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Autore: argosy    13/10/2006    11 recensioni
La guerra è finita e ora tutti vogliono qualcosa da Hermione. Ma questo non è nulla di nuovo, no? Può farcela benissimo. Davvero.
Fanfiction classificatasi al secondo posto, su oltre 100 fanfiction partecipanti all'ultimo dmhgficexchange.
Questa storia si focalizza sul punto di vista di Hermione. Draco ricopre un ruolo importante, ma ampio spazio è riservato anche a Harry, Ron e Lupin.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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breathe 1
Disclaimer: Non ho un bilione di sterline, al contrario di JKRowling, un altro peccato da aggiungere al fatto che Harry Potter & Co non sono miei.

Nota della Traduttrice: Ed ecco qua la promessa nuova traduzione. Stavolta la scelta è caduta su una fanfiction di due capitoli di argosy, classificatasi al secondo posto (su oltre 100 fanfiction) nell'ultimo dmhgficexchange, "Hot Summer Nights Exchange", indetto dall'omonima comunità nella primavera di quest'anno. Potete trovare l'orginale qui.
Così come per altre due one shot che ho tradotto in passato, "What Malfoys do Best" di Sunny June 46 e "Charon's Gift" di Philyra912, scopo dello "scambio" è scrivere una fanfiction seguendo le richieste e evitando i paletti imposti da un altro partecipante. I requisiti a cui doveva sottostare Breathe li troverete alla fine della fic.
Se volete leggere altri lavori di argosy, potete trovarli qui.
E con questo vi lascio, sperando di aver reso al meglio quella che io considero una delle più belle fanfiction che abbia avuto il piacere di leggere negli ultimi tempi.
Buona lettura
Kit_05




Breathe



Parte prima.



Finita la guerra, Molly Weasley si rinchiuse nella sua stanza da letto e pianse istericamente per due settimane buone.

“Non è morto nessuno di noi, vedi?”. Ron gettò uno sguardo impacciato ad Hermione, che dovette sforzarsi per comprendere le sue parole sopra i gemiti che si propagavano dalla camera di sua madre.

“Capisco”, rispose, i suoi occhi sullo speciale orologio della famiglia Weasley. Tutte le lancette che rappresentavano i componenti della tribù dai capelli rossi erano puntate a segnalare la stessa cosa: Fortunati.

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Voldemort era morto, quella era la cosa più importante. Harry l’aveva ucciso, com’era stato destinato a fare fin da prima d’essere nato. Forse era stato destino che la battaglia finale si fosse combattuta ad Hogwarts, in quello che sarebbe dovuto essere il giorno in cui il ragazzo avrebbe ricevuto il diploma.

Per come stavano le cose in quel momento, non era certo che qualcun altro si sarebbe mai diplomato nuovamente a Hogwarts. Il castello era una distesa di rovine fumanti. La Sala Grande s’apriva al cielo, le lunghe tavolate bruciavano vivacemente nell’aspro fumo grigio. La Torre d’Astronomia era misericordiosamente ridotta a macerie.

Quando Harry era emerso da quello che rimaneva della Torre dei Grifondoro – da solo – ed era crollato sull’erba, ferito, ma certamente vivo, l’Ordine aveva capito che aveva vinto. Contando i corpi, s’erano detti che se l’erano cavata sorprendentemente alla leggera.

Quel giorno.

L’Europa Magica era stata colpita da ondate e ondate di distruzione, nell’ultimo mese della guerra. I rifugiati stavano ancora convergendo nella Londra magica, essa stessa largamente danneggiata; il loro numero in aumento, giorno dopo giorno.

Avevano onorato i caduti della Battaglia di Hogwarts al meglio delle loro possibilità – i funerali di Stato erano di difficile organizzazione, quando lo Stato stesso non esisteva praticamente più: Susan Bones, Michael Corner, Hestia Jones, Nymphadora Tonks. Sembrava che quei memoriali frettolosamente predisposti non avessero mai fine.

E poi, in qualche modo, ne rimase solo uno.

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Hermione lisciò le pieghe del suo vestito nero e si guardò allo specchio, per assicurarsi che le calze non fossero smagliate.

“Stai molto bene, cara”, disse lo specchio. “Sobria.”

“Non gli sarebbe piaciuto,” si accigliò lei.

“Ci si deve vestire in maniera appropriata”, replicò lo specchio, una nota di solidarietà nella voce materna.

“Ci si deve?”, chiese lei con voce distratta, mentre si toglieva le scarpe dagli alti tacchi.

Hermione poteva sentire lo specchio chiocciare alle sue spalle – qualcosa sulla tradizione, e i precedenti, e cose che non si dovevano fare – mentre lei si dirigeva di nuovo verso il suo armadio, ma non gli prestò attenzione. Gli specchi davano sempre giudizi; era il loro lavoro, dopotutto.

Ah, così era meglio. La sua mano si chiuse su un abito di cotone leggero. A lui sarebbe piaciuto quel colore.

I suoi occhi si riempirono di lacrime. Tirò fuori il vestito, con tale forza che diversi dei fogli sistemati in cima all’armadio si sparsero caoticamente per terra. Hermione imprecò, poi si costrinse alla calma, asciugandosi via le lacrime. In quello stato non sarebbe mai arrivata alla fine della giornata. S’inchinò a raccogliere i fogli.

C’era una brochure e una lista di università. College St. Brigid, Oxford, proclamava la brochure luccicante. Il miglior College Magico della Gran Bretagna. Fissò la foto sulla copertina – un gruppo di maghi e streghe dal volto fresco, sereno, che stavano studiando su un prato. Un ragazzo le rivolse un’occhiata veloce e la salutò con una mano, prima di ritornare ad immergersi nel suo libro.

Le era sembrato così importante, mesi prima, quando, nelle nebbie della caccia agli Horcrux, s’era concessa una deviazione solitaria a Oxford per compilare la propria richiesta d’ammissione. Aveva avvertito una sensazione di appartenenza, mentre se ne stava ferma in mezzo a un quadrato d’erba verde a guardare gli studenti – alcuni dei quali Babbani che non si rendevano nemmeno conto di aver sforato in una zona magica – agitarsi. Aveva respirato l’aria del college e aveva toccato le pietre con cui la sua struttura era stata costruita – antiche quasi quanto quelle della stessa Hogwarts – e aveva giurato a se stessa che lì era dove sarebbe andata una volta che la guerra fosse finita. E, a dire la verità, persino da bambina, persino prima di scoprire di essere una strega, aveva sempre desiderato andare a Oxford.

Solitamente i maghi e le streghe non s’immergevano in un’educazione superiore. Hogwarts li preparava per la maggior parte delle carriere, e poi c’erano comunque gli apprendistati e altre istituzioni del genere; ma uno non poteva mai imparare abbastanza, e alla St. Brigid lei sarebbe stata immersa nel mezzo di tutte le ricerche all’avanguardia del suo tempo. Aveva già una stupenda idea su un progetto che avrebbe permesso di combinare l’Aritmanzia e la geometria frattale.

Sembrava tutto così stupido, ora. Che cosa avrebbe potuto più insegnarle una scuola, dopo tutti quei funerali, tutto il sangue che aveva visto, tutto il sangue che aveva versato? Che cosa importava?

Scosse la testa per liberarsi da quei ricordi di vecchi libri ed erba appena tagliata. Cambiandosi velocemente d’abito, gettò un’ultima occhiata allo specchio, ignorando i suoi mormorii di disapprovazione.

Aveva indosso un abito estivo verde chiaro, ora, che le lasciava scoperte le gambe. Era il colore delle serre, il colore di Erbologia. Le persone avrebbero potuto guardarla di sbieco per quella scelta, ma non le importava. Lei lo stava indossando per Neville. E si sentiva certa che lui avrebbe approvato.

Prendendo un profondo respiro, si rassicurò di essere calma, poi prese una manciata di Polvere Volante e la gettò nel fuoco. “Il Paiolo Magico”, disse.

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Harry aveva lì una suite con due stanze. Almeno due stanze, forse anche più. Era impossibile dirlo, visto che Harry era, in quel momento, barricato dietro la porta che conduceva, presumibilmente, nella stanza da letto, rifiutandosi di uscire. Ginny continuava a dare dei colpi alla porta, mentre Ron era seduto sul divano del salotto, lo sguardo triste.

“Devi venire, Harry”, stava dicendo Ginny, cercando di mantenere il timbro della voce gentile, mentre Hermione entrava nella stanza. “Non sei venuto a nessuno dei funerali, e io credo davvero che Neville vorrebbe che tu oggi fossi lì.”.

Non ci fu risposta. “Ron”. Si voltò verso il fratello.

“Sì, amico. Ti sentiresti meglio”, lo invitò con poca convinzione.

Ancora sulla porta, Hermione osservò la scena e sospirò. “Lasciate che ci provi io.”.

Avanzò fino alla porta della camera e bussò leggermente. “Harry, sono io.”.

Non successe nulla. Hermione s’era appena girata quando, finalmente, la porta si aprì con un crack. C’era oscurità dall’altra parte, nessun segno di Harry. Avanzò, ignorando l’espressione ferita di Ginny.

Era la prima volta che entrava nella stanza dove Harry s’era rinchiuso fin dalla fine della guerra. Era piccola, e cupa, e trascurata; il che, pensò Hermione, non costituiva una sorpresa. Sarebbe stato alla Tana, o con lei, o per lo meno in un hotel più curato, altrimenti. Invece, al dileguarsi del fumo dell’ultima battaglia, si era rintanato lì, e solo raramente ne usciva.

Si sedette sul letto sfatto, lo sguardo verso terra. Vecchie copie della Gazzetta del Profeta e vestiti sporchi cospargevano il pavimento – chiaramente aveva impedito anche agli elfi domestici l’ingresso. Hermione non disse nulla, si limitò a riordinare un po’.

Lui la guardò attraverso la frangia, per diversi momenti, finché la ragazza non ebbe quasi finito. “Neville avrebbe capito”, disse infine.

“Sì”, rispose, andandosi a sedere sul letto. “Capirebbe.”.

“Voglio venire, Hermione, è solo -”, s’interruppe, lo sguardo ancora rivolto verso il basso.

“Va bene, Harry.” Gli prese una mano.

Finalmente lui alzò lo sguardo. L’intensità dei suoi occhi la trafisse. “Non capisci.”

Gli prese l’altra mano, portandosele entrambe nel grembo. “Allora spiegami.”

Si fermò e sembrò sul punto di parlare. “Ti potresti sentire meglio”, continuò lei, “se dicessi a qualcuno cosa è successo quel giorno. Con Volde -”

“Di’ loro”, alzò la voce Harry, poi si bloccò, sorpreso dal volume con cui aveva parlato, per riprendere più calmo. “Di’ loro che non vengo. Di’ loro che sono malato.” La guardò implorante.

Lei osservò gli occhi persi e la carnagione pallida. Non era un’affermazione lontana dal vero.

“Va bene.” Sorrise, alzandosi. “Va’ a dormire un po’. Cerca di mangiare qualcosa. Vuoi che ritorni più tardi con -”

“No!” Si fermò, aggiungendo con voce più gentile, “No. Sto bene, Hermione. Veramente.” Riuscì persino a sorridere.

Ogni singola fibra del suo essere le urlava che non era la verità, ma lei gli avrebbe lasciato la sua privacy, se era quello che voleva. Non c’erano maledizioni su di lui; né fatture – avevano controllato bene al St. Mungo. Hermione poteva essere una persona curiosa, ma era anche pratica, e si rendeva conto che pressare Harry quando non era pronto sarebbe stato peggio che inutile.

Desiderava solo non essere lei quella a doverlo spiegare agli altri.

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Hermione si strinse le braccia attorno e tremò. Aveva pensato che gli altri partecipanti alle esequie sarebbero stati a disagio nei loro abiti pesanti sotto il sole estivo, ma qualcuno aveva lanciato un Incantesimo Refrigerante, e ora era lei l’unica ad essere vestita per il clima sbagliato. Erano migliorati di molto nell’organizzare funerali, notò cinicamente.

Il suo vestito non aveva una tasca per nascondere la bacchetta, così lei ora non poteva usare la magia per riscaldarsi. Ma la sua pelle d’oca era una buona distrazione. Non voleva prestare attenzione; ne aveva abbastanza di quelle cerimonie. Aveva pianto tutte le sue lacrime, e aveva già detto come meglio poteva il suo addio a Neville. Come aveva detto Harry, lui avrebbe compreso.

Era seduta tra Ron e Ginny, cercando di non sentire le parole di un mago dai folti e scarmigliati capelli che parlava di “onore”, e “coraggio”, e “lealtà”. Tentando di non ricordare il volto di Neville, mentre giaceva immobile a meno di un quarto di miglio rispetto a dove si trovava ora seduta, sulle rive del lago di Hogwarts. Dopo la morte di Silente, quello era divenuto il luogo di riposo per gli eroi di guerra, una tradizione che ormai sembrava derivare dalla notte dei tempi. Se Hogwarts avesse mai riaperto, passeggiare per le rive del lago sarebbe stata un’esperienza totalmente diversa per i suoi studenti.

Era in prima fila, sebbene avrebbe preferito l’anonimato delle retrovie. Scrutò la panca su cui erano seduti Frank e Alice Paciock, insieme alla nonna di Neville. Il padre di Neville doveva essere stato un uomo forte, imponente – ora, così magro, sembrava fragile. Era seduto, immobile, e teneva tra le sue una mano della moglie, un’espressione perplessa in volto. Alice sembrava uno di quegli angeli dipinti dai Babbani, con il suo viso liscio, non segnato dal tempo, e incorniciato da un’aureola di capelli bianchi che brillavano al sole. Sorrideva a se stessa e si guardava intorno di frequente, con uno sguardo meravigliato.

La nonna di Neville sedeva con la schiena dritta, orgogliosa. Probabilmente ora Neville aveva raggiunto i suoi standard da eroe, pensò Hermione, e cercò di non odiarla per quello. Quando erano arrivati, aveva guardato con disapprovazione l’abito verde di Hermione, ma quando Alice Paciock le aveva sorriso con gioia, la ragazza aveva capito di aver fatto la scelta giusta.

L’uomo dai capelli scarmigliati stava ora parlando di “tradizione Grifondoro” e Hermione non riuscì a resistere un secondo ancora. Si alzò, ignorando la domanda a mezza voce di Ron, e si diresse verso il fondo delle file, il più discretamente possibile.

Continuò a camminare finché non sentì più le voci della funzione, poi si fermò all’ombra di un faggio. Si chinò contro il suo tronco, poteva ancora vedere e distinguere la gente seduta davanti a lei. Poteva persino vedere il drappo cremisi con il leone Grifondoro avvolto intorno a Neville. Intorno al corpo di Neville, si ripeté fermamente. Lui non era lì.

Era presente Luna, quasi traslucida nella luce brillante del sole. Suo padre era stato ucciso l’inverno precedente in un raid dei Mangiamorte negli uffici del Cavillo. “Voleva essere un fantasma, per amor mio”, aveva detto solennemente Luna ad Hermione, non molto dopo l’omicidio. “Ma io gli ho detto che sarei stata più felice se se ne fosse andato dall’altra parte.” Poi le si era avvicinata, come se stesse per condividere un segreto. “Gli ho quasi chiesto di rimanere. Ma sarebbe stato egoistico, non credi?”

C’era la Professoressa Sprite, seduta al fianco della Professoressa McGranitt. Lacrime copiose scendevano sulle guance della prima, mentre la seconda aveva irrigidito i tratti in un’espressione stoica: aveva fatto molta pratica negli ultimi tempi. Remus, il volto arcigno e determinato, era seduto accanto a Kingsley Shacklebolt. Aveva sentito che Kingsley avrebbe tentato la scalata al Ministero, adesso che a Scrimgeour era stato dato il ben servito.

Si chiese distrattamente se fosse interessata a tutto quello e, mentre raggiungeva la decisione che no, non gliene importava nulla, sentì una voce alle sue spalle.

“Hermione.”

Aveva capito chi era ancor prima di girarsi. “Non dovresti essere ad Azkaban?”

“Sarebbe giusto?” Draco Malfoy aggirò il tronco di un faggio e si unì a lei.

“No”, sospirò. “Probabilmente no.”

Era dalla loro parte, ora. Se ancora esistevano delle parti. Dopo la morte di Silente, Piton l’aveva tenuto nascosto agli altri Mangiamorte per quasi quattro mesi – fino alla fuga di Lucius Malfoy da Azkaban, quando Draco era scappato per unirsi al padre. S’era consegnato all’Ordine due mesi più tardi, dopo che Lucius aveva ucciso Piton, che aveva tentato, da solo, di far allontanare Draco dal quartiere dei Mangiamorte.

Per il tempo in cui i fatti erano successi, il messaggio postumo di Silente era stato scoperto, ed era risaputo che Piton aveva agito sotto i suoi ordini. Ma era facile perdonare un uomo morto. Draco Malfoy costitutiva un problema molto più complicato. Aveva sempre agito da solo, sia nell’abortito tentativo di assassinio di Silente che, poi, nel ricercare il loro asilo.

Con riluttanza, gli avevano offerto rifugio, per settimane l’avevano tenuto sotto il controllo di restrizioni magiche. Aveva ingoiato galloni di Veritaserum prima di riuscire a convincere i membri importanti dell’Ordine della sua sincerità

Era stato Draco che aveva saputo dove trovare Voldemort, che aveva detto loro che sarebbe stato ad Hogwarts, e quando. Il Signore Oscuro aveva bisogno di creare un altro Horcrux, aveva spiegato Draco, e lui aveva scoperto il piano. Tramite quali perversi metodi, Hermione non lo sapeva, ma l’informazione fornita s’era rivelata buona.

Ora che la guerra era finita, cosa fare di Draco Malfoy era nuovamente un problema. Era stato fondamentale nella sconfitta di Voldemort, ma aveva anche tentato di uccidere Silente, ed era stato un Mangiamorte per quasi sei mesi. Si poteva gettare un eroe ad Azkaban? Si poteva lasciare il tentato assassino di Silente libero?

“Ho un’udienza la prossima settimana”, disse, facendola riemergere dai ricordi.

“Cosa?”

“Il Wizengamot. O quello che ne è rimasto.”

“Oh”, rispose, girandosi di nuovo verso il funerale.

“Verrai a trovarmi ad Azkaban, Hermione?”

Lei lo fissò. Le stava davvero sorridendo, ora.

“Con gioia”, rispose freddamente, poi sussultò internamente all’espressione che sembrava portar traccia di dolore che gli attraversò i tratti. Beh, che cosa si aspettava, a parlarle come se fossero amici, lì, al funerale di Neville? Quasi come se stesse flirtando con lei. Tremò. L’incantesimo raffreddante si estendeva fin lì, a quanto pareva.

Lui puntò la sua bacchetta verso di lei. “Thermio.”

Si sentì immediatamente più calda. “Grazie. Draco -”

“Sì?” chiese, quando lei non continuò.

Lei lo guardò. Il suo cambiamento di convinzioni era stato, a quanto pareva, sincero – il Veritaserum l’aveva certificato – e lei non poté fare a meno di sentirsi un po’ dispiaciuta per lui. La maggior parte dei suoi vecchi amici era ad Azkaban, e Lucius era morto, colpito dalla sua stessa bacchetta, quando aveva scelto il suicidio a fronte di una nuova prigionia. Sua madre si stava nascondendo da qualche parte, nel caso qualche ultima frangia di simpatizzanti dei Mangiamorte avessero avuto delle idee vendicative.

La morte di Piton aveva cambiato Draco; quello Hermione lo credeva. Ma anche l’aver visto il proprio padre naturale uccidere quello che era diventato il proprio padre adottivo non poteva non aver trasformato il suo carattere. Era ancora lo stesso ragazzo che si ricordava da Hogwarts, a dispetto di dove si era ritrovato schierato a fine guerra. Non lo odiava più, credeva, ma quello era il limite massimo che era pronta a raggiungere.

Non siamo amici. Non ti voglio nella mia vita. Stava raccogliendo i propri pensieri per dirglielo, quanto vide un’alta figura osservare il funerale dall’altra parte del lago.

Harry. Si chiese se fosse il caso di raggiungerlo.

“Sì?” chiese di nuovo Draco, una nota di impazienza nella voce che fece trasalire bruscamente Hermione. Non rispose.

Quando tornò a guardare in direzione di Harry, il ragazzo se ne era andato.

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L’estate, in qualche modo, andò avanti. I giorni si susseguivano uno dopo l’altro, nella loro solita sequenza, e se si sentiva la mancanza degli amici assenti – se ci si ritrovava a pensare cosa avrebbe fatto Tonks, o a chiedersi se la sorella Corvonero di Calì avrebbe apprezzato quel libro sulla magia teorica – beh, allora si ignorava l’improvvisa sensazione di vuoto e ci si sentiva ancor più grati per gli amici rimasti.

Tutti i Weasley stavano bene, e se Ron stava ancora sorprendentemente frequentando Lavanda, Hermione scoprì dentro se stessa che non gliene importava nulla. Harry stava facendo progressi; aveva accettato di pranzare con lei, un giorno, in un bar all’aperto a Diagon Alley, ed era passata quasi un’ora prima che incominciasse ad apparire nervoso, prima che lei vedesse delle piccole gocce di sudore sul suo labbro superiore.

Visto che, in un modo o nell’altro, si ha bisogno di occupare il proprio tempo, Hermione ottenne un lavoro temporaneo al Ministero, nel nuovo Ufficio per Maghi Senza Casa. Aveva scoperto con sorpresa che la burocrazia magica generava gli stessi problemi di quella Babbana. Remus Lupin, ora disperatamente interessato a tutti gli aspetti della politica, le aveva trovato quel posto. Hermione supponeva di non doversi soprendere della passione di Remus; l’aveva sempre visto bene nei panni del riformatore.

Passava il suo tempo ad una piccola scrivania in una grande stanza, che si apriva su una parata senza fine di rifugiati bisognosi di una nuova sistemazione. Non si trovava nemmeno nei vecchi edifici del Ministero, quelli erano ancora in fase di ricostruzione dopo la quasi totale distruzione della Londra Magica nell’Attacco della Notte delle Candele. I Babbani avevano pensato si fosse trattato di un terremoto.

L’Ufficio per Maghi Senza Casa era situato dietro a una porta insignificante nel retro della sezione animali domestici di Harrods. Persino con l’Incantesimo di Disillusione perennemente attivo, uno o due Babbani al giorno si ritrovavano a vagare lì, alla ricerca di cacatua o di coniglietti, e dovevano essere Obliviati. Una volta un bambino scontroso era arrivato lì alla ricerca di un furetto. Hermione aveva pensato che sarebbe stata un’ottima soluzione per risolvere il problema Draco, ma si tenne per sé il parere.

Verso la fine di Luglio, sentì che Draco Malfoy, dopotutto, non sarebbe andato ad Azkaban. Fece un tentativo di essere solidale e sentirsi felice. Non sentì, invece, nulla. Ma era la norma in quei giorni.

E poi, l’aria si fece più fredda e l’autunno si avvicinò, qualcosa per cui si sentì vagamente sorpresa. Se la vita fosse stata normale, sarebbe stato il momento di tornare ad Hogwarts. D’altra parte, se la vita fosse stata normale, lei si sarebbe già diplomata.

Si chiese se la vita sarebbe mai ritornata alla normalità.

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“Abbiamo bisogno della tua decisione, signorina Granger.”

“Hmm?”

“Per la St. Brigid, Hermione.” Il Dr. Jackson sorrise. “Stai cercando di battere in distrazione il sottoscritto?”

L’aveva portata nella biblioteca. Quello non era giusto, davvero. Fece scorrere una mano su una fila di vecchi libri rilegati in cuoio, e sentì la magia crepitare sotto i suoi polpastrelli. Aveva pensato che la biblioteca di Hogwarts fosse il paradiso. Quella della St. Brigid era almeno due volte più grande.

“Questo era il momento in cui avresti dovuto dirmi che non sono un professore distratto.”

“E’ il Merrivale Codex?” chiese incredula, indicando un antichissimo volume.

“L’unica copia conosciuta.” Replicò. “Siamo molto ansiosi che tu ti iscriva tra noi. Abbiamo seguito la tua carriera accademica per un po’ di tempo, sai.”.

Oh. Quello era… lusinghiero, suppose. Sì, definitivamente lusinghiero, soprattutto lì, alla St. Brigid. Lì, dove quasi ogni innovazione nelle teorie e nelle applicazioni magiche aveva avuto origine.

“Non siamo nel pieno delle nostre forze dopo le recenti… difficoltà, temo. Abbiamo solo pochi posti disponibili. Ma siamo pienamente determinati nel convincerti a venire tra noi.”

La stava guardando con così tanta speranza che lei quasi odiò il pensiero di deluderlo. Si ritrovò a cercare una scusa. “Non ho nemmeno finito davvero Hogwarts, sapete.”

“Possiamo fornire un’eccezione per i tempi di guerra.” Si inclinò contro uno scaffale. “Allora, Hermione?”

Lei prese un profondo respiro. “Non so -”

“Non rispondere,” sollevò una mano, “se la risposta è un no. Possiamo darti ancora una settimana prima della decisione finale.”

Avrebbe dovuto semplicemente dirgli no, lì e subito, pensò fissando i capelli grigi e il volto pallido, e, alle sue spalle, tutti quei libri in attesa. Prese un altro respiro profondo.

“E’ solo che non credo -” si fermò alla sua occhiata sgomenta. “Con tutto quello che è successo, m’ero dimenticata persino di aver fatto domanda finché non ho ricevuto il vostro Gufo.”.

Questa è una bugia. Perché l'ho detta? Si accipigliò tra sé e sé.

Lui le sorrise, guardandola con intensità negli occhi. “Una settimana”

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“Fatto.”

Stava lavorando al caso di una famiglia austriaca di maghi rifugiati – numerosa, persino più dei Weasley. Aveva appena deciso di doverli dividere. Non c’era una sistemazione abbastanza grande per accoglierli tutti, neanche utilizzando un Incantesimo di Espansione, e le ci volle un momento prima di alzare lo sguardo dai documenti.

Remus era lì, che le sorrideva da sopra la scrivania, più felice di quanto non l’avesse visto da mesi. “E’ perfetto sia per te”, disse, “che per me.”. Le prese d’impulso una mano e la strinse. La stava guardando con un’intensità calorosa e una speranza che per un pazzo istante l’idea che lui volesse che lei prendesse il posto di Tonks le balenò nella testa. Si sentì istantaneamente colpevole al pensiero, poi ridicola, per finire con l’essere colpita dalla consueta sensazione di vuoto che la pervadeva ogni volta che qualcosa le ricordava i caduti.

“Allora, Hermione?” Le lasciò andare la mano. “Non vuoi sentire le novità?”

“Certo”, riuscì a sorridere. Remus scostò la sedia riservata solitamente ai rifugiati e, girando intorno alla sua scrivania, si accostò ad Hermione con fare cospiratorio, senza degnarsi delle curiose occhiate degli altri impiegati presenti. Remus Lupin era una persona importante all’interno del Ministero, ora che Shacklebot era stato designato come Ministro Provvisorio, e che era sulla strada per rendere definitivo il titolo.

“Kingsley ha approvato le miei idee sulla riorganizzazione.”.

“Congratulazioni”, rispose Hermione, cercando di mostrare una convinzione che non provava. Osservò attentamente il suo ex-professore. La guerra aveva cambiato tutti, ma forse lui più di altri. I suoi capelli erano completamente grigi e la sua magrezza era impressionante. Le trasformazioni mensili stavano richiedendo un prezzo terribile – con Piton se ne era andata anche la Pozione Antilupo e, in quel giovane mondo in ricostruzione, nessuna nuova misura preventiva era disponibile. Le morti che avevano flagellato l’anno precedente pesavano gravemente su di lui; la sua naturale andatura a spalle basse s’era accentuata, diventando cronica e pronunciata.

La guardava ora con un fuoco negli occhi che Hermione s’era, ormai, abituata a vedere, e che forse era persino più sconcertante di tutti i suoi altri cambiamenti. Significava che non c’era modo di distoglierlo dai suoi propositi o di ragionarci, significava che non si sarebbe fermato finché tutti i problemi del mondo non si fossero risolti. Quel fuoco interiore era pericoloso – l’avrebbe bruciato. Sospettava che lui ne fosse consapevole.

“L’Ufficio per i Maghi Senza Casa sta per essere reso permanente e i suoi poteri saranno ampliati”, spiegò. “Sarà chiamato Dipartimento per la Ricostruzione.”.

Si fermò, come se volesse che lei dicesse qualcosa. “Oh”, fu tutta la risposta di Hermione, mentre si domandava perché a lei questo dovesse interessare.

“Io ne sarò a capo. E,” continuò, sorridendo, “tu sarai il mio secondo.”.

Hermione avvertì il proprio stomaco chiudersi. Quello era un lavoro temporaneo. Non aveva nessuna intenzione di diventare la seconda di qualcuno, qualunque cosa si trattasse.

“Io – non sono qualificata”, balbettò.

“Assurdo.” Le sorrise. “Hai imparato quello che ti serviva qui. E io ricordo ancora la strega più intelligente del suo anno, e la ragazza così appassionata e pronta ad aiutare coloro che ne avessero avuto bisogno.”.

Maledetto C.R.E.P.A. “Ma -”

“Possiamo fare grandi cose. Fare in modo che tutti siano assistiti, e che tutti possano far sentire la propria voce. Porteremo aiuto anche ai lupi mannari, naturalmente, e a tutti gli altri esseri emarginati. Non sarà facile, ma -” s’interruppe alla vista del suo volto, e posò una mano sulle sue spalle. “Questo non è il momento in cui pensare a se stessi, Hermione. Sono sicuro che lo capisci.”

“Puoi trovare qualcun altro -”, sapeva che non l’avrebbe ascoltata.

“Ho bisogno di te.” Ed eccolo ancora lì. Il fuoco.

Un sonoro squawk annunciò l’arrivo di un gufo per le comunicazioni inter-uffici che posò una pergamena in grembo a Remus. La lesse velocemente, rimettendosi in piedi.

“Non preoccuparti”, disse, in un tono di voce che avrebbe voluto essere rassicurante. “Solo fra una settimana o due, dopo che avremmo programmato bene tutto, partiremo con il nuovo progetto.”.

Le strinse la mano una volta ancora e poi uscì. Hermione si lasciò affondare nella propria sedia e chiuse gli occhi.

Beh, quella era la fine dell’ipotesi St. Brigid. Aveva avuto intenzione di rifiutare l’offerta comunque, lo aveva voluto veramente, ma ora si rese improvvisamente conto che avrebbe disperatamente voluto accettarla. Voglio solo quello che non posso avere, si disse tra sé, cercando di sorridere alla propria personalità contorta. Ma fin dalla Grande Relazione Pubblica Ron-Lavanda del 1997, aveva cercato d’essere sempre brutalmente onesta con se stessa, e non aveva voglia di cominciare a mentirsi ora.

La verità era che voleva intensamente completare la propria educazione a Oxford insieme ai maghi e alle streghe più brillanti della sua generazione. C’erano così tante cose che voleva fare, così tanto che aveva ancora da imparare. Alla fine della sua visita al college, il Dr Jackson le aveva messo in mano una copia del libro Una Breve Storia della St. Brigid, e non era giunta nemmeno a finire le prime mille pagine senza essere pervasa dal desiderio di aule universitarie e di quartieri collegiali, di antiche biblioteche e sapere.

Ma Remus aveva ragione. Quello non era il momento per pensare a se stessi. E lei era incredibilmente qualificata per assisterlo. L’avrebbe fatto alla perfezione. Saperlo rendeva le cose solo peggiori. Appoggiò i gomiti sulla scrivania e si prese la testa tra le mani.

Sentì qualcuno che si sedeva sulla sedia riservata ai rifugiati.

“Appuntamenti solo alla mattina”, disse senza alzare lo sguardo. “Tornate domani.”

“Preferirei di no, se è lo stesso per te.”

No. Non ora.

Alzò lo sguardo. “Non ho tempo, Draco. Se vuoi tormentarmi, devi metterti in coda. Chiedi alla strega che c’è qui fuori di darti un appuntamento.”

“Mi ferisci.”. La sua bocca si cesellò in quello che lei pensava fosse il Draco-Imbronciato. E da quando aveva iniziato a catalogare le sue espressioni? “Sono qui perché ho bisogno dei tuoi servizi professionali.”

Io sono una professionista, ricordò a se stessa. Riuscì ad evitare di roteare gli occhi.

“Sono un Mago Senza Casa”, proclamò.

“Lo sei?” chiese con mitezza, reclinandosi sulla sedia.

“Sì, nei fatti, sì”, replicò, la sua faccia che si sistemava nel Draco-Sogghignante.

“Bene”, disse lei, riunendo i documenti per i maghi austriaci. “Tutto questo è molto interessante, ma ho del lavoro da fare, e -”

“Tu non hai davvero letto la mia sentenza, eh? Del Wizengamot.” La guardò con curiosità genuina.

“Potrebbe sorprenderti”, replicò, continuando a leggere un foglio, “ma io non sto seguendo senza fiato le Avventure di Draco Malfoy, ex-Mangiamorte.”

“Non mi hanno spedito ad Azkaban.”.

“Sì. Come dimostrato dalla tua sgradita presenza qui.”. Si arrese e mise da parte i fogli su cui stava lavorando. “Va bene, a cosa t’hanno condannato? Servizi Sociali Magici? Raccolta dei pacchi dispersi sulle maggiori linee di consegna via scopa? Pomeriggi domenicali nelle Case di Riposo Magiche?”

“Mi hanno portato via la magia.”

Ebbe il coraggio di sorridere all’espressione shockata della ragazza. “Per un anno. Mi hanno condannato a vivere da Babbano.”

Si appoggiò sulla schiena, con fare imponente. Lei lo fissò. Poi rise.

“Non è divertente”, sbottò lui, in tono seccato.

“Sopravvivrai, per un anno,” gli disse tra le risa. “Oh. È dannatamente brillante. Grazie per essere passato, Draco. Avevo bisogno di qualcosa che mi tirasse su.”.

Si alzò e fece per invitarlo ad uscire. Lui non si mosse.

“Come ho detto, sono senza casa. Sistemami. È quello che fai, no?”

Lei sospirò, risedendosi. “Io trovo delle case per i maghi le cui vite sono state fatte a pezzi dalla guerra. Non per marmocchi viziati che hanno bisogno di imparare le proprie lezioni. Stai al tuo Maniero.”

“Incenerito, negli stessi giorni della distruzione di Voldemort. I suoi fedelissimi avranno voluto buttarsi sulla pira bruciante, suppongo. Un po’ drammatico. Ma una magia affascinante.”

“Stai con gli amici.” Inclinò la testa, rivolgendole la sua espressione Potrei-Fare-un-Commento-Graffiante-Ma-Sarebbe-Fin-Troppo-Semplice.

“Giusto”, si inclinò all’indietro. “Azkaban. Beh, devono essere passati due mesi dalla data della tua sentenza -”

“Nove settimane”. Annuì, servizievole.

“E dove sei stato da allora?”

“In un hotel Babbano.”

“Giusto. Quale?”

“Il Ritz.”

“Il Ritz?” quasi si strozzò.

“Sì.” Annuì. “Il Wizengamot ha sospeso il mio conto e i miei privilegi alla Gringott, e mi ha dato un po’ di soldi Babbani con cui ricominciare.”.

“E tu sei andato al Ritz.”

“Non avevo nessun desiderio di farmi da mangiare e pulire come un barbaro, così ho trovato dove i Babbani vanno quando desiderano le stesse cose. Piuttosto intelligente da parte mia, credo.”

“Ma il Ritz è l’hotel più sfarzoso di Londra.”

“Sì”, disse. Hermione era sicura che stesse parlando lentamente per suo beneficio. “E’ per quello che sono andato lì.”

“Ma non potevi permettertelo. Non con qualunque somma di denaro t’abbia dato il Ministero.”

“Infatti.” Annuì di nuovo, osservandola quasi con tenerezza. “Ora hai capito il problema.”

Aspettò pazientemente, non sembrando incline a dire null’altro.

“E ora sono senza fondi”, disse infine, scrollando le spalle. “Così tu devi trovarmi un posto dove vivere. O trovarmi dei soldi”, aggiunse con aria pensierosa.

“Non posso aiutarti, Draco.”

“Assurdo. Certo che puoi.”

“Non ci sono abbastanza case per i veri rifugiati.”

“Quindi sei pronta a lasciarmi deperire sulle strade?”

“Non credo sia una possibilità molto alta, questa”, replicò, cercando di ignorare la sua espressione ferita e sorpresa. Era un’espressione che gli aveva visto solo poche volte, quella che cadeva sotto la tipologia Non-Posso-Credere-Di-Non-Aver-Ottenuto-Quello-Che-Volevo.

“Va bene.” Si alzò. “Quando i Babbani troveranno il mio cadavere deperito a Piccadilly Circus, farò in modo che tu ne sia informata.”

“Devi solo imparare a prenderti cura di te stesso, Draco. Trovati un lavoro.”

La sua lenta, drammatica, uscita si arrestò, e lui la fissò a bocca aperta.

“Un… lavoro?” chiese incredulo.

“Un lavoro.”

Chiuse gli occhi, come incapace di capire cosa gli avesse suggerito, per un momento. Poi le rivolse un’occhiata penetrante.

“Mi aspettavo qualcosa di più da parte tua, Granger. Se non volevi aiutarmi, avresti potuto dirmelo. Non c’era bisogno degli insulti.”

L’effetto scenico della sua grandiosa uscita fu leggermente rovinato dal dover aggirare una ragazzina con in braccio una vaschetta dei pesci rossi.

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“No, non va”, disse lo specchio con un tono di disapprovazione. “Ti devi mettere qualcosa di più sexy se ti vedi con un ex”.

“Lui non è un mio ex”, disse Hermione, controllandosi la dentatura. “E fatti gli affari tuoi.” Si chiese se avesse abbastanza tempo per utilizzare il filo interdentale.

“Ron Weasley? Non è quello che ho sentito.”

“Da chi?” chiese, incredula.

“Un piccolo specchietto portatile che conosco, a Hogwarts.”

“Gli specchi spettegolano?” chiese. “No, aspetta. Non voglio saperlo.”

“Uno si tiene in contatto con i propri amici”, rispose lo specchio altezzosamente.

Hermione sospirò e aggirò il letto alla ricerca della sua scarpa sinistra. Il giorno in cui aveva affittato quel piccolo appartamento, lo specchio le aveva dato un’occhiata e aveva detto, non senza cortesia, “Quella camicetta ha visto giorni migliori.”. Lei era stata così felice di aver finalmente trovato un posto che potesse permettersi che l’aveva ignorato.

Se non altro, era felice di avere un posto in cui vivere, quando così tante altre persone erano costrette a vivere tutte insieme, sempre che avessero un luogo in cui stare. E se il prezzo da pagare era avere un gabinetto a cui partiva lo sciacquone alle ore più strambe del giorno senza nessuna ragione apparente – anche se Hermione sospettava di una miniatura di una ninfa acquatica perennemente contrariata – e uno specchio invadente e impiccione impossibile da staccare dalla parete, beh… poteva sorridere e sopportarlo. Beh, per lo meno poteva sopportarlo.

Si era abituata a quel piccolo spazio, ormai, e le piaceva anche. Le sue tre piccole stanze collegate tra loro e senza porte – prima una piccola cucina, poi un salotto non molto più grande e, infine, una camera da letto così piccola che il solo letto la riempiva per quasi tutta la sua interezza. L’appartamento era già arredato, e lei non s’era sentita dell’umore giusto per personalizzarlo, ma l’avrebbe fatto, un giorno. Forse.

Trovò la sua scarpa e la indossò, fermandosi per darsi un’ultima ricontrollata allo specchio.

“Non incolpare me”, disse la superficie vetrosa, “quando non riuscirai a farti notare dal tuo ex.”.

“Non lo farò”, gli rispose uscendo.

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Avrebbe voluto arrivare alla Tana prima di Harry, ma quando entrò nella cucina affollata lo trovò già in piedi, nervoso, vicino al camino e accanto a Charlie Weasley che gli stava passando un bicchiere di Firewhiskey. Lo bevve tutto d’un fiato. Charlie, che aveva ancora in mano la bottiglia, lo guardò sorpreso ma poi gli riempì nuovamente il bicchiere, prima di fare altrettanto con quelli di Fred e George, ignorando volutamente le occhiate disapprovanti di Molly.

Era una festa di famiglia. Bill era accanto a Fleur – ormai la sua gravidanza era evidente, notò Hermione – seduta attorno al grande tavolo di legno. Erano presenti tutti i Weasley, a parte Percy, che dopo aver fatto un tentativo di riconciliazione con la sua famiglia se n’era andato in Australia non appena la guerra era finita.

Hermione sorrise a Lavanda, che, in piedi dall’altra parte della cucina con una mano appoggiata al braccio di Ron, rispose al saluto. Lei e Harry erano gli unici ‘non-Weasley’ presenti. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare, nello stato d’umore in cui si trovava, era una riunione di famiglia, dove tutti le avrebbero chiesto dei suoi piani futuri e del suo lavoro al Ministero, ma sia Ron che Ginny l’avevano chiamata via camino quel pomeriggio, insistendo ostinatamente per la sua presenza. Inoltre, non aveva voluto lasciare Harry da solo in una delle sue rare fuoriuscite dal Paiolo Magico. Osservando l’accogliente, affollata stanza, pensò che lasciarlo da solo era stata una preoccupazione un po’ esagerata.

Lui alzò lo sguardo in quel momento, vedendola per la prima volta, e il sollievo sul suo volto fu così tangibile che lei lo raggiunse immediatamente e posò una mano sulla sua che, inquieta, si muoveva con leggerezza sulla cappa del camino. Le rivolse un sorriso grato. Lei cercò di pensare a un modo per chiedergli cosa lo tormentava, ma Molly iniziò a parlare.

“Bene, adesso che ci siamo finalmente tutti”, disse guardando ostentatamente verso Hermione, “qualcuno ha qualcosa importante da dire. Fred, quello non è succo di zucca”. Gli sottrasse il bicchiere di Firewhiskey. “Ne hai già preso abbastanza.”

“Io sono George.”. Fece per riprendersi il bicchiere.

“Non cambia nulla”, replicò, sequestrando anche l’alcool dell’altro gemello.

Hermione osservò la folla lì riunita. Nessuno sembrava incline a fare un annuncio. Infine vide Lavanda fare un gesto di incoraggiamento a Ron.

Lui fece un passo avanti, e rivolse una breve occhiata a Hermione e Harry. Si rese immediatamente cosa stava succedendo ed ebbe appena il tempo necessario per capire quali fossero i suoi sentimenti, poi lui iniziò a parlare.

“Er -” le spalle di Ron erano innaturalmente basse. “Io e Lavanda ci stiamo… per sposare”. Guardò nuovamente Hermione.

Un silenzio shockato avvolse la stanza. Tutti, ora, stavano fissando Hermione. Beh, che cosa avrebbe dovuto fare lei?

Solo Ginny non aveva staccato gli occhi da suo fratello. Fissava la coppia a bocca aperta, incredula. “Che è successo, sei incinta anche tu?”

Proprio mentre Lavanda stava assumendo un colorito tendente al rosso vivace e si stava accigliando per la mancanza di gioia da parte dei Weasley, Charlie diede una pacca vigorosa alla schiena del fratello minore, accompagnandola con un caloroso “Congratulazioni”. Come se non avessero aspettato altro che qualcuno prendesse l’iniziativa, tutti gli altri uomini di casa Weasley porsero i propri complimenti. Molly cinse Lavanda in un caldo abbraccio, e dopo un momento e una scrollata di spalle Ginny fece lo stesso. La ragazza ritornò con slancio le effusioni, crogiolandosi nell’essere al centro dell’attenzione, e quel lato della stanza si riempì di voci chiassose e felici.

Hermione rimase completamente immobile, cercando di capire che cosa stesse provando. Non può nascerne nulla di buono, il pensiero che le passò velocemente per la testa. Si aggrappò a quel pensiero e annuì tra sé. Sì, non ne sarebbe nato nulla di buono, ma non c’entravano per nulla i suoi sentimenti. Si sentì immensamente sollevata nel capire che i suoi dubbi non avevano nessun fondamento nella gelosia.

Vide che Harry la stava guardando con una certa preoccupazione, mentre stringeva le mani. Lei tentò di rivolgergli uno sguardo rassicurante, ma la preoccupazione non svanì dal suo volto. “Sto bene”, gli sussurrò in un orecchio, ma forse lui non la sentì.

Il sorriso a trentadue denti di Lavanda abbagliò tutti per l’intera durata della cena, e Hermione, per lo meno, si sentì sollevata nel non essere lei al centro dell’attenzione, bersagliata dalle domande, tutte fatte con le migliori intenzioni, sul suo futuro. La conversazione era tenuta principalmente da Molly, Lavanda e Fleur, con il loro chiacchiericcio eccitato sui preparativi per il matrimonio – Lavanda sembrava volere centinaia di fate e folletti nelle decorazioni, mentre Fleur informava la ragazza come gli ultimi trend della moda tendevano verso un sofisticato minimalismo, e Molly era sicura che il proprio vestito da sposa, con giusto un paio di incantesimi, sarebbe stato perfetto per la futura nuora.

Harry, seduto in fronte a Hermione, non parlò mai, a meno che qualcuno non gli rivolgesse direttamente una domanda, e anche in quei casi le sue risposte non erano articolate in più di una manciata di parole. Ginny, con un labbro stretto tra i denti, l’aveva fissato in continuazione. Ron aveva mangiato lentamente e, per tutta la cena, aveva continuato a lanciare occhiate tristi a Hermione. Oh no, cercò lei di parlargli con il solo pensiero. Tienimi fuori da tutto questo. Hai fatto tutto da solo. Sapeva che, prima o poi durante quella serata, avrebbe cercato di bloccarla in un qualche angolo per parlarle in privato. E lei non aveva voglia di starlo a sentire, qualunque fossero le cose che aveva da dire.

Stava pensando ai modi in cui avrebbe potuto evitare Ron – un mal di testa? Un veloce incantesimo per l’invisibilità? – quando un distinto crash interruppe i suoi pensieri. Alzò gli occhi e gettò una veloce occhiata alla scena davanti a lei – Harry aveva rovesciato una brocca di succo di zucca. Lavanda squittì e balzò in piedi per evitare i rivoli aranciati. Charlie fece lo stesso, quasi in contemporanea, ridendo, e poco dopo l’intera combriccola era in piedi.

Fred rivolse alla tavolata uno sguardo di gran divertimento. “Ben fatto, Harry. Ormai ero cotto con tutto quel parlare di matrimoni.”.

Il timido sorriso di Harry sembrava genuino, ma Hermione notò che non gli raggiungeva gli occhi e vide che la sua mano sinistra stava iniziando a tremare.

“Mi dispiace. Non credo di sentirmi molto bene”, disse, pacato.

“Qual è il problema, caro?” chiese Molly, mentre richiamava un panno per asciugare.

“Solo un mal di testa”, replicò con un pallido sorriso. “Ma credo sia meglio se vado a casa, se non vi dispiace.”

Ignorò il coro di proteste e l’offerta di Hermione di accompagnarlo, assicurando tutti che non avrebbe avuto problemi a usare il camino del piano superiore. Li lasciò con quello che doveva essere, nelle intenzioni, un sorriso rassicurante, e con un invito a una partita a Quidditch avanzato dai gemelli.

Anche Hermione voleva andarsene, quasi disperatamente, ma qualcuno stava facendo un brindisi; poi ci furono le amichevoli punzecchiature a Lavanda, e la discussione sui vestiti per le damigelle d’onore – argomento questo su cui anche Hermione fu, con suo grande orrore, consultata. Ma la partenza di Harry aveva comunque lasciato il party ricolmo di sfuggenti occhiate, e non passò molto tempo prima che ognuno riprese la propria via verso casa.

Fece i propri saluti il più rapidamente possibile, volendo uscire prima di dare la possibilità a Ron, fortunatamente ancora occupato con Lavanda, di bloccarla. Si stava dirigendo verso l’ingresso, congratulandosi con se stessa per non essere stata notata, quando sentì qualcuno afferrarle un braccio.

Ginny si portò un dito alle labbra, affondando ancor più la stretta al bicipite di Hermione, e la condusse fin nella stanza da cucito di Molly. Chiuse la porta e vi si appoggiò contro. Hermione si rese conto che non aveva nessuna voglia di parlare dell’argomento Ron nemmeno con Ginny. Stava per dirlo, quando la rossa iniziò a parlare con una certa urgenza.

“Rimettilo in sesto.”

“Cosa?” chiese Hermione, interdetta.

“Harry. Rimettilo in sesto.”

“Non credo ci sia qualcosa che vada messo a posto.”

“Andiamo, Hermione. L’hai visto. Non riesce nemmeno a mettere insieme due parole di fila senza sembrar seduto sopra uno Schiopodo Sparacoda.”.

“Ne ha passate tante -”

“Sì. E non vuole parlarne con me. Ma lo farà con te.”

“Che cosa ti fa credere -”

L’altra ragazza fece un gesto impaziente. “Tu puoi riuscire a farlo parlare, lo sappiamo entrambe che puoi riuscirci.”

“Ginny”, disse, iniziando a sentirsi arrabbiata, ma cercando di mantenere un tono paziente, “non so cosa tu pensi che io possa fare.”

“Tu puoi rimetterlo in sesto. Sta soffrendo, e da troppo tempo. E tu lo sai che puoi farlo.”

Sollevò una mano contro le proteste di Hermione.

“Non voglio affrontare una discussione su questo argomento”, disse aprendo la porta. “Rimettilo in sesto.”

Uscì senza gettarsi un’occhiata alle spalle.

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Hermione poteva distintamente sentire delle voci provenire dal suo salotto. È venuto Ron, pensò immediatamente. Doveva essersi Materializzato lì mentre lei stava parlando con Ginny.

Dannazione, pensò confusamente, sedendosi sul proprio letto, al buio, e aspettando che la sua testa si schiarisse dopo la sua, di Apparizione. È meglio che non sia qui per lamentarsi con me di Lavanda. Naturalmente, avrebbe potuto essere anche qualcosa di peggio, ma si rifiutò di contemplarne la possibilità.

Tuttavia, si rese conto, quella non era la voce di Ron. Harry?

“Sì”, stava dicendo la voce pigramente. “Non ha mai avuto gran senso della moda neanche a Hogwarts.”

Oh, ecco chi era. Scattò dal letto, barcollando per le vertigini post-Materializzazione, e irruppe nella stanza vicina.

Draco stava bighellonando davanti allo specchio, con cui aveva, apparentemente, instaurato un rapporto di confidenza.

“Non è che sia esattamente poco attraente,” stava dicendo lo specchio.

“Difficile da descrivere, vero?” annuì Draco.

“Malfoy!” gridò Hermione, peggiorando le condizioni del suo mal di testa.

Lui non ebbe nemmeno il buon gusto di sobbalzare; si girò elegantemente e si sedette, guardandola con fare educato.

“Cosa”, continuò lei, con voce più calma, “credi di star facendo qui?”

“Pensavo di essermi spiegato”, le rispose pazientemente, e anche con gli occhi annebbiati, Hermione poteva vedere il suo volto nella modalità Non-Hai-Ricevuto-Nessuna-Educazione-Quindi-Posso-Fare-Un’-Eccezione-Per-Te, “non ho nessun posto in cui stare.”.

Lei appoggiò la testa al muro, sperando che le parole potessero assisterla.

“E visto che tu hai detto che mi avresti aiutato se avessi potuto, ho pensato che mi avessi dato la possibilità di venire da te.”

“Non ho mai detto che t’avrei aiutato se avessi potuto.”.

“No?”, chiese. “Devo aver assunto fosse quello che volevi dirmi.”.

Voleva elaborare una frase devastante che l’avrebbe ridotto a un esserino tremante – che l’avrebbe fatto scappar via con la coda tra le gambe. “Vattene via”, fu tutto quello che riuscì a mettere insieme.

“Ti sembra carino?” chiese.

“Merlino, spero di no”, rispose tra i denti stretti. “Va’ fuori.”

“Aspetta un attimo”, mormorò. “E’ tardi. Siamo entrambi stanchi. Possiamo parlarne domani mattina.”

“Draco -” sospirò con esasperazione, e improvvisamente le sue ginocchia cedettero. Si sedette con un tonfo sulla sua unica sedia e chiuse gli occhi per un momento, sperando che fosse tutto una strana illusione.

Li riaprì di nuovo per trovare Draco che le metteva un bicchiere d’acqua tra le mani. Aveva un’espressione che non gli aveva mai visto. Sembrava preoccupazione, ma Hermione decise di classificarla nel sottogruppo Draco-Vuole-Qualcosa. E, definitivamente, stava pensando troppo al suo viso.

“Hai passato una serata difficile. Bevi questo”. Mimò il gesto di bere con la sua mano. “Il tuo specchio mi stava appunto dicendo come sei stata costretta a sopportare Weasel.”.

“Vattene. Vattene. Vattene!” picchiò i piedi sul pavimento. Stava diventando isterica. Hermione pensava di meritarsi qualche attimo di pazzia, dopo i suoi ultimi giorni, ma così non andava bene. Non di fronte a Draco.

Si costrinse a respirare lentamente e accettò il bicchiere d’acqua. “Come sei entrato qui?”

“Ah”, rispose, la preoccupazione che pian piano svaniva. “Le tue sofisticate protezioni magiche hanno bisogno di una sistematina. Non sei protetta contro i Babbani. Cosa che”, continuò con un tremito, “sono io al momento.”.

“C’era una serratura.”

“Oh”, disse, abbassando lo sguardo in quello che avrebbe potuto passare per imbarazzo. “Quella.”

Hermione decise che non voleva saperlo. “Malfoy – Draco. Tu non puoi stare qui. Innanzitutto non c’è abbastanza spazio.”

“Fa’ un incantesimo di Espansione.”.

“Ho già fatto un incantesimo di Espansione.”

“Oh”, rispose, guardando attorno a sé il minuscolo appartamento. “Beh, sono disposto a sorvolare sui dettagli.”

“Generoso da parte tua.”

“Sì”, replicò. “Quindi io mi prendo la camera da letto, giusto?”

Lei chiuse di nuovo gli occhi. Contò fino a dieci, e indietro. Contò attraverso figure Aritmantiche.

Non servì. “Non hai davvero nessun posto dove stare?”

Quando riaprì gli occhi, l’espressione di Draco sembrava troppo compassionevole nei confronti del suo instabile stato mentale perché lei volesse davvero sentire una risposta.

“Va bene”, disse velocemente. “Puoi stare nel salotto. Per una sola notte. Quando torno a casa dal lavoro, domani, devi essertene andato. Intesi?”

“Perfettamente”. Annuì. “Solo un’ultima cosa.”

“Sì?” chiese, sospirando.

“Dov’è il salotto?” si guardò attorno, cercando un’altra stanza oltre a quella lì, minuscola con la sua sola poltrona traballante.

“Ci sei ora.”


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Fine PRIMA PARTE

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Spero vi stia piacendo^^, metterò online la seconda parte settimana prossima ;)


  
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