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Autore: jillaroo    23/02/2012    1 recensioni
Come può Kelly, un giovane medico che combatte ogni giorno la morte, innamorarsi di un uomo che sfida la vita per lavoro?
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le 22 e 30. Kelly diede un’occhiata svogliata all’orologio appeso alla parete della sala medici. Ancora  due ore ed il suo turno sarebbe terminato. 
Si versò una tazza di caffè e sedette sul divanetto. Le sembrava che quella giornata non dovesse concludersi mai. Sentiva di essere davvero molto stanca, eppure, un turno tanto estenuante riusciva ancora ad esaltarla. Sorrise fra se’, accarezzandosi i pantaloni di cotone verde: quanto aveva sofferto per arrivare ad indossare quella tuta chirurgica. Aveva  conseguito la specializzazione in chirurgia toracica ormai da tre anni e da allora svolgeva la sua professione in quello che era ritenuto uno dei più prestigiosi istituti ospedalieri dell’intera costa Californiana. I turni erano estenuanti, le rinunce a volte difficili, eppure non le capitava mai di rimpiangere scelte diverse. La professione medica più che un lavoro, era per lei una vera e propria vocazione, che la appagava e la realizzava pienamente. Era orgogliosa dei risultati che era riuscita a conseguire, in un campo, come quello, dominato per la quasi totalità da uomini. Aveva dovuto affrontare ostacoli di ogni tipo, non ultima la sua avvenenza fisica, che l’aveva spesso portata a trovarsi in situazioni imbarazzanti. Ma grazie alla sua professionalità e alle sue indiscusse capacità, in poco tempo era riuscita a mettere le cose in chiaro con tutti, riuscendo a guadagnare la stima di tutti.  
“Dottoressa Taylor d’urgenza in accettazione. Dottoressa Taylor!” la voce all’altoparlante la riscosse improvvisamente dai suoi pensieri. Balzò in piedi, uscendo velocemente dalla sala. Conosceva quel genere di chiamate, sapeva di doversi aspettare qualcosa di grave. Percorse a grandi passi il corridoio immerso nel silenzio della sera. 
“Che succede?” chiese appoggiandosi al bancone dell’accettazione.
“Sono in contatto con l’ambulanza 5, un codice rosso. Chiedono di allestire una sala operatoria, ferite multiple da arma da fuoco.” spiegò la donna con chiarezza.
“Chi c’è nella squadra di soccorso?” domandò Kelly, mentre con un gesto della mano radunava attorno a se’ alcune infermiere. 
“Il dottor Stewart .” Rispose secca la caposala accennando un sorriso. Tutti sapevano che Kelly e Michael avevano sempre formato una coppia di medici affiatati e preparatissimi. Chiunque fosse stato quel ragazzo, non sarebbe potuto capitare in mani migliori. Se ci fosse stata per lui anche una sola speranza di salvezza, loro l’avrebbero saputa sfruttare.
“Chiama l’anestesista, libera emergenza 1 e blocca camera operatoria!”  dispose Kelly prontamente rivolgendosi ad un’infermiera, che annuì correndo via. “Per favore Molly, controlli quanto O negativo abbiamo e chiami la banca del sangue!” disse poi alla caposala. Infermieri e personale paramedico sembravano sincronizzarsi alla perfezione sotto i suoi comandi gentili, ma decisi.
Erano tutti in piedi davanti alla grande porta d’ingresso, pronti ad affrontare l’inferno che di lì a qual che minuto si sarebbe scatenato. Kelly sapeva che non si sarebbe mai abituata alla calma irreale che precedeva l’arrivo di un’ambulanza. Poteva percepire indistintamente i battiti del suo cuore, presto avrebbe dovuto iniziare a combattere una nuova battaglia e fallire significava perdere una vita.
Le sirene dell’ambulanza squarciarono il silenzio, le porte vennero spalancate di colpo e la barella venne spinta dentro. Kelly gli fu subito accanto.
“Ragguagliami Michael!”
“Uomo bianco, trentaquattro anni, ferite multiple da arma da fuoco alla spalla, al torace e alle gambe. Sospetto emopneumotorace bilaterale. Perdita ematica stimata attorno ai 2500cc, non siamo riusciti a bloccare l’emorragia. Due flaconi di plasma in vena e 1L di fisiologica sul posto. Lucido e presente non ha mai perso conoscenza. Pressione 70 su 50 in calo, polso 120” Kelly lo stava già esaminando, camminando accanto alla barella, lungo la corsia. L’uomo aveva il volto imperlato di sudore a causa della grossa perdita di sangue, i lineamenti erano contratti e tesi per il dolore, la camicia dell’elegante abito scuro strappata sul torace nella foga dei primi soccorsi.
“Qual è il suo nome?” chiese lei controllando i parametri rilevati sui monitors portatili adagiati sulla barella, senza smettere di camminare vicino al lettino.
“Scott. Si chiama Scott Wilson.” rispose Michael prontamente.
“Signor Wilson sono la dottoressa Taylor, riesce a sentirmi?” chiese fissando il suo viso attraente, segnato da lacerazioni e ferite. Scott tentò di aprire gli occhi, annuendo con il capo. Era debolissimo, i traumi al torace erano decisamente gravi e la fuoriuscita di sangue preoccupante.
“Eddie …dov’è Eddie…” sussurrò Scott impercettibilmente, cercando di muoversi, era stremato dal dolore. Da quanto Kelly aveva sentito raccontare mentre attendeva l’arrivo dell’ambulanza, sembrava fosse avvenuta una sparatoria all’entrata del Palazzo dei Congressi a Beverly Hills. Kelly sollevò gli occhi a cercare quelli di Michael, che scosse tristemente la testa: Eddie purtroppo non ce l’aveva fatta.
“Scott non si preoccupi, stanno pensando a lui!” mentì lei, cercando di tranquillizzarlo. Se voleva avere anche una sola speranza di salvezza, doveva pensare solo a se stesso.
“…come sta …è vivo …?” chiese ancora, sollevando la testa.
“No Scott, non deve muoversi!”
“Per favore …fatemi vedere…Eddie..” continuò lui respirando a fatica, ormai era sfinito. Contrasse la mascella tentando di dominare le fitte lancinanti provocate dalle pallottole nella carne. Kelly gli prese la mano, in un gesto istintivo.
“Scott mi ascolti. Adesso deve pensare solo a se stesso. Non mi deluda!” si raccomandò senza lasciargli la mano. Lui ricambiò appena la stretta, contraendosi per il dolore, le sue condizioni si facevano ogni minuto più critiche. 
“Scott! Scott!” lo chiamò Kelly, asciugandogli la fronte sudata: quel ragazzo era al limite di ogni umana sopportazione.
Improvvisamente il monitor portatile iniziò ad emettere un suono continuo.
“Presto, in sala visita 1, non c’è polso!” gridò Kelly voltando la barella, se non fossero subito intervenuti, Scott non avrebbe raggiunto la sala operatoria.
“Tachicardia sinusale 160” l’avvertì una delle infermiere che la assisteva.
“Bolo di Lidocaina 100 milligrammi via flebo. Dopamina 400 su 500, inizia con 10” predispose con risolutezza. Era una reazione che doveva aspettarsi, ma la crisi si stava protraendo pericolosamente.
“Coraggio Scott! Coraggio!” lo incalzò lei, controllando i monitors.
“Tre sacche di zero negativo ad infusione rapida!” aggiunse senza staccare gli occhi da lui. Doveva riuscire ad arrestare quella crisi. “Ancora 50 di Lidocaina endovena!”
Dopo alcuni istanti che parvero a tutti interminabili l’allarme cessò. Scott mosse la testa gemendo. 
“Pressione 50 su 30, polso 140, respirazione 36” i parametri che l’infermiera aveva rilevato indicavano comunque una situazione critica.  
“E’ in shock, facciamo flebo veloce!” Kelly si portò alle orecchie il fonendoscopio per auscultare il torace. “Iperrisonante, emotorace bilaterale, Michael pronto a drenare, si sta riempiendo di sangue! E preparate il kit, lo intubiamo!” disse infine, rimettendo il fonendoscopio attorno al collo. Con gesti rapidi Kelly inserì la sonda endotracheale ed in pochi secondi Scott era collegato al respiratore. Nel frattempo Michael aveva inserito il catetere nel torace, drenando il sangue raccolto nell’addome. 
“Pressione non registrabile, polso 150 molto debole!”
“Si sta dissanguando!” imprecò Kelly “Aumenta la velocità della trasfusione! Mi serve una sonda toracica bilaterale!” 
“Oddio ma con che gli hanno sparato? Con un cannone?” esclamò un infermiere sgranando gli occhi. I fori dei proiettili erano enormi. 
“Kelly cosa abbiamo?” domandò il chirurgo toracico facendo il suo ingresso nel box emergenza. La ragazza sollevò gli occhi tirando un sospiro di sollievo, era proprio lui che avrebbe voluto trovare lì in quel momento.
“Ferite multiple da arma da fuoco al torace e alle gambe, nessun foro d’uscita. Emotorace bilaterale, una delle pallottole è nel ventricolo sinistro. I parametri stanno crollando, stiamo perdendo il polso” spiegò con chiarezza, senza distogliere mai l’attenzione da Scott. 
“Condizioni generali?” chiese ancora.
“Tachicardia 140 pulsazioni, se lo apri adesso gli salta fuori il cuore!” esclamò Kelly corrugando la fronte. Pete Taggert annuì col capo.
“Hai ragione, portiamolo subito su! Infermiera avverta camera operatoria che stiamo arrivando con un tamponamento, dica che serviranno almeno altre 16 unità e di preparare la macchina cuore-polmoni!” 
Senza perdere tempo si diressero verso gli ascensori, non sarebbe bastato un miracolo a salvarlo. Kelly stava per entrare, quando un ragazzo dall’aria seriamente preoccupata, la bloccò sulla porta. Michael trasportò dentro Scott senza fermarsi
“Mi scusi, sono un suo amico.” riuscì a dire con voce rotta, indicando la barella che scompariva velocemente dietro l’angolo.
“Tra poco lo opereremo, non sono in grado di dirle di più. Mi dispiace.” rispose Kelly, palesando suo malgrado una certa premura. Fece per andare, ma il ragazzo la trattenne ancora un momento.
“Ce la farà, non è vero?” Quante volte Kelly aveva già visto quello stesso sguardo, quella medesima espressione di paura dipinta sul volto.
“Faremo tutto il possibile, glielo garantisco.” Era l’unica cosa che Kelly potesse dire in quel momento. Gli rivolse uno sguardo quanto più rassicurante e si congedò gentilmente da lui.
 
John Miller era rimasto nella sala d’aspetto per tutta la notte. Gli occhi fissi sulle porte della sala operatoria, aveva camminato nervosamente, aveva atteso, aveva pregato e sperato, ma le ore trascorrevano lente, interminabili. Scott, il suo amico più caro era dentro quella stanza a combattere con la morte e non poter fare nulla per lui lo stava dilaniando. La possibilità che potesse non riuscire a farcela l’aveva angosciato senza concedergli un attimo di tregua.
Finalmente, verso le prime luci dell’alba, la porta si aprì. Kelly appariva esausta e sudata, era stato un intervento difficilissimo. John le si fece subito davanti. 
“Com’è andata?”. Kelly rimase per qualche istante in silenzio, proprio non riusciva a ricordare chi fosse quel ragazzo. Poi improvvisamente riconobbe quegli occhi preoccupati che l’avevano tanto turbata la sera precedente. Si schiarì la voce e si sedette, facendo segno al ragazzo di fare altrettanto.
“Quando il signor Wilson è arrivato le sue condizioni erano critiche, per questo l’intervento si è presentato lungo e difficile” cominciò slacciandosi la mascherina. “Le pallottole lo hanno colpito all’addome lesionando gravemente alcuni organi interni, tra cui il cuore. Anche i polmoni sono compromessi. La quantità di sangue persa è pari al 40 per cento, questo pregiudica ulteriormente le sue condizioni. Abbiamo rimosso anche i due proiettili nella gamba” 
“Il…il cuore?” ripetè incredulo il ragazzo. Kelly annuì.
“Uno dei proiettili ha raggiunto il ventricolo sinistro, ma il danno è stato riparato” spiegò sperando di essere stata comprensibile ed esauriente. Cercava sempre di instaurare con i parenti e gli amici dei suoi pazienti un dialogo che fosse quanto più chiaro ed onesto, anche quando fare i conti con la realtà poteva non essere semplice. Comprendeva il loro stato d’animo, la preoccupazione che li attanagliava e soprattutto il loro frustrante senso di impotenza. 
E John aveva ascoltato ogni sua parola senza respirare.
“Se la caverà?” chiese il ragazzo in un filo di voce. Kelly sollevò la testa di scatto, poche persone di solito trovavano il coraggio necessario per porle quel tipo di domanda.
“Le sue condizioni sono critiche. L’emorragia adesso è sotto controllo, ma sono occorse ingenti trasfusioni di sangue e ne serviranno delle altre. Inoltre la sua capacità respiratoria è seriamente compromessa. Vedremo come reagirà nelle prossime quarantotto ore.” ammise incrociando le braccia al petto. John si morse il labbro.
“Vuol dire che potrebbe anche…” s’interruppe, l’idea che Scott avrebbe potuto non farcela lo terrorizzava. Si trattava del suo migliore amico. Kelly gli poggiò una mano sulla spalla, un contatto che raramente si concedeva.
“Voglio essere onesta con lei. Scott è un ragazzo forte, pochi altri sarebbero sopravvissuti ad un intervento del genere, soprattutto nelle condizioni in cui era. Ma il trauma subito è davvero molto grave, e per il momento non posso proprio dirle di più” Creare allarmismi non era esattamente una pratica che riteneva opportuna, ma in situazioni così incerte la verità non poteva e non doveva essere taciuta.
John la ringraziò con sincerità, adesso sapeva che Scott avrebbe ricevuto tutte le cure di cui avrebbe avuto bisogno.
Kelly raggiunse la sala medici, voleva prendersi un momento di pausa e bere un caffè. Era rimasta in camera operatoria per più di otto ore e cominciava ad avvertire la stanchezza e la tensione accumulate. Si lasciò cadere sul divanetto sospirando. Era stata davvero una lunga notte, forse una delle più lunghe che avesse mai vissuto. Aveva rischiato di perdere Scott più di una volta, lavorare con un’emorragia di quella portata era stato estremamente difficile per tutti. Le pallottole avevano devastato il corpo perfetto di quel ragazzo e compromesso forse irrimediabilmente le sue condizioni. Avevano fatto tutto quanto era nelle loro possibilità, ora non rimaneva che aspettare.
“Complimenti dolcezza! Ottimo lavoro!” esclamò Michael entrando nella stanza. Anche lui aveva assistito all’operazione in qualità di anestesista. “Non ho mai visto un ragazzo altrettanto forte, ha una preparazione fisica impressionante!” aggiunse versandosi a sua volta una tazza di caffè.
“E’ vero, nessun’altro avrebbe resistito, lo dicevo anche ad un suo amico che mi ha chiesto notizie di lui!” convenne Kelly. Dal momento in cui l’aveva visto, la sua attenzione era stata incentrata solo ed unicamente sul suo lavoro, le gravissime condizioni di Scott non lasciavano tempo alle divagazioni. Eppure in camera operatoria, non aveva potuto fare a meno di notare la sua prestanza fisica, e aveva dovuto far forza su se stessa per incidere con il bisturi quel torace tanto perfetto da sembrare scolpito nella pietra. Raramente, anche fra gli atleti, le era capitato di vedere corpi altrettanto possenti eppure armoniosi.
“Cosa sai di lui?” domandò al suo amico, sorseggiando la bevanda fumante. Michael distese le gambe davanti a lui, lo rilassava sempre molto chiacchierare con Kelly, verso la quale suo malgrado, non nutriva solamente della semplice stima professionale. Era difficile ignorare la sua particolare bellezza, soprattutto perché si accompagnava ad intelligenza e dolcezza.
“E’ un Marine, per l’esattezza un Navy Seal.” le rispose. Kelly inarcò le sopracciglia confusa.
“Ammetto di non essere un’esperta, ma i Navy Seal sono gli incursori della Marina. Cosa ci faceva uno di loro davanti al Palazzo dei Congressi?”
“Credo fosse addetto alla protezione di un pezzo grosso della politica. Spesso sono chiamati a svolgere anche incarichi di protezione, quando le situazioni vengono giudicate particolarmente pericolose e delicate” le spiegò mal celando una certa ammirazione. Kelly sgranò gli occhi per la sorpresa, mai avrebbe immaginato una simile verità.
“E cosa non ha funzionato ieri sera?” chiese allora.
Michael sollevò le spalle. “Da quello che so hanno subito un violentissimo attentato.”
“Ed in quale ospedale hanno trasportato la persona che proteggeva?” domandò ancora Kelly, non le sembrava di aver visto un’altra barella oltre quella di Scott e del suo collega. E se Scott era ridotto in condizioni tanto gravi, come minimo quel politico doveva essere morto.
“Nessun ospedale, il Senatore ne è uscito illeso. Scott gli ha fatto scudo con il suo corpo, prendendosi i colpi destinati a lui”
“Cos’ha fatto? Sta combattendo con la morte per aver salvato la vita ad un altro?” ripeté Kelly sconcertata. Era inammissibile, una di quelle cose che non si riescono nemmeno ad immaginare. Per decidere di comportarsi in un modo simile bisognava sicuramente avere qualcosa in più rispetto alle persone comuni. 
Michael annuì, quasi avesse intuito i suoi pensieri. Kelly distolse lo sguardo pensierosa. Cosa le stava accadendo? Perché quella storia l’aveva colpita così profondamente? Adesso che sapeva, stimava quel ragazzo coraggioso, ma cosa c’era di più? A cosa doveva attribuire le emozioni che provava.
Si alzò di scatto dalla sedia, doveva togliersi dalla testa quelle idee.
“Vado a vedere come sta” disse ad un tratto uscendo dalla stanza.
Raggiunse velocemente la Rianimazione, ripetendo a se stessa che quella premura non fosse dettata da niente altro che non fosse semplice interesse professionale.
Aprì lentamente la porta: la stanza era in penombra ed il silenzio che regnava, era interrotto soltanto dal suono cadenzato del cardiografo e dall’ovattato rumore del respiratore. Scott sembrava ancora privo di conoscenza, così Kelly ne approfittò per restare un momento accanto al letto. Era ferma, immobile vicino a lui, senza riuscire a distogliere lo sguardo. I lineamenti apparivano certo più rilassati rispetto alla sera precedente. Il viso era decisamente squadrato, il naso dritto dal profilo energicamente ellenico e la mascella ben disegnata lo facevano quasi assomigliare ad un eroe greco a riposo. Il collo possente si stagliava sulle spalle larghe e sul torace modellato, lasciato scoperto dalle lenzuola. Aveva i capelli scuri ed un po’ lunghi. Era intubato e collegato ad un respiratore, il danno ai polmoni gli causava seri problemi e l’indebolimento dovuto alla ingente emorragia subita, rendeva necessario un supporto delle funzioni vitali più elementari. Aveva un braccio bloccato al petto da una stretta fasciatura, graffi sul viso dovuti a schegge di vetri infranti probabilmente durante la sparatoria, ed un’infinità di tubicini e di cateteri per il drenaggio delle ferite e la somministrazione di medicinali. 
Eppure, nonostante fosse ridotto in quelle condizioni, sembrava dominare ugualmente la stanza. Kelly verificò i dati rilevati dal cardiografo e controllò il livello della soluzione antibiotica nella flebo. Stava infine per andarsene, quando lui si mosse leggermente. Una smorfia di dolore gli contrasse il viso. Era ridotto davvero male. I potenti sedativi lo aiutavano a sopportare il dolore, ma di lì a poco anche i loro effetto sarebbe svanito. Scott si mosse ancora gemendo, cominciava ad alternare momenti di incoscienza a momenti sempre più lunghi di lucidità. Gli si avvicinò cercando di evitare di fare rumore, era importante che si svegliasse il più tardi possibile, l’incoscienza gli avrebbe risparmiato sofferenze inaudite.
In quel momento però lui sollevò le palpebre, se pure stentatamente e la guardò. Per Kelly fu come ricevere un colpo in piena faccia. I suoi occhi erano di un azzurro così intenso da togliere il fiato. Anche se in quel momento contrastavano fortemente con l’accentuato pallore del volto. 
“Bentornato” gli disse Kelly sottovoce, tamponandogli con una garza la fronte madida di sudore. Lui tentò di muoversi, ma una fitta lancinante lo costrinse a contrarsi ancora.
“No Scott, non si muova, cerchi di riposare.” Scott chiuse le palpebre lentamente, l’intubazione doveva recargli un grande fastidio, ma lei proprio non poteva aiutarlo. Una sensazione di impotenza e di dolore mai provata s’impadronì di lei, avrebbe voluto strapparlo a quella sofferenza tanto ingiusta, ma non poteva fare altro che aspettare.
Si assicurò che i cerotti che fissavano il respiratore ai lati della bocca fossero ben adesi alla pelle e, quando lui sembrò essersi riassopito, uscì silenziosamente dalla stanza.
  
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