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Autore: Beatriz    20/02/2012    2 recensioni
«Quanto tempo è ormai?»
Aveva chiesto Carly, sicura che la risposta, in un altro frangente, l’avrebbe fatta ridere. O probabilmente avrebbe riso lo stesso, per il nervosismo. Joe lasciò oscillare il braccio di malavoglia. «123 giorni»
«123 che cosa?» Ripetè la ragazza riducendo gli occhi scuri a due piccole, impercettibili fessure. E lui non riuscì neppure a capire se stesse urlando, o se la testa gli doleva a tal punto che ogni minimo sussurro assumeva le sembianze di un nitido acuto del petto. «Oh, davvero?Hai deciso di rimanere rintanato qui dentro fino a Natale?»
Quella battuta a dir poco sarcastica gli strappò un flebile risolino divertito. «Potrebbe essere un’idea, no?»
«L’unica idea che ho in mente io, adesso, è quella di tirarti un pugno a procurarti talmente tanto male da farti dimenticare Calixte, il cancro, e anche il tuo nome, accidenti» Sbottò Carly, cercando di essere convincente nel suo a dir poco bizzarro rimprovero
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera :)
Ecco il secondo capitolo della long, ma prima di lasciarvi leggere (e spero vivamente che vi piaccia), vorrei fare dei particolari ringraziamenti a:
_itsahope, grazie a te Arianna, di tutto. Si essere te, e dei tuoi commenti fantastici. Sei davvero fantastica, stella.
inseparable__ tu! Tu che mi segui con così tanto affetto e mi riempi di complimenti, meriti un rigraziamento tutto speciale. Grazie mille, di cuore.
_Josephina Jonas_ Grazie per le tue parole, sono contenta che ti piaccia il mio modo di scrivere :) Spero continuerai a seguirmi.
Grazie anche a chi legge semplicemente, un bacione.





                                                                                               2.

Carly si trascinò fino ai piedi di una pacchiana poltrona al centro della hall, sotto gli alti e possenti colonnati dei soffitti bianchi, e fece scivolare le dita lungo i braccioli rivestiti di una ruvida stoffa su cui erano incisi motivi in stile barocco. Si lasciò affondare tra quei cuscini consunti, assumendo una posizione poco comoda solo per avere una miglior visuale della vetrata d’ingresso.
D’altronde non poteva fare altrimenti. Il buffo maitre dal volto paonazzo e il naso tondeggiante le aveva negato l’accesso alla stanza della signorina Calixte, e Carly si era ritrovata sulla strada un pesante muro di ostinazione che la costrinse a rivisitare tutti i piani della giornata. Non era stato facile convincere Alexander a svelare il nome dell’albergo in cui sua sorella soggiornava, lungo la trafficata Broome St. di Manhattan, e ancora più difficile era stato sopportare le continue ed impertinenti domande del tassista. Quando aveva risposto che alla ricerca di una ragazza, la sua curiosità sembrò svanita nel nulla. Avrebbe voluto chiarire. Dallo sguardo che le lanciò prima di lasciarla scendere sul marciapiedi, doveva essersi fatto un’idea non propriamente esatta.
Il suo sguardo nocciola scrutava con particolare e sostenuta attenzione ogni singolo volto che lastricava la sua visuale, sperando vivamente di adocchiare una folta chioma bionda svolazzare tra le innumerevoli teste dei presenti. I pallidi bagliori del sole irradiavano nel suo sguardo incupito una luce dorata, riflettendosi poi sulle guancie rossastre fino a svanire con le ombre lungo la  morbida linea del collo.
Temeva anche di serrare le palpebre, con il timore di vedersela sfuggire davanti senza aver modo di reagire. Ad ogni ciocca bionda che vedeva sfilare con sfrontatezza lungo la scalinata dell’albergo, o sorpassare con studiata noncuranza il bancone, poteva sentire il muscolo del cuore contrarsi con tale ardore che, per pochi istanti, ogni altro rumore presente nella sala scompariva per lasciare spazio a quell’incessante battito che le saliva per la gola.
E poi la vide. Con un passo leggero, Calixte si dirigeva verso l’ascensore, mentre le balze del vestito floreale fluttuavano con una grazia innata ogni qual volta la stoffa scivolava tra le gambe sottili. Era più pallida, rispetto agli ultimi ricordi che Carly conservava della sua persona, e i capelli riuscivano adesso a coprirle il lobo dell’orecchio sfiorando appena il lungo collo da cerbiatta. Carly scattò dalla poltrona, destando l’attenzione dei pochi ospiti seduti al suo fianco. Poteva sentirli mormorare, mentre avanzava con innata sicurezza verso l’esile corpo di tutte le sue ricerche.
In un gesto incosciente,  Calixte alzò di poco lo sguardo per ammirare il nitido fervore della sala principale, respirando appieno l’aroma dolciastro che impregnava le pareti, e i suoi infantili occhi chiari si scontrano con lo sguardo adirato di Carly.
Le parole le si strozzarono in gola, mentre dalle sue rosse labbra dischiuse un impercettibile sussurro fuoriusciva appena, disperdendosi con fragilità tra le quattro mura improvvisamente diventate troppo piccole.
Notò il braccio di Carly avanzare nello spazio che divideva i loro corpi, e Calixte cominciò a muovere un veloce passo verso l’ascensore, seguito da un altro, fin quando una scarica di adrenalina le diede la spinta per aumentare l’andatura. Stava fuggendo, un’altra volta.
 
-Fermati, signorina!-Aveva urlato Carly, rimbeccandola subito dopo per una spalla mentre le porte del pesante cubo di metallo erano ancora troppo lontane. Calixte sbuffò, annaspando nell’aria torrida di quel pomeriggio d’Agosto. –Carly- Esclamò, le mani improvvisamente lasciate scivolare lungo i fianchi –Che sorpresa! E’ un piacere vederti-
-Smettila Callie, lo so che non è un piacere- Quel finto umorismo la fece innervosire. Calixte sembrava agitata, portando il peso da una gamba all’altra senza mai guardarla negli occhi.
-Se devi dirmi qualcosa, possiamo farlo non qui?-Indicò con un cenno del capo i numerosi spettatori di quella banale fuga dalla realtà, con gli occhi curiosi celati dietro le copertine patinate dei giornali di gossip. Carly digrignò i denti, -Ma tu guarda che imbecilli-
Non aveva mai sopportato i ficcanaso.
 
 
                                                                                                              ***
 
 
 
Carly gettò nel suo caffè la quarta bustina di zucchero. I granelli bianchi scendevano adagio sulla soffice schiuma, per poi affondare come avrebbe fatto qualsiasi nave alla deriva. Calixte, osservando intensamente la scena con le labbra serrate lungo i bordi della tazza di the bollente, in quello zucchero ci vedeva tutta la sua vita.
Il cafè dell’hotel non era altro che un lungo bancone di finto marmo rosa dietro a cui alcuni giovani camerieri amavano destreggiarsi tra spremute di arance e caffè bollenti, servendo poi ai tavoli con le gambe di metallo ridotte in miseri semicerchi senza una fine. Calixte ripose adagio la tazza nel piatto dello stesso corredo, e il tintinnare della ceramica si irradiò tra gli aromi che padroneggiavano l’ambiente.
Non sapeva cosa avrebbe dovuto dire, non lo sapeva mai quando si trattava di Carly. Forse avrebbe dovuto biascicare delle ignobili scuse. O forse avrebbe preferito dileguarsi, con una scusa, per non pensarci più. Il punto era che il tremolio delle sue mani, qualunque cosa le venisse in mente, non accennava a smettere.
 
Fu grata a Carly per iniziare la conversazione quando lei non trovava ancora il coraggio con cui dischiudere la bocca.
-Come procedono le cure?- Domandò, picchiettando con una salvietta sul labbro superiore per asciugare le tracce di caffè. Calixte si sentì sollevata. La sua malattia era un campo su cui riusciva a muoversi ancora con una certa abilità.
Miglioro- I ricordi degli ultimi mesi la lasciarono interdetta –Cioè, per quanto una persona nelle mie condizioni può migliorare, insomma … -
-Mi piace il tuo nuovo taglio di capelli-Sibilò Carly abbozzando un timido sorriso. Ed era vero. Calixte si accarezzò la nuca con le dita. –Ti ringrazio, ma non credo che tu sia qui per parlare dei miei capelli-
In realtà Calixte sospettava il vero motivo per cui si trovassero lì, ma sentirlo pronunciare dalle sue labbra le sarebbe stato d’aiuto nel farsene una ragione, per quanto fosse possibile. Le sembrava essere trascorsa un’eternità dall’ultima volta che le sue labbra si erano poggiate su quelle di Joseph, e Il suo sapore lo sentiva ancora vivido agli angoli della bocca.
-Joe è un vegetale, Callie. Nel vero senso della parola, eh, giuro. Sta contando i giorni da quando te ne sei andata-
Quelle parole furono per lei come un forte pugno poco più sopra dello stomaco. I suoi zigomi si imporporarono, rendendo il colorito della pelle ancora più niveo. –In che senso?-
I lunghi boccoli scuri di Carly scivolarono nell’incavo del collo, -Nel senso che sul suo calendario ci sono segnate 123 X grosse come una casa- Gonfiò il petto, per enfatizzare il discorso –E non vuole dimenticarti, Callie. Non ci riesce-
-E tu credi davvero che rivedermi, anche solo per un giorno, e poi osservarmi scomparire di nuovo, possa farlo stare bene?- Senza che Calixte potesse accorgersene, aveva irrimediabilmente alzato il suo tono di voce, tanto che gli altri clienti del cafè si voltarono stizziti a lanciarle un’occhiata di ammonimento. Carly roteò gli occhi verso il soffitto. –No!- Aveva risposto, in un tono così fievole che persino la stessa Calixte dovette sporgersi in avanti per afferrare la risposta –No che non gli farà bene. Ma sentendosi dire dalla stessa ragazza che ama che è arrivato il momento di andare avanti  allora forse si, potrà davvero farsene una ragione-
Calixte era consapevole che la sola idea di rivederlo sarebbe stata per lei un compromesso al suicidio: Era forte, ma chi mai avrebbe potuto sopportare un secondo addio?
-Ascoltami, Callie- Riprese la ragazza accanto a lei con esasperazione –Lui è distrutto dal tuo ricordo, è distrutto dall’idea di non averti potuto dire addio, e dal pensiero di non aver fatto niente per impedirti di partire. E’ convinto, e lo è davvero, che avrebbe potuto fare qualcosa. Mio Dio lo hai scaricato con un biglietto d’auguri, dico: chi se ne farebbe una ragione, no?-
L’idea del biglietto d’auguri era stata malsana, e Calixte lo riconosceva. Ma era l’unica cosa vicina ad una busta per le lettere che avesse trovato in casa di Joe, sotto una pica di giornali sullo sport e la forma fisica. –Sai che giorno sarà la prossima settimana?-
-E’ il suo compleanno- Rispose Callie sciogliendo le labbra in un tenero sorriso. Il suo sguardo vitreo le fece capire che era immersa in chissà quali lontani ricordi. –Vuoi tornare a Los Angeles, per rivederlo?- Incalzò ancora Carly.
Calixte spalancò la bocca, farfugliando qualche parola incomprensibile. Il respiro le si strozzava nella gola, opprimente come un macigno. Voleva rivederlo, desiderava stringerlo ancora tra le braccia più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ma non era il momento.
-No- Non riusciva a credere nemmeno lei a ciò che stava dicendo. –No Carly, io non torno-
Ripetè ad alta voce, così che tutti, compresa lei stessa, potessero sentirla.
 
 
  
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