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Autore: MrsNobody    01/03/2012    0 recensioni
"Lei aprì gli occhi. E smise di respirare.
Vide il cielo, e poi le fiamme, negli occhi di chi, a pochi millimetri dal suo viso, le stava strappando fuori il cuore, l’anima.
Vide davanti a sé i compassionevoli occhi di un angelo e il vorace sguardo di un demone.
Vide l’universo, in quegli occhi"
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni, 
e versa, abbracciando l'intero giro dell'orizzonte, 

un giorno nero più triste della notte; 

quando la terra è mutata in un'umida prigione 
dove la Speranza, come un pipistrello, 
va sbattendo contro i muri la sua timida ala 
e picchiando la testa sui soffitti marci; 

quando la pioggia, distendendo le sue immense strisce, 
imita le sbarre d'un grande carcere, 
e un popolo muto d'infami ragni 
tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli, 

improvvisamente delle campane sbattono con furia 
e lanciano verso il cielo un urlo orrendo, 
simili a spiriti vaganti e senza patria, 
che si mettono a gemere ostinatamente. 

E lunghi trasporti funebri, senza tamburi né bande, 
sfilano lentamente nella mia anima; 
vinta, la Speranza piange; e l'atroce Angoscia, dispotica, 
pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo.
-Spleen, C.Baudelaire


La musica. 
Le voci.
Tante voci.
Bè, sapete, nessuno penserebbe che l'aldilà possa essere così incasinato, ma lei, lei non era mai morta prima, quindi tutto poteva essere.
Luce.
Buio.
E di nuovo luce.
E ancora buio.
E poi il silenzio.
"Ci siamo", pensò lei.
L'ultimo pensiero, prima del baratro.
*
" Bro, bro...BRO! Cazzo sei, una vecchiaccia sorda e rimbambita? Muovi il culo!"
Qualcuno, da qualche parte...rideva? No, ridere non è la parola esatta. Semplicemente sembrava stesse cercando di sputar fuori le corde vocali, tale era il casino che faceva, a metà tra un nitrito e lo starnazzare stridulo di un pollo che cerca di sfuggire al tira-collo di turno. 
" A-a-a-aaarrivo nipotino mio!"
Il ragazzo che aveva parlato per primo scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.
Non particolarmente alto-okay, va bene, diciamo piuttosto basso - era però certamente ben fatto: braccia muscolose, addome tonico e gambe piuttosto snelle, non poteva esattamente considerarsi il tipo di persona che in mezzo alla folla sarebbe facilmente passata inosservata. Passi per l'abbigliamento strambo-una lunga canotta nera aperta ai lati su pantaloni dello stesso colore, ai piedi scarpe fluorescenti di un'indefinita tonalità tra l'arancio e il rosa cicca-, passi per i molteplici tatuaggi che decoravano quelle braccia possenti- uno, peraltro, talmente grande da sembrare una sorta di strana manica- o per i capelli spettinati e la corta barba che incorniciava maliziosa il viso, ma con un paio di occhi così è difficile non farsi ammirare; di un colore che pareva variare dal nocciola al verde ad ogni battito di ciglia, sembravano quelli di un predatore pronto ad attaccare da un momento all'altro. E potete scommetterci gente-ci metterei la mano sul fuoco- che le sue prede preferite si chiamavano donne. 
" Ma che caz-"
Un proiettile gli piombò addosso da dietro, stritolandogli letteralmente il collo con una presa di ferro e stampandogli un grosso, rasposo, umidiccio bacio sulla guancia.
"Brutto pezzo di...se ti piglio ti faccio diventare bello!"
" M-ma..ma fratellino, io sono già bello!"
" Devo ricordarti chi è il maggiore qui a furia di calci sul quel tuo bel culetto?"
" Oh, scusami...forse era meglio..nanerottolo?"
" Aspetta che ti prenda e..."
" RAGAAAZZIII!"
" Amore mio vieni qua!"
Il “nanerottolo” si fiondò sul nuovo arrivato con tenerezza quasi animalesca, buttandolo veementemente a terra, in quello che sembrava una via di mezzo tra un attacco frontale e un bacio appassionato.
" Oh oh oh ma guardali...che bella coppietta"
" Grazie, grazie"
" Però aspettate..ci sono anche iooo!"
Un urlo di battaglia ed eccolo piombare anche lui a terra...solo: quei due pazzi si erano alzati prima che li raggiungesse, facendogli beccare una sonora botta sul suo nasino perfetto, un po' all'insù.
" Adesso piango"
E si mise a singhiozzare con finta aria innocente.
Proprio allora un'accecante, bianchissima luce di scena investì il terzetto, illuminando a giorno l'intero spiazzo in cui si trovavano e dando per la prima volta vera consistenza alle loro figure: quello che doveva essere il minore dei fratelli era un ragazzo snello, atletico, alto una buona decina di centimetri più del suo "fratellino". I capelli scuri ricadevano, lisci e lucenti, sul viso regolare, incorniciandone il contorno perfetto in modo sinistramente virile e affascinante, sino a metà del collo, che bagnato dalla luce spiccava deciso tra le punte color fiamma. Vestito se possibile in modo ancora più eccentrico- giacca nera in perfetto stile militare contornata di rosso, pantaloni stretti dello stesso colore e anfibi- condivideva con il fratello un magnetismo nello sguardo comune solo a pochi eletti: aveva due grandi, bellissimi occhi di un azzurro chiarissimo e seducente, che seminascosti dalle ciocche scure, parevano da soli strappare fuori l'anima; due pozzi di fiamme glaciali, tremendamente innocenti e per questo ancor più temibili. E poi c’era lui, “amore mio”, come l’avevano chiamato: moro (tanto per cambiare, no?), di media statura, era più esile degli altri due ma altrettanto strambo nel suo completo nero come la pece (però, ne avevano di fantasia quei tre…) da perfetto rocker; a coprirgli l’occhio destro c’era un ciuffo di capelli perfettamente lisci, che non faceva che mettere ancora in risalto la singolare natura di tutta quella banda di matti. La ciliegina sulla torta? Bè le spesse righe di matita nera che incorniciava gli occhi di tutti, mi pare ovvio.
Ma la luce, che, da parte sua- con tutto il rispetto-, se ne fregava di che aspetto potessero avere tre rockettari qualunque, continuò la sua corsa andando a posarsi su quello che era stato l’inizio di tutto il bel siparietto: a prima vista non pareva altro che un mucchio di stracci scuri, ma, se osservato attentamente, rivelava le forme esili di una figura rannicchiata nella semioscurità, appoggiata alle transenne metalliche che dividevano il grande spiazzo erboso dal resto del mondo. Man mano che andava ad abbracciarla, la luce rivelava, secondo per secondo, sempre più particolari, fino a comporre, tessera dopo tessera, il puzzle di una ragazza giovanissima- sedici, forse diciassette anni-, in tutto il suo fascino spettrale e misterioso: ciuffi di capelli corvini facevano capolino, lunghissimi e ribelli, da un cappello di spessa lana appena un tono più chiaro, in deciso contrasto con il pallore diafano della pelle, tanto chiara da far intravedere il bluastro percorso della circolazione sul dorso delle mani intrecciate sulle ginocchia strette al petto, che andavano a nasconderle quasi completamente il viso. Totalmente, perfettamente immobile, una scultura di vetro, unica e bellissima nella sua fragilità.
“ E quella chi è?”, saltò su il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
“ Se solo anziché fare l’idiota mi lasciassi finire un fottutissimo discorso…”, sbuffò il fratello.
“ Quando avete finito fatemi un fischio, ok? IO intanto mi avvicino, magari ha bisogno d’aiuto: sapete, non penso che questo freddo porco possa farle un gran che bene”
Così, lentamente, con cautela, il terzo ragazzo si diresse verso la figura, che ancora non aveva dato alcun tangibile segno di vita. Ricordava molto un etologo che cerca di avvicinare qualche rara specie di animale selvatico e, in verità, se in quel momento qualcuno avesse potuto vederlo, si sarebbe fatto delle grasse, grosse risate: c’era qualcosa di incredibilmente comico in quella situazione..
Quando le fu abbastanza vicino, stette lì a guardarla per qualche istante con aria circospetta, quasi s’aspettasse di essere aggredito da un momento all’altro, ma, dal momento che non accadde proprio niente, si chinò e, in un quello che doveva essere un notevole slancio di coraggio, s’azzardò a scostarle delicatamente i capelli dalle guance bianchissime e fredde come il ghiaccio, scoprendo due occhi sbarrati, le pupille agitate da chissà quale tormento sotto le palpebre sottili.
Il quel silenzio insolito risuonarono i passi dei due fratelli, che si fermarono accanto a lui.
*
Ancora voci. 
Perché non capivano che voleva solo essere lasciata in pace?
Erano sempre più vicine, nette si stagliavamo sul nero silenzio della sua mente, un momento chiarissime e quello dopo sfocate, come immagini di un vecchio televisore mal funzionante.
Avrebbe voluto urlare, prendere a pugni chi la stava privando della tranquillità che aveva tanto agognato, metterlo a tacere una volta per tutte, ma tutto ciò che ottenne fu un mugugno soffocato, ammesso e non concesso che fosse riuscita ad emettere qualche sorta di suono.
Indifferenti a tutto e tutti, indifferenti a lei, voci.
Le stesse.
Ancora e ancora.
E adesso sembravano proprio lì, vicinissime, tanto che riusciva a decifrare addirittura qualche parola:
“ ..pensi sia davvero il caso di chiamare un’ambulanza?”
“ In effetti faremmo molto prima a portarcela noi in macchina, in ospedale”
“ Bro, quello che intendevo è…insomma è proprio necessario? Non sappiamo niente di lei e onestamente non ci voglio avere niente a che fare”
“ Pensala come cazzo vuoi, se non lo fai tu lo faremo noi, vero?”
Non sentì la risposta, non sentì più niente, l’unica cosa certa era quella dannata parola che aleggiava spettrale davanti ai suoi occhi serrati sul nulla, in caratteri cubitali color del sangue: ospedale.
No.
NO.
Non potevano farle una cosa simile.
Avrebbe sopportato tutto, ma questo no, non…
Il flusso dei suoi intricati pensieri s’interruppe di botto, mentre brividi che poco avevano a che fare con il gelo di quella notte iniziavano a farsi inspiegabilmente strada lungo la sua schiena, lenti, subdoli, come una sola, minuscola goccia d’acqua ghiacciata si fa strada lungo il collo, per poi insinuarsi sotto i vestiti, lasciando la sua fredda traccia fin sotto pelle.
E poi capì: qualcuno la stava osservando.
Qualcuno, che parola insulsa. Come poteva in tutta onestà dargli quell’ appellativo? Come poteva intrappolare un essere capace di sortire un tale effetto sui suoi sensi annebbiati in quel modo?
Un attimo, una singola, insignificante frazione di secondo.
Lei aprì gli occhi. E smise di respirare.
Vide il cielo, e poi le fiamme, negli occhi di chi, a pochi millimetri dal suo viso, le stava strappando fuori il cuore, l’anima. 
Vide davanti a sé i compassionevoli occhi di un angelo e il vorace sguardo di un demone.
Vide l’universo, in quegli occhi.
E nulla più fu.
  
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