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Autore: Laurie    21/02/2012    2 recensioni
Luna Lovegood non è una studentessa come tutte le altre. Le sue affermazioni e i suoi comportamenti bizzarri hanno spesso fatto chiacchierare la scuola alle sue spalle. Ma questa volta, questa volta Luna ha veramente superato il segno!
Una riflessione amara, un nuovo modo di vedere Hogwarts.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luna Lovegood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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A Hogwarts non si parla d’altro. Nei corridoi, nei dormitori, tra una lezione e l’altra, nelle classi, nelle pause in cortile, negli spogliatoi, la mattina al tavolo della colazione, la sera durante la cena. Ovunque ci sia un gruppo di persone si sentono sempre le stesse parole. L’episodio è passato di bocca in bocca, si è ingigantito, si è deformato, chi era presente è stato bersagliato di domande, chi non c’era è ancora più informato di chi ha assistito all’episodio più eclatante di quel mese.

Passata l’eccitazione delle vacanze invernali, senza altre notizie capaci di destare l’attenzione generale, è naturale che gli studenti debbano avere un motivo per distrarsi dai compiti e dai programmi di ripasso che giusto in quei giorni cominciano. È normale. Ma quelle parole forse non sarebbero mai potute passare inosservate.

I Tassorosso, rotto il loro abituale riserbo, sono i primi a mostrarsi indignati. Loro amano le consuetudini, rispettano ciò che i loro avi stabilirono: come possono pensare a qualcosa di simile?

Justin Finch-Fletchley non si lascia sfuggire l’occasione. È figlio di Babbani e meglio di altri potrebbe esprimere la propria posizione a proposito. “Vi assicuro,” lo sentono dire nel suo inconfondibile tono pomposo. “Anche i Babbani rispettano la tradizione. Esistono stimati istituti che seguono ancora statuti vecchi di secoli, e nessun studente ha mai osato obbiettare.”

Ogni figlio di genitori non maghi della scuola approva quelle parole con cenni rispettosi, sentendosi sollevato.

“E il Quidditch?” esclama invece Ron, una sera, nella sala comune.

Harry annuisce, Hermione sbuffa e Ginny, per una volta, non sa che partito prendere.

“Ma ci pensate? Se accadesse davvero, non potremmo più battere quel tronfio di un Malfoy!”

“Ed è solo a questo che sai pensare, Ron?” chiede Hermione, seccata.

“Vorresti dire che sei d’accordo?”

“Volevo farti presente che nel mondo non c’è solo il Quidditch,” risponde la ragazza, sulla difensiva ed eludendo la domanda. Ron si rivolge all’amico e alla sorella per un po’ di comprensione, ma riceve solo sguardi cauti.

“Oh, insomma,” sbotta infine. “Da te, Harry, mi aspettavo più entusiasmo. E lo so, Ginny, tu sei sua amica e la difendi sempre.”

“Non è questo. Ma, ad essere sincera, mi preoccupa di più essere nello stesso dormitorio con Pansy Parkinson.”

“Pensa ad essere nella stessa camera di quella smorfiosa della Granger o di quella sgualdrina della Weasley!” le fa eco, inconsapevolmente, la Parkinson rivolta alle amiche che con la costernazione dipinta sul volto le dimostrano solidarietà.

“Già dobbiamo sopportare i Grifondoro durante le ore di Pozioni,” osserva un Serpeverde del terzo anno.

“E quei sempliciotti dei Tassorosso? E’ impensabile finire mescolato a loro.”

“Non dovrebbero stare in questa scuola. Loro e tutti quei mezzosangue…”

Un coro di assensi si leva dai ragazzi. I Serpeverde continuano a sciorinare i difetti dei Tassorosso, pigri, bonaccioni, sciocchi allievi di Tassorosso, prendendo sempre più gusto.

“Se ci fosse mio padre,” borbotta in un angolo Draco Malfoy. “quella stupida sarebbe espulsa…”

I Corvonero sono più reticenti. Per tener fede alla loro proverbiale intelligenza, sono rimasti per giorni in silenzio, annuendo comprensivi a chi si lamentava, fornendo laconiche risposte alle domande curiose, accigliandosi in modo solidale allo sdegno degli altri.

Infine Anthony Goldstein, spazientito e irritato, sbotta con tutta la sua autorità di prefetto che la sua Casa non è colpevole di quell’increscioso incidente, in quanto loro approvano il modo con cui fu ed è gestita la scuola

Qualcuno con molta ironia fa notare che i professori non avrebbero più tolto punti, ma i Corvonero ricordano anche quanti invece sono stati i punti dati per i loro meriti scolastici, molti di più di quelli di un Tassorosso, di un Grifondoro o di un Serpeverde. E pensare che quel riconoscimento al loro celeberrimo ingegno non avrà più valore li inquieta non poco. Con orgoglio tirano fuori i nomi di maghi passati alla storia che hanno frequentato la scuola sotto il vessillo blu e bronzo. Sentimento che sembra comune agli altri allievi, che fanno a gara a scovare il nome illustre che militava nella loro Casa. Convengono invece con Grifondoro su quanto sarebbe disonorevole essere insieme con i Serpeverde, la cui casa, come tutti sanno, è solo un covo di vere serpi, come il loro nome tiene fede e i loro annali dimostrano. Ma sono tutti d’accordo nel rabbrividire alla prospettiva di perdere il loro torneo di Quidditch.

Tanto clamore non può essere ignorato dai professori. Una sera, durante la cena, la professoressa McGranitt redarguisce con particolare rigore Vitious.

“Minerva, è solo una sciocchezza! I miei ragazzi sono vivaci, pieni di inventiva ma non si sono mai cacciati in guai grossi. E anche lei… è una ragazza a modo, una studentessa diligente,” si difende il povero ometto.

“Una studentessa che dovrebbe imparare quando e come aprir bocca,” non si lascia smuovere Minerva McGranitt.

“Sono solo parole!”

“Che intanto hanno turbato l’intera scolaresca. Filius, i miei allievi ogni tanto saranno anche indisciplinati, ma so che bisogna metterli in riga. Certo, non si è mai visto un Grifondoro mancare di rispetto…”

“Curiosa opinione, Minerva. Da quel che ne so, i tuoi Grifondoro sono quelli che più spesso infrangono le regole della scuola,” interviene Severus Piton, con voce falsamente soave.

La professoressa di Trasfigurazione si irrigidisce, tanto che i suoi lineamenti sembrano ancora più severi di quanto solitamente appaiono. Scocca un’occhiata raggelante al collega, che le restituisce un sorriso sarcastico.

“Vorrei ricordarti, Severus, che giusto ieri ho messo in punizione tre Serpeverde.”

La faccia di Piton esprime la sua voglia di gettare una fattura sulla professoressa McGranitt.

“Signori, gli studenti sanno che i loro timori sono infondati. Nessuno di noi intende cambiare il modo con cui è condotta la scuola. Fra qualche giorno avranno dimenticato questa storia,” interviene con molto buon senso Vector.

“E lei cosa ne pensa, Albus?” chiede la professoressa Sprite, in un tentativo di salvare la cena.

Il Preside si riscuote dai suoi pensieri, gira lo sguardo agli altri insegnanti che stanno aspettando una sua risposta e dice cordialmente: “Scusate, stavo pensando alle parole di un vecchio amico e non ho sentito cosa dicevate.” Il suo sguardo passa tra i tavoli, fino a fermarsi su una testa bionda, china sul piatto della cena, in disparte rispetto ai compagni. Silente sorride tristemente. “Le Case che con profondissimo ardore reggevano alte di Hogwarts l’onore mutarono in fiere nemiche giurate, e si fronteggiarono, d’orgoglio malate…” canticchia tra sé e sé.

Nessuno sembra udirlo.




***



A Hogwarts non si parla d’altro, e anche lei è costretta a rendersene conto e ad accettarlo. Si è stupita che le sue parole fossero passate di bocca in bocca, tanto che nell’intera scuola ognuno sapeva. È altrettanto colpita che persone a lei sconosciute o che l’avevano sempre ignorata ora la fissino con un’insistenza che rasenta di molto la sfacciataggine. Provare a minimizzare le parole di allora è pressoché inutile, lei non si fa illusioni. Ma fra poco la notizia stancherà tutti, e presto nessuno ne parlerà più (parlato).

Mentre lo percorre si rallegra che esistano numerosi corridoi a Hogwarts deserti e immersi in un piacevole crepuscolo che dura tutto l’anno. Lì, tra le ombre di antichi arazzi o delle alcove gotiche, avrebbe solo potuto udire i sussurri dai quadri. Ma quel giorno sente, per sua delusione, anche dei bisbigli diversi provenire da una nicchia vuota in fondo al suo cammino.

“Hai sentito, la faccenda è arrivata anche ai professori.”

“C’era da aspettarselo! Insomma, parliamo dei Fondatori…”

“Ma siamo sicure che abbia detto proprio così?”

“Mi ha assicurato una mia amica che è nella sua casa e che era lì quel giorno, e ha sentito tutto.”

“Non vorrei mai essere nei Corvonero, ora come ora,” commenta a mezza voce una delle ragazze.

“Neppure io. Questa volta ha esagerato con le sue stranezze,” aggiunge con sussiego un’altra.

“Sapete come la penso. Quella non è tutta a posto.”

Mentre dice questo, porta una mano alla testa, battendola sulla tempia come a rafforzare il concetto. Le amiche annuiscono in coro, ma si bloccano di colpo quando sentono dei passi avvicinarsi. Gettano uno sguardo al corridoio e riconoscono la ragazza che cammina verso di loro.

Il silenzio è peggiore dei bisbigli. Luna Lovegood sente i loro sguardi su di sé. Ma per non curarsene prosegue svagata, con i grandi occhi lattiginosi persi a inseguire ombre tra i soffitti immensi e il tintinnio dei ninnoli ad accompagnare ogni suo passo. Solo una lieve tensione le irrigidisce le spalle, ma lei non si volta verso le ragazze strette ad osservarla, a frenare commenti, a disapprovare. Perché se lei non vede è come se loro non fossero lì.

Una svolta provvidenziale del corridoio la sottrae alla vista dei loro sguardi insistenti, e lei sospira di sollievo.

Prosegue ancora per qualche passo, si guarda intorno per accertarsi che non l’abbiano seguita, e apre una porta polverosa. La stanza in cui entra, appena illuminata da una luce sporca che si insinua tra le finestre istoriate, è il suo rifugio preferito. Nessuno ci va più dopo che qualcuno ha sparso la voce che quello fosse il luogo dove si riposava l’instancabile Pix.

Si è sempre trovata a suo agio qui, fin dalla prima volta in cui ha scoperto la camera, nel suo primo anno ad Hogwarts, ma nei periodi particolarmente difficili, quando non riesce a sopportare i suoi compagni, è l’unico luogo dove riesca a respirare liberamente. Ha nascosto lì i suoi oggetti più preziosi, quando non voleva che venissero presi. Ha dimenticato tante offese semplicemente inseguendo i suoi pensieri tra la polvere e gli oggetti dimenticati nei secoli. Ha soprattutto letto i suoi libri preferiti lontana da sguardi indiscreti, risatine sarcastiche e dall’indiscrezione delle sue compagne di dormitorio. È riuscita ad accettare il loro comportamento, certa che un giorno si stancheranno, ma se ha potuto raggiungere tale obbiettivo, lo deve al fatto di sapere di poter sempre contare sul suo rifugio segreto.

“Posso entrare?”

Luna sobbalza e guarda con apprensione la porta, ma il suo volto preoccupato si distende quando riconosce la figura ferma sulla soglia.

“Prego,” risponde.

La Dama Grigia entra, incedendo con eleganza nelle sue gonne evanescenti. Da viva doveva essere stata una signora compita e raffinata, dalla bellezza fine che ancora traspare nei suoi lineamenti opalescenti di fantasma. Non era morta in vecchiaia, eppure possiede una naturale dignità che la gioventù non conosce.

Il fantasma di Corvonero guarda con simpatia la ragazza.

“Sapevo di trovarti qui.”

“Cercavo un posto dove leggere. Fuori tutti parlano e non riesco a concentrarmi.”

“È vero: parlano. Anche i fantasmi ripetono le solite chiacchiere.” Luna appare a disagio. “Ad Hogwarts i pettegolezzi circolano veloci e sono l’occupazione preferita di tutti.”

“Lo so.”

La Dama Grigia si avvicina a lei. È una ragazza pallida e dagli occhi troppo grandi per il suo viso, sembra sul punto di stare per svanire nella fredda luce invernale che illumina la stanza. Ma il volto non reca segni di stanchezza, gli occhi non sono arrossati: i suoi lineamenti ancora acerbi non tradiscono debolezza.

“Ho letto l’articolo.”

Gli occhi slavati di Luna si concentrano sul fantasma.

“Davvero?” C’è una traccia incerta di sorriso su quelle labbra.

“Sì, è stato inaspettato. Ciò che è stato scritto… Pensare che proprio dei Babbani abbiano una lezione da darci, è qualcosa che nessun mago riesce facilmente ad accettare, tuttavia è… così sorprendente!”

Luna annuisce. Capisce ciò che vuole dire la signora Dama: anche lei era scettica.

“Non è nello stile di mio padre, pubblicare qualcosa di simile. Mi sono stupita. A lui non interessano i Babbani, non ho mai pensato che potesse accettare un articolo su qualche loro teoria. Pensavo di conoscerlo…” La Dama Grigia sorride comprensiva, con un che di materno che permette a Luna di non rattristarsi.

“Mio padre deve aver visto qualcosa, altrimenti non avrebbe stampato l’articolo. Lui è un editore serio. Crede nel suo lavoro.”

“È certamente così.”

“Ma alla fine ho capito che aveva ragione.” Lo dice con calma, ma con una sicurezza che per quanto semplice sembra irremovibile. La Dama ne resta affascinata.

Luna prende tra le mani una copia de Il Cavillo. Un titolo a caratteri vivaci campeggia sulla copertina: È colpa del Cappello Parlante: dalle ricerche Babbane rivelata la causa della guerra che dilania il mondo magico. Il Cavillo è sempre stato il giornale meno affidabile, buono solo per essere oggetto di barzellette o per essere usato per carta straccia, come molte voci meno gentili sostengono, ma Luna lo tiene come se fosse un oggetto prezioso.

La ragazza si accorge dello sguardo del fantasma fisso sul titolo. Sì, è stato un evento inaspettato. Ma quando una copia della rivista fu tirata fuori da un suo compagno, quando qualcuno prese in giro l'articolo, quando altri fecero coro sulle stranezze dei Babbani, quando qualcun altro notò come il padre di Luna pubblicasse solo sciocche storielle impossibili, quando infine arrivarono da lei e le gettarono addosso tutto questo – costernazione, stupore, rabbia – lei disse solo “Ha ragione”. Non è una menzogna. È tutto vero.

Luna ricorda la prima volta che aveva letto il nuovo numero de Il Cavillo:

Da secoli la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts è formata da quattro Case. Ogni anno avviene lo Smistamento degli alunni secondo criteri che furono stabiliti dai quattro Fondatori in persona. Ognuna della Case ha una grandissima tradizione di storia e di valori ed è convissuta accanto alle altre in armonia fino ai giorni nostri.

Ma è davvero così?

Secondo l’esperto babbanologo Henry Taffel, 12 Oxford Street, Stanford, la divisione della scuola in Case è la causa di numerosi contrasti e antagonismi. Basandosi su alcune teorie sviluppate da una scienza Babbana che studia l’interazione tra gruppi, sostiene che la rivalità tra gli studenti di Hogwarts ha favorito l’ascesa di Voi-Sapete-Chi e dei suoi seguaci, noti come Mangiamorte.

Già dallo Smistamento si creano le prime tensioni tra gli studenti,” afferma Henry Taffel. “che sono alimentate dall’annuale torneo di Quidditch. Questi contrasti creano una situazione instabile che influenza la società magica e di cui approfittano i Maghi oscuri.”

Il nostro esperto consiglia ai professori della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts di eliminare l’uso del Cappello Parlante e di unificare le Case in una sola. “Solo così,” prosegue. “sarà possibile aumentare la collaborazione tra gli studenti e combattere la guerra che dilania il nostro mondo.”

Aveva dovuto aver fiducia in suo padre, e affidandosi a lui riflettere e riflettere per sostenere a parole ciò che lui aveva deciso di pubblicare.

Era stato molto semplice, il difficile era arrivato dopo.

“Sono rimasta molto colpita dall’articolo, quando ho avuto modo di leggerlo,” dice la Dama con la sua compita cortesia. Ma è seria, non sta mentendo, e Luna lo capisce. “Le Case di Hogwarts… Pensare che tutto sia colpa di loro sembra sciocco, vero? Pensare che ogni lotta origini dallo Smistamento, quando il Cappello sentenzia quale sarà la nostra nuova famiglia. Che proprio da quella scelta il nostro futuro intero cambi, più profondamente di quanto sospettiamo. Ma molti di noi si sono chiesti, negli anni, quale fu l’origine della discordia tra i maghi, e alla luce dei recenti avvenimenti i nostri dubbi si sono fatti ancora più pressanti. Ma risposte non ne abbiamo. Che una soluzione provenga dalle persone che meno ci aspettiamo, non è affatto semplice da accettare.”

Luna annuisce, con espressione seria. È un discorso molto al di sopra delle sue possibilità, qualcosa che attraversa i secoli e che coinvolge tutti i maghi, e adesso grava sopra di lei, sopra le sue fragili spalle di ragazzina. È solo una studentessa di Hogwarts, che porta bigiotteria bizzarra e un mantello troppo grande per la sua figura minuta. E dall’altra parte ci sono i quattro Fondatori, i maghi più celebrati tra i maghi. La Dama Grigia scuote la testa: il difficile viene sempre dopo.

“Mi ricordo un aneddoto,” prosegue. “Si racconta che Tosca Tassorosso, quando Serpeverde e Grifondoro litigarono così violentemente che il primo lasciò Hogwarts, si chiese come sarebbe sopravvissuta la loro scuola, se già all’inizio c’erano contrasti tra i suoi maestri. Gli allievi dei due maghi rivali non erano da meno, e violente dispute si accendevano tra queste mura. La strega nutriva dei tristi presagi, eppure contrariamente alla sua previsione ecco qui Hogwarts, ancora in vita.”
Luna, che ha ascoltato il discorso del fantasma con silenziosa gravità, sorride in un modo che le illumina l’intero viso.

“Sì, ho capito. Dev’essere stata colpa dei Gorgosprizzo.”

“Come?”

“I Gorgosprizzo: confondono i pensieri. Devono essere stati là quando i due fondatori hanno litigato. Sono insidiosi. Stanno all’erta intorno alle persone per poi entrare nella loro testa. Molti sono infastiditi, quando succede, altri sono impauriti, altri ancora cercano di scacciarli ma non sanno che sono lì, e falliscono,” mentre parla gli occhi di Luna sono più grandi che mai, ma incredibilmente limpidi; sembrano attraversare lo spazio di secoli che li separa da un giorno lontano e vedere con chiarezza il mago Serpeverde che si allontana sdegnato dal castello, le voci concitate degli allievi in disputa tra loro e la tranquilla Tosca, la strega buona che guarda ogni cosa e scuote la testa, preoccupata. Sembra vedere ogni cosa fino a quel giorno, a quel momento, quando voci adirate e sconcertate si levano ancora da Hogwarts.
Luna fa ancora un altro sorriso, più piccolo di prima. “Io non so come scacciare i Gorgosprizzo. Posso solo dire ad alta voce che ci sono.”

 

Note finali.


Questa storia è veramente vecchia, saranno passati la bellezza di cinque anni (CINQUE!) da quando l'ho scritta. Non ricordo più se l'avevo pubblicata qui su EFP e poi cancellata in un raptus di distruzione incontrollato. Trovo che sia il momento giusto per proporla perché ne sono orgogliosa. E' una fanfiction diversa dalle altre, è veramente dura e forse un po' noiosa ma spero che il messaggio non passi inosservato. E' una fanfiction che esprime tutto il mio amore per Luna, la apparentemente pazza ma spesso saggia ragazza che aiuta Harry Potter negli ultimi libri. E' il personaggio più bello che JKR ha creato, dopo Severus Snape, e spero di poter scrivere di lei in futuro. Di nuovo.
Queste sono le note che avevo scritto per la prima versione:

“Prima di iniziare la storia ho alcune precisazioni da fare. E’ probabile che tornino utili per voi lettori per inquadrare meglio questa fanfiction per cui vi consiglio di leggerle. Per prima cosa il titolo proviene da un verso di Emily Dickinson, poetessa americana che fu considerata da molti un’eccentrica. Nell’originale inglese della poesia il verso (ma in realtà sono due)  non ha l’incisività della traduzione italiana che io ho invece scelto, ma il senso rimane. Sebbene ad una prima occhiata è probabile che il titolo sembri fuori luogo, il suo significato è strettamente legato al messaggio della storia e al ruolo di Luna e anzi se tenete a mente chi era Emily Dickinson, probabilmente quest’ultimi vi diventeranno più chiari. Le teorie “Babbane” che vengono citate nella storia esistono veramente e fanno parte della branca della psicologia che studia i gruppi sociali. Non sono stata più precisa perché sicuramente i maghi non conoscono con molta accuratezza questi aspetti del mondo Babbano.Vorrei anche ringraziare la mia carissima Isil che si è sorbita tutte le mie speculazioni e mi ha dato il suo parere, e Andrew che mi ha aiutato a correggere la storia. Sono stati entrambi incredibilmente pazienti con me, e mi hanno aiutato molto a riflettere sul mio lavoro.”

  
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