto ad un giovane quanto ad un vecchio. D’altronde il cappuccio creava dubbi riguardo a questo. I bambini, ammutoliti, annuirono. L’uomo sorrise sotto al cappuccio e tirò la palla a Josh, che la prese al volo: “Dovreste fare più attenzione alle vostre cose, se ci tenete”-
“Sissignore”.
L’uomo annuì e fece per tornarsene indietro…ma venne preso da un’esitazione, e finì per rivolgersi ancora ai bambini: “Forse mi potete aiutare. Sapete dove posso trovare una locanda rispettabile per passarci la notte?”
I bambini si guardarono l’un l’altro, poi una delle bambine, che erano corse a vedere cosa stava succedendo, chiese: “Siete straniero, signore?”
“Sì. Vengo da molto lontano” replicò l’uomo, lieto dell’interesse dimostrato dalla bambina. Fece alcuni passi con la sua andatura caracollante, e con un sospiro di sollievo si lasciò cadere sulla panchina e depose il fardello che finora aveva portato sulla schiena. Per questo camminava così storto: trasportava qualcosa, qualcosa che i bambini non avevano visto. La osservarono curiosamente: era una piccola arpa di bronzo, intagliata in modo piuttosto semplice, con corde di finissimo spago marrone. Il bambino dai capelli rossi saltò su: “Ehi, avete un’arpa! Siete un cantastorie?”
Ebbe l’impressione che l’uomo gli rivolgesse un ampio sorriso: “Intelligente osservazione, ragazzino. Ebbene sì, sono un cantastorie”.
“Che bello!” esclamò la bambina bionda, battendo le mani: “I cantastorie raccontano le favole, giusto? Ce ne può far sentire una?”
“Adesso?” chiese il misterioso cantastorie, guardandoli dall’ombra del cappuccio. I bambini annuirono vigorosamente e lo implorarono da ogni parte della piazza:
“La prego!”
“Non viene mai nessun cantastorie, qui”.
“Tanto non abbiamo nulla da fare…”
“E va bene” si arrese il cantastorie, armeggiando con l’arpa: “In fondo ho molto tempo. Ma badate: le storie che racconto io sono molto lunghe. Potrebbe passar tutta la notte”.
“Non ci importa!” dichiarò Tom, il bambino dai capelli rossi. Il cantastorie allora si accomodò meglio sulla panchina e i piccoli ascoltatori sedettero in cerchio attorno a lui, abbandonando la palla e le coroncine di fiori e dedicandogli tutta la loro attenzione. Il cantastorie si sistemò il mantello consunto e chiese: “Dunque, quale favola vi piacerebbe ascoltare?”
I bambini ci pensarono su, poi vennero gridate diverse proposte:
“La Bella Addormentata!”
“Cappuccetto Rosso!”
“Cenerentola!”
“Pollicino!”
“No, no, no” borbottò a sorpresa il cantastorie, facendo un gesto brusco con la mano. I bambini, sorpresi, si azzittirono. Lui li trapassò uno per uno con uno sguardo intenso: “Perché raccontare una favola che voi tutti già sapete a memoria? Che gusto ci sarebbe? E poi, che ricordo vi rimarrebbe di me?”
I bambini ammutolirono. Non si aspettavano affatto una risposta simile da un cantastorie. Confabularono tra loro, poi Tom prese il coraggio a due mani e obiettò: “Ma ormai tutte le favole sono sapute e risapute, quindi tanto vale raccontarne una e farla finita”.
“Questo è quello che pensi tu” ribatté il cantastorie gentilmente: “Ma in verità vi dico che ci sono molte favole che nessuno ha mai raccontato, che sono andate perdute”.
“E voi le conoscete?” mormorò Annie, la bambina bionda. L’uomo annuì compiaciuto: “Mi vanto di essere a conoscenza di alcune di esse”.
“Ce le dica, allora. Scommetto che le conosciamo!” sbottò Tom, che a quel tipo non voleva dargliela vinta. Il cantastorie non si offese e rispose con la solita cordialità: “Qualcuno di voi conosce la favola della moglie dell’orco?”
Calò un silenzio tombale che durò diversi minuti. Tom si stava disperatamente sforzando di ricordare qualcosa che combaciasse con il titolo annunciato dal cantastorie, ma non trovava nulla. Si buttò a caso: “Intendete forse dire l’orchessa che aiutò Pollicino e i suoi fratelli a nascondersi?”
“No, no, no” ripeté il cantastorie: “Intendo dire la moglie dell’orco che…insomma, qualcuno di voi sa che molti anni fa è vissuta in questo regno la marchesina Isadora di Soledad?”
I bambini si guardarono, poi scuoterono la testa. Josh esclamò confuso: “Ma questo regno non si chiama Soledad!”
“Un tempo sì” disse il cantastorie: “E dovreste saperlo! Ma ora fate silenzio e prestate attenzione. Vedo che non conoscete questa storia. Sarò io a raccontarvela”.
“Scommetto che sarà orribile e noiosa” sbraitò Tom, incrociando le braccia sul petto. A lui sarebbe andato bene solo un Pollicino. Il cantastorie gli sorrise: “Se non ti và di stare a sentire, nessuno ti obbliga a rimanere, Tom”.
“Come conosci il mio nome?!” strepitò il ragazzino. Ma poiché il cantastorie non rispondeva, e tutti gli altri bambini erano rapiti al pensiero di ascoltare una nuova storia, si arrese con un sospiro a rimanere lì e prestò attenzione a quanto stava dicendo il bizzarro soggetto: “Molto tempo fa, in un regno lontano lontano, chiamato Soledad…”

 
  
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