Capitolo 1 – Avvenimenti
sorprendenti
- Basta così, Terreni. Torna al tuo posto.
Mi blocco ancora a metà della frase e –faticosamente- mi
costringo a chiudere la bocca. Mi dirigo verso il mio banco, ancora rigida come
un baccalà e attendo, con il fiato sospeso. Clio, la mia migliore amica, mi
sorride incoraggiante. Cerco di ricambiare, ma mi esce soltanto una strana
smorfia: chimica è per me la peggiore materia mai esistita, persino più
insidiosa del latino. Come se non bastasse, la mia professoressa, Elvira Rossi,
ed io ci detestiamo cordialmente. Non c’è un motivo preciso. Semplicemente, non
ci siamo mai prese, ecco tutto. Mettetela come volete, caratteri incompatibili,
segni zodiacali discordanti (in realtà non so quando è nata, ma potrei
indovinare più facilmente quanto tempo
fa. Almeno un secolo, direi, quando la chimica era ancora considerata come
alchimia): fatto sta che è da due anni che le ore di chimica e biologia sono
diventate il mio inferno personale e per strappare la sufficienza devo fare i
salti mortali.
Quindi è perfettamente comprensibile che io me ne stia
seduta sul bordo della sedia, tesa come una corda di violino e con le mani che
artigliano con forza il sottobanco.
- Bene, Terreni.. sette e mezzo.
Sbam. Sento ancora
l’eco della mia mascella sfracellata sul pavimento, mentre guardo la Rossi con
gli occhi fuori dalle orbite. Che cosa ha appena detto? Sette e mezzo? È
impazzita per caso? Mai –ripeto- mai, in questi due anni sono andata oltre il
sei e mezzo nella sua materia, nonostante i miei sforzi. Cos’è questo repentino
cambiamento? Forse è diventata buddhista e crede che il suo karma avrà una
spinta positiva facendo una buona azione?
Clio interrompe i miei vaneggiamenti mentali con un
pizzicotto sul fianco. Ancora barcollante, mi alzo (di nuovo) e le porto il mio
diario. Mi aspetto quasi che si metta a gridare: “Pesce d’aprile! Non avrai
pensato sul serio di poter prendere sette e mezzo?!”. Invece, con la sua
calligrafia spigolosa, disegna un bel sette virgola cinque con tanto di firma.
Mi ridà il diario e mi soppesa per qualche secondo con lo sguardo:
- Sa una cosa, Terreni? – se ne esce poi – lei è una continua
sorpresa.
Senti da che pulpito.
Comunque, non sono una che medita troppo sulle cose
(soprattutto se le vanno bene), perciò intasco soddisfatta il mio bel sette e
mezzo e mi lancio in una chiacchierata senza pari con Clio –anche lei esaltata
per il risultato inaspettato- beccandoci una sacra sgridata dal prof d’italiano,
ma sono talmente felice che quasi non me ne accorgo.
Verso la fine della terza ora comincio ad agitarmi. Sono
inquieta e non riesco a stare ferma, nemmeno per un secondo.
- Insomma, vedi di darti una calmata! Sembra che tu abbia un
mazzo di carciofi sotto il sedere!
Che simpatica.
- È che non vedo l’ora di dirlo ad Alex! – esclamo gongolante.
Alex è il mio ragazzo, stiamo insieme da un mese e mezzo.
Stranamente, anche se frequentiamo la stessa scuola, non c’eravamo mai parlati,
ma ci siamo conosciuti grazie ad un litigio. Lo so che sembra strano ma è così.
Ero su un autobus e stavo discutendo ferocemente con l’autista –una vera
carogna senza cuore- perché non voleva credermi quando dicevo di aver
dimenticato l’abbonamento a casa e non voleva farmi salire sull’autobus,
nonostante fuori piovesse che Dio la mandava. Eravamo nel bel mezzo della
nostra gara di a chi urla di più, quando una voce gentile alle mie spalle si è
intromessa, esclamando:
Basterà fare una telefonata alla centrale degli autobus, no?
Tutti gli abbonati annuali sono registrati lì.
L’autista ed io ci bloccammo, ansimanti e infastiditi per la
voce che aveva interrotto il nostro match. Ci voltammo per vedere chi fosse
stato a risolvere il problema tanto in fretta e così brillantemente, ma il poco
fiato rimastomi andò a farsi benedire non appena lo vidi. Dio, quel ragazzo
era.. mi veniva in mente solo un aggettivo, divino. Ed era ancora poco. Rimasi
a guardarlo a bocca aperta.
- Allora? Mi hai sentita? – mi chiese il ragazzo, con aria
interrogativa.
- Eh? – balbettai, rossa come un gambero. Dietro di me sentii
la risata soffoca dell’autista e sperai ardentemente che gli venisse un
tremendo bruciore di stomaco il giorno del cenone di Natale. Ma come potevo
aver sentito quello che mi aveva detto? Ero troppo impegnata a guardare il
movimento delle sue labbra e le gocce di pioggia che si impigliavano fra i suoi
capelli.
- Ho detto – ripetè paziente il ragazzo, senza dare in alcun
modo l’impressione di dubitare della mia sanità mentale – come ti chiami?
Per un lungo istante –in cui probabilmente sia il ragazzo,
che l’autista, che il resto dell’autobus che seguiva con interesse lo sviluppo
della vicenda pensarono che fossi da internare d’urgenza- rimasi a fissarlo in
silenzio con la bocca spalancata (sospetto che ci fosse anche un accenno di
bava); per fortuna riuscii all’ultimo momento a collegare le mie sinapsi per
capire la domanda che mi aveva fatto e rispondere:
- Federica. Mi chiamo Federica Terreni.
L’autista borbottò qualcosa che suonava molto come un
“Alleluia” e si attaccò al telefono. In meno di un minuto risolvemmo la
faccenda e, dopo un'altra battaglia di sguardi da sfida mancata tra me e
l’autista, andai a sedermi in fondo all’autobus, appoggiando la testa al
finestrino e infilandomi le cuffiette dell’ipod, in un misero tentativo di
conservare un briciolo di dignità.
- Ehi – mi chiamò una voce, al di sopra degli strilli e dei
colpi di percussione della canzone – ti spiace se mi siedo qui?
Mi girai e vidi di nuovo quel sorriso da infarto. Cercando
di mantenere un’aria indifferente, feci un cenno d’assenso.
- A proposito, grazie per prima. Mi hai salvata – dissi,
cercando di fare un timido sorriso e sembrando più che altro una con una
paralisi facciale da botox mal riuscito.
Per fortuna non sembrò accorgersene e ricambiò con un
sorriso -che in comune con il mio aveva solo il nome -talmente abbagliante che
se la Mentadent l’avesse visto l’avrebbe scritturato su due piedi per una
pubblicità e rispose:
- Figurati, è stato un piacere. A proposito, mi chiamo Alex
Barra.
- Piacere. Barra, hai detto? Mi sembra di averlo già sentito..
– meditai con aria cogitabonda. Poi l’illuminazione mi colse:
- Scusa, ma che scuola fai?
Alex sorrise sotto i baffi (rischiando di nuovo di
accecarmi), come se si aspettasse quella domanda:
- Vado al liceo classico – rispose.
Spalancai gli occhi, sorpresa – Davvero? Anche io! Ecco
perché avevo già sentito il tuo nome..
Alex si mise a ridere di fronte alla mia aria sorpresa, che
ricordava molto quella di una triglia e disse:
- Anch’io sapevo già chi fossi. Sei in quarta C, giusto?
- Giusto. E tu sei..?
- In quinta A.
Non so come, ma da quel momento in poi la conversazione
divenne piacevole e scorrevole come una sciarpa di seta. Era sorprendentemente
facile e piacevole parlare con lui. Così piacevole che non mi accorsi di aver
perso la mia fermata, ma lui fu tanto carino da accompagnarmi fino a casa,
sotto quel diluvio universale. Mi chiese di uscire e iniziammo a frequentarci.
Stiano felicemente insieme da allora e io sono la persona più schifosamente
fortunata di tutta la terra.
- Fede? Fede! Ti prego, smettila di farti film mentali su te e
Alex da soli in un stanza in mia presenza! Mi fai impressione! – esclama Clio,
riportandomi bruscamente coi piedi per terra.
Non so perché, ma a lei Alex non piace molto. Non so,
cercano di mantenere un rapporto civile l’uno verso l’altra, ma lo fanno solo
per affetto nei miei confronti, altrimenti, ne sono certa, si scannerebbero
allegramente.
Per fortuna, proprio in quel momento suona la campanella,
risparmiandomi la fatica di inventarmi una scusa pietosa sui miei film mentali
con Alex. Scatto in piedi, rovesciando la sedia, e schizzo fuori dalla classe.
Sto andando talmente veloce che vado a sbattere contro quella che sembra una
montagna in rapido movimento. Atterro di sedere e chiudo istintivamente gli
occhi per il contraccolpo con il freddo e poco morbido pavimento. La montagna
davanti a me –che si rivela essere un ragazzo- esclama:
- E guarda dove vai!
- Guarda dove vai tu, piuttosto! – rispondo, furibonda. Mi
alzo per vedere in faccia chi è la mia prossima vittima e quasi mi viene un
colpo.
È Filippo sono-bello-solo-io Lombardi, alias dio del calcio,
del sesso… in ogni scuola esiste un individuo del genere (purtroppo), più
comunemente etichettato come “ragazzo più popolare”.
Ora, su questi personaggi corrono un sacco di luoghi comuni,
come quello del “bello e stronzo (che può variare anche a quello del “bello e
dannato” se l’espressione del ragazzo è perennemente incazzosa) ” e del “bello
e impossibile”. In più, si sa che questo tipo di studente cambia ragazza con la
stessa frequenza con cui si cambia le mutande (si spera), ha un ego smisurato e
la simpatia di un pezzo di legno.
Filippo Lombardi rispetta scrupolosamente tutte queste
caratteristiche standard (tranne quella del “bello e dannato”. Anzi, è fin
troppo felice per i miei gusti).
- Tu saresti? – mi fa, inarcando il sopracciglio con
intenzione.
- Tu saresti? – gli faccio il verso – chi saresti tu, semmai!
Chi ti credi di essere? – sbotto, cercando di aggirarlo, ma riesco a compiere
solo qualche passo perché mi si piazza davanti, bloccandomi la strada.
- Siamo maleducati, eh? Di solito, quando qualcuno ti fa una
domanda, si risponde.
- Di solito, quando si va addosso a qualcuno, si chiede scusa
– ribatto acida.
- Sei stata tu a venirmi addosso! Comunque, chi sei?
- Federica Terreni, quarta C. Diciassette anni, diciotto a
dicembre, fratello maggiore di venti, sorella minore di quindici. Frequento il
liceo classico, adoro la Vespa e faccio ginnastica ritmica. Mi piace leggere e
non mi piace perdere il prezioso e cronometrato tempo della ricreazione a
parlare con dei rompiscatole, quando potrebbe essere impiegato in modi
decisamente migliori. Quindi, cortesemente, ti spiacerebbe levarti di torno?
- Però, che vita interessante. E in che modo ancora migliore
potrebbe essere impiegato il tuo tempo, se parlare con me non lo è già
abbastanza? – fa lui, con un sorriso divertito che gli conferisce una faccia da
schiaffi che la metà sarebbe sufficiente.
- Per esempio, potrei andare dal mio ragazzo che mi sta
aspettando a sole tre classi di distanza per festeggiare il mio inaspettato
sette e mezzo in chimica e stare con lui fino alla fine della ricreazione.
Il ghigno di Filippo si allarga:
- Se consideri quell’attività migliore che lo stare con me,
prego, vai pure – si sposta per farmi passare e si volta, andandosene.
Io, spiazzata per il repentino cambio di comportamento del
ragazzo, non mi muovo. Filippo si gira e, da sopra la spalla, mi lancia uno
sguardo ammiccante ed esclama:
- Ci si vede in giro!
Mi volto e mi incammino verso la classe di
Alex con un
diavolo per capello, senza riuscire a levarmi dalla testa lo sguardo
che Filippo mi ha lanciato prima di sparire tra la marmaglia di
studenti urlanti.
Ma che cavolo vuole questo tizio?
Spazio autrice (scriverlo gasa più di quanto pensassi):
Buongiorno! O buonasera, a seconda dell’orario in cui avete
letto questa pseudo-storia.
Vi ringrazio all’infinito per essere passate di qua e vi ringrazierò ancora di più se vorrete lasciare anche solo un misero commento. Così, per sapere se la storia vi è piaciuta o vi ha fatto schifo e se vale la pena di proseguirla. È una storia senza pretese, la scrivo per divertirmi e nella speranza di farvi divertire, almeno un po’.
So che finira non è successo niente di
interessante e i personaggi sono stati solo introdotti, ma mi
piacerebbe lo stesso sapere che ne pensate.
Grazie, al prossimo capitolo!
Besoos
P.S.
Se avete domande, richieste, consigli ditemi pure, sono
tutta orecchi! :D