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Autore: aliciablade    27/09/2006    12 recensioni
Un pomeriggio,Usagi è vista scarabocchiare concentrata su un quaderno ed un innamorato Mamoru sta morendo dalla curiosità di sapere cosa c'è dentro. Ma forse era meglio non saperlo... ATTENZIONE: questa ff è tradotta da lithtys col permesso dell'autrice.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice: questa ff è tradotta da lithtys col permesso dell'autrice.

MORE THAN ICE CREAM

by Alicia Blade

La stavo guardando da più di un'ora e giuro che la matita non si era fermata un momento. Naturalmente, sembrava quasi che stesse usando più la gomma rosa che la mina, ma d'altra parte, era determinata. E concentrata in quel che faceva. Non mi aveva neanche visto, ed ero seduto proprio nella sua linea di tiro. Stava scarabocchiando, i suoi adorabili occhi blu un momento fiammeggiavano ferocemente guardando la carta, il momento dopo fissavano pensierosamente il vuoto. Le sue labbra passavano dal sorridere in modo sognante, all'incresparsi per la concentrazione, al chiudersi gentilmente attorno alla matita mentre pensava ancora un po'. Ogni tanto si sarebbe fermata con un sospiro e avrebbe scosso il polso mentre rileggeva l'ultima coppia di pagine, prima di rituffarsi nella scrittura.

"Cosa diavolo sta facendo?", borbottai, sentendo la presenza del mio migliore amico all'improvviso di fianco a me.

"Non ne ho idea. Ma sicuramente sembra determinata a farlo, qualsiasi cosa sia".

Annuii. Non era mai stata così intenta a fare nulla, neanche a magiare il gelato - che è uno dei suoi passatempi preferiti".

"Forse un compito?".

"Ci sono le interruzioni per le vacanze estive".

"Oh, già", ridacchiai. "Inoltre, se mettesse tutto quell'impegno nei compiti, forse passerebbe qualche verifica di tanto in tanto".

Potevo sentire l'occhiata sarcastica di Motoki senza neanche distogliere lo sguardo dalla ragazza.

"Sei impossibile", mi rimproverò.

"Scusa. La forza dell'abitudine. Lo sai che non lo intendo davvero".

Sospirò. "Si, lo so. Ma lei no".

Abbassai lo sguardo.

"Allora dato che sei così curioso di sapere qual'è il suo progetto, perché non vai a chiederglielo?".

"Stai scherzando? E rovinare quella concentrazione? Probabilmente la spaventerei a morte".

"Non ti ha mai fermato prima. Inoltre, non ho mai pensato che tu fossi tipo da lasciar perdere un incontro con Usagi-chan".

Alla fine distolsi lo sguardo da lei e fissai Motoki, fingendo che il rosso che andava velocemente diffondendosi sul mio volto fosse rabbia. Non ingannai nessuno, neanche me stesso. "Forse fra un po'", dissi finalmente, tornando a guardarla. Dopo tutto, per quanto amassi parlare con lei, amavo anche guardarla. Specialmente ora, quando era così concentrata su qualcosa. Non l'avevo mai vista stare immobile per tutto quel tempo. La sensazione era simile ad inciampare in un tesoro nascosto.Volevo raccoglierlo fra le braccia, ma allo stesso tempo, volevo solo sedere e guardarlo con aria sciocca e lasciarlo completamente da solo.

"Fai come vuoi. Non farti solo beccare a fissarla. E'bava quella che vedo sul tuo mento?".

Questa volta, l'occhiata fu un po'meno forzata e accompagnata da una pacca che probabilmente avrebbe potuto essere più gentile. Rise, e andò a servire un cliente dall'altro lato del bancone.

Sospirando, mi girai e la guardai ancora un po'. I suoi stupendi occhioni stavano fissando fuori dalla finestra, persi in qualche pensiero, il più tenero dei sorrisi faceva mostra di sé in ogni suo lineamento, la sua pelle ed i suoi capelli biondi catturavano il sole che andava tramontando. Lentamente, fece cadere la penna dalle dita e abbassò lo sguardo sul suo quaderno. Lo fissò per lungo tempo, saltellando fra le pagine, leggendo ciò che aveva scritto, ma non riprese mai la matita. Infine sospirò e, chinandosi sul block notes, baciò l'ultima pagina.

Guardai incantato, il cuore che batteva forte, per non dire selvaggiamente, dietro ai polmoni. Come invidiavo quel quaderno.

Alla fine, quando sembrò che tutte le sue idee, la sua ispirazione e determinazione, fossero completamente svanite, scivolai dallo sgabello e mi incamminai verso di lei.

Mentre mi avvicinavo, sapevo che tuttavia quel tesoro nascosto non si sarebbe mai raccolto di sua volontà fra le mie braccia.

"Heilà, Odango Atama", dissi, sedendomi di fronte a lei.

Ansimò, guardando in su verso di me, la faccia che andava notevolmente impallidendosi, prima che afferrasse il quaderno, chiudesse la copertina e lo stringesse contro il petto. "Che cosa vuoi?", battibeccò, prima che una sfumatura di rosso le tingesse le guance.

Sogghignai. Qualsiasi cosa ci fosse in quel block notes, doveva essere interessante. "Sapere che cosa hai scritto in quest'ultima ora. Non ti ho mai vista così concentrata su un quaderno prima d'ora".

"Niente che ti possa interessare", replicò con rabbia, il rossore che andava accentuandosi sulle sue guance.

Sollevai un sopracciglio, gustandomi completamente ogni momento della sua furiosa espressione. Nonostante non fosse la mia maniera ideale di trascorrere il pomeriggio con lei ( qualcosa come una romantica passeggiata nel parco rispondeva più a questa descrizione), prendevo ciò che potevo. E in questo momento, era questo ciò che potevo avere. E meritava ogni momento.

"Di cosa ti imbarazzi? Stai scrivendo qualche bollente, romantica storia o simili?".

Arrossì, gli occhi si spalancarono enormemente, e quasi soffocai. Dio, non poteva essere. Solo il pensiero mi faceva quasi contorcere dalle risate. Ma in qualche modo, resistetti.

"Naturalmente no, Mamoru-hentai!", strillò, saltando dallo sgabello. "Perché per una volta non vai a infastidire qualcun'altro?". Sempre stringendo il quaderno al petto, si precipitò fuori dalla sala giochi.

Quando se ne fu andata, sospirai e mi appoggiai allo schienale. Non ci volle molto perché Motoki tornasse e si appoggiasse al tavolo, scuotendo la testa.

"Sai, un giorno o l'altro dovrai dirglielo".

Sogghignai furbamente. "Già. In questo modo, non mi parlerà MAI più. Grande idea". Sospirai. "Inoltre, anche se è solo per tormentarla...almeno ho quello".

Roteò gli occhi. "Impossibile", borbottò, dandomi dei colpetti sulla spalla mentre se ne andava.

...

Il sole iniziava a tramontare mentre mi ritrovai a camminare verso casa. Tagliai per il parco, come facevo ogni qual volta ne avessi la possibilità. Era di gran lunga uno dei più bei posti di Tokyo, con i suoi alberi, campi d'erba e i laghi e gli stagni così tranquilli. Era il posto perfetto per sognare, e naturalmente, io mi ritrovavo sempre a immaginare una ragazza. Una stupefacente ragazza.

Una sorprendente ragazza seduta su una panchina non distante neanche 50 piedi da me.

I miei piedi si fermarono mentre la guardavo. Mi dava la schiena, ma avrei riconosciuto la sua acconciatura ovunque. Mentre mi avvicinavo, vidi che aveva i piedi sulla panchina, le braccia che abbracciavano le ginocchia mentre fissava il lago. Questo scintillava di arancio, rosso e rosa, le luci si riflettevano nei suoi occhi. Notai anche che aveva ancora il quaderno, e che lo teneva sempre stretto al petto.

Esitai un momento, odiando il fatto di dover interrompere il tranquillo incantesimo che sembrava essere sopra di lei, ma non potei resistere alla tentazione. Motoki aveva ragione; non ero tipo da lasciar perdere un incontro con Usako.

"Ci incontriamo di nuovo, Odango".

Mi guardò, sussultando di nuovo, ma non totalmente turbata come prima. Battè le palpebre, quasi come se non avesse udito le mie parole, ma dopo i suoi occhi si oscurarono lentamente e mi guardarono indispettiti. "Oh, sei di nuovo tu", borbottò, e si girò a guardare il tramonto.

Mi schiarii la voce. "Posso sedermi con te?".

I suoi occhi si spalancarono mentre i suoi pensieri elaborarono la mia richiesta. Infine, con un alzata di spalle quasi impercettibile, sussurrò, "Certo".

Sedendomi sulla panchina, feci in modo si lasciare una distanza appropriata fra di noi, sebbene non volessi altro che sedermi vicino a lei, ed avvolgere il braccio attorno alle sue spalle. Non osai e lo spazio vuoto della panchina sembrava freddo e triste per questo.

"Allora, mi stai facendo impazzire", dissi alla fine, quasi sussurrando, odiando dover rompere il silenzio.

Si girò verso di me, le labbra rosa e piene, spalancate per la sorpresa. "Che cosa intendi?".

Sogghignai e le indicai il quaderno. "Non riesco a capire che cosa ci sia di così importante lì dentro da portarlo con te tutto il giorno. Sto morendo dalla curiosità".

Lo stupore nei suoi occhi si affievolì e guardò giù all'erba, tirando le ginocchia ancora più vicino. "Non capiresti".

Sbattei le palpebre. "Oh? Sei sicura?".

Annuì.

"Suvvia, che cos'è? Un'agenda? Una poesia? Un diario?".

Pensai di aver visto il principio di un sorriso farsi strada sul suo volto, ma si voltò dall'altra parte. "No. Nessuno di questi".

"Allora che cos'è?", quando si zittì, osai avvicinarmi a lei. Non si tirò indietro. "Se indovino, me lo dirai?".

Roteò gli occhi, tirando un sospiro esagerato. "Va bene". Ma questa volta potei vedere il sorriso più chiaramente e mi chiesi se si stesse divertendo per questa sciocca conversazione. Non osai sperare.

"Allora...non è un'agenda , né una poesia e neanche un diario?".

"No, no e no".

"Allora è...una lista delle cose da fare?".

Il suo volto apparì stizzito e risi.

"Non penso sia questo. Forse una storia?".

"No".

"Può essere un disegno?".

"Uh-uh".

"Stai iniziando presto un progetto di ricerca?".

Rise."Si, giusto!".

Pensai per un bel po', aggrottando le sopracciglia, prima di tirare un lungo sospiro. "Mi arrendo. Non me lo dirai?".

Fu silenziosa per un lungo momento, i suoi occhi mi guardavano. La fissai a mia volta, cercando di sembrare amichevole e gentile. Non era difficile, visto che tutto ciò a cui riuscivo a pensare, oltre al misterioso diario, era piegarmi in avanti e baciarla. Sperai che non riuscisse a leggere i miei pensieri con quegli occhi penetranti. Ma naturalmente, se avesse potuto, allora avrebbe scoperto il mio segreto molto tempo fa.

"Devi promettermi di non ridere".

"Potrei ridere?".

Il suo sguardo diceva che beh, si, naturalmente avrei riso. Sospirai, e mi feci più vicino. Ci stavamo quasi toccando. Potevo sentire il suo profumo. Mi sforzai di stare concentrato.

"Prometto di non ridere".

Facendo un profondo respiro, distolse lo sguardo e fissò il cielo ormai rosa. "E'...una lettera".

Aspettai, per vedere se diceva ancora qualcosa, ma non seguì nulla.

"Una lettera", ripetei. "Per chi?".

"Non posso dirtelo!".

"Oh", dissi sogghignando. Ci fu un lungo, calmo momento di silenzio.

"E'una lettera d'amore", alla fine sussurrò, così piano che la udii a malapena. Guardai in giù, verso il suo piccolo e timido viso rivolto verso il cielo. Per un momento, pensai di averla vista tremare, ma dopo pensai che forse era solo stato un brivido.

"Oh", dissi di nuovo, sentendomi depresso e stupido per la mancanza di parole. Per un breve momento, un guizzo di speranza entrò nella mia mente e mi chiesi se poteva mai...possibile che...Ma non appena mi venne questo pensiero, lo misi da parte. Che sciocco. Sapevo già per chi era. Guardai il terreno, inghiottendo per liberare la gola dalla sua improvvisa secchezza. "Per Motoki, suppongo", dissi, sentendo crescere il blocco nel mio stomaco, proprio come accadeva ogni volta che pensavo alla sua cotta per il mio migliore amico. Naturalmente, non potevo biasimarla. E non potevo esserne invidioso. Dopo tutto, era molto più carino con lei di quanto non lo fossi io. E lei non aveva idea di quanto io...non ne aveva nessuna idea.

"No", rispose, le nocche che diventavano bianche mentre stringeva il quaderno. "Non è per Motoki".

"Non lo è?", boccheggiai, fissandola. Scosse la testa, non ricambiando il mio sguardo. "Oh". Cercai disperatamente chi altri avrebbe potuto essere, ma mi accigliai, sapendo che aveva così tanti amici di scuola che non avevo mai incontrato. Le possibilità che lo conoscessi erano molto scarse. Non che tuttavia importasse.

"Vedi? Lo sapevo che non avresti capito", borbottò improvvisamente, nascondendo il viso nelle ginocchia.

La fissai, i capelli d'oro che cascavano sulle spalle e giù per la schiena, il collo pallido, quasi bianco contro il mondo che andava oscurandosi. "Che cosa intendi?", sussurrai, osando allungare una mano verso la sua schiena. Accarezzai dolcemente il materiale della sua maglietta, proprio lungo la parte superiore della spina dorsale, dopo lasciai che il mio palmo si fermasse lì, col cuore che palpitava a quelle carezze. Fece un sospiro improvviso, ma non si mosse. Lascia la mia mano dove si trovava. "Che cosa intendi col dire che non capisco?Io...potrei".

"Oh, certo", la udii borbottare sarcasticamente. Mi avvicinai per essere sicuro di sentire ogni parola e percepii il gentile profumo del suo shampoo. "Sono sicura che sai tutto dell'amore non corrisposto!".

"Non corrisposto?", dissi, chiedendomi se avessi capito male.

Annuì. "Non gli piaccio per nulla". La sua voce turbata inaridì il mio cuore. Non l'avevo mai sentita così persa e senza speranza.

La guardai scioccamente, mentre le sue piccole spalle iniziavano a tremare e seppi che stava ricacciando indietro le lacrime. "Sei sicura?", chiesi con la voce roca, chiedendomi come una cosa così fosse possibile. Come poteva non piacere ad ogni ragazzo? Come poteva costui non volerla stringere ed amare e vedere il suo meraviglioso sorriso? Era incomprensibile.

"Si, lo sono...", fece una pausa, sollevando un poco la testa e inclinandola nella mia direzione, leccandosi le labbra. "Beh, almeno...sono...sono abbastanza sicura".

Sentii un sorriso increspare le mie labbra alla sua modestia. Naturalmente non ne era sicura. Una cosa così era impossibile. Sospirando, mi feci coraggio e avvolsi il braccio attorno alle sue spalle. Si irrigidì per un breve momento, poi scivolò nel mio abbraccio, la sua schiena accoccolata contro il mio fianco.

"Allora è un completo idiota", dissi.

Si voltò a guardarmi, con gli occhi spalancati e lentamente, un sorriso divertito le curvò le labbra. "Questo è quello che gli ho sempre detto".

Mi accigliai, non capendo il luccichio nei suoi occhi, ma lei si girò velocemente, il piccolo sorriso che scompariva prima che avessi un'opportunità di analizzarlo.

"Hai...", iniziai a chiedere, la voce intrappolata in gola. Schiarendola, provai di nuovo, odiando le parole che uscirono già mentre le dicevo. "Hai intenzione di dargliela?".

"Non posso".

"Perché? Non penso sia davvero possibile che tu...tu non gli piaccia, Usagi-chan".

Era tranquilla mentre mi guardava con la coda dell'occhio. "Mi hai chiamata Usagi".

Realizzando che aveva ragione, trattenni un sorriso canzonatorio. "Scusa. Non accadrà più".

L'intensità del sentirla così vicino, così calda contro di me, iniziava a sopraffare i miei sensi, e lentamente cominciai a sfregare la mano sulla parte superiore del suo braccio, fingendo di cercare di tenerla calda. In realtà, stavo provando a tenerla al mio fianco per sempre.

"Te l'ho già detto. Non posso dargliela. Inoltre, so che non ricambierà mai i miei sentimenti. Vedi, sapevo che non avresti capito. Naturalmente nessuna ragazza ti ha mai respinto". Potevo sentire una sfumatura di amarezza nella sua voce e sbiancai, a bocca aperta. Ci vollero tutti i miei sforzi per non scoppiare in una risata ironica.

"Odango, penso di capire meglio di quanto tu creda".

"Davvero?".

Annuii, trattenendo il fiato e distogliendo i miei occhi da lei. Il cuore mi batteva così forte che ero sorpreso non mi chiedesse da dove arrivava tutto questo chiasso.

Guardò in su verso di me, stupore e curiosità scritte sul suo volto. Almeno non sembrava più che stesse per piangere da un momento all'altro.

"Una volta...sono stato innamorato", mentii a metà, "di una splendida ragazza". Misi un'enfasi speciale su splendida, fissandola nei suoi meravigliosi occhi, guardando le sue ciglia scure ondeggiare ignaramente. "Mi odiava", conclusi, vedendo la sua faccia cambiare mentre ascoltava la mia storia breve, triste e molto vera.

Increspando le labbra, si girò lentamente. L'ultimo frammento di tramonto rossastro si aggrappò all'orizzonte e lei, inconsciamente o no, non lo potevo dire, si accoccolò ancora di più nel mio abbraccio. Pensai di averla udita sussurrare, "Stupida ragazza", ma non potevo esserne sicuro.

La figurai nella sala giochi poco tempo fa, che scriveva la lettera, così intensamente, in modo così completo, riversandoci tutto il suo cuore, ed il pensiero quasi mi spezzò il cuore. Se non fossi stato così felice di abbracciarla, probabilmente sarei scoppiato in lacrime. Poi pensai a lei, da sola, di notte, che sognava quest'altro ragazzo, che si struggeva per lui, che lo amava e nonostante il mio cuore fosse straziato dalla gelosia, si scioglieva in solidarietà. Conoscevo quel dolore. Lo conoscevo troppo bene.

Non volevo per nulla che lo conoscesse anche lei.

"Usagi-chan", dissi gentilmente, rompendo il mio voto e usando il suo vero nome. "Penso che dovresti considerare l'idea di dirglielo".

"Perché?", sussurrò.

"Perchè...se è vero amore, allora...te lo meriti. Te lo meriti più di qualsiasi altro in questo mondo. E se lui non ti ricambia, allora...", sospirai, stringendola più forte. "Allora se vuoi, lo prendo a botte".

Rise, ed il suono mi allettò l'anima. Che cosa avrei dato per essere il nome scritto così amorevolmente in quel quaderno.

"Grazie, Mamoru-san. Credo...che ci penserò".

"Okay". Sospirai, guardando in su mentre le prime stelle brillavano nel cielo. "Ora probabilmente dovresti andare a casa. Qualcuno si starà iniziando a preoccupare". Per quanto volessi rimanere lì per il resto della notte, sapevo di non poter essere così egoista, specialmente quando avrebbe potuto mettersi nei guai. Inoltre, stava probabilmente immaginando che io fossi il ragazzo che amava ed questo pensiero mi spezzò il cuore. Se poteva essere dilaniato ancora di più.

Annuì tranquillamente e si alzò. Le sue braccia erano ancora avvolte attorno al block-notes e di nuovo sentii crescere la gelosia. Quel quaderno riceveva un po'troppa della sua attenzione in questi giorni.

"Grazie", sussurrò, gli occhi che scintillavano. Il mio cuore si contorse per l'amore e la compassione e, crudele ironia, dicendomi che se avessi fatto questo mesi fa, ora le cose avrebbero potuto essere diverse.

"Prego. Vuoi che ti accompagni a casa?".

Scosse la testa. "No, grazie comunque. Starò bene".

Annuii, non amando l'idea di lei che camminava verso casa da sola di notte, ma sapendo che c'erano ancora molte persone in giro. Sapevo anche che se mi fossi trovato da solo con lei sulla porta di casa, avrei potuto non essere in grado di resistere alla tentazione di darle un bacio.

"Buona notte, allora".

Sorrise. "Buona notte, Mamo...Mamoru-san".

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Note di lithtys: le ff di Alicia Blade sono tutte molto belle, ma questa l'ho trovata particolarmente carina. Cosa ne pensate?

A presto con la seconda parte!

  
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