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Autore: HIGH and MIGHTY COLOR    05/03/2012    0 recensioni
And to the losers go the shackles.
Ai vincitori il bottino, agli sconfitti i ceppi. Trunks e Goten sono stati ridotti in schiavitù sul Pianeta Vegeta, costretti a lavorare per le stesse persone che hanno conquistato il loro pianeta. Ma alcuni estranei hanno un aspetto familiare. Principi e guerrieri di infimo livello. Di chi si tratta? AU Fic.
[Genre: Friendship/Family, Pairing: Bulma/Vegeta]
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bardack, Goten, Trunks, Un po' tutti, Vegeta
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfic è una traduzione. Potete trovare l'originale qui: To the Victors Go the Spoils
Pagina personale dell'autrice: HIGH and MIGHTY COLOR.
Traduzione in italiano a cura di Francesca Akira89

Summary: Trunks e Goten sono stati ridotti in schiavitù sul Pianeta Vegeta, costretti a lavorare per le stesse persone che hanno conquistato il loro pianeta. Eppure alcuni estranei hanno un aspetto familiare. Principi e guerrieri di infimo livello. Di chi si tratta? AU Fic.



La luce soffusa entrava da una delle piccole finestre inchiodate allineate lungo il soffitto. Ogni crepa nelle tavole di legno, che sprangavano la finestra come sbarre di una cella, lasciava penetrare fasci di luce che illuminavano l'aria sporca, polverosa e colma di smog. I tubi sibilano e strillavano, rilasciando vapore a temperature che potevano causare ustioni di terzo grado. Tuttavia, era sempre meglio che lavorare fuori, si ricordò Goten. Sospirò e seppellì il viso nell' incavo dell' avambraccio, lungo disteso contro un baglio del soffitto a circa quindici metri di distanza dal suolo. La stanza in cui si trovava aveva la forma di una cupola, larga, con pareti bianche scrostrate e finestre sbarrate. L' aspetto essenziale di qualunque buona centrale idrica.

Goten si sedette sul suo baglio e allungò le braccia sopra la testa, sbadigliando. Non importava quanto ci provava, in quella stanza era impossibile schiacciare un pisolino. Il che era tutto dire, perché di Goten si potevano dire molte cose ma non che non sapesse come dormire. Se avesse potuto, si sarebbe preso un intero mese libero e l' avrebbe dedicato solo al sonno. Ma quella stanza era impossibile, tanto per cominciare c'erano i tubi urlanti che sbuffavano dai bordi, per non parlare poi del caldo a livelli quasi intollerabili. Goten sollevò le braccia sopra la testa e toccò il soffitto sopra di lui nell' atto di stiracchiarsi. Sorrise soddisfatto nel sentire le spalle scrocchiare e schioccare in risposta alla tensione cui le sottoponeva. Improvvisamente, un suono stridulo lo riscosse dal suo appagamento e Goten guardò giù dal suo trespolo, per sorvegliare l'area di lavoro.

I suoi occhi si posarono sull' autore del grido, e si inclinò in avanti per guardare meglio. Era un ragazzo alieno color rosa pallido, che teneva stretta una grossa trave di metallo, la quale gli stava progressivamente scivolando dalle mani. Era in piedi sulla cima di un' enorme caldaia color bronzo, posizionata al centro della loro area di lavoro. Un altro alieno rosa pallido era in piedi vicino a lui, impegnato a tentare di raggiungere e afferrare la trave per tirarla di nuovo su, ma il peso di quell' affare era troppo per loro. Goten si alzò e iniziò a dare un'occhiata alle travi sopra di lui. Non potendo volare, avrebbe dovuto limitarsi a saltare. Vide una trave più bassa, e si preparò, saltando in avanti e afferrandola con tutte le sue forze. Riuscì ad afferrarla, e usò il movimento per spingersi verso i due alieni in difficoltà. Atterrò a qualche metro di distanza e corse verso di loro più velocemente che poté, agitando un braccio.

"Eccomi!" Chiamò. "Lasciate che vi aiuti!" Disse. I due lo guardarono confusi, e la trave scivolò di qualche altro centimetro. Goten li raggiunse, si inginocchiò accanto ad uno dei ragazzi e afferrò la trave con una mano. Dopodiché si alzò e la issò sopra la testa, come fosse fatta di legno. Era ancora un po' pesante per lui, con tutto il suo Ki imbottigliato, ma Goten era comunque più forte di chiunque altro qui. I due alieni lo fissarono, e poi uno di loro sorrise.

"Grazie!" Disse, con un forte accento.

"Aw, certo. No problem." Goten sorrise a sua volta. "Dove dovrebbe andare questa?" Chiese, ridacchiando un po'. "Mi piacerebbe metterla giù adesso."

"Certo." Disse uno dei due, indicando un punto dietro di lui. "Laggiù, insieme alle altre."

Goten annuì e camminò via, mettendo giù la trave. Si voltò e sorrise. "Se avete bisogno d'aiuto per alzare qualcosa di pesante, chiamatemi. Mi chiamo Goten."

I ragazzi annuirono e sorrisero, gli occhi colmi di gratitudine. "Grazie. E molto gentile da parte tua dirlo."

"Beh, hey." Disse Goten, massaggiandosi la nuca. "Noi marmocchi di caldaia dobbiamo aiutarci a vicenda." Disse, voltandosi. Camminò fino al bordo della caldaia, e si sedette, spenzolando le gambe, e scivolò giù fino ad atterrare su uno dei tubi più spessi, e quindi più freschi. Vi si sedette un momento preparandosi a saltare di nuovo giù sul pavimento, quando la porta sul lato opposto della sala si aprì. Si alzò più velocemente di quanto si sarebbe creduto capace e afferrò uno dei bulloni sul fianco della tubatura fingendo di stare stringendolo. Guardò in basso mentre alcuni Saiyan di infimo livello si allineavano all'interno; roteò gli occhi e ritornò al suo lavoro. Solo un altro paio di guerrieri venuti a prestar servizio nei ghetti o nelle fogne per tenere d'occhio gli schiavi. Era un lavoro facile e la maggior parte delle volte venivano mandati qui come addestramento, o come lavoro quando erano feriti, qualche volta anche per punizione. Goten scivolò giù dal tubo e si sedette su una curvatura, li guardò schierarsi tutti e ridacchiò. Erano praticamente schiavi a loro volta, che si spacciavano per membri dell' esercito. Gettò la testa all' indietro, guardandoli, finché una voce aspra non lo riscosse dal suo fantasticare.

"Radditz! Sbrigati!"

Abbassò lo sguardo e si chinò, per vedere chi aveva urlato l'ordine e i suoi occhi si spalancarono per lo shock. "Papà?" Le parole vennero fuori a voce più alta di quanto intendesse, e quasi cadde giù dal tubo su cui era seduto. L' uomo, vestito con un' armatura verde da Saiyan e polsini rossi, era in piedi a fissare la porta, aspettando qualcuno. L'uomo che seguì aveva capelli lunghi fino alla vita, cespugliosi e irti, che lo facevano somigliare ad un riccio. Goten ansimò e saltò giù sul pavimento umido e ammuffito, e corse verso l'uomo nella sala. Suo padre. Son Goku.

"Papà!" Strillò, protendendosi in avanti. Il cuore gli batteva fortissimo. Suo padre era finalmente arrivato, finalmente era venuto a salvarlo, finalmente sarebbe tornato a casa! La sua felicità venne bruscamente interrotta quando un altro Saiyan di terza classe gli sbarrò la strada, sbattendolo a terra.

"Che diavolo pensi di fare, schiavo?"

Goten sbatté le palpebre stupito e si sedette, fissando l'uomo che lo guardava. La vista lo fece sentire come se il cuore gli fosse stato strappato via. L'uomo in piedi di fronte a lui non era suo padre. Non era qui per salvarlo, e Goten non sarebbe tornato a casa. Lo sguardo negli occhi di quest' uomo era freddo e spietato, e la cicatrice sulla guancia e lo scouter verde sull' occhio diedero a Goten tutto ciò di cui aveva bisogno per sapere che quest'uomo non era suo padre. Sentì le lacrime pungergli gli occhi mentre si strofinava il mento con il dorso della mano e si alzava. "N... niente."

"Sei corso fin qui per niente?" Lo sbeffeggiò il Saiyan di terza classe. "A te sembrava niente, Bardock?"

L'uomo che assomigliava a suo padre lo scrutò attentamente. "No, non direi." Avanzò di qualche passo verso di lui. "Vuoi qualcosa da me, ragazzo?"

Gli occhi di Goten si socchiusero, e strinse i pugni. Se aveva bisogno di prove che quest'uomo non fosse suo padre, adesso le aveva. Suo padre non gli avrebbe mai parlato in quel modo. "Nossignore." Guardò alle sue spalle e indicò. "Io... devo solo mettere a posto quella valvola dietro di voi." Mentì.

Il sosia di suo padre, Bardock, voltò la testa e allora guardò di nuovo Goten, prima di fargli cenno di passare. Goten fece qualche passo verso la valvola, la afferrò e le diede un'avvitata. Pregò Dio che non fosse importante e non facesse esplodere l'intero posto con lui dentro, e le diede una seconda avvitata prima di voltarsi e guardare i due uomini che lo fissavano. Notò che anche l' altro uomo, quello con i capelli da selvaggio, lo stava esaminando. Bardock gli gettò uno sguardo un po' torvo.

"Cosa stai aspettando, una medaglia?" Chiese. Mosse di scatto la testa verso la caldaia. "Torna al lavoro."

Goten si voltò verso la caldaia e vi corse incontro, le lacrime che gli bruciavano gli occhi. Non era certo di chi fosse quest'uomo, né perché somigliasse tanto a suo padre, ma per Dio, era determinato a scoprirlo. E aveva la sensazione di sapere dove doveva andare per ottenere delle risposte. I topi di fogna.

I topi di fogna erano la rete d' informazione clandestina degli schiavi. I topi di fogna correvano sotto tutto il pianeta, e ciò rendeva loro facile spiare e orecchiare le cose che accadevano al piano di sopra, ovunque sull' intero pianeta. Ovviamente, non erano davvero topi, non tutti almeno, ma il soprannome era adatto. Ogni categoria aveva un suo soprannome tra gli schiavi, lavorare in un acquedotto rendeva Goten un marmocchio di caldaia.

Goten si fermò davanti ad una piccola grata nel pavimento e si guardò intorno prima di accovacciarvisi vicino. Si leccò le labbra e fischiò due volte, bussando sulla grata metallica. "C'è nessuno là sotto?" Sussurrò, inclinandosi in avanti.

Passò qualche secondo prima che un viso sporco comparisse sotto di lui. Goten fece un mezzo sorriso e appoggiò le mani sulle ginocchia. La schiava sotto di lui si strofinò la faccia, e lo guardò con aria d'attesa. "'Mbè, che vuoi?" Chiese.

"Ho bisogno di sapere qualcosa su un guerriero di terza classe." Disse Goten. "Si chiama Bardock. Ha i capelli fatti così." Afferrò i propri capelli, che con l'età erano divenuti meno indomabili, simili a quelli di suo fratello, e se li rizzò sulla testa. "Sai qualcosa?"

"Così su due piedi, no. Ma chiederò in giro, farò un po' di spionaggio." Scrollò le spalle. "Dipende. Che mi dai?"

Goten fece un ampio sorriso e si mise una mano in tasca, estraendone un sacchetto marrone. "Razioni. Ti dureranno una settimana. Più a lungo, a seconda di quanti amici hai."

Gli occhi della ragazza si illuminarono e annuì. "Siamo d'accordo. Torna qui tra un paio di giorni e ti riferirò."

Goten annuì e infilò il sacchetto tra le sbarre nelle sue mani impazienti. "Grazie." Disse, sorridendo da un orecchio all'altro.

"A presto."

Con quelle parole la schiava sparì, e Goten si alzò e si allontanò frettolosamente dalla grata per evitare occhiate sospettose. Corrugò la fronte. Non poteva essere una semplice coincidenza che quest'uomo fosse identico a suo padre. Coincidenze simili semplicemente non esistevano. Di solito. La sua espressione accigliata s'intensificò mentre iniziava ad arrampicarsi sulla grande struttura metallica vicino al muro. Si chiese se suo padre fosse riuscito a sconfiggere la malattia cardiaca che l'aveva colpito pochi giorni prima dell'invasione. Bulma aveva detto di poterla curare, ma ci sarebbe voluto tempo e c'era il rischio non funzionasse. E con Gohan ad allenarsi insieme a Piccolo in paradiso, non poteva fare a meno di chiedersi se qualcuno sarebbe mai venuto a salvare lui o Trunks.

I suoi pensieri andarono al suo migliore amico e protese il suo Ki per sentirlo. Il Ki di Trunks non era troppo lontano, adesso. Il che era un cambiamento rispetto a solo ieri. Si chiese se fosse stato venduto, e se stesse bene. Il suo Ki non era in difficoltà, quindi supponeva stesse bene, ma non si poteva mai essere sicuri. Rilasciò un sospiro e si issò di nuovo sul suo baglio, e vi si distese contro. Guardò il battaglione di soldati di terza classe e i suoi occhi si posarono di nuovo su Bardock e sull'altro uomo vicino a lui. Non poteva essere una coincidenza... no?



Bardock fissò suo figlio con aria sprezzante. Radditz stava ascoltando attentamente le parole del loro istruttore, o almeno così sembrava. Bardock non era mai troppo sicuro. Suo figlio era a dir poco potente, ma aveva sempre un atteggiamento incorreggibile. Era stato quello che li aveva fatti finire qui entrambi, in primo luogo. Inutile dirlo, Bardock non era affatto felice della situazione. Incrociò le braccia e diede un'occhiata alla centrale idrica. Scrutò l'area alla ricerca dello schiavo che era corso verso di lui poco prima. Aveva detto di essere lì solo per la valvola, ma Bardock non era tanto ingenuo. Non correvi da qualcuno urlando "papà" e con una tale speranza e gioia negli occhi per poi sostenere di essere solo venuto a occuparti di una valvola difettosa. Bardock s'accigliò. Il marmocchio l'aveva chiamato papà. Non sapeva perché, e francamente, a parte di lui non interessava. E tuttavia non riusciva a togliersi di mente lo sguardo ferito con cui l'aveva fissato il ragazzo dopo essere stato sbattuto a terra.

L' istruttore finì di parlare e Bardock incrociò le braccia. "Non provare a fare scenate questa volta, Radditz. Specialmente se vuoi tornare nella guardia reale."

"Non lo farò, padre." Radditz quasi sputò le parole.

Gli occhi di Bardock finalmente trovarono il ragazzo che stava cercando. Era seduto su una delle travi del soffitto adesso, a trafficare con una cosa o un'altra. Socchiuse gli occhi. "Radditz."

"Sì, padre?"

"Lo schiavo di poco fa. L'hai mai visto da qualche parte prima?"

Radditz sbuffò. "No, padre, mai." Disse, mettendosi le mani sui fianchi. "Anche se mi piacerebbe dargli una lezione-"

"Mi ha chiamato padre." Disse Bardock, interrompendo suo figlio a metà frase.

"Cosa?"

"Quando è corso qui. Mi ha chiamato padre."

"Io non l'ho sentito."

"Io sì." Gettò un'occhiataccia a Radditz, con rabbia.

Radditz si limitò a scrollare le spalle e si guardò attorno con disinvoltura. "E allora? Il ragazzino dev'essere delirante per via di tutto questo vapore. Gli si è infiltrato nel cervello." Disse, tamburellandosi un lato della tempia. "Che t' importa?"

Bardock si voltò e gli lanciò uno sguardo truce. "Non m' importa."

"E allora qual è il problema?"

"Non c'è nessun problema." Si voltò e guardò dinanzi a sé. "Solo va' e fai il tuo lavoro." Sbottò.

Poteva praticamente sentire l'espressione arcigna sul viso di suo figlio. "Sì padre." E si diresse nella stanza della caldaia.

Bardock tornò a guardare il ragazzo sulle travi. Il suo viso si contorse in una smorfia indagatrice. Forse il ragazzo delirava. O forse c' era sotto qualcos'altro.

 

  
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